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Amministratore di fatto e frode fiscale: la sentenza

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata, condannata per dichiarazione fraudolenta. La Corte ha confermato che l’amministratore di fatto di una società-schermo, utilizzata per evadere l’IVA su un’operazione immobiliare tramite il meccanismo del reverse charge, è penalmente responsabile in quanto ideatore dello schema fraudolento. L’affidamento a un professionista non esonera da tale responsabilità.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Amministratore di Fatto e Società Schermo: La Cassazione Conferma la Responsabilità Penale per Frode Fiscale

La figura dell’amministratore di fatto assume un’importanza cruciale nel diritto penale tributario, specialmente quando si tratta di complesse operazioni societarie volte all’evasione fiscale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito principi fondamentali sulla responsabilità di chi, pur senza una carica formale, gestisce una società-schermo utilizzata per commettere illeciti. Analizziamo il caso e le conclusioni dei giudici.

Il Caso: Una Complessa Operazione Immobiliare

I fatti al centro della vicenda riguardano l’acquisto di un prestigioso immobile a Milano. L’operazione è stata posta in essere da una società con sede in Lussemburgo, la quale ha acquistato l’immobile da una società di leasing per un valore di oltre 25 milioni di euro, più un’IVA superiore a 5 milioni di euro.

L’accusa ha sostenuto che la società acquirente fosse una mera “società-schermo”, priva di autonomia e creata al solo fine di celare la reale acquirente: una persona fisica, che della società lussemburghese era l’amministratore di fatto. Lo scopo di questo schema era duplice:

1. Nascondere l’identità del vero acquirente (la persona fisica).
2. Evadere l’IVA, applicando indebitamente il meccanismo del reverse charge, riservato alle operazioni tra soggetti passivi d’imposta, e l’esenzione fiscale prevista per determinate operazioni.

Secondo l’accusa, l’operazione era “soggettivamente simulata”, in quanto la società estera era solo un paravento. Di conseguenza, l’indebita detrazione IVA è stata qualificata come reato di dichiarazione fraudolenta, ai sensi dell’art. 3 del D.Lgs. 74/2000.

La Decisione dei Giudici: Responsabilità Piena dell’Amministratore di Fatto

Dopo la condanna in primo e secondo grado, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo principalmente due punti:

* L’errata qualificazione del reato, che a suo dire doveva essere considerato una meno grave “dichiarazione infedele” (art. 4 D.Lgs. 74/2000) e non fraudolenta.
* L’assenza di dolo specifico, ossia l’intenzione di evadere le imposte, poiché l’imputata si sarebbe affidata ai consigli dei suoi consulenti fiscali.

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna e chiarendo aspetti legali di grande rilevanza.

La Simulazione Soggettiva e la Società-Schermo

I giudici hanno confermato la qualificazione dell’operazione come “soggettivamente simulata”. La società lussemburghese è stata ritenuta una scatola vuota, priva di reale autonomia, interamente controllata dall’imputata e costituita al solo scopo di interporsi nell’acquisto per beneficiare illecitamente di un regime fiscale favorevole. Quando si utilizzano tali schermi societari, l’operazione rientra a pieno titolo nella fattispecie della dichiarazione fraudolenta.

Il Ruolo del Professionista Non Esclude la Responsabilità

Un punto chiave della sentenza riguarda il ruolo dei consulenti. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: l’affidamento a un professionista dell’incarico di predisporre e presentare le dichiarazioni fiscali non esonera il contribuente dalla propria responsabilità penale. Il dovere di presentare una dichiarazione veritiera è considerato personale e non delegabile. Di conseguenza, l’amministratore di fatto, che è il vero dominus dell’operazione, non può nascondersi dietro il parere del commercialista per giustificare un’evidente frode.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile per ragioni sia procedurali che di merito. In primo luogo, la richiesta di riqualificare il reato non era mai stata avanzata nel giudizio di appello, e non poteva quindi essere proposta per la prima volta in Cassazione.

Nel merito, la Corte ha sottolineato che la prova della posizione di amministratore di fatto di una società-schermo si traduce nella prova del suo ruolo di ideatore e organizzatore del sistema fraudolento. Non è necessario dimostrare un inserimento organico formale in un ente che, di fatto, è solo una costruzione di comodo. La responsabilità penale deriva direttamente dal controllo sostanziale e dalla regia dell’operazione illecita. La consapevolezza della fraudolenza dell’operazione e l’intento di non utilizzare l’immobile per attività d’impresa hanno integrato pienamente il dolo specifico richiesto dalla norma.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia offre importanti spunti di riflessione. Innanzitutto, conferma che nel diritto penale tributario la sostanza prevale sempre sulla forma. Non basta creare complesse strutture societarie internazionali per eludere le proprie responsabilità. Chi gestisce e controlla di fatto un’entità, anche senza incarichi formali, ne risponde penalmente per gli illeciti commessi. Inoltre, viene ribadito che la consulenza di un professionista non può mai diventare uno scudo per condotte palesemente fraudolente. La responsabilità ultima delle scelte fiscali e delle dichiarazioni presentate ricade sempre sul contribuente, che ha il dovere personale e indelegabile di agire nel rispetto della legge.

Chi è responsabile penalmente per la frode fiscale commessa tramite una società-schermo?
Secondo la Corte, la responsabilità ricade sull’amministratore di fatto, ovvero colui che gestisce e controlla la società, in quanto è considerato l’ideatore e l’organizzatore del sistema fraudolento.

Affidarsi a un consulente fiscale esonera dalla responsabilità penale per una dichiarazione fraudolenta?
No. La sentenza ribadisce che il dovere di presentare una dichiarazione fiscale veritiera è personale e non delegabile. L’affidamento a un professionista non esonera il contribuente dalla responsabilità penale per gli illeciti commessi.

È possibile presentare per la prima volta in Cassazione un motivo di ricorso non discusso in appello?
No, la Corte ha dichiarato inammissibile il motivo relativo alla riqualificazione del reato proprio perché non era stato proposto nel giudizio di appello, confermando che nuove questioni non possono essere introdotte per la prima volta davanti alla Suprema Corte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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