Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27084 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 27084 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/10/2024
Ires iva irap Avviso accertamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11988/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici in INDIRIZZO, INDIRIZZO, è domiciliata ex lege ,
-ricorrente –
Contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO presso il cui studio in INDIRIZZO è elettivamente domiciliato,
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. CAMPANIA, n. 9536/2016, depositata il 03/11/2016,
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19 settembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
L’RAGIONE_SOCIALE ricorre nei confronti di NOME COGNOME, che resiste con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe. Con quest’ultima la C.t.r. ha rigettato l’appello dell’Ufficio avverso la sentenza della C.t.p. di Napoli che aveva accolto il ricorso avverso gli avvisi di accertamento, notificati a COGNOME NOME quale amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE (in seguito sRAGIONE_SOCIALE), per il recupero di imposte dirette ed indirette per l’anno di imposta 2009 in ragione della non deducibilità dei costi relativi a fatture nei confronti di svariate società.
La RAGIONE_SOCIALE, confermando la sentenza di primo grado, riteneva che non vi fosse prova che quest’ultimo rivestisse la qualità di amministratore di fatto della società.
Il contribuente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo l ‘RAGIONE_SOCIALE denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. , la violazione e falsa applicazione dell’art. 2639 cod. civ.
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha negato che NOME COGNOME potesse esser qualificato come l’amministratore di fatto della società. Osserva che, secondo la giurisprudenza dl legittimità, ai fini della responsabilità dell’amministratore di fatto si deve aver riguardo alle funzioni concretamente esercitate dal soggetto che si intende chiamare a rispondere per le violazioni di obblighi inerenti la gestione societaria, risultando del tutto irrilevanti le fonti di investitura. Aggiunge che la motivazione della sentenza «riecheggia il dettato di cui al secondo comma dell’art. 2639» ma che il richiamo è errato, non venendo in rilievo un’ipotesi di responsabilità penale; che
invece, per la qualifica di amministratore di fatto di una società, è sufficiente l’inserimento nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento RAGIONE_SOCIALE scelte della stessa; che la RAGIONE_SOCIALE non ha apprezzato il fatto che la società era stata posta in liquidazione; che il liquidatore, tale NOME COGNOME, nata l’DATA_NASCITA, per età e qualità, appariva essere una «testa di legno». Deduce che la sola ingerenza nelle attività finali e di liquidazione, in assenza in concreto di un liquidatore, integra la responsabilità personale del gestore di fatto con attribuzione della titolarità dell’obbligo tributario .
Con il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 36 d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546.
Denuncia il vizio di motivazione della sentenza per aver omesso di indicare gli elementi posti a fondamento del decisum a seguito di disamina logico-giuridica. Osserva che nel p.v.c. erano stati chiaramente esplicitati i presupposti di fatto e gli elementi probatori in ragione dei quali era stata accertata la qualità di amministratore di fatto in capo al COGNOME; che, invece, la C.t.r si era limita ad esporre alcuni pronunciamenti di legittimità. Aggiunge che la documentazione acquisita nel computer del COGNOME provava l’effettiva ingerenza nella gestione finanziaria della società, in mancanza di altro titolo che ne giustificasse la disponibilità, ed apparendo circostanza incompatibile con la mera attività di consulenza; che, inoltre, la società era risultata non rintracciabile, senza sede operativa, senza documentazione contabile, rappresentata da persone in tarda età, per brevi periodi e con continui avvicendamenti. Deduce che la motivazione della sentenza non si attaglia all’abituale (e non episodico) modus operandi del COGNOME, anche con riferimento ad altre società coinvolte nella medesima indagine, tra le quali la RAGIONE_SOCIALE oggetto di procedimento
penale; che, ai fini del riconoscimento del ruolo di amministratore di fatto, non è indispensabile la visibilità esterna, trattandosi di funzione esercitabile anche nell’ombra.
Il secondo motivo, da esaminarsi in via preliminare in quanto volto a denunciare error in procedendo, da cui deriverebbe la nullità della sentenza impugnata, è infondato.
3.1. La mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., (e nel caso di specie dell’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992) e riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comm a, n. 4, cod. proc. civ., si configura quando questa manchi del tutto -nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, risultante dallo svolgimento del processo, segue l’enunciazione della decisione, senza alcuna argomentazione -ovvero nel caso in cui essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum . (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053; successivamente, tra le tante, Cass. 01/03/2022, n. 6626; Cass. 25/09/2018, n. 22598).
3.2. La stessa RAGIONE_SOCIALE, in premessa al motivo di ricorso, ha individuato la questione controversa in quella relativa alla nozione di amministratore di fatto di una società per quanto attiene alla sua responsabilità civile e fiscale.
3.3. Tale questione è stata risolta dalla C.t.r. escludendo che vi fosse prova che il COGNOME rivestisse la qualità in ragione della quale era stato chiamato a rispondere dell’obbligazione tributaria della società asseritamente gestita.
La C.t.r., in primo luogo, ha delineato in termini astratti la figura dell’amministratore di fatto ritenendo necessario, se non l’effettivo esercizio di tutti i poteri tipici dell’organo di gestione, quanto meno
«una siginificativa, penetrante e regolare partecipazione all’attività gestoria in maniera non episodica ed occasionale». Di seguito, ha ritenuto che non vi fosse prova che il COGNOME avesse svolto «attività di concreta gestione» della società né che avesse compiuto «atti riferibili ad attività ‘produttiva, commerciale, contrattuale o disciplinare’ o comunque quella ‘sig nificativa penetrante e regolare partecipazione all’attività gestoria’ ‘in maniera non episodica ed occasionale’». Ha aggiunto che gli elementi raccolti nel p.v.c. non rientravano nelle dedotte attività, essendo riconducibili ad una mera attività informativa, non integrante attività gestoria; infine, ha escluso la rilevanza della corrispondenza rinvenuta nel computer della figlia del COGNOME.
Tale motivazione appare adeguata a rendere nota la ratio decidendi in quanto dà conto della nozione di amministratore di fatto ritenuta rilevante e degli elementi di prova raccolti che inducevano ad escludere detta qualità in capo al COGNOME.
Anche il primo motivo è infondato.
3.1. Questa Corte ha affermato il principio, al quale il Collegio intende dare continuità, secondo cui, in tema di società, la persona che, benché priva della corrispondente investitura formale, si accerti essersi inserita nella gestione della società stessa, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, va considerata amministratore di fatto ove tale ingerenza, lungi dall’esaurirsi nel compimento di atti eterogenei ed occasionali, riveli avere caratteri di sistematicità e completezza» (Cass. 19/01/2022, n. 1546, Cass. 01/03/2016, n. 4045).
3.2. La RAGIONE_SOCIALE si è attenuta a questi principi, escludendo la rilevanza di un’attività meramente episodica o non caratterizzante la gestione dell’impresa in quanto di natura meramente informativa e nemmeno riconducibile al COGNOME.
4. L’RAGIONE_SOCIALE, con entrambi i motivi di ricorso, mira, in realtà ad una rivalutazione del ragionamento decisorio che ha portato il giudice del merito, ad escludere che il COGNOME potesse rispondere dell’obbligazione tributaria quale amministratore di fatto. Così facendo, pur deducendo apparentemente, una violazione di norme di legge o un vizio di motivazione, sollecita la rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. 04/07/ 2017, n. 8758). Oggetto del giudizio che si vorrebbe demandare a questa Corte è l’apprezzamen to RAGIONE_SOCIALE prove, che invece è rimesso alla valutazione del giudice di merito (Cass. 13/05/2022, n. 17744, Cass. 05/02/ 2019, n. 3340; Cass. 14/01/ 2019, n. 640; Cass. 13/10/ 2017, n. 24155; Cass. 04/04/ 2013, n. 8315).
5. In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza;
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1quater, d.P.R’ 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a corrispondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi, euro 11.500,00 a titolo di compenso, oltre al 15 per cento a titolo di rimborso forfetario per spese generali, iva e cap come per legge.
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2024.