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Amministratore di fatto: la prova della gestione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19793/2025, ha chiarito i presupposti per la responsabilità tributaria dell’amministratore di fatto di un’associazione sportiva dilettantistica. Non è sufficiente ricoprire una carica formale, ma l’amministrazione finanziaria deve provare una concreta e sistematica attività di gestione. La Corte ha accolto il ricorso di un contribuente, cassando la sentenza di merito che lo aveva ritenuto responsabile in solido per i debiti dell’associazione senza aver accertato la sua effettiva ingerenza gestoria. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 23 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Amministratore di Fatto e Debiti Tributari: Non Basta la Carica, Serve la Prova della Gestione

La figura dell’amministratore di fatto è spesso al centro di contenziosi, specialmente in ambito tributario. Chi gestisce un’associazione o una società senza una nomina ufficiale può essere chiamato a rispondere dei debiti dell’ente? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: per affermare la responsabilità personale e solidale, non è sufficiente la titolarità di una carica formale, ma è indispensabile la prova di una concreta e sistematica attività di gestione. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Un’Associazione Sportiva nel Mirino del Fisco

Il caso trae origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di due soggetti, ritenuti amministratori di fatto di un’Associazione Sportiva Dilettantistica (ASD). L’amministrazione finanziaria contestava l’applicazione di un regime fiscale agevolato, sostenendo che l’ASD, insieme ad altre entità collegate, fosse stata creata al solo scopo di eludere le imposte, triplicando i benefici fiscali previsti dalla legge. Di conseguenza, il Fisco richiedeva il pagamento delle imposte (IRES, IRAP, IVA) secondo il regime ordinario, chiamando a risponderne solidalmente non solo l’associazione, ma anche le persone fisiche che, a suo avviso, la gestivano di fatto.

I contribuenti impugnavano l’atto, ma il ricorso veniva rigettato in primo grado. In appello, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado accoglieva parzialmente le loro ragioni, annullando la pretesa per l’IRAP per decorrenza dei termini, ma confermando nel resto la validità dell’accertamento. Uno dei due amministratori decideva quindi di ricorrere in Cassazione.

La Decisione sull’amministratore di fatto

La Corte di Cassazione ha accolto i motivi centrali del ricorso del contribuente, incentrati sulla violazione di legge e sull’insufficiente motivazione riguardo alla qualifica di amministratore di fatto. I giudici di legittimità hanno stabilito che la Corte d’appello aveva errato nel ritenere sufficiente, per fondare la responsabilità, l’individuazione delle cariche formali ricoperte dal ricorrente (consigliere e segretario dell’ASD, nonché legale rappresentante di una s.r.l. collegata). Secondo la Suprema Corte, la sentenza impugnata non aveva compiuto alcuna valutazione sull’attività concretamente svolta dal ricorrente, un accertamento invece necessario per estendere a lui la responsabilità per i debiti tributari dell’ente.

Di conseguenza, la Corte ha cassato la sentenza con rinvio, incaricando la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado, in diversa composizione, di riesaminare il caso attenendosi al principio di diritto enunciato.

Le Motivazioni: Il Principio della Gestione Effettiva

La motivazione della Cassazione si fonda su un consolidato orientamento giurisprudenziale basato sull’art. 38 del Codice Civile. Tale norma prevede che delle obbligazioni assunte da un’associazione non riconosciuta rispondano personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione stessa.

La Corte chiarisce che questa responsabilità non è legata alla mera titolarità di una carica, ma all’attività negoziale concretamente svolta. Il fondamento di tale principio è la tutela dei terzi (incluso l’Erario) che entrano in contatto con l’ente, facendo affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio di chi agisce per esso.

Per attribuire la qualifica di amministratore di fatto, e la conseguente responsabilità, è quindi necessario provare che il soggetto, pur privo di investitura formale, si sia inserito nella gestione dell’ente, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative in modo sistematico e completo. Un’ingerenza meramente occasionale non è sufficiente.

Nel caso specifico dei debiti tributari, che non sorgono da un contratto ma ex lege, il principio non cambia: deve rispondere chi ha diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato. L’onere di provare tale effettiva ingerenza spetta a chi la contesta, ovvero all’amministrazione finanziaria.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per gli Amministratori

Questa ordinanza offre importanti spunti di riflessione per chi opera all’interno di associazioni e società. La decisione ribadisce con forza che la responsabilità personale non è automatica e non può derivare da semplici presunzioni basate su cariche formali. Per essere ritenuto responsabile dei debiti di un ente, un soggetto deve aver esercitato un potere gestorio effettivo, continuativo e pervasivo. Si tratta di un principio di garanzia fondamentale, che impone all’amministrazione finanziaria un rigoroso onere probatorio prima di poter estendere la pretesa fiscale dal patrimonio dell’ente a quello personale di chi, formalmente o di fatto, lo amministra.

Per essere considerato amministratore di fatto di un’associazione e rispondere dei suoi debiti tributari, è sufficiente ricoprire una carica formale come quella di consigliere o segretario?
No, secondo la Corte di Cassazione non è sufficiente. È necessario che l’Agenzia delle Entrate provi che la persona abbia concretamente svolto un’attività di gestione e amministrazione sistematica e completa. La sola carica formale non basta a fondare la responsabilità.

Chi ha l’onere di provare l’effettiva attività di gestione di un amministratore di fatto?
L’onere della prova spetta a chi invoca tale responsabilità, in questo caso l’amministrazione finanziaria. Deve dimostrare con elementi concreti l’ingerenza sistematica e pervasiva della persona nella gestione dell’ente.

Qual è il fondamento della responsabilità personale e solidale di chi agisce per un’associazione non riconosciuta?
La responsabilità, prevista dall’art. 38 del Codice Civile, non deriva dalla titolarità di una carica, ma dall’attività negoziale concretamente svolta in nome e per conto dell’ente. Questa norma mira a tutelare i terzi (inclusi gli enti fiscali) che hanno fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio delle persone che hanno agito per l’associazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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