Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30033 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 30033 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10095 -20 24 R.G. proposto da:
COGNOME NOME , rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO IMPERATORE , con domicilio digitale come in atti;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO, domicilia;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5668/22/2023 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della CAMPANIA, depositata il 17/10/2023;
Oggetto: Tributi -amministratore di fatto sanzioni
udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 18 settembre 2024 dal AVV_NOTAIO;
FATTI DI CAUSA
Dalla sentenza impugnata emerge che «NOME presentò ricorso alla commissione tributaria provinciale di Napoli chiedendo l’annullamento dell’atto di contestazione n. NUMERO_DOCUMENTO, per l’anno di imposta 2016 emesso dall’RAGIONE_SOCIALE c on il quale gli erano state irrogate sanzioni di euro 8.280.034,31 in conseguenza di altro avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, emesso per l’anno di imposta 2016, che era in corso di notifica ad esso COGNOME nella qualità di amministratore di fatto della srl RAGIONE_SOCIALE».
La CTP (ora Corte di giustizia tributaria di primo grado) di Napoli rigettò il ricorso con sentenza che la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania ha confermato con la sentenza in epigrafe indicata, rigettando l’appello del contribuente e condannandolo al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali.
2.1. Dopo aver premesso che « L’amministratore di fatto è il soggetto che, pur non essendo stato investito formalmente della carica di amministratore della società, svolge in modo continuativo l’attività gestoria ed esercita i poteri relativi alla qualifica o alle funzioni dell’amministratore di diritto » e che « L’esercizio non deve riguardare tutti i poteri propri dell’organo di gestione, essendo sufficiente l’esercizio di un’apprezzabile attività di gestione della società, svolta in modo non occasionale», i giudici di appello hanno sostenuto che il COGNOME aveva svolto tale ruolo all’interno della società verificata e ciò si si evince dagli elementi emersi nel corso dell’attività investigativa svolta dalla G.d.F. che sottopose a verifica la RAGIONE_SOCIALE accertando la costituzione di una associazione tra vari soggetti, tra cui il COGNOME, che aveva perpetrato una serie di frodi fiscali attraverso la creazione di diverse società fittizie, intestate a prestanomi ma da essi gestite, che, avvalendosi del consulente contabile COGNOME NOME, presso
il cui studio di consulenza contabile e fiscale avevano sede legale tutte le società coinvolte, emettevano ed utilizzavano fatture per operazioni oggettivamente e/o soggettivamente inesistenti con operatori nazionali ed esteri. La finalità era quella di creare in capo alle suddette società dapprima un falso credito Iva e, successivamente, un fittizio plafond Iva successivamente utilizzato per acquisti di beni senza applicazione dell’imposta.
2.2. Il COGNOME era risultato essere l’amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE fittiziamente amministrata da COGNOME NOME e ciò, secondo i giudici di appello si ricavava in maniera univoca da una pluralità di elementi:
-) per aver prestato garanzie personali per obbligazioni contratte dalla società, «cosa che confligge con la posizione di mero dipendente apparendo poco credibile che un dipendente presti una garanzia personale per un’auto aziendale »;
-) per avere «stipulato alcuni contratti di locazione di immobili di proprietà sua o della srl RAGIONE_SOCIALE, della quale, unitamente a COGNOME NOME, era unico socio (cfr. pagg. 15 e 16 pvc) a dimostrazione della comunanza di interessi e del ruolo che non era quello di semplice dipendente di una singola società»;
-) per avere gestito, «unitamente ad altre persone partecipi dell’associazione, le società RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE», per come era «emerso dalle indagini e dall’attività di intercettazione telefonic a».
2.3. Quanto alle sanzioni, sostenevano i giudici di appello che «Nel caso in esame è evidente che le operazioni fraudolente hanno consentito agli amministratori occulti, tra i quali anche il COGNOME, attraverso la creazione e gestione di società alla guida RAGIONE_SOCIALE quali erano stati messi dei prestanomi, di beneficiare RAGIONE_SOCIALE imposte evase. Ne deriva che il COGNOME, così come gli altri amministratori di fatto, non hanno agito nell’interesse della società, essendo essi gli unici ed effettivi
beneficiari RAGIONE_SOCIALE violazioni accertate». Per tale ragione, richiamato il principio affermato da Cass. n. 10975/2019, rigettava il motivo di appello con cui COGNOME aveva dedotto l’inapplicabilità all’amministratore RAGIONE_SOCIALE sanzioni applicate alla società amministrata.
Il contribuente proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi cui replicava l’intimata con controricorso.
Formulata proposta di definizione accelerata del ricorso, ex art. 380 bis c.p.c., in data 24/09/2024, in considerazione della rilevata inammissibilità del primo motivo e dell’ infondatezza del secondo, il ricorrente con atto depositato in data 04/11/2024 ha chiesto la decisione del ricorso e, quindi, ai sensi degli artt. 380 bis e 380-bis.1 c.p.c. è stata disposta la trattazione della causa per l’odierna camera di consiglio.
RAGIONI COGNOMEA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2639 e dell’art 2729 cod. civ., per non avere i giudici di appello compiuto una corretta ricognizione e applicazione dei criteri di qualificazione dell’amministratore di fatto di società di capitali.
1.1. Sostiene il ricorrente che «nessuno degli elementi richiamati dalla Corte Territoriale a sostegno della decisione assunta ha la benché minima attinenza con la società RAGIONE_SOCIALE»; che « L’aver stipulato alcuni contratti di locazione non di sua proprietà ma della moglie COGNOME, certamente non dimostra l’esistenza di rapporti gestori di fatto nella RAGIONE_SOCIALE»; che «Nemmeno dalle intercettazioni telefoniche risalenti al 2017 richiamate dalla Commissione Regionale a suffragio dell’assunta amministrazione di fatto, emerge l’esistenza, nel periodo indicato nell’accertamento (ANNO 2016) degli elementi sintomatici di una attività gestoria della società RAGIONE_SOCIALE in capo a NOME»; che «Gli elementi portati a sostegno della qualità di amministratore di
fatto della RAGIONE_SOCIALE attribuita al NOME non sono dotati dei requisiti di gravita, precisione e concordanza richiesti, al contrario, sono assolutamente vaghi e generici».
2. Nella proposta di definizione accelerata il motivo è stato ritenuto inammissibile «in quanto -a dispetto della censura per violazione di legge -intende giungere, tramite la rivalutazione del materiale probatorio, a un diverso accertamento in fatto circa le caratteristiche dell’attività gestoria svolta dal ricorrente, asseritamente non occasionale; nella specie, la sentenza impugnata, attraverso la valorizzazione degli elementi acquisiti al giudizio, quali il PVC 11 giugno 2019 (all. 4 controricorso) e atti in esso richiamati (atti di indagine penale, tra cui intercettazioni telefoniche), ha ritenuto fondata l’esistenza di un sodalizio criminoso avvalendosi di diverse società, indicando gli altri autori del sodalizio (COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e il consulente COGNOME NOME), le società coinvolte (RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE), i prestanome (es. COGNOME NOME), le altre società coinvolte in termini logistici, nonché il ruolo ricoperto dal ricorrente, incompatibile con la veste formale di dipendente di una RAGIONE_SOCIALE società indicate (con travalicamento del ruolo formalmente attribuitogli), da questo ritenendo fondata la contestazione di amministratore di fatto, come indicato nella sentenza impugnata (‘ L’amministratore di fatto è il soggetto che, pur non essendo stato investito formalmente della carica di amministratore della società, svolge in modo continuativo l’attività gestoria ed esercita i poteri relativi alla qualifica o alle funzioni dell’amministratore di diritto. L’esercizio non deve riguardare tutti i poteri propri dell’organo di gestione, essendo sufficiente l’esercizio di un’apprezzabile attività di gestione dell a società, svolta in modo non occasionale ‘) ».
Il Collegio condivide tale argomentazione e, quindi, l’inammissibilità del motivo in esame.
3.1. Al riguardo, con specifico riferimento alla contestata mancanza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza degli elementi presuntivi addotti dall’amministrazione finanziaria e condivisi dai giudici di appello per addivenire all’attribuzione al contribuente de lla qualifica di amministratore di fatto di una società, osserva il Collegio, richiamando quanto condivisibilmente affermato da Cass. n. 4657/2024, in motivazione (p. 11.2), che «Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., sez. U, n. 1785/2018) hanno precisato che la denuncia di violazione o di falsa applicazione della norma di diritto di cui all’art. 2729 cod. civ. si può prospettare sotto i seguenti aspetti: aa) il giudice di merito (ma è caso scolastico) contraddice il disposto dell’art. 272 9 cod. civ., primo comma, affermando (e, quindi, facendone poi concreta applicazione) che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni ( rectius : fatti), che non siano gravi, precise e concordanti: questo è un errore di diretta violazione della norma; bb) il giudice di merito fonda la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota, così sussumendo sotto la norma dell’art. 2729 cod. civ. fatti pri vi di quelle caratteristiche e, quindi, incorrendo in una sua falsa applicazione, giacché dichiara di applicarla assumendola esattamente nel suo contenuto astratto, ma lo fa con riguardo ad una fattispecie concreta che non si presta ad essere ricondotta sotto tale contenuto, cioè sotto la specie della gravità, precisione e concordanza.
Ebbene, quando il giudice di merito sussume erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione fatti concreti accertati che non sono invece rispondenti a quei caratteri, si deve senz’altro ritenere che il suo ragionamento sia censurabile alla stregua del n. 3 del primo comma dell’art. 360 e compete, dunque, alla Corte di cassazione controllare se la norma dell’art. 2729 cod. civ., oltre ad essere applicata
esattamente a livello di proclamazione astratta dal giudice di merito, lo sia stata anche a livello di applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta. Essa può, pertanto, essere investita ai sensi del l’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. dell’errore in cui il giudice di merito sia incorso nel considerare grave una presunzione (cioè un’inferenza) che non lo sia o sotto un profilo logico generale o sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina) entro il quale essa si collochi. La stessa cosa dicasi per il controllo della precisione e per quello della concordanza. In base alle considerazioni svolte, le Sezioni Unite hanno, pertanto, statuito che la deduzione del vizio di falsa applicazione dell’art. 2729, primo comma, cod. civ. suppone un’attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito – assunto, però, come tale e, quindi, in facto per come è stato enunciato – risulti irrispettoso del paradigma della gravità, o di quello della precisione o di quello della concordanza; e che, di contro, la critica al ragionamento presuntivo svolto dal giudice di merito sfugge al concetto di falsa applicazione quando invece si concreta o in un’attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali, in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito, avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo (sicché il giudice di merito è partito in definitiva da un presupposto fattuale erroneo nell’applicare il ragionamento presuntivo), o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perché quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell’art. 2729, primo comma (e ciò tanto se questa prospettazione sia basata sulle stesse circostanze fattuali su cui si è basato il giudice di merito, quanto se basata altresì su altre circostanze fattuali). Ciò perché in questi casi la critica si risolve in
realtà in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti , e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio e ci si pone su un terreno che non è quello del n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ. (falsa applicazione dell’art. 2729, primo comma, cod. civ.), ma è quello che sollecita un controllo sulla motivazione del giudice relativa alla ricostruzione della quaestio facti; terreno che, come le Sezioni Unite, (Cass., sez. U, nn. 8053 e 8054 del 2014) hann o avuto modo di precisare, vigente il nuovo n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., è percorribile solo qualora si denunci che il giudice di merito abbia omesso l’esame di un fatto principale o secondario, che avrebbe avuto carattere decisivo per una diversa individuazione del modo di essere della detta quaestio ai fini della decisione, occorrendo, peraltro, che tale fatto venga indicato in modo chiaro e non potendo esso individuarsi solo nell’omessa valutazione di una risultanza istruttoria».
3.2. Cass. n. 22366/2021 ha quindi affermato che, «Con riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c., spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo » – vizio nella specie neppure dedotto – « non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo, e neppure occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare
sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo criterio di normalità, visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile»
3.3. Orbene, nel caso di specie vertiamo nell’ipotesi di prospettazione da parte del ricorrente di un’inferenza probabilistica degli elementi presuntivi individuati dal giudice di merito tra quelli emergenti dagli atti processuali, semplicemente diversa da quella ritenuta in sentenza.
3.4. Il motivo in esame, pertanto, si risolve in un’inammissibile richiesta di rivalutazione del giudizio di merito non consentito al Giudice di legittimità.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art 7, comma 1, del d.l. 269/2003, convertito, per avere i giudici di appello escluso che nella fattispecie trovasse applicazione il principio della responsabilità esclu siva dell’ente dotato di personalità giuridica per le sanzioni allo stesso irrogate relativamente al rapporto fiscale.
4.1. Sostiene il ricorrente che quelle fatte in sentenza sono affermazioni «che non trovano riscontro nel materiale probatorio utilizzato dai giudici. In realtà, nel materiale probatorio posto a fondamento della decisione impugnata non si rinviene alcuna specifica circostanza dalla quale possa desumersi che il sig. COGNOME abbia beneficiato RAGIONE_SOCIALE violazioni fiscali commesse da RAGIONE_SOCIALE nell’anno di imposta 2016. Invero, per le ragioni illustrate nel primo motivo al sig. COGNOME NOME non può attribuirsi la qualità di amministratore di fatto di RAGIONE_SOCIALE non ricorrendo nella fattispecie alcuno degli elementi sintomatici dell’attività gestoria all’epoca RAGIONE_SOCIALE assunte violazioni».
4.2. Nella proposta di definizione accelerata il motivo è stato ritenuto «manifestamente infondato, posto che la norma di cui all’art. 7
d. l. n. 269/2003 non si applica ove la società sia una mera fictio, ossia uno ‘schermo’ o veicolo creato nell’interesse esclusivo RAGIONE_SOCIALE persone fisiche che la partecipano quali esclusive beneficiarie del sistema fraudatorio, caso nel quale non vi è alcuna differenza fra trasgressore e contribuente (Cass., Sez. V, 2 marzo 2022, n. 6901; Cass., Sez. V, 20 ottobre 2021, n. 29038; Cass., Sez. V, 8 giugno 2021, n. 15922; Cass., Sez. V, 3 marzo 2021, n. 5776; Cass., Sez. VI, Cass., Sez. VI, 18 aprile 2019, n. 10975; Cass., Sez. V, 28 agosto 2013, n. 19716); nella specie, la sentenza impugnata ha accertato che la posizione del ricorrente all’interno del gruppo di fatto di società gli ha consentito di usufruire RAGIONE_SOCIALE schermo RAGIONE_SOCIALE suddette società, agendo nel proprio esclusivo interesse (‘Nel caso in esame è evidente che le operazioni fraudolente hanno consentito agli amministratori occulti, tra i quali anche il COGNOME, attraverso la creazione e gestione di società alla guida RAGIONE_SOCIALE quali erano stati messi dei prestanomi, di beneficiare RAGIONE_SOCIALE imposte evase. Ne deriva che il NOME, così come gli altri amministratori di fatto, non hanno agito nell’interesse della società, essendo essi gli unici ed effettivi beneficiari RAGIONE_SOCIALE violazioni accertate’) ».
4.3. Il Collegio condivide tale argomentazione, ulteriormente sviluppata dalla più recente giurisprudenza ( e, quindi, l’infondatezza manifesta del motivo in esame), avendo questa Corte specificamente affermato « In tema di accertamento su IVA e imposte dirette, ai sensi dell’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, nei confronti del soggetto che abbia gestito “uti dominus” una società di capitali si determina la traslazione del reddito d’impresa, e RAGIONE_SOCIALE relative imposte, quale effettivo possessore del reddito della società interposta, e si instaura, inoltre, un rapporto di mandato senza rappresentanza, dove il mandatario è il gestore “uti dominus” e la mandante è la società, sicché, ove le prestazioni di servizi cui il primo abbia partecipato per conto della seconda siano soggette a Iva, vi è soggetto pure il rapporto giuridico tra il mandatario e la società interposta, incombendo sull’Amministrazione
finanziaria l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, il totale asservimento della società interposta all’interponente, ed al contribuente quello di fornire la prova contraria dell’assenza di interposizione, ovvero della mancata percezione dei redditi del soggetto interposto » (Cass. n. 23231 del 25/07/2022; Cass. n. 23987 del 27/08/2025), ossia, la medesima situazione in fatto puntualmente accertata dal giudice di merito.
4.3. Analogamente, con specifico riferimento alla contestata qualifica di amministratore di fatto con conseguente inapplicabilità RAGIONE_SOCIALE sanzioni relative a violazioni fiscali riferibili alla società da quello amministrata in via di fatto, va ricordato il principio in base al quale, «In tema di imposte dirette e IVA, ai fini della traslazione dell’imponibile dalla società al soggetto che l’ha gestita uti dominus, tale da assicurare la ripresa a tassazione nei confronti di quest’ultimo RAGIONE_SOCIALE imposte dovute, non è decisivo classificare la funzione del soggetto operante dietro la medesima società e, quindi, comprendere se ci si trovi o meno al cospetto di un amministratore formale o un amministratore di fatto, in quanto ciò che rileva e se il soggetto terzo si comporta uti dominus, ossia come colui che ne gestisce e dirige le risorse -autonomamente dalla società e, se del caso, indipendentemente dagli interessi di questa – ideando e ponendo in essere le condotte illecite da cui deriva un credito erariale» (Cass. n. 23231 del 25/07/2022; Cass. n. 23987/2025).
4.4. Con riferimento a tale ultimo aspetto, che rileva ai fini di una ulteriore ragione di inammissibilità del motivo in esame, deve ricordarsi che, secondo Cass. n. 28080/2019 (in motivazione), «il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre esula dallo stesso l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a
mezzo RAGIONE_SOCIALE risultanze di causa, prospettabile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione e il cui esame, a differenza dalla censura per violazione di legge, è mediato dalla contestata valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze di causa (cfr. Cass., ord., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., ord., 30 aprile 2018, n. 10320; Cass., ord., 13 ottobre 2017, n. 24155). Le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto e quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata; mentre il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata, il vizio di falsa applicazione di legge consiste o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione (cfr. Cass., ord., 14 gennaio 2019, n. 640; Cass. 26 settembre 2005, n. 18782). Fa, dunque, parte del sindacato di legittimità secondo il paradigma della «falsa applicazione di norme di diritto» il controllare se la fattispecie concreta (assunta così come ricostruita dal giudice di merito e, dunque, senza che si debba procedere ad una valutazione diretta a verificarne l’esattezza e meno che mai ad una diversa valutazione e ricostruzione o apprezzamento ricostruttivo) è stata ricondotta a ragione o a torto alla fattispecie giuridica astratta individuata dal giudice di merito come idonea a dettarne la disciplina oppure al contrario doveva essere ricondotta ad altra fattispecie giuridica oppure ancora era
irriconducibile ad una fattispecie giuridica astratta, sì da non rilevare in iure, oppure ancora non è stata erroneamente ricondotta ad una certa fattispecie giuridica cui invece doveva esserlo, essendosi il giudice di merito rifiutato expressis verbis di farlo (così, Cass. 31 maggio 2018, n. 13747). Non è, quindi, affatto precluso al giudice di legittimità stabilire se il giudice di merito abbia correttamente sussunto sotto l’appropriata previsione normativa i fatti da lui accertati – ferma restando l’insindacabilità di questi ultimi e l’impossibilità di ricostruirli in modo diverso – e l’errore eventualmente commesso non è un errore di accertamento, ma un errore di giudizio, consistente nello scegliere in modo non corretto quella, tra le tante norme dell’ordinamento, della quale deve farsi applicazione al caso concreto (cfr. Cass., ord. 18 gennaio 2018, n. 1106)».
4.5. In senso analogo, più recentemente Cass. n. 19651/2024, secondo cui «Il vizio di violazione di legge (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) per erronea sussunzione si distingue dalla carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, sottratta al sindacato di legittimità, perché postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso e la censura attiene, infatti, all’erronea ricognizione della fattispecie astratta normativa, senza contestare la valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze di causa».
4.6. Contestazione che invece il ricorrente con il motivo di ricorso in esame espressamente muove alla sentenza impugnata. Da qui, anche l’inammissibilità del motivo.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali nonché, ai sensi del terzo comma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., RAGIONE_SOCIALE somme di cui ai commi terzo e quarto dell’art. 96 cod. proc. civ., liquidate come in d ispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 10.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito. Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente del l’ulteriore importo di euro 5.000,00 ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ. nonché del l’importo di euro 2.500,00 in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende, ai sensi dell’art. 96, comma 4, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 18 settembre 2025
Il Presidente NOME COGNOME