Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19796 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19796 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4237-2024 R.G. proposto da:
NOME COGNOME in proprio e nella qualità di amministratore di fatto d ell’ ASSOCIAZIONE RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso, per procura speciale allegata al ricorso, dagli avvocati NOME COGNOME (pec: EMAILpec.studio-martelliEMAILit), NOME COGNOME (pec: calicetiEMAILpec.studio-EMAILit) e NOME COGNOME (pec: EMAIL) ed elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dei predetti difensori;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso
Oggetto: TRIBUTI -amministratore di fatto associazione sportiva dilettantistica
l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende (pec: EMAIL);
– controricorrente –
e nei confronti di
COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al controricorso con ricorso incidentale, dall’Avv. NOME COGNOME (pec: EMAILpec.ordineavvocatipesaro.it) ed elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo in Pesaro INDIRIZZO
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 585/01/2023 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado delle Marche, depositata in data 03/07/2023; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 29 maggio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. A seguito di verifica fiscale condotta dalla G.d.F. nei confronti della Associazione RAGIONE_SOCIALESettore Giovanile), conclusosi con p.v.c. del 19/12/2014, con riferimento agli anni di imposta 2008, 2009, 2010, 2011, 2012, si accertava la costituzione di diversi enti, ovvero la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE la prima destinata a gestire la prima squadra, le due Associazioni le scuole per giovani e giovanissimi., tutti facenti capo a NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME che ne erano gli amministratori anche di fatto e che gestivano unitariamente i predetti enti e che riversavano somme delle due Associazioni alla s.r.l. allo scopo di poter triplicare i benefici derivanti dalle agevolazioni di cui alla L. 398/91, che prevede un regime fiscale di favore per lo sport dilettantistico, limitatamente agli enti che pongono in essere operazioni commerciali per importi non superiori ad un determinato plafond annuale.
Sulla scorta delle risultanze del predetto p.v.c., l’Agenzia delle entrate emetteva anche nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME individuati quali amministratori di fatto dell’associazione sportiva Calcio Urbino RAGIONE_SOCIALE, l’avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 20 08 disconoscendo il regime agevolato ex legge n. 398 del 1991, di cui aveva usufruito la predetta associazione, e riprendendo a tassazione i redditi ai fini IRES ed IRAP nonché i ricavi a fini IVA, secondo il regime ordinario.
I contribuenti impugnavano l’atto impositivo dinanzi alla CTP (ora Corte di giustizia tributaria di primo grado) di Pesaro che rigettava il ricorso.
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado (CGT-2) delle Marche, riuniti i separati appelli proposti dai contribuenti «per ragioni di connessione oggettiva e soggettiva», pronunciava la sentenza in epigrafe indicata con cui accoglieva l’appello dei contribuenti limitatamente alle riprese ai fini IRAP sull’assunto che, stante la mancata operatività del raddoppio dei termini di accertamento, questi fossero decorsi, e rigettava per il resto.
4.1. Sostenevano i giudici di appello, per quanto ancora qui di interesse:
in relazione alla dedotta carenza di potere del delegato alla firma dell’atto impositivo ai sensi dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, che « risulta per tabulas che l’avviso di accertamento impugnato è stato firmato dal capo area persone fisiche, dottor COGNOME che riveste la qualifica di funzionario e che pertanto è pienamente legittimato alla sottoscrizione dell’atto. Peraltro, il sottos crittore risulta essere stato delegato dal dottor COGNOME direttore provinciale di Pesaro, come da provvedim ento depositato dall’Ufficio già in primo grado »;
in relazione alla posizione dei singoli contribuenti, che « con la sentenza 169 del 24.6.2022, il Tribunale di Pesaro ha concluso per l’affermazione della penale responsabilità di NOME NOME per taluni dei reati, dichiarando per i restanti, tra i quali quelli commessi in concorso
con COGNOME, l’avvenuta prescrizione dei reati. Infatti, come si legge nella motivazione, COGNOME ebbe a rassicurare più di un testimone, tra i quali ad es. COGNOME NOME, segretario della ASD, che nel 2010 aveva provveduto a costituire l’ASD RAGIONE_SOCIALE, priva di ogni requisito di legge, per ‘splittare’ su di essa i costi e i guadagni della società a responsabilità limitata, della quale COGNOME era il legale rappresentante, e così beneficiare di un plafond triplicato di benefici fiscali non spettanti ».
Avverso tale statuizione NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati con memoria, cui replica NOME COGNOME con controricorso e ricorso incidentale affidato a sei motivi, illustrati con memoria . L’Agenzia delle entrate deposita controricorso con cui replica ai soli motivi di ricorso proposti da NOME COGNOME con il ricorso principale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso principale, il contribuente NOME COGNOME deduce , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la «Nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione degli artt. 39, 101, 102 e 331 c.p.c., nonché gli artt. 14, 32, 53 e 54 del D. Lgs. n. 546/1992» per avere la CTR violato il diritto al contraddittorio del ricorrente, avendo disposto in sede di unica udienza di trattazione la riunione del l’ appello proposto da esso contribuente (iscritto al n. 523/2023 RGA) con l’appello (iscritto al n. 517/2023 RGA) proposto da NOME COGNOME di cui non aveva avuto conoscenza non essendogli mai stato notificato come avrebbe dovuto essendo stato parte del medesimo giudizio di primo grado, così risultando omesso da parte del Giudice dell’impugnazione il provvedimento di integrazione de l contraddittorio con conseguente violazione del diritto di difesa di essa parte processuale.
1.1. Censura, inoltre, la sentenza impugnata là dove i giudici di appello hanno affermato, in premessa, che «Di seguito, si farà
riferimento numerico ai motivi dell’appello presentato da COGNOME, più ampio ed esteso, laddove i motivi dell’appello presentato da COGNOME NOME, al primo riunito, sono più ridotti e comunque interamente assorbiti, per continenza, nel devolutum del PERA», lamentando che la CGT-2 aveva «ritenuto superfluo indagare i motivi proposti dal sig. COGNOME e deciso unicamente sulle deduzioni dell’altro appellante principale, sig. NOME COGNOME, senza spiegare «per quali ragioni di fatto e giuridiche i motivi proposti dal sig. COGNOME potevano o non potevano essere assorbiti da quelli proposti da altra autonoma parte processuale».
Il motivo è complessivamente infondato.
2.1. Con riferimento al primo profilo va premesso che gli appelli erano stati proposti avverso la medesima sentenza, sicché correttamente la CTG-2 ha riunito le impugnazioni in applicazione del disposto di cui all’art. 335 cod. proc. civ, secondo cui «Tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza debbono essere riunite, anche d’ufficio, in un solo processo».
2.2. Nel merito il motivo è infondato in quanto in contrasto con il reiterato principio giurisprudenziale, che il Collegio condivide, secondo cui «Qualora taluna delle impugnazioni separatamente proposte da due o più parti soccombenti contro la medesima sentenza non risulti notificata a un litisconsorte necessario, il quale abbia però a sua volta impugnato la decisione, l’obbligatoria riunione delle distinte impugnazioni ai sensi dell’art. 335 c.p.c. esclude che debba ordinarsi l’integrazione del contraddittorio nei confronti del predetto litisconsorte, il quale, per effetto della disposta riunione, è già parte dell’ormai unitario giudizio, e dunque in condizione di contraddire sull’intera materia di lite. (La S.C., nel confermare la pronuncia di merito, ha ritenuto che nel caso di specie le altre parti avevano già impugnato la decisione ed erano perciò parte del giudizio scaturito dalla riunione)»
(Cass., Sez. 2, n. 12795 del 14/05/2019, Rv. 653814 – 01; conf. Cass. n. 24590/2019; Cass. n. 17592/2005).
2.3. A quanto detto aggiungasi l’ulteriore considerazione che il ricorrente neppure ha dedotto né tanto meno dimostrato di aver richiesto alla CGT-2, in esito alla riunione dei giudizi e prima della trattazione delle cause , un termine per poter esaminare l’appello proposto dall’altra parte ed eventualmente replicare al medesimo.
2.4. Infondato è anche il secondo profilo di censura dedotto nel motivo in quanto la sentenza impugnata ha esaminato tutte le questioni poste nei motivi di appello proposti sia dal COGNOME che dal ricorrente COGNOME, il quale infatti non ha dedotto l’omessa pronuncia su uno o più dei motivi proposti. Invero, la premessa fatta dai giudici di appello (di far ‘riferimento numerico’ ai motivi dell’appello presentato dal COGNOME, perché ricomprendenti anche quelli proposti da NOME COGNOME) non atteneva al merito delle questioni poste con gli appelli ma alle modalità di esame dei motivi proposti dall’uno e dall’altro degli appellanti, come è reso evidente, oltre che dallo sviluppo motivazionale della sentenza impugnata e dalla già rilevata omessa contestazione da parte del ricorrente Scoglio di un vizio di omessa pronuncia su uno specifico motivo di appello, anche dalla inequivoca specificazione fatta dai giudici di appello che nell’esposizione delle ragioni della decisione avrebbero fatto «riferimento numerico» ai motivi proposti dal COGNOME in quanto quelli proposti da NOME COGNOME erano meno numerosi e nella sostanza contenuti («interamente assorbiti, per continenza») in quelli proposti dal predetto COGNOME.
Con il secondo motivo di ricorso principale il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., la «Nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione artt. 112, 115, 116, 132 e 342 c.p.c., nonché gli artt. 7 e 36 D. Lgs. n. 546/1992 e degli artt. 38, 2639, 2697 e 2729 c.c.».
3.1. Censura la sentenza impugnata là dove la CGT-2 afferma, « quanto al preteso difetto di legittimazione passiva di COGNOME e di COGNOME NOME (primo motivo di appello), è sufficiente rilevare che, secondo la tesi dell’Ufficio, tanto il primo quanto il secondo soggetto hanno rivestito il ruolo di amministratore di diritto e di fatto non soltanto nella ASD oggetto di accertamento, ma anche ed ancor prima nella SRL che ha beneficiato, mediante l’ASD, dell’aumento sino al triplo del plafond per accedere ai benefici fiscali previsti dalla legge per le associazioni sportive dilettantistiche, senza averne diritto ».
3.2. Censura, altresì, la sentenza impugnata là dove afferma che « Nella motivazione dell’avviso di accertamento, si dà atto anche dei riscontri effettuati nel corso della verifica della GDF quando è emerso che gli associati della Urbino RAGIONE_SOCIALE sono soci, o lo sono stati, anche della RAGIONE_SOCIALE e ricoprono o hanno ricoperto cariche amministrative all’interno della RAGIONE_SOCIALE e della calcio Urbino SG, mentre alcuni associati alla calcio Urbino SG sono e/o sono stati soci della RAGIONE_SOCIALE ed inoltre ricoprono o hanno ricoperto cariche amministrative all’interno sia della RAGIONE_SOCIALE che della Urbino RAGIONE_SOCIALE. In particolare – come risulta anche dalla sentenza 169/2022 emessa dal Tribunale di Urbino in data 24.6.2022 (depositata dalla difesa dei contribuenti), nei confronti di NOME COGNOME e COGNOME NOME, imputati, il COGNOME, dei delitti continuati di simulazione di reato, falso ideologico commesso da privato in atto pubblico, occultamento e distruzione di scritture contabili, omessa presentazione della dichiarazione annuale IVA, emissione di 14 fatture per operazioni soggettivamente inesistenti emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE, diversa da quella realmente emittente, la RAGIONE_SOCIALE lo SCOGLIO in concorso con PERA degli ultimi due delitti – PERA e SCOGLIO hanno di volta in volta rivestito la qualità di co-amministratori di fatto della associazione sportiva RAGIONE_SOCIALE e più in particolare il PERA, di presidente pro tempore
e legale rappresentante della medesima associazione sportiva e coamministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE SCOGLIO di consigliere, segretario e co-amministratore di fatto della associazione sportiva nonché legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE
3.3. Lamenta, innanzitutto, che i giudici di appello avevano ritenuto che «la posizione dei due autonomi appellanti coincidesse in fatto ed in diritto», «sancendo sic et simpliciter la sussistenza per entrambi della qualifica di amministratori di fatto e senza spiegarne il perché», omettendo in tal modo «di pronunciarsi singolarmente ed individualmente sulla sussistenza o meno in capo a ciascun appellante dei presupposti per la detta qualificazione di amministratori di fatto».
3.4. Deduce, quindi, la «totalmente insufficiente contraddittoria ed illogica» motivazione della sentenza impugnata, «avendo omesso l’esame di fatti ed elementi decisivi per il giudizio e violato le norme sottese al caso di specie» e che «In identica insufficienza sarebbe incorso il Giudice anche qualora si intendesse quella offerta come motivazione meramente apparente».
3.5. Deduce, inoltre, «l’assoluta mancanza del bench é minimo elemento di prova che consentisse all’Ufficio – a ciò onerato – di dimostrare la riferibilità all’odierno ricorrente di atti gestori tali da attribuirgli la qualifica di amministratore di fatto dell’Associazione».
Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c., degli gli artt. 38, 2639, 2697 e 2729 c.c. nonché l’art. 7 della L. n. 212/2000 » per avere la CTR errato nel considerare fondata la qualificazione come amministratore di fatto e la conseguente responsabilità personale in mancanza della provata esistenza di atti gestori/direttivi ad esso riconducibili.
4.1. Censura la sentenza impugnata là dove si afferma che «RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE hanno di volta in volta rivestito la qualità di co-amministratori di fatto della associazione sportiva RAGIONE_SOCIALE Urbino RAGIONE_SOCIALE
e più in particolare il COGNOME, di presidente pro tempore e legale rappresentante della medesima associazione sportiva e coamministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, SCOGLIO di consigliere, segretario e co-amministratore di fatto della associazione sportiva nonché legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE.
I due motivi, tra loro strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente.
Va preliminarmente rigettata l’eccezione dell’Agenzia controricorrente di inammissibilità del motivo per commistione delle censure, posto che l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione d’inammissibilità quando non sia possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate, come è avvenuto nel caso in esame, in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi (Cass. n. 26790/2018; Cass. n. 7009/2017).
La prima censura del secondo motivo di ricorso è infondata.
7.1. Diversamente da quanto sostiene il ricorrente la CTG-2 si è pronunciata con riferimento alla posizione processuale di entrambi i contribuenti, addirittura distinguendo le cariche sociali effettivamente rivestite da ciascuno di essi nell’ambito della società e delle associazioni coinvolte nella vicenda in esame.
La motivazione della sentenza impugnata non è, al riguardo, né insufficiente o mancante, né contraddittoria e tanto meno apparente, atteso che essa esibisce una motivazione (condivisibile o meno, ma comunque) effettiva, sia dal punto di vista grafico che giuridico (Cass., Sez. U, n. 8053 del 2014), ponendosi ben al di sopra del minimo costituzionale di cui all’art. 111, sesto comma, Cost.
La seconda censura del motivo in esame ed il terzo motivo sono invece fondati e vanno accolti.
8.1. La questione di fondo, prospettata con le censure in esame, riguarda l’attribuzione al ricorrente della qualità di amministratore di fatto dell’associazione sportiva e la conseguente sua responsabilità solidale con quest’ultima; in particolare si censura la sentenza per non avere accertato l’attività concretamente posta in essere dal ricorrente.
8.2. Sul punto, questa Suprema Corte ha più volte affermato (cfr., ex multis , Cass. n. 5746/2007, n. 25650/2018, n. 1793/2023), che la responsabilità personale e solidale, prevista dall’art. 38 cod. civ., di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione stessa, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra l’ente ed i terzi. Si è, altresì, precisato, al riguardo, che tale responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell’associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione, con la conseguenza che l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia “ex lege”, assimilabili alla fideiussione (cfr., ex plurimis, Cass. n. 25748/2008; Cass. n. 29733/2011). D’altro canto, la ratio della previsione di una responsabilità personale e solidale, in aggiunta a quella del fondo comune, delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione, è volta a contemperare l’assenza di un sistema di pubblicità legale riguardante il patrimonio dell’ente, con le esigenze di tutela dei creditori (che abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio di dette persone), e trascende, pertanto, la posizione astrattamente assunta dal soggetto nell’ambito della compagine sociale, ricollegandosi piuttosto ad una concreta ingerenza dell’agente nell’attività dell’ente (cfr. Cass. n. 5746/2007; Cass. n. 11869/2024).
8.3. Ne consegue, dunque, che chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l’onere di provare la concreta attività svolta in nome e
nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente (cfr., ex plurima, Cass. civ. sez. III, 14 dicembre 2007, n. 26290, Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 2008, n.25748). Il principio suesposto, in riferimento alla responsabilità solidale, ex art. 38 cod. civ., di coloro che agiscono in nome per conto dell’associazione non riconosciuta, ponendo in essere, a prescindere dalla rappresentanza formale dell’ente, la concreta attività negoziale riferibile all’associazione stessa, è stato, poi, ritenuto da questa Suprema Corte applicabile anche ai debiti di natura tributaria (v. Cass. civ. sez. V, 17 giugno 2008, n. 16344; Cass. civ. sez. V, 10 settembre 2009, n.19486), pur senza trascurare, tuttavia, una caratteristica fondamentale che connota siffatte obbligazioni. Si è rilevato, in proposito, che il principio in questione non esclude, peraltro, che per i debiti d’imposta, i quali non sorgono su base negoziale, ma “ex lege” al verifìcarsi del relativo presupposto, sia chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato. Ciò nondimeno, il richiamo all’effettività dell’ingerenza, implicito nel riferimento all’aver “agito in nome e per conto dell’associazione”, contenuto nell’art. 38 cod. civ., vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni che siano concretamente insorte nel periodo di relativa investitura (Cass. n. 5746/2007 e Cass. n. 25650/2018, citate).
8.4. Si è poi ulteriormente precisato, ancorché in tema di società di capitali, che «la persona che, benché priva della corrispondente investitura formale, si accerti essersi inserita nella gestione della società stessa, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, va considerata amministratore di fatto ove tale ingerenza, lungi dall’esaurirsi nel compimento di atti eterogenei ed occasionali, riveli avere caratteri di sistematicità e completezza (Nella specie, la SRAGIONE_SOCIALE. ha
confermato la decisione che aveva ritenuto amministratore di fatto colui che aveva aperto un conto corrente intestato alla società, aveva la disponibilità della documentazione riferibile alla stessa nonché delle password di accesso alla posta elettronica e dei recapiti dei fornitori)» (Cass. n. 1546/2022).
8.5. Orbene, la pronuncia impugnata, laddove non ha compiuto alcuna valutazione dell’attività concretamente svolta dal ricorrente al quale, in via solidale con il COGNOME e l’Associazione, è stata estesa la responsabilità per i debiti tributari dell’ente, è dunque viziata, essendo necessario accertare, per quanto sopra esposto, non tanto la carica rivestita dal soggetto, ben individuata nella sentenza impugnata, ma se e in che misura quel soggetto abbia svolto concretamente l’attività di amministrazione.
8.6. Ed allora, ai fini dell’attribuzione al ricorrente di una responsabilità ex art. 38 cod. civ. non è sufficiente aver accertato, come hanno fatto i giudici di appello, che NOME COGNOME è stato «consigliere» e «segretario» della Associazione RAGIONE_SOCIALE oltre che legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, dovendosi invece accertare se lo stesso si sia ingerito nell’attività dell’Associazione.
8.7. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata in riferimento alle censure in esame e la causa rinviata alla CGT-2 delle Marche perché proceda a nuovo esame della vicenda processuale alla stregua dei principi sopra indicati.
Deve, quindi, passarsi all’esame dei motivi di ricorso incidental e proposti da NOME COGNOME.
Con il primo motivo il ricorrente incidentale deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 4 cod. proc. civ. la nullità della sentenza per violazione dell’art. 11 5 cod. proc. civ., per avere i giudici di appello posto a fondamento della decisione sul motivo di appello con cui aveva dedotto la nullità dell’atto impositivo per difetto di delega di firma in
capo al funzionario che l’aveva sottoscritto, un documento, ovvero la delega di firma di cui alla disposizione di servizio n. 14/2015, mai prodotta in giudizio.
10.2. In relazione al motivo di appello con cui il contribuente aveva dedotto la carenza di potere del delegato alla firma dell’atto impositivo ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, si legge nella sentenza impugnata che « risulta per tabulas che l’avviso di accertamento impugnato è stato firmato dal capo area persone fisiche, NOME COGNOME che riveste la qualifica di funzionario e che pertanto è pienamente legittimato alla sottoscrizione dell’atto. Peraltro, il sottoscrittore risulta essere stato delegato dal dottor COGNOME direttore provinciale di Pesaro, come da provvedimento depositato dall’Ufficio già in primo grado ».
10.2. Il motivo è manifestamente infondato, in quanto il predetto ordine di servizio risulta essere stato effettivamente depositato nel giudizio di primo grado (RG. n. 271/2016) dinanzi alla CTP di Pesaro con nota di deposito dell’Agenzia delle entrate del 30/05/2016 .
Con il secondo motivo il ricorrente incidentale deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la «Nullità della sentenza (omessa pronuncia sull’eccezione di nullità dell’atto impositivo per violazione degli artt. 2719 e 2697 c.c. e 42 D.P.R. n. 600/73) con riferimento all’art. 112 c.p.c.» per avere la CTR omesso di prendere in considerazione il disconoscimento operato dal contribuente ex art. 2719 cod. civ. della copia della ‘scheda’ anagrafica del funzionario che aveva sottoscritto l’atto impositivo.
11.1. Il motivo è infondato e va rigettato alla stregua del principio giurisprudenziale secondo cui «Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in
proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia» (Cass. n. 24155 del 2017; conf. Cass. 29191 del 2017, n. 2151 del 2021).
11.2. Nel caso in esame la statuizione espressa di rigetto del motivo di appello con cui era stata dedotta la nullità dell’atto impositivo per difetto di delega di firma in capo al funzionario che l’aveva sottoscritto, implica necessariamente il rigetto di ogni questione attinente all’invalidità di quella delega, compresa quella dedotta nel motivo che il ricorrente incidentale erroneamente sostiene essere stato pretermesso dai giudici di appello.
12. Con il terzo motivo il ricorrente incidentale deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 3 cod. proc. civ., la «Nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2719 e 2697 c.c. e 42, comma 1, D.P.R. n. 600/73» per avere la CTR implicitamente respinto l’eccezione di inutilizzabilità della copia della ‘scheda’ anagrafica del funzionario che aveva sottoscritto l’atto impositivo, per averne formalmente disconosciuto la conformità all’originale senza che la controparte avesse pro dotto l’originale o chiesto la verificazione, sicché non risultava provato che il « Funzionario sottoscrittore appartenesse alla terza area funzionale (i.e. carriera direttiva -nono livello) ».
12.1. Il motivo è infondato e va rigettato ala stregua dell’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale il disconoscimento della conformità all’originale di una copia di un documento, che attiene al contenuto del documento prodotto in copia e non alla sua provenienza o paternità, deve avvenire in modo chiaro e circostanziato e non con mere clausole di stile e, presupponendo l’esistenza di un originale, consente l’utilizzazione della scrittura e, in particolare, l’accertamento della conformità all’originale della copia
prodotta anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass. n. 24029/2024; Cass. n. 134/2025).
12.2. Più volte questa Corte ha ribadito che il disconoscimento di una scrittura privata, pur non richiedendo, ai sensi dell’art. 214 c.p.c., una forma vincolata, deve avere i caratteri della specificità e della determinatezza, e non può costituire una mera espressione di stile (Cass. n. 18491/2024).
12.3. « In tema di prova documentale, l’onere di disconoscere la conformità tra l’originale di una scrittura e la copia fotostatica della stessa prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l’uso di formule sacramentali, va assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto che consenta di desumere da essa in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia, senza che possano considerarsi sufficienti, ai fini del ridimensionamento dell’efficacia probatoria, contestazioni generiche o onnicomprensive » (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 28096 del 30/12/2009, Rv. 610586 – 01; conf.: Sez. 1, Sentenza n. 14416 del 07/06/2013, Rv. 626517 -01; v. anche Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7105 del 12/04/2016, Rv. 639509 01; Sez. 3, Sentenza n. 12730 del 21/06/2016, Rv. 640278 -01).
12.4. Orbene, nella specie il disconoscimento del documento prodotto in copia dall’Agenzia delle entrate è stato effettuato in maniera assolutamente generica, senza alcuna indicazione di un qualche elemento di difformità tra originale e copia della scheda anagrafica del funzionario sottoscrittore dell’atto impositivo, prodotta in giudizio, tra cui di certo non può essere annoverata la non comprensibilità del documento perché «molto poco leggibile» (ricorso incidentale, pag. 34).
Con il quarto motivo di ricorso incidentale deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 3 cod. proc. civ., la «Nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42, comma 1, D.P.R. n. 600/73» per avere la CTG2 considerato l’atto im positivo valido semplicemente perché ‘riferibile’ all’Ufficio che lo ha emanato.
13.1. Il rigetto dei motivi precedentemente esaminati, da cui discende la legittimità della delega di firma conferita al funzionario che ha sottoscritto l’avviso di accertamento impugnato e, conseguentemente, la piena validità di tale atto impositivo, rende inammissibile il motivo in esame per carenza di interesse.
Con il quinto motivo di ricorso incidentale il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 4 cod. proc. civ., la «Nullità della sentenza per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c.» sul motivo di appello con cui aveva censurato la sentenza di primo grado per avere ritenuto non essenziale ai fini della decisione «La mancata allegazione degli atti della Procura di Urbino, richiamati in modo non puntuale nelle controdeduzioni dell’Agenzia».
14.1. Il motivo è inammissibile ed infondato.
14.2. Il ricorrente lamenta l’omessa pronuncia della CGT -2 sulla dedotta carenza motivazionale dell’avviso di accertamento, in quanto fondato anche (ma non solo) sugli esiti delle indagini condotte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Urbino, di cui non era mai stato reso edotto e che i giudici di primo grado avevano ritenuto non essenziali ai fini della decisione.
14.3. Orbene, i giudici di appello, hanno espressamente affermato che l’avviso di accertamento era « esaurientemente motivato » per le argomentate ragioni espresse a pag. 4 della sentenza impugnata, sicché la domanda che il ricorrente sostiene non essere stata esaminata deve intendersi implicitamente rigettata (Cass. n. 24155 del 2017; conf. Cass. 29191 del 2017, n. 2151 del 2021; pronunce cui si è fatto riferimento nell’esame del primo motivo di ricorso incidentale al quale si rinvia).
14 .4. A ciò aggiungasi che l’affermazione del ricorrente di non essere stato edotto degli esiti delle indagini di polizia giudiziaria condotte dalla Procura di Urbino, trova clamorosa smentita nella sentenza impugnata in cui si dà espressamente atto del deposito da parte degli stessi
appellanti della sentenza penale del Tribunale di Urbino pronunciata all’esito del rinvio a giudizio fondato sulle risultanze di quelle indagini.
14.5. Pare opportuno precisare, infine, che le questioni pure agitate dal ricorrente nel motivo in esame, riferite alla mancata conoscenza delle ragioni del suo coinvolgimento nella vicenda e, più in particolare, dell’attribuzione della qualifica di amminist ratore di fatto dell’Associazione, sono inammissibili perché non oggetto di specifica censura con deduzione dello specifico paradigma normativo violato, e sono anche manifestamente infondate in quanto quelle ragioni sono molto chiaramente espresse nell’a vviso di accertamento che è stato depositato in atti. A ciò aggiungasi che è lo stesso ricorrente ad affermare nel ricorso (pag. 50) di essere stato delegato ad operare sul conto corrente bancario dell’Associazione, e questa è circostanza ampiamente sufficiente, alla stregua dei principi giurisprudenziali cui si è fatto riferimento esaminando il secondo e terzo motivo di ricorso principale, cui si rinvia, a far ritenere sussistente una concreta ingerenza del medesimo nella gestione dell’Associazione e, quin di, a configurare una responsabilità dello stesso ex art. 38 cod. civ.
14.6. Non sono idonee a scalfire la statuizione di rigetto del motivo in esame le ulteriori argomentazioni svolte dal ricorrente incidentale nella memoria ex art. 380-bis1 cod. proc. civ. del 10/05/2025, in cui si eccepisce il giudicato esterno costituito dalla sentenza con cui la medesima CGT-2 (diversa Sezione), con riferimento ad un avviso di irrogazione delle sanzioni per l’anno d’imposta 2012, aveva accolto il motivo d’appello proposto sulla medesima questione e conseguentemente annullato l’atto di irrogazione delle sanzioni. Trattasi, invero, di pronuncia relativa ad altro atto impositivo, ad altro anno d’imposta ed avente oggetto diverso (sanzioni), sicché non opera il giudicato esterno (cfr., ex multis , Cass. n. 24416/2024, secondo cui «Nel processo tributario, l’efficacia espansiva del giudicato esterno non ricorre quando i separati giudizi riguardano tributi diversi, trattandosi di
imposte strutturalmente differenti, anche se la pretesa impositiva è fondata sui medesimi presupposti di fatto»).
14.7. Rifluendo la questione posta nel motivo sul contenuto motivazionale dell’atto impositivo, va ricordato che secondo questa Corte, «Nel processo tributario, l’effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche, opera soltanto quando riguardi fatti integranti elementi costitutivi della fattispecie, i quali, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, abbiano carattere tendenzialmente permanente o pluriennale, non anche quando risolva la controversia sotto il profilo formale dell’atto opposto o attenga a elementi variabili, destinati a modificarsi nel tempo. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto esente da censura la sentenza impugnata che aveva escluso l’estensione del giudicato all’anno di imposta in esame, in quanto fondato sul vizio motivazionale dell’atto opposto, non involgendo tale decisione il merito della pretesa tributaria)» (Cass. n. 5766/2021).
14.8. Per completezza deve rilevarsi come la censura in esame sia anche priva di autosufficienza e, come tale, inammissibile, in quanto il ricorrente incidentale omette di specificare da quale passaggio motivazionale della sentenza che sostiene costituire giudicato esterno, sia evincibile la sua totale estraneità dalla gestione dell’Associazione.
15. Con il sesto motivo di ricorso incidentale viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 4 cod. proc. civ., la «Nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 comma 1 c.p.c.» per avere la CTR posto a fondamento della decisione il p.v.c. della G.d.F. che non era mai stato prodotto agli atti del giudizio; circostanza che aveva formato oggetto di discussione tra le parti e che, pertanto, non poteva costituire motivo di revocazione.
15.1. Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata la quale, diversamente da quanto sostiene il ricorrente, non è affatto fondata sul processo verbale di constatazione
ma sull’avviso di accertamento che i giudici di appello hanno ritenuto « esaurientemente motivato a pagg. 3, 4 e 5, con ampi riferimenti anche all’attività posta in essere dalla Guardia di finanza, alle acquisizioni documentali extracontabili ed alle ragioni che inducono l’Ufficio a contestare all’associazione Urbino RAGIONE_SOCIALE fatture per operazioni inesistenti, alle modalità escogitate per aggirare la normativa fiscale attraverso la costituzione dell’associazione Urbino RAGIONE_SOCIALE e della calcio Urbino SG, quali associazioni distinte e separate dalla società di capitali, che non hanno mai avuto il riconoscimento della Federazione di appartenenza, alle quali affidare la gestione solo apparentemente separata del settore giovanile e della scuola calcio, al solo scopo di triplicare i benefici derivanti dalle agevolazioni di cui alla legge 398 del 1991. Nella motivazione dell’avviso di accertamento, si dà atto anche dei riscontri effettuati nel corso della verifica della GDF quando è emerso che gli associati della RAGIONE_SOCIALE sono soci, o lo sono stati, anche della RAGIONE_SOCIALE e ricoprono o hanno ricoperto cariche amministrative all’interno della RAGIONE_SOCIALE e della calcio Urbino RAGIONE_SOCIALE, mentre alcuni associati alla calcio Urbino RAGIONE_SOCIALE sono e/o sono stati soci della RAGIONE_SOCIALE ed inoltre ricoprono o hanno ricoperto cariche amministrative all’interno sia della RAGIONE_SOCIALE che della RAGIONE_SOCIALE ».
15.2. Pertanto, la tesi sostenuta nel motivo, secondo cui la CGT-2 «non avrebbe mai potuto ritenere dimostrato quanto meramente affermato dall’A.E. nell’avviso di accertamento» stante la mancata produzione in giudizio del p.v.c. è manifestamente infondata perché il ricorrente omette di considerare quanto affermato dai giudici di appello nella sentenza impugnata in ordine alla motivazione dell’atto impositivo (di cui si è sopra trascritto ampio stralcio) ed in cui i giudici affermano in maniera assolutamente chiara che « Nella motivazione dell’avviso di accertamento, si dà atto anche dei riscontri effettuati nel corso della
verifica della GDF », sicché la produzione di quest’ultimo documento era, all’evidenza, del tutto superflua.
15.3. A tal riguardo si rende necessario ricordare il principio giurisprudenziale in base al quale «La motivazione dell’avviso di accertamento o di rettifica, presidiata dall’art. 7 della l. n. 212 del 2002, ha la funzione di delimitare l’ambito delle contestazioni proponibili dall’Ufficio nel successivo giudizio di merito e di mettere il contribuente in grado di conoscere l’ an ed il quantum della pretesa tributaria; invece, la prova della pretesa tributaria attiene al diverso piano del fondamento sostanziale della pretesa tributaria ed al suo accertamento in giudizio in presenza di specifiche contestazioni dello stesso» (Cass. n. 25321/2024).
15.4 Inoltre, non avendo i giudici di appello mai dato atto della esistenza tra gli atti del giudizio del predetto p.v.c., la censura di violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. proposta con il motivo in esame è infondata e va rigettata.
15.5. Infondata è anche la tesi sostenuta dal ricorrente nel motivo in esame, secondo cui l’accertamento da parte dei giudici di appello dell’avvenuta ‘sottoscrizione’ del predetto p.v.c. presupponeva l’esame del predetto documento che, però non era mai stato prodotto in giudizio. Invero, l’assunto è clamorosamente smentito dall’affermazione fatta dai giudici di appello in sentenza là dove si legge che era avvenuta la notificazione del p.v.c., come avevano dato espressamente atto gli « stessi contribuenti nei ricorsi di primo grado e negli atti di appello » (sentenza, pag. 3), indicando anche le relative date.
In estrema sintesi, vanno accolti il secondo motivo del ricorso principale, nei termini di cui in motivazione, ed il terzo motivo, rigettato il primo e rigettato il ricorso incidentale.
La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi del ricorso principale accolti, con conseguente definitività della stessa nei confronti del COGNOME. Deve darsi atto anche della definitività della
statuizione relativa all’IRAP, non impugnata dall’Agenzia delle entrate, unica parte ad avervi interesse.
18. La causa va, quindi, rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado delle Marche che provvederà anche alla regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità limitatamente alla posizione di NOME COGNOME Con riferimento alla posizione di NOME COGNOME non deve provvedersi sulle spese non avendo né il ricorrente né la controricorrente Agenzia delle entrate svolto difese nei confronti del ricorrente incidentale.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo del ricorso principale, nei termini di cui in motivazione, ed il terzo motivo, rigettato il primo nonché il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi del ricorso principale accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado delle Marche, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità limitatamente alla posizione del ricorrente principale.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 29 maggio 2025