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Amministratore di fatto: le sanzioni e la prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’Agenzia delle Entrate volto a far ricadere le sanzioni tributarie su un amministratore di fatto. La Corte ha chiarito che, per superare il principio generale secondo cui le sanzioni colpiscono la società, l’amministrazione finanziaria deve dimostrare nei gradi di merito che l’ente era una mera costruzione fittizia per scopi illeciti. Non è possibile introdurre tale accertamento di fatto per la prima volta nel giudizio di legittimità.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Amministratore di Fatto: Quando Risponde Personalmente delle Sanzioni Tributarie?

La figura dell’amministratore di fatto è da tempo al centro di dibattiti giurisprudenziali, specialmente in ambito tributario. In linea di principio, le sanzioni per violazioni fiscali commesse da una società ricadono sull’ente stesso. Tuttavia, cosa accade quando la società è solo uno schermo e dietro di essa si cela un unico soggetto che ne tira le fila per scopi illeciti? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto processuale cruciale: l’onere della prova necessario per poter sanzionare personalmente chi gestisce l’azienda senza averne la carica formale.

I Fatti del Caso: L’Accertamento e i Gradi di Giudizio

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a una società a responsabilità limitata e, personalmente, a un soggetto ritenuto suo amministratore di fatto. L’atto mirava al recupero di maggiori imposte (Ires, Iva e Irap) per l’anno 2008.

In primo grado, la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso del contribuente. Successivamente, la Commissione Tributaria Regionale, in parziale riforma della prima decisione, confermava la legittimità dell’accertamento e la qualifica del soggetto come gestore di fatto della società. Tuttavia, i giudici di secondo grado escludevano che le sanzioni potessero essere poste a suo carico, ritenendo che queste dovessero gravare esclusivamente sulla società.

Il Ricorso dell’Agenzia e la Responsabilità dell’amministratore di fatto

L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione, contestando proprio l’esclusione della responsabilità personale per le sanzioni. Secondo la tesi dell’Ufficio, il principio generale secondo cui le sanzioni amministrative colpiscono l’ente con personalità giuridica subisce un’eccezione. Tale eccezione si verifica quando la società non è altro che uno strumento artificiosamente costituito per fini illeciti, come l’evasione fiscale.

In questi casi, l’amministratore di fatto, quale reale promotore, artefice e beneficiario del disegno criminoso, dovrebbe rispondere direttamente non solo delle imposte, ma anche delle relative sanzioni. L’Agenzia sosteneva che il rapporto fiscale non fosse realmente imputabile alla società, ma direttamente alla persona fisica che l’aveva utilizzata come un mero schermo.

Le Motivazioni della Cassazione: Inammissibilità per Novità della Questione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso dell’Agenzia inammissibile, non entrando nel merito della questione ma fermandosi a un rilievo di natura processuale. Il motivo centrale della decisione risiede nel fatto che la tesi dell’Agenzia (società come schermo per un disegno criminoso) si basa su un accertamento in fatto. I giudici di legittimità hanno osservato che la sentenza della Commissione Tributaria Regionale si era limitata a riconoscere la figura dell’amministratore di fatto, escludendone la responsabilità per le sanzioni sulla base del principio generale. La sentenza impugnata, tuttavia, non aveva mai accertato né affermato che la società fosse stata costituita al solo scopo di evadere le imposte o che l’amministratore ne fosse l’unico beneficiario.

Il ricorso per cassazione può vertere solo su questioni di diritto o su vizi della motivazione, non può introdurre nuove questioni di fatto o richiedere alla Suprema Corte di compiere accertamenti che sono di competenza esclusiva dei giudici di merito (primo e secondo grado). Poiché l’argomento dell’Agenzia poggiava su una premessa fattuale non presente nella decisione impugnata, il motivo di ricorso è stato giudicato inammissibile per novità della censura.

Conclusioni: L’Onere della Prova e i Limiti del Giudizio di Legittimità

L’ordinanza offre un’importante lezione pratica: per poter addebitare le sanzioni fiscali direttamente a un amministratore di fatto, non è sufficiente provarne il ruolo gestorio. È indispensabile che l’amministrazione finanziaria dimostri, nel corso del giudizio di merito, la sussistenza di quelle circostanze eccezionali che giustificano il superamento dello schermo societario. In particolare, deve provare che la società era una costruzione fittizia e che l’individuo era il reale dominus e beneficiario delle violazioni. Se questo quadro fattuale non viene accertato e cristallizzato nella sentenza di secondo grado, non potrà essere invocato per la prima volta davanti alla Corte di Cassazione.

L’amministratore di fatto risponde sempre delle sanzioni tributarie della società?
No. Di norma, le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale di una società sono a carico dell’ente stesso. Per poterle addebitare personalmente all’amministratore di fatto, l’amministrazione finanziaria deve provare in giudizio circostanze eccezionali, come il fatto che la società fosse un mero schermo creato per scopi illeciti di cui l’amministratore era il reale beneficiario.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’Agenzia delle Entrate?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché basato su una questione di fatto (la società come ‘schermo’ per l’evasione) che non era stata accertata e decisa dalla Commissione Tributaria Regionale nel giudizio di merito. Introdurre per la prima volta un simile accertamento di fatto in Cassazione non è consentito, poiché il giudizio di legittimità è limitato alle sole questioni di diritto.

Cosa deve dimostrare l’Agenzia delle Entrate per poter sanzionare direttamente un amministratore di fatto?
Secondo quanto emerge dall’ordinanza, l’Agenzia deve allegare e provare, nei gradi di merito del processo (primo e secondo grado), non solo che il soggetto agiva come amministratore di fatto, ma anche che la società era stata artificiosamente costituita per fini illeciti e che l’amministratore era l’effettivo promotore e beneficiario del disegno fraudolento. La sentenza di merito deve accertare e dare atto di queste circostanze.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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