Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20104 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20104 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8614/2024 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO del LAZIO n. 5786/2023 depositata il 17/10/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/05/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Dalla sentenza epigrafata, in punto di fatto, si apprende quanto segue:
NOME COGNOME impugnava presso la Commissione Tributaria per la provincia di Roma l’avviso di accertamento relativo all’omesso versamento di Ires, Irap ed IVA da parte dall’Associazione RAGIONE_SOCIALE nell’esercizio fiscale 2013, associazione della quale il ricorrente era ritenuto amministratore di fatto.
1.1. Il predetto avviso faceva seguito ad una verifica fiscale, conclusa con la redazione di un PVC nei confronti della ASD Palalevante, che risultava evasore totale d’imposta, non avendo mai presentato la prevista dichiarazione dei redditi.
Applicando, allora, nell’impossibilità di acquisire informazioni dirette, il criterio cosiddetto “dello spesometro”, il reddito dell’associazione veniva ricostruito sulla base delle fatture emesse, nell’importo di 234.000 euro.
Risultavano in particolare fatture per ingenti importi relative a prestazioni di sponsorizzazione, e, a seguito di interrogatorio dei rappresentati delle società sponsorizzate, emergeva che il signor COGNOME aveva sempre agito in nome e per conto della ASD Palalevante pur non rivestendo cariche sociali.
La ASD Palalevante veniva ritenuta un mero schermo per le predette operazioni di sponsorizzazione, delle quali in realtà beneficiavano altre associazioni sportive, quali la RAGIONE_SOCIALE
1.2. Il COGNOME deduceva preliminarmente la propria carenza di legittimazione passiva, in quanto non avrebbe mai svolto alcun ruolo di rappresentanza, non essendo neppure socio della RAGIONE_SOCIALE
Egli si era limitato a consentire ad altra persona di utilizzare illogo dell’Associazione Sportiva per alcune pubblicazioni.
La CTP di Roma, con sentenza n. 5020 depositata l’8 luglio 2020, respingeva il ricorso.
2.1. Osservava – come, nuovamente, da sentenza epigrafata quanto segue:
-illegale rappresentante della società Palalevante era un semplice prestanome risultato irreperibile;
-le controparti dei contratti di sponsorizzazione hanno dichiarato di avere trattato sempre solo con il ricorrente;
-in particolare, illegale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE aveva dichiarato di essersi relazionato ai fini della determinazione del corrispettivo con il signor COGNOME e di avere conosciuto l’effettivo legale rappresentante dell’associazione in una sola occasione quando gli fu presentato dallo stesso COGNOME;
-l’associazione sportiva RAGIONE_SOCIALE, principale beneficiario delle operazioni illecite, era da tempo gestita dalla famiglia COGNOME.
3. Il contribuente proponeva appello.
La CTG -2 del Lazio, con la sentenza epigrafata, l’accoglieva, sulla base della seguente motivazione:
Il COGNOME è stato ritenuto responsabile della omessa dichiarazione fiscale per l’esercizio 2013, sulla base di quanto disposto dall’art. 38 del Codice Civile .
Tale norma enuncia il principio della cosiddetta “autonomia patrimoniale imperfetta” delle associazioni non riconosciute, categoria nella quale rientrano anche le ASD.
Si tratta di una responsabilità accessoria e concorrente con quella dell’ente, che può essere utilizzata in via solidale se sussiste in primis la responsabilità dell’associazione.
Le persone che hanno agito per conto dell’ente non rispondono per un debito proprio, ma per una sorta di fideiussione ex lege disposta a tutela dei terzi, che spesso non conoscono la consistenza economica del fondo comune, e fanno affidamento sulla solvibilità di chi ha negoziato con loro.
Il citato articolo 38 è pacificamente ritenuto applicabile anche alle ipotesi di responsabilità per mancato pagamento delle imposte.
In tale circostanza, peraltro, la Corte di Cassazione ha più volte chiarito che, poiché la responsabilità fiscale non si basa su una attività negoziale liberamente svolta, ma riguarda adempimenti previsti direttamente dalla Legge, il responsabile ai sensi dell’art. 38 è sempre e soltanto unicamente la persona che ha la rappresentanza legale dell’ente secondo l’atto costitutivo .
L’aver svolto occasionalmente o anche in via continuativa attività negoziale nei confronti di terzi non comporta, allora, automaticamente che la persona che ha agito sia tenuta al corretto adempimento degli obblighi fiscali gravanti sulla società.
eraltro non è sufficiente la mera titolarità della carica, dovendo l’Ufficio verificare anche l’effettiva attualità dei poteri del rappresentante legale.
In nessun caso la responsabilità è stata estesa a soggetti diversi da questi ultimi.
Le ASD, inoltre, per poter usufruire delle agevolazioni fiscali previste per la categoria, sono tenute ad iscriversi ad un registro nazionale tenuto dal Coni, che a sua volta trasmette ogni anno all’Agenzia delle Entrate l’elenco degli iscritti.
Tale interpretazione restrittiva dell’art. 38, valevole con riferimento ai rapporti con il fisco, rende allora irrilevante l’eventuale prova che il COGNOME, in occasione di singole operazioni, abbia agito in nome e per conto dell’ente. Tale situazione rileva infatti esclusivamente con riferimento alla responsabilità assunta verso gli altri soggetti che hanno contrattato con l’associazione.
Nei confronti del fisco, del resto, non si configura quella asimmetria informativa alla base dell’estensione della responsabilità a vantaggio di altri soggetti privati.
L’Agenzia delle Entrate, infatti, è a conoscenza dell’ammontare del fondo sociale e delle persone ufficialmente titolari del potere di rappresentare l’ente, e solo nei confronti di queste ultime si può rivalere in via concorrente, salva la prova contraria della non attualità o di un impedimento allo svolgimento del potere rappresentativo.
Nel caso di specie l’Ufficio, in contrasto con i predetti principi, ha ritenuto che il COGNOME, sulla base di prove testimoniali, peraltro non decisive e in parte contraddittorie, abbia agito per conto dell’associazione per specifiche operazioni commerciali, e in relazione a quanto sopra, essendo amministratore di fatto, sia tenuto in via solidale all’adempimento degli obblighi fiscali.
Diverso il discorso nell’ipotesi in cui l’Ufficio contesti ad un soggetto non già la responsabilità solidale prevista dall’art. 38, ma una responsabilità propria, consistente nell’aver scientemente posto in essere, per proprio vantaggio personale, un’attività illecita consistente anche nel mancato pagamento delle imposte .
Osserva ancora il Collegio che nel caso di specie, come osservato dall’appellante, il comportamento dell’Ufficio si è rivelato contraddittorio. Da un lato, infatti, il COGNOME, in quanto amministratore di fatto è risultato destinatario dell’avviso di accertamento impugnato, dall’altro al COGNOME medesimo è stata negata la possibilità di avvalersi della definizione agevolata in quanto non amministratore titolare della ASD.
Propone ricorso l’Agenzia delle entrate con due motivi. Resiste il contribuente con articolato controricorso, ulteriormente insistito con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve rilevarsi come in controricorso si eccepisca:
-‘Anzitutto si nota che, in violazione di legge (l’art.12 comma 1 delle regole tecniche del processo civile telematico) il ricorso in Cassazione notificato e depositato non è un originale informatico, ottenuto da diretta trasformazione in pdf o pdf/a, ma un collage di numerosi scritti poco decifrabili estrapolati per immagini, «cuciti», per dir così ad altri tratti che sono invece tratti di originale informatico trasformati in PDF, che si alternano con queste immagini, numerose (arrivano anche a 16 pagine) e scansionate per immagini in modo tale da rendere il testo di difficile lettura e
comprensione. Almeno si poteva usare l’OCR per la trasformazione’.
Nessuna violazione di legge, per vero neppure indicata, consta dedotta.
La circostanza che il file contenente il ricorso contenga immagini estratte da altri file, in guisa da riprodurre, per assolvimento dell’onere di autosufficienza, gli atti e documenti richiamati, non inficia la consistenza unitaria del ricorso, che nel controricorso non si revoca in dubbio esser stato redatto e provenire dall’Avvocatura generale dello Stato, senza l’evocazione di alcun eventuale pregiudizio difensivamente sofferto:
-‘l ricorso manifesta chiaramente ‘ab initio’ una distorsione dei fatti, ed è sufficiente leggere la sentenza di secondo grado (all. 15 fasc. speciale Cassazione) per superare tali distorsioni, soprattutto consistenti nella contraddittorietà e prepotenza dei comportamenti dell’ufficio, dei verificatori, e delle persone ascoltate’.
Nessuna distorsione è affatto esplicitata.
Ad ogni modo, la ricostruzione della vicenda amministrativa e processuale rappresentata in ricorso è sovrapponibile a quella contenuta sia in sentenza che in controricorso.
Infine, non è ‘a fortiori’ rappresentato alcun eventuale pregiudizio difensivamente sofferto.
Può procedersi alla disamina dei motivi di ricorso.
Il secondo motivo assume priorità logico -giuridica e pertanto va esaminato anticipatamente.
Vi si denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 36 d.lgs. 546/1992, in relazione all’art. 360, i comma, n. 4, c.p.c.’.
4.1. ‘a statuizione contiene affermazioni apodittiche prive di reale significato, poste come decisive ai fini della soluzione del caso concreto’.
4.2. Il motivo è manifestamente infondato.
È sufficiente una semplice lettura della sentenza impugnata per rilevare come la stessa esibisca una motivazione (condivisibile o meno ma comunque) effettiva sia dal punto di vista grafico che dal punto di vista contenutistico, in tal guisa integrando pienamente il requisito del cd. minimo costituzionale, solo violato il quale rileva il denunciato vizio di omessa od apparente motivazione (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 -01).
Un tanto consente di procedere alla disamina del primo motivo.
Vi si denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 39 d.p.r. 600/73 e 54 d.p.r. 633/72, nonché 2697, 2727, 2729 c.c., in relazione all’art. 360, i comma, n. 3, c.p.c.’.
6.1. Il motivo, riprodotta la motivazione dell’avviso di accertamento, afferma: ”Ufficio deduceva che la ASD Palalevante era stata costituita come soggetto fittizio da utilizzare per la raccolta di sponsorizzazioni, che in realtà andavano a beneficiare la ASD RAGIONE_SOCIALE. All’uopo decisive erano le dichiarazioni dei terzi, ingiustificatamente sminuite dalla sentenza impugnata, circa l’effettivo ruolo del contribuente. ‘Nella fattispecie, se, in via formale, il rappresentante legale dell’ASD Palalevante doveva ritenersi il sig. NOME COGNOME, in realtà sussisteva prova che il ‘dominus’ (che aveva agito in nome e per conto dell’associazione stessa) era il sig. COGNOME (rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE 5), il quale si era premurato di coltivare i rapporti con i soggetti che poi avevano assicurato i proventi derivanti dalle sponsorizzazioni, in
violazione del limite quantitativo prestabilito dal legislatore. L’Ufficio aveva poi posto in rilievo, in accordo con le risultanze del processo verbale di constatazione, la circostanza della presenza del logo della squadra RAGIONE_SOCIALE sulla carta utilizzata per la redazione dei contratti di sponsorizzazione, a conferma della stretta commistione tra la ASD Palalevante e la ASD RAGIONE_SOCIALE, suggellata dal fatto che era solo il sig. NOME COGNOME ad agire in nome e per conto di entrambe (pur risultando titolare solo della seconda). La Cgt di II grado ha errato poiché non ha correttamente valutato l’assolvimento dell’onere probatorio a carico delle parti: da un lato, l’Ufficio, utilizzando presunzioni circa la sussistenza della ‘interposizione’, non era tenuto a provare null’altro, mentre gravava sul contribuente l’onere di superare le suddette presunzioni ‘. ‘Deve ribadirsi, in contrasto con la statuizione impugnata, che i debiti di imposta non sorgono su base negoziale, ma ‘ex lege’, e che sono chiamati a risponderne solidalmente coloro che abbiano contribuito a dirigere la complessiva gestione associativa nel periodo di imposta considerato’.
6.2. Il motivo si sottrae all’eccezione d’inammissibilità formulata in controricorso, ove si sostiene che esso corrisponda alla fattispecie del ‘ricorso farcito’, siccome composto da numerose ‘immagini’, su cui è ricusato il contraddittorio.
Il motivo si limita semplicemente a riprodurre la motivazione del solo avviso di accertamento. Ora, la circostanza che tale riproduzione sia effettuata mediante la tecnica dell’inserimento di immagini (peraltro in sequenza, onde adattare il testo riprodotto alle dimensioni delle pagine) nel file che contiene il ricorso non inficia, come già detto, l’unitarietà e, oltre, la piena intelligibilità, di questo. Ne consegue che il disconoscimento delle ‘immagini’ effettuato in controricorso è privo di consistenza, risolvendosi, in ultima analisi, in un vuoto disconoscimento, meramente formale, della riproduzione della motivazione dell’avviso: riproduzione di per
se stessa, tuttavia, non contestata nella corrispondenza all’originale.
In tal guisa, il motivo – che di per sé enuclea con precisione i vizi in diritto affliggenti la sentenza impugnata, enucleando pertinenti censure, a loro volta raccordate a consono paradigma censorio, correttamente evocato in rubrica -doverosamente assolve agli oneri di precisione ed autosufficienza, rendendo conto della consistenza delle contestazioni mosse al contribuente in avviso e quindi degli elementi di fatto che le sorreggono.
6.3. Ciò detto, il motivo è fondato.
Rilevano, concorrentemente e convergentemente, le elaborazioni della giurisprudenza di legittimità, da un lato, in punto di responsabilità tributaria della persona fisica che agisca per un’associazione dilettantistica sportiva e, dall’altro, in punto di prova presuntiva.
6.3.1. Quanto alla responsabilità tributaria dell’agente per un’associazione dilettantistica sportiva, può utilmente farsi riferimento a quattro recenti ordinanze della Sezione 5 Civile di questa Suprema Corte di cassazione – Sez. 5, nn. 6625, 6626, 6627 e 6628 del 27/01/2022 – che riepilogano lo stato della giurisprudenza.
Leggesi, dunque, in tutte le citate ordinanze quanto segue (cfr., ad es., quanto alla prima, in motiv., il par. 10 con relativi sottoparr., pp. 10 ss.):
‘ Questa Corte ha precisato che la responsabilità personale e solidale, prevista dall’art. 38 cod. civ., di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione stessa, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra l’ente ed i terzi. Si è, altresì, chiarito che tale responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell’associato, ma ha
carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione, con la conseguenza che l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia ‘ex lege’, assimilabili alla fideiussione (cfr., ‘ex plurimis’, Cass., sez. 3, 24/10/2008, n. 25748, Cass., sez. 3, 29/12/2011, n. 29733). Si è spiegato che la ‘ratio’ della previsione di una responsabilità personale e solidale, in aggiunta a quella del fondo comune, delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione, è volta a contemperare l’assenza di un sistema di pubblicità legale riguardante il patrimonio dell’ente, con le esigenze di tutela dei creditori (che abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio di dette persone), e trascende, pertanto, la posizione astrattamente assunta dal soggetto nell’ambito della compagine sociale, ricollegandosi piuttosto ad una concreta ingerenza dell’agente nell’attività dell’ente (Cass., sez. 5, 12/03/2007, n. 5746; Cass., sez. 5, 10/09/2009, n. 19486). Ne deriva, dunque, che chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente (Cass., sez. 3, 14/12/2007, n. 26290, Cass., sez. 3, 24/10/2008, n. 25748; Cass., sez. 3, 25/08/2014, n. 18188; Cass., sez. 6 -L, 4/04/2017, n. 8752).
Il principio suesposto è stato, poi, ritenuto da questa Suprema Corte applicabile anche ai debiti di natura tributaria (v. Cass., sez. 5, 17/06/2008, n. 16344; Cass., sez. 5, 10/09/2009, n. 19486), pur senza trascurare, tuttavia, una caratteristica fondamentale che connota siffatte obbligazioni. Si è rilevato, in proposito, che il principio in questione non esclude che per i debiti d’imposta, i quali non sorgono su base negoziale, ma ‘ex lege’ al verificarsi del relativo presupposto, sia chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato, fermo restando che il richiamo all’effettività dell’ingerenza, implicito nel riferimento all’aver «agito in nome e per conto dell’associazione», contenuto nell’art. 38 cod. civ., vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni che siano concretamente insorte nel periodo di relativa investitura (Cass., sez. 5, 12/03/2007, n. 5746; Cass., sez. 6 -5, 19/06/2015, n. 12473; Cass., sez. 5, 15/10/2018, n. 25650; Cass., sez. 6 -5, 29/01/2018, n. 2169;
Cass., sez. 6 -5, 24/02/2020, n. 4747). Si è anzi affermato che, in ragione del principio di autonomia del diritto tributario rispetto a quello civile e della fonte legale dell’obbligazione tributaria, nell’ipotesi di avvicendamento nella carica sociale di un’associazione non riconosciuta, anche per evitare strumentalizzazioni elusive, il rappresentante legale subentrante non può andare esente, ai fini fiscali, da responsabilità solidale con l’associazione soltanto per la mancata ingerenza nella pregressa gestione dell’ente, in quanto è obbligato a redigere ed a presentare la dichiarazione dei redditi e ad operare, ove necessario, le rettifiche della stessa: ne deriva che, per l’accertamento della responsabilità personale e solidale del legale rappresentante dell’associazione non riconosciuta con quest’ultima, occorre tenere conto non solo della partecipazione di tale soggetto all’attività dell’ente, ma anche del corretto adempimento degli obblighi tributari incombenti sul medesimo (Cass., sez. 6 -5, 23/02/2018, n. 4478; Cass., sez. 6 -5, 28/09/2018, n. 22861). E che è consequenziale a tale principio di diritto che gli adempimenti relativi alla presentazione della dichiarazione possano afferire ad annualità d’imposta che almeno in parte non siano comprese nel periodo in cui il rappresentante abbia partecipato alla gestione dell’ente, perché non ancora a ciò preposto, o addirittura all’intera annualità, come in ipotesi di formazione e presentazione di dichiarazione integrativa (Cass., sez. 5, 9/02/2021, n. 3093).
Da quanto appena detto, come sottolineato da questa Sezione (Cass., sez. 5, 9/02/2021, n. 3093), discende un’ulteriore conseguente considerazione, incidente sulla prova e sul riparto del suo onere. Se infatti con riguardo alle obbligazioni in generale si è affermato il principio secondo cui chi invoca in giudizio tale responsabilità è gravato dall’onere di provare la concreta attività di chi agisce in nome e nell’interesse dell’associazione, deve invece affermarsi che nelle obbligazioni ‘ex lege’ -in cui l’attenzione si sposta dalla concreta attività espletata dall’associato ai fini dell’insorgenza della specifica obbligazione alla verifica della partecipazione e gestione dell’ente da parte del soggetto -tale onere probatorio va diversamente ripartito. Infatti, grava su colui che invoca in giudizio la responsabilità dell’agente l’onere della prova degli elementi da cui desumere la sua qualità di rappresentante e/o di gestore di tutta o di parte dell’attività dell’associazione; grava invece sul chiamato a rispondere delle obbligazioni ‘ex lege’ dare prova della sua estraneità alla gestione dell’ente ‘.
Le richiamate ordinanze si allineano alla costante giurisprudenza di legittimità (cfr., ad es., Sez. 5, n. 25650 del 15/10/2018, Rv. 650749 -02), volta a proclamare il seguente principio di diritto:
In tema di associazioni non riconosciute, la responsabilità personale e solidale, prevista dall’art. 38 c.c., di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione stessa, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto che abbia dato luogo alla creazione di rapporti obbligatori fra l’ente ed i terzi: peraltro, l’operatività di tale principio in materia tributaria non esclude che per i debiti d’imposta, che sorgono non su base negoziale ma derivano “ex lege” dal verificarsi del relativo presupposto, sia chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la gestione complessiva dell’associazione nel periodo di relativa investitura .
In via di sintesi (giusta, ad es., Sez. 6 -5, n. 36470 del 13/12/2022, Rv. 666586 -01), la responsabilità solidale prevista per le persone che hanno agito in nome dell’associazione ex art. 38 c.c. si applica, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, al soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia svolto compiti di amministrazione, consistenti nella direzione della gestione complessiva dell’associazione nel periodo considerato, dovendosi presumere che, quale rappresentante, abbia concorso nelle decisioni volte alla creazione di rapporti obbligatori di natura tributaria per conto dell’associazione stessa, fermo restando che il richiamo all’effettività dell’ingerenza vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni sorte nel periodo di relativa investitura.
S’è, infine, più recentemente precisato (cfr. Sez. 5, n. 1028 del 22/11/2023, dep. 2024, in motiv., parr. 5.1 e 5.2, p. 6):
5.1. Le associazioni non riconosciute, ossia prive della personalità giuridica (che si acquisisce con l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche ex art. 1, comma 1, d.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361), associazioni cui, salvo che non risulti diversamente, come nella specie non
risulta, devono ricondursi anche le associazioni sportive dilettantistiche, non soggiacciono ad oneri di pubblicità legale, con particolare riguardo alla revoca dei legali rappresentanti, invece previsti per le società dall’art. 2385, comma 3, cod. civ., secondo cui ‘la cessazione degli amministratori dall’ufficio per qualsiasi causa deve essere iscritta entro trenta giorni nel registro delle imprese a cura del collegio sindacale’.
5.2. Idonei pertanto a rappresentare le associazioni di cui si tratta nei rapporti con i terzi, Amministrazione finanziaria compresa, sono, non solo coloro che, per atto costitutivo o per statuto o per successive conformi delibere, siano formalmente investiti dei relativi poteri, ma anche, per un verso, coloro che, già legali rappresentanti ma non più, nell’attualità, tali, appaiano ai terzi ancora investiti dei poteri tipici per seguitare a proporsi loro nella precedente veste e, per altro verso, coloro che, mai stati legali rappresentanti, comunque agiscano in fatto come se lo fossero, esercitando i poteri tipici ed in tal modo ingenerando nei terzi l’affidamento di relazionarsi con rappresentanti effettivamente titolati.
6.3.2. Quanto, poi, ai criteri che presiedono la prova presuntiva, vige il principio (enunciato da (Sez. 3, n. 9059 del 12/04/2018, Rv. 648589 -01) secondo cui
il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso
che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento.
In specificazione del principio di cui innanzi s’è ulteriormente precisato (Sez. 2, n. 9054 del 21/03/2022, Rv. 664316 -01) che il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni ‘gravi, precise e concordanti’, laddove il requisito della ‘precisione’ è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della ‘gravità’ al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della ‘concordanza’, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma.
6.4. La CGT -2, nella sentenza impugnata, ha patentemente disatteso tutti i superiori principi.
Invero, anzitutto, ha ingiustificatamente squalificato il complesso degli indizi addotti dall’Ufficio a dimostrazione dell’assunto che il contribuente, il quale finanche agiva in nome e per conto dell’ASD Palalevante, era l’unico ed effettivo suo
‘dominus’, assumendo per l’effetto la qualifica di amministratore di fatto, la cu figura andava a sovrapporsi a quella, inverte, del solo formale legale rappresentante.
A questo riguardo, un ulteriore errore compiuto dalla CGT -2 consiste nell’aver disconosciuto la valenza indiziaria delle dichiarazioni di terzi raccolte nel procedimento amministrativo, ulteriormente violando – in un quadro di per sé acclarata violazione dei principi in tema di prov presuntiva -l’ormai acquisito insegnamento (cfr. Sez. 5, n. 32024 del 28/10/2022, Rv. 666102 -01) secondo cui l’efficacia probatoria delle dichiarazioni rese da terzi, testualmente riportate in un avviso di accertamento (quale provvedimento conclusivo del procedimento amministrativo di applicazione dell’imposta), non possono ritenersi come “tamquam non esset”, rilevando quali fonti di conoscenza, come fatti o indizi che spetta al giudice di merito valutare insieme agli altri elementi presuntivi che completano il quadro probatorio a sostegno della pretesa tributaria, al fine di decidere se l’Ufficio abbia soddisfatto l’onere della prova a suo carico, con conseguente trasferimento al contribuente dell’onere della prova contraria.
Invero (cfr. Sez. 5, n. 8221 del 22/03/2023, Rv. 667096 -02),
le dichiarazioni extraprocessuale di terzi sono ammissibili ed utilizzabili nel processo tributario -nel rispetto dell’art. 6 CEDU e del principio di parità delle armi di cui all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea -e hanno valore di elementi indiziari, utilizzabili sia dall’Amministrazione, sia dal contribuente.
Fermo quanto innanzi, la CGT -2 ha, altresì, fatto totale malgoverno dei principi in tema di responsabilità tributaria dell’agente ex art. 38 cod. civ. In particolare, accreditando un’inconsistente interpretazione restrittiva di quest’articolo, non ha considerato che chi, pur formalmente privo di poteri di rappresentanza, agisce per l’associazione si immette di fatto nel ruolo di amministratore, ingerendosi nella gestione
dell’associazione e perciò assumendosene la responsabilità (anche) agli effetti fiscali per il periodo fiscalmente rilevante.
In definitiva, in accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, per nuovo esame e per le spese, comprese quelle del grado.
P.Q.M.
In accoglimento del primo motivo di ricorso, rigettato il secondo, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 29 maggio 2025.