Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3784 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3784 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/02/2025
Iva, Ires, Irap -avviso di accertamento -societàamministratore di fatto.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11376/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende,
-ricorrente –
contro
NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende,
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO, n. 5597/2015, depositata il 27/10/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26 novembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate r icorre nei confronti di NOME COGNOME che resiste con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe. Con quest’ultima la C.t.r. ha accolto l’appello del COGNOME avverso la sentenza della C.t.p. di Roma che aveva rigettato il ricorso spiegato avverso gli avvisi di accertamento con i quali, per gli anni di imposta dal 2003 al 2008, l’Ufficio aveva recuperato nei suoi confronti, in qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, Ires, Irap ed Iva ed irrogato le conseguenti sanzioni.
1.1. L’Ufficio verificava che detta società – per la quale si erano succeduti quali rappresentati legali, nel periodo in accertamento, tali NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME – aveva omesso di presentare la dichiarazione dei redditi. Espletava, pertanto, indagini bancarie, ex art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, che portavano al processo di constatazione del 7 ottobre 2010, dalle quali desumeva che coloro che apparivano come rappresentanti legali della società fossero meri prestanomi e che NOME COGNOME fosse l’artefice di un sistema evasivo in base al quale i profitti illeciti derivanti dall’evasione fiscale venivano reinvestiti in attività imprenditoriali ad alto reddito.
1.2. Avverso detti avvisi di accertamento NOME COGNOME spiegava separati ricorsi che, previa riunione, venivano rigettati dalla C.t.p. co n sentenza riformata in appello e qui impugnata dall’Uffic io.
La C.t.r. affermava che il COGNOME aveva provato l’ estraneità ai fatti contestati; che gli accertamenti nei suoi confronti erano stati emessi sulla base delle dichiarazioni resa dal COGNOME – cognato del primo ed amministratore della società negli anni in rilievo – le quali, al di là della querela di falso che non era stata presentata, non avevano fede privilegiata; che il COGNOME aveva dimostrato l’ inattendibilità delle dette dichiarazioni, come confermato anche da quelle rese dell’altro
socio, NOME COGNOME che invece, ne aveva escluso il coinvolgimento nella gestione della società. Aggiungeva che il rinvenimento in casa del COGNOME di documentazione relativa alla società – per altro marginale – non era fatto idoneo a desumere un coinvolgimento nella gestione, apparendo verosimile che la stessa fosse stata dimenticata dal COGNOME in occasione di qualche riunione; che a ciò si aggiungevano le ulteriori circostanze addotte dal COGNOME a sostegno del la sua estraneità tre le quali l’in sussistenza di movimentazioni bancarie in suo favore e di anomali incrementi del suo patrimonio.
2. Il contribuente ha depositato memoria con la quale ha formulato le seguenti conclusioni: « a ) in via principale, rigettare il ricorso per cassazione dell’Agenzia delle Entrate perché inammissibile e palesemente infondato; b ) in via subordinata, nella denegata ipotesi di accoglimento del ricorso, rinviare la causa al merito per la trattazione anche dei motivi rimasti assorbiti con la sentenza impugnata; c ) sempre in via subordinata, accertare l’applicabilità, alla fattispecie de qua , dello ius superveniens di cui all’art. 2, D.Lgs. n. 87 del 2024, con conseguente irrogazione, in applicazione del principio del favor rei di cui all’art. 3, co. 3, D.Lgs. n. 472 del 1997, delle sanzioni amministrative secondo quanto previsto dai novellati artt. 1, co. 1, 5, co. 4 e 6, co. 1, 4, 5 e 8, D.Lgs. n. 471 del 1997, come modificati dall’art. 2, D.Lgs. n. 87 del 2024, ricalcolate in considerazione del regime del cumulo giuridico di cui all’art. 12, D.Lgs. n. 472 del 1997, come novellato dall’art. 3, D.Lgs. n. 87 del 2004, e previa disapplicazione della norma di cui all’art. 5, D.Lgs. n. 87 del 2024 e/o declaratoria di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale di detta norma per violazione degli artt. 76, 3 e 117 Cost. in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU e all’art. 49 C.D.F.U.E. , sospensione del presente giudizio e rimessione degli atti alla Corte
Costituzionale; d ) in via ulteriormente subordinata, disporre il rinvio a nuovo ruolo della causa in attesa della pronuncia di codesta Ecc.ma Corte sulla questione indicata sub c ) nel giudizio R.G. n. 180/2016; e ) in ogni caso, condannare controparte al rimborso delle somme percette nel corso del giudizio, aumentate degli interessi di legge, ed al pagamento delle spese, competenze ed onorari di lite di tutti i gradi del presente giudizio, ivi compreso il contributo unificato di iscrizione a ruolo»
Considerato che:
Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. , violazione e falsa applicazione degli artt. 2730, 2731, 2733 e 2735 cod. civ.
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che le dichiarazioni rese da NOME COGNOME -riportate nel p.v.c. -in ordine all’attività svolta dal COGNOME «al di là della querela di falso non presentata» non erano coperte da fede privilegiata ed avevano mero valore indiziario. Osserva che per giurisprudenza consolidata le dichiarazioni rese dal contribuente (e in caso di società dal legale rappresentate) in sede di verbale di constatazione costituiscono confessione stragiudiziale.
Con il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. l’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Censura la sentenza impugnata per aver trascurato di considerare le seguenti circostanze ritenute decisive: A) che l’esistenza di un ruolo gestionale del COGNOME trovava riscontro, non solo dalle dichiarazioni del COGNOME ma anche dalle indagini condotte dalla Polizia Giudiziaria; B) che n ell’abitazione del COGNOME era stata rinvenuta documentazione della società; D) che le dichiarazioni del COGNOME, anche prescindendo dal loro valore confessorio, erano indizi fortemente significativi del ruolo
svolto dal COGNOME; E) che la mancata prova di movimentazioni finanziarie in capo al COGNOME non poteva essere considerato elemento decisivo; F) che la dichiarazione resa dal COGNOME non poteva avere alcun rilievo.
Il primo motivo è infondato.
3.1. La confessione, giudiziale o stragiudiziale, secondo l’art. 2730 cod. civ. è la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla controparte. La stessa, pertanto, produce effetti nei confronti della parte che la fa e della parte che la provoca, ma non può acquisire il valore di prova legale nei confronti di persone diverse dal confitente, in quanto costui non ha alcun potere di disposizione relativamente a situazioni giuridiche facenti capo ad altri, distinti soggetti del rapporto processuale; se anche il giudice ha il potere di apprezzare liberamente la dichiarazione e trarne elementi indiziari di giudizio nei confronti delle altre parti, tali elementi non possono prevalere rispetto alle risultanze di prove dirette (Cass. 06/12/2021 n. 38626). Ai fini dell’attribuzione di valore confessorio ad una dichiarazione, per «fatto sfavorevole» alla parte che la rende deve intendersi il fatto contestato che nuoce ad un interesse giuridico vantato dal confitente nei confronti della controparte processuale cui, al contempo, giova, nell’ambito del solo rapporto obbligatorio intercorrente con il destinatario; infatti, l’ordinamento non tollera che taluno possa incidere negativamente sulla sfera giuridica altrui con una propria dichiarazione unilaterale, salvi i casi di soggezione espressamente previsti dalla legge. (Cass. 14/06/2024, n. 16669).
3.2. La ricorrente, con il motivo in esame, pretende di attribuire valore legale alle dichiarazioni rese da NOME COGNOME – formalmente investito del ruolo di rappresentate legale della società -sebbene sfavorevoli, non al medesimo e nemmeno alla società rappresentata, ma ad un terzo soggetto , il COGNOME per l’appunto , in quanto volte ad
attribuire a quest’ultimo l’amministrazione di fatto della società e, conseguentemente, la responsabilità pe r l’evasione fiscale contestata, contemporaneamente sgravandosi della stessa.
La C.t.r., invece, attenendosi ai principi esposti, ha correttamente escluso la valenza confessoria della dichiarazione, rilevando che il COGNOME era in conflitto di interessi con il COGNOME avendo motivo di attribuire a quest’ultimo la responsabilità dell’evasione fiscale per alleggerire la propria posizione.
Il secondo motivo è inammissibile.
4.1. Poichè la sentenza impugnata è stata pubblicata il 27 ottobre 2015 , trova applicazione l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione novellata dal comma 1, lett. b), dell’art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, che si applica alle sentenze d’appello pubblicate dall’11 settembre 2012, donde l’inammissibilità delle censure prospettate secondo la precedente disciplina del vizio di motivazione.
4.2. La Corte, a sezioni unite, (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053), ha chiarito che l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., così come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso e same di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione
processuale tra le parti e la sua «decisività (tra le tante, Cass. 13/06/2022 n. 19049).
4.3. Il motivo in esame difetta dell’indicazione di tali elementi .
Più precisamente, il fatto di cui alla lettera B) è stato espressamente preso in considerazione dalla C.t.r. la quale lo ha valutato, ritenendolo inidoneo a corroborare la qualità di amministratore di fatto del COGNOME.
Le ulteriori circostanze, invece, non si riferiscono a fatti storici ma alla valutazione complessiva che la C.t.r. ha fatto delle prove acquisite, sicché la censura, se pure ricondotta al paradigma dell’omesso esame di fatti decisivi, tende alla revisione del ragionamento decisorio che ha portato ad escludere in capo al COGNOME il ruolo di amministratore di fatto. Così facendo la ricorrente, mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, realizzando una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. 04/07/ 2017, n. 8758). Oggetto del giudizio che si vorrebbe demandare a questa Corte è, dunque, l’apprezzamento delle prove che, invece, è rimesso alla valutazione del giudice di merito (Cass. 13/05/2022, n. 17744, Cass. 05/02/ 2019, n. 3340; Cass. 14/01/ 2019, n. 640; Cass. 13/10/ 2017, n. 24155; Cass. 04/04/ 2013, n. 8315).
Va rammentato che il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso. Non si richiede, invece, che egli dia conto dell’esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti. È, infatti, necessario e sufficiente che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica ed adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla. Invece, devono reputarsi per implicito disattesi
tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito. In altre parole, il giudice di merito non ha l’obbligo di soffermarsi a dare conto di ogni singolo dato indiziario o probatorio acquisito in atti, potendo egli invece limitarsi a porre in luce, in base al giudizio effettuato, gli elementi essenziali ai fini del decidere, purché tale valutazione risulti logicamente coerente. Di conseguenza, il controllo di legittimità è incompatibile con un controllo sul punto, perché il significato delle prove lo deve stabilire il giudice di merito. La Corte compirebbe un non consentito giudizio di merito se, confrontando la sentenza con le risultanze istruttorie, prendesse in considerazione fatti probatori diversi o ulteriori rispetto a quelli assunti dal giudice di appello a fondamento della sua decisione (cfr. tra le tante, Cass. 20/02/2024, n. 4583, Cass. 15/09/2022, n. 27250, Cass. 11/12/2023, n. 34374 Cass. 21/01/2015, n. 961).
5. In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato.
Alla soccombenza segue la condanna dell’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese del giudizio.
Risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1quater , d.P.R., 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a corrispondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi, euro 17.200,00 per compensi, oltre il 15 per cento per rimborso spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2024.