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Amministratore di fatto: la Cassazione e la società

La Corte di Cassazione ha confermato la responsabilità fiscale di due soggetti qualificati come amministratore di fatto di una società cooperativa, ritenuta un mero “schermo” per l’evasione fiscale. La sentenza chiarisce che in questi casi, la responsabilità per le violazioni e le sanzioni ricade direttamente sulle persone fisiche che hanno agito dietro la fittizia struttura societaria, utilizzando prove acquisite anche in sede penale per dimostrare il loro ruolo gestionale effettivo.

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Pubblicato il 8 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Amministratore di fatto: la responsabilità personale in caso di società schermo

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta il tema cruciale della responsabilità fiscale dell’amministratore di fatto, specialmente quando opera dietro una “società schermo” creata per eludere le norme tributarie. La decisione chiarisce che la gestione effettiva prevale sulla carica formale e che chi utilizza una società come mero paravento risponde personalmente delle violazioni commesse. Analizziamo i dettagli di questa importante pronuncia.

I fatti di causa

Il caso trae origine da avvisi di accertamento e atti di contestazione di sanzioni emessi dall’Amministrazione Finanziaria nei confronti di due contribuenti. Secondo l’Ufficio, i due soggetti erano soci e amministratori di fatto di una società cooperativa che, in realtà, fungeva da schermo per un’attività illecita di somministrazione di lavoro e evasione fiscale. Questa cooperativa faceva parte di un gruppo più ampio, gestito occultamente per distribuire i proventi illeciti ai reali beneficiari.
Mentre i giudici di primo grado avevano parzialmente accolto i ricorsi dei contribuenti, la Commissione Tributaria Regionale ribaltava la decisione, riconoscendo la fondatezza delle pretese dell’Amministrazione Finanziaria. La CTR basava la sua decisione su un vasto quadro probatorio, che includeva documentazione extracontabile, email, intercettazioni e dichiarazioni rese in un parallelo procedimento penale. Da questi elementi emergeva il pieno coinvolgimento dei due soggetti nella gestione operativa ed economica del gruppo societario fittizio.

La decisione della Corte di Cassazione

I contribuenti proponevano ricorso in Cassazione, contestando principalmente due aspetti: l’illegittimità dell’uso delle dichiarazioni rese in sede penale (violando il divieto di prova testimoniale nel processo tributario) e l’errata qualifica della loro posizione come amministratori di fatto. La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i ricorsi, confermando la decisione di merito e fornendo importanti chiarimenti.

La figura dell’amministratore di fatto e le prove ammissibili

La Corte ha ribadito un principio consolidato: il divieto di prova testimoniale nel processo tributario riguarda solo la deposizione orale resa davanti al giudice tributario, non le dichiarazioni di terzi raccolte in altre sedi (come un procedimento penale) e inserite in atti e verbali. Tale materiale probatorio è pienamente utilizzabile come elemento indiziario, che il giudice può valutare insieme ad altre prove.
Inoltre, la Corte ha definito con precisione i contorni della figura dell’amministratore di fatto: è colui che, pur senza investitura formale, si inserisce nella gestione della società in modo sistematico e completo, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative. Non si tratta di compiere atti occasionali, ma di un’ingerenza continuativa che rivela l’esercizio effettivo del potere gestorio.

La responsabilità dell’amministratore di fatto in caso di società schermo

Un punto centrale della sentenza riguarda la responsabilità per le sanzioni. I ricorrenti sostenevano l’applicazione di una norma che, in certi casi, addossa la sanzione alla società e non alla persona fisica che ha commesso la violazione. La Cassazione ha spiegato perché tale norma non fosse applicabile al caso di specie. La regola generale è che la sanzione colpisce l’autore materiale dell’illecito (principio della personalità).
L’eccezione si applica solo quando la persona fisica agisce nell’interesse e a beneficio di una società realmente esistente e operativa. Se, invece, la società è un mero “schermo”, una costruzione artificiale creata al solo scopo di servire gli interessi personali degli amministratori (di fatto o di diritto) e di evadere le imposte, non vi è più alcuna distinzione tra l’ente e i suoi gestori. Lo schermo societario viene meno e la responsabilità per le violazioni e le relative sanzioni ricade direttamente e personalmente su coloro che hanno orchestrato la frode.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la propria decisione sottolineando che la CTR aveva correttamente valutato una pluralità di elementi probatori concordanti per qualificare i ricorrenti come amministratori di fatto. Tra questi, le email che dimostravano una gestione quotidiana, il ruolo di referenti nei rapporti interni e la percezione di compensi non giustificati da incarichi formali. L’attività svolta non era quella di semplici procacciatori d’affari o consulenti esterni, ma una vera e propria ingerenza sistematica e continuativa nella gestione della società.
Per quanto riguarda le sanzioni, la motivazione si fonda sull’accertamento del carattere fittizio della cooperativa. Essendo stata creata come strumento per conseguire profitti illeciti a vantaggio personale dei gestori occulti, la società non poteva essere considerata un’entità distinta. Di conseguenza, il principio della personalità della sanzione tornava ad applicarsi pienamente, rendendo i contribuenti direttamente responsabili per le violazioni commesse in concorso tra loro.

Le conclusioni

La sentenza consolida l’orientamento giurisprudenziale sulla figura dell’amministratore di fatto e sulle conseguenze dell’utilizzo di società schermo. Le conclusioni pratiche sono chiare:
1. La sostanza prevale sulla forma: Ai fini fiscali, non conta la carica formale, ma chi esercita effettivamente il potere decisionale e gestionale.
2. Ampia utilizzabilità delle prove: Il giudice tributario può fondare la propria decisione su un’ampia gamma di prove, incluse quelle provenienti da procedimenti penali.
3. Responsabilità personale: Chi si nasconde dietro una società fittizia per commettere illeciti tributari non può beneficiare della limitazione di responsabilità offerta dallo schermo societario e risponde personalmente, sia per le imposte evase sia per le sanzioni.

Quando possono essere utilizzate le prove di un processo penale in un giudizio tributario?
Secondo la sentenza, il materiale probatorio acquisito nel procedimento penale (come interrogatori, intercettazioni e documenti) può essere pienamente utilizzato ai fini della prova nel processo tributario. Tali elementi entrano a far parte del materiale che il giudice tributario deve valutare, come previsto dall’art. 63 del d.P.R. n. 633 del 1972, e hanno valore di meri indizi o informazioni.

Chi è considerato un “amministratore di fatto” e come si prova il suo ruolo?
È considerato un amministratore di fatto colui che, pur essendo privo di una nomina formale, si accerti essersi inserito nella gestione della società in modo sistematico e completo, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative. Il suo ruolo si prova attraverso un insieme di elementi probatori che dimostrino un’ingerenza non occasionale ma continuativa, come email, dichiarazioni di terzi, documenti extracontabili e qualsiasi altro dato che attesti un esercizio effettivo del potere gestorio.

Perché in questo caso la sanzione ha colpito le persone fisiche e non la società?
La sanzione ha colpito le persone fisiche perché i giudici hanno accertato che la società cooperativa era un mero “schermo”, un’entità fittizia costituita al solo scopo di servire gli interessi personali degli amministratori di fatto e di permettere loro di conseguire profitti illeciti attraverso la violazione di norme tributarie. In tali circostanze, non c’è più distinzione tra il trasgressore e il contribuente, e torna ad applicarsi il principio generale della personalità della sanzione, secondo cui a rispondere è l’autore materiale dell’illecito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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