Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15595 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 15595 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/06/2025
Amministratore di fatto
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 29959/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato,
-ricorrente – contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’A vv. NOME COGNOME
-controricorrente –
avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. LOMBARDIA, N. 2079/2022 depositata il 20 maggio 2022;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 2 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME chiesto di dichiarare inammissibile o comunque rigettare il ricorso;
sentiti Avv. dello Stato NOME COGNOME per la ricorrente e l’Avv. COGNOME per il controricorrente.
dato atto che il Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME ha NOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate , a seguito di controlli eseguiti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, riteneva che quest’ultima fosse co involta, in qualità di cartiera, in un giro di fatture false emesse dalla RAGIONE_SOCIALE Per l’effetto, notificava a NOME COGNOME sul presupposto che fosse l’amministratore di fatto di quest’ultima e che avesse partecipato al disegno criminoso volo all’emissione di fat ture per operazioni inesistenti, avviso di accertamento, con il quale, per l’anno di imposta 2008, lo chiamava a rispondere sia delle maggiori imposte che delle sanzioni accertate in capo a detta ultima società.
La CTP di Milano accoglieva il ricorso con sentenza confermata in appello.
La CTR con sentenza n. 2007 del 2018 escludeva la responsabilità solidale della persona fisica rivestente la qualità di amministratore di fatto per le sanzioni tributarie riferite a società di capitali affermando che l’autonomia patrimoniale perfetta che caratterizza le società di capitali implica l’esclusiva imputabilità alla società dell’attività svolta in suo nome e dei relativi debiti e che tale principio non riconosce alcuna deroga con riferimento alle obbligazioni di carattere tributario della società.
Avverso detta sentenza l’Agenzia delle entrate spiegava ricorso per cassazione che veniva accolto con ordinanza n. 28276 del 2021 che annullava la sentenza con rinvio. Questa Corte rilevava che «quanto
alla riferibilità delle sanzioni esclusivamente alla persona giuridica, la giurisprudenza ha precisato che tale principio non può ritenersi operante nell’ipotesi di società artificiosamente costituita, proprio allo scopo di creare uno schermo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi dal rappresentante o amministratore della società che abbia agito per proprio personale vantaggio. In tal caso viene meno la ratio che giustifica l’applicazione dell’art. 7 dl. 269/2003 – che pone a carico esclusivo della persona giuridica la responsabilità per le sanzioni – e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito (Cass. 10975/2019); che in ipotesi di costituzione ai fini illeciti della società di capitali, le sanzioni amministrative tributarie possono essere irrogate «nei confronti della persona fisica che ha beneficiato materialmente delle violazioni contestate” (Cass. 25727/2020). In tal caso, la persona fisica che ha agito per conto della società è, al contempo, trasgressore e contribuente, e la persona giuridica è una mera fictio, creata nell’esclusivo interesse della persona fisica. Non opera pertanto in questo caso l’art. 7 del d.l. n. 269/2003, e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito. Rilevava, per l’effetto che La CTR, ha ritenuto, erroneamente, in base alla giurisprudenza sopra richiamata, che le sanzioni amministrative tributarie sono riferibili esclusivamente alla persona giuridica, senza accertare e verificare il ruolo svolto dal COGNOME e il suo coinvolgimento quale amministratore di fatto, posizione questa in relazione alla quale il contribuente ha proposto il ricorso originario avverso l’atto impositivo».
Il giudizio veniva riassunto dal contribuente.
La CTR, pronunciandosi in sede di rinvio, con la sentenza in epigrafe, accoglieva il ricorso del contribuente e annullava l’avviso di accertamento.
Avverso detta sentenza l’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione nei confronti di NOME COGNOME che si difende a mezzo controricorso e successiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. la violaz ione e/o falsa applicazione degli artt. 36 e 6, comma1, n. 4, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Dell’art. 132, n. 4 cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ.
Assume che la sentenza avrebbe motivato l’accoglimen to della tesi del contribuente in maniera generica ed apodittica e senza alcun riferimento alle circostanze evidenziate, relative al ruolo ricoperto dal COGNOME all’interno della società. Evidenzia , in proposito, quanto dichiarato dalla rappresentante legale in merito al proprio ruolo meramente formale; ribadisce che la gestione operativa della società era di esclusiva competenza del contribuente il quale aveva assunto il ruolo di amministratore di fatto anche successivamente alla nomina di altro amministratore, c ome provato indirettamente anche dall’atto notarile di messa in liquidazione della società dal quale risultava che le due società detentrici dell’intero capitale erano rappresentate in sede assembleare dallo stesso COGNOME; c he pertanto era emersa l’esistenza di un disegno fraudolento finalizzato a conseguire indebiti risparmi di imposta a danno dell’ Erario e a distrarre liquidità dal patrimonio sociale attuato mediante l’annotazione in contabilità di fatture per operazioni inesistenti da parte proprio del COGNOME. Aggiunge che il giudice di secondo grado era caduto in contraddizione evidente quando, da un lato, aveva affermato che per i ndividuare l’amministratore di fatto era
sufficiente l’accertamento del suo inserimento nella gestione operativa della società e, dall’altro , aveva sostenuto che gli elementi addotti dall’ufficio non erano sufficienti perché basati solo sulle generiche dichiarazioni della legale rappresentante.
Va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di specificità sollevata dal controricorrente.
2.1. Le Sezioni Unite della Corte hanno chiarito che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ. quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza della Corte EDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (Cass. Sez. U. 18/03/2022, n. 8950).
2.2. Il ricorso contiene tutto quanto necessario a porre il giudice di legittimità in condizione di avere completa cognizione della controversia e del suo oggetto, nonché di cogliere il significato e la portata delle censure contrapposte. La ricorrente, inoltre, ha esplicitato quale sia, per la parte rilevante, il contenuto degli atti o dei documenti menzionati.
Pure da disattendere è l’eccezione di giudicato sollevata per il caso, per altro non verificatosi, della eventuale non impugnazione della sentenza della CTR relativa ad altre annualità.
L’effetto vincolante del giudicato esterno previsto dall’art. 2909 cod. civ., con riferimento alla sua proiezione oltre il periodo di imposta considerato, si realizza solo in relazione ai fatti integranti elementi
costitutivi della fattispecie impositiva che, estendendosi ad una pluralità di annualità, abbiano carattere stabile o tendenzialmente permanente (tra le tante Cass. 07/12/2021, n. 38950). Tra questi ultimi non rientra la qualificazione del contribuente come amministratore di fatto e l’eventuale ruolo di cartiera della società che sono, all’evidenza , elementi suscettibili di mutazioni nel tempo.
Il motivo è infondato.
4.1. La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 legge 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, nel senso che resta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile»; è esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione. (Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053 e 8054).
4.2. La sentenza espone chiaramente sia pure sinteticamente, le ragioni sottese al decisum né è ravvisabile alcuna contraddizione nella motivazione .
La CTR, in primo luogo, ha affermato che le condotte poste in essere dal COGNOME e sulle quali poggiava la pretesa erariale erano rimaste del tutto indimostrate, come già sottolineato dalla sentenza di primo grado; che l’Ufficio, sul quale incombeva il relativo onere, non aveva fornito elementi idonei a dimostrare l’effettiva qualità di amministratore di fatto della società. Di seguito, dopo aver evidenziato,
richiamando la giurisprudenza di legittimità, gli elementi costitutivi della amministrazione di fatto, ha rilevato che la tesi dell’Ufficio si fondava su elementi privi di gravità precisione e concordanza e non idonei a sorreggere una prova presuntiva. A tal fine, ha ulteriormente precisato che non potevano ritenersi sufficienti, in mancanza di riscontri oggettivi, le sole dichiarazioni rese dalla rappresentante legale in ordine al fatto che il COGNOME avesse la «gestione operativa» della società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Infine, ha aggiunto che dagli atti non risultava nemmeno il ruolo di società cartiera di quest’ultima , il quale, anzi, risultava smentito dalle stesse controdeduzioni dell’Ufficio.
4.3. Va aggiunto che è consolidato il principio per il quale il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso. Inoltre, l’osservanza degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non richiede che egli dia conto dell’esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti. È, infatti, necessario e sufficiente che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica ed adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla. Invece, devono reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito. In altre parole, il giudice di merito non ha l’obbligo di soffermarsi a dare conto di ogni singolo dato indiziario o probatorio acquisito in atti, potendo egli invece limitarsi a porre in luce, in base al giudizio effettuato, gli elementi essenziali ai fini del decidere, purché tale valutazione risulti logicamente coerente. Di conseguenza, il controllo di legittimità è incompatibile con un controllo sul punto, perché il significato delle prove lo deve stabilire il giudice di merito. La Corte, inevitabilmente, compirebbe un non
consentito giudizio di merito, se, confrontando la sentenza con le risultanze istruttorie, prendesse in considerazione fatti probatori diversi o ulteriori rispetto a quelli assunti dal giudice di appello a fondamento della sua decisione (cfr. tra le tante, Cass. 20/02/2024, n. 4583, Cass. 15/09/2022, n. 27250, Cass. 11/12/2023, n. 34374 Cass. 21/01/2015, n. 961).
5. In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate a corrispondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi, euro 4.500,00 per di compenso, oltre 15 per cento a titolo di rimborso forfetario per spese generali, iva e cap come per legge.
Così deciso in Roma, il 2 aprile 2025.