Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17682 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 17682 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 30/06/2025
Sanzioni-amministratore di fatto
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 29859/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore p.t ., domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato, dalla quale è difesa ope legis ;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura in calce al controricorso, elettivamente domiciliato in Roma al INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME – controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell ‘Emilia -Romagna n. 475/2020 depositata in data 17 febbraio 2020, non notificata; udita la relazione della causa svolta nell ‘ udienza pubblica del 2/04/2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME udito il PM, in persona del sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME; Generale dello Stato;
udito l’avv . NOME COGNOME per l’Avvocatura udito l’avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Ferrara, emetteva atto di irrogazioni delle sanzioni Ires, Irap e Iva, per l’anno di imposta 2014, nei confronti di NOME COGNOME quale amministratore di fatto di RAGIONE_SOCIALE, società destinataria di avviso di accertamento, in quanto ritenuta ente societario esterovestito, avente fittizia sede in Liechtenstein.
La Commissione tributaria provinciale di Ferrara accoglieva il ricorso.
La Commissione tributaria regionale dell ‘ Emilia-Romagna rigettava l’appello erariale, compensando le spese di lite.
In particolare, rigettate alcune eccezioni pregiudiziali, riteneva accertato che NOME COGNOME fosse l’amministratore di fatto di RAGIONE_SOCIALE e che questa società fosse esterovestita, avendo sede effettiva in Italia e ivi svolgendo la sua attività, ma confermava la sentenza di primo grado evidenziando che egli non potesse essere sanzionato per le evasioni di imposta commesse nell’interesse della società, ostandovi il disposto dell’art. 7 d.l. n. 269/2003, che rende inapplicabili le sanzioni anche all’amministratore di fatto, né ricorrendo l’ipotesi, di creazione giurisprudenziale, di società costituita al solo scopo fraudolento di evasione delle imposte,
in quanto egli aveva agito nell’interesse della società, di cui non era socio, neanche occulto. I giudici rigettavano altresì l’appello incidentale relativo alla compensazione delle spese evidenziando il fatto stigmatizzabile che egli si era adoperato per far evadere alla società le imposte e in ragione del chiarimento solo recente dei rapporti tra l’art. 7 d.l. n. 269/2003 e l’art. 9 d.lgs. n. 472/1997; compensavano altresì le spese del giudizio di appello.
Contro tale decisione propone ricorso l ‘Agenzia delle entrate sulla base di due motivi.
Il contribuente resiste con controricorso e propone ricorso incidentale affidato ad un motivo.
La causa è stata fissata per l ‘udienza pubblica del 2 aprile 2025, per la quale l’ufficio del PM ha depositato memoria con cui ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità o il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale .
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la difesa erariale deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 d.l. n. 269/2003, 9 d.lgs. n. 472/1997, 2727, 2729 e 2697 c.c., e dell’art. 115 c.p.c. ; censura la sentenza impugnata per aver la CTR falsamente applicato, nel caso di specie, il principio di riferibilità esclusiva delle sanzioni alle persone giuridiche nonostante l’orientamento consolidato della Suprema Corte abbia comunque affermato che l’amministratore di fatto risponde in proprio delle violazioni commesse come autore ed ideatore nel caso di società costituite allo scopo fraudolento di evasione delle imposte; censura altresì l’affermazione della CTR là dove ha escluso che nella fattispeci e ricorresse tale circostanza per il fatto che le violazioni sarebbero state compiute dal COGNOME « nell’interesse della persona giuridica e non di se stesso» e che non terrebbe conto di vari elementi acquisiti nel p.v.c.
e cioè del fatto che egli gestisse i conti delle società, disponesse pagamenti a proprio favore, effettuasse operazioni allo sportello e non rendesse conto all’amministratore formale.
1.1. Il motivo è inammissibile.
In deroga ai principi della responsabilità personale dell’autore della violazione stabilito dall’art. 2, comma 2, d.lgs. n. 472/1997, l’art. 7, d.l. n. 269/2003, convertito con l. n. 326/2003, ha disposto che «le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società od enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica», limitando a quest’ultima, anche quando sia gestita da un amministratore di fatto (Cass. n. 25284/2017; Cass. n. 28331/2018; Cass. n. 10975/2019; Cass. n. 29038/2021; Cass. n. 1946/2023; Cass. n. 20697/2024), le sanzioni amministrative tributarie per le violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non sia stata irrogata alla data di entrata in vigore del decreto-legge.
Questa stessa Corte ha precisato, peraltro, che l’applicazione della norma eccezionale introdotta dall’art. 7 cit. presuppone che la persona fisica, autrice della violazione, abbia agito nell’interesse e a beneficio della società rappresentata o amministrata, dotata di personalità giuridica, poiché solo la ricorrenza di tale condizione giustifica il fatto che la sanzione pecuniaria, in deroga al principio personalistico, non colpisca l’autore materiale della violazione ma sia posta in via esclusiva a carico del diverso soggetto giuridico (società dotata di personalità giuridica) quale effettivo beneficiario delle violazioni tributarie commesse dal proprio rappresentante o amministratore; viceversa, qualora risulti che il rappresentante o l’amministratore del la società con personalità giuridica abbiano agito nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l’ente quale schermo o paravento per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale
vantaggio, viene meno la ratio che giustifica l’applicazione dell’art. 7, cit., diretto a sanzionare la sola società con personalità giuridica, e deve essere ripristinata la disciplina generale di cui al d.lgs. n. 472/1997 cosicché la sanzione tributaria pecuniaria colpisce la persona fisica (Cass. n. 12334/2019; Cass. n. 25757/2020; Cass. n. 29038/2021; Cass. n. 10651/2022; Cass. n. 1946/2023).
In questa prospettiva si è pure affermato che il principio ex art. 7 cit. non opera nell’ipotesi di società «cartiera», atteso che, in tal caso, la società è una mera fictio , utilizzata quale schermo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a personale vantaggio dell’amministratore di fatto ( Cass. n. 19716/2013; Cass. n. 5924/2017; Cass. n. 10975/2019; Cass. n. 12334/2019; Cass. 29038/2021; Cass. n. 36003/2021; Cass. n. 23231/2022; Cass. n. 14364/2022; Cass. n. 26057/2023; Cass. n. 1946/2023).
La qualità di amministratore di fatto di una società non comporta, di per sé, la sua responsabilità per le sanzioni riferibili alla società di capitali, di cui risponde «esclusivamente» l’ente ai sensi dell’art. 7 d.l. n. 269/2003, richiedendosi, secondo tale giurisprudenza, anche la strumentalizzazione dello schema societario per il perseguimento di fini propri ovvero l’artificiosa costituzione della società per fini illeciti e personali, sicché in tali casi non vi è alcuna differenza fra trasgressore e contribuente.
L’orientamento giurisprudenziale in questione è stato peraltro significativamente recepito dal legislatore con la novella operata dall’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 87 del 14 giugno 2024 che, riformando la materia delle sanzioni, ha così statuito sul punto: «Modifiche al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. 1. Al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 2, dopo il comma 2 è inserito il seguente: «2-bis. La sanzione pecuniaria relativa al rapporto tributario
proprio di società o enti, con o senza personalità giuridica di cui agli articoli 5 e 73 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è esclusivamente a carico della società o ente. Resta ferma, nella fase di riscossione, la disciplina sulla responsabilità solidale e sussidiaria prevista dal codice civile per i soggetti privi di personalità giuridica. Se è accertato che la persona giuridica, la società o l’ente privo di personalità giuridica di cui al primo periodo sono fittiziamente costituiti o interposti, la sanzione è irrogata nei confronti del soggetto che ha agito per loro conto».
La sentenza non si discosta da questa impostazione, e del resto neanche il motivo censura le conformi affermazioni in diritto espresse dalla CTR; essa, dopo aver ricostruito il ruolo del COGNOME quale amministratore di fatto della società, ha infatti osservato che tale qualità non è sufficiente per ritenere la persona fisica responsabile per le sanzioni riferibili alla società, salvo che non si provi l’utilizzo della società come schermo o paravento per il perseguimento di fini propri, prova che ha ritenuto insussistente, anzi espressamente evidenziando, a conferma di quanto già ritenuto dai primi giudici, che il COGNOME non fosse socio, neanche occulto della società e che egli aveva agito nell’esclusivo interesse dei soci della stessa , con accertamento in fatto insuscettibile di revisione in questa sede. Tale osservazione è peraltro da ritenersi la logica conclusione anche della parte della motivazione ove si ricostruisce il ruolo di amministratore di fatto del COGNOME evidenziando che egli si relazionasse con gli effettivi soci della società.
Il motivo, peraltro, neanche contesta l’effettività e vitalità della compagine sociale dal momento che non si cura di negare la riferibilità ai soci della stessa, limitandosi a ritenere provati vantaggi personali del COGNOME, peraltro apparentemente di natura non fiscale, vantaggi
che appaiono smentiti dalla CTR che ha ricostruito il suo ruolo solo come amministratore e non socio occulto.
Con il secondo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., la difesa erariale deduce omesso esame di fatti decisivi ai fini della decisione e in particolare dei numerosi elementi di prova forniti dall’Ufficio e sopra specificati in relazione alla posizione del soggetto ed ai benefici ottenuti.
2.1. Il motivo è inammissibile.
La deduzione del vizio ex n. 5 dell’art. 360, primo comma, c.p.c., è impedita dalla circostanza di essere in presenza di una cd. doppia conforme di merito (art. 348ter , ultimo comma, c.p.c., applicabile ratione temporis ) e dalla mancata indicazione da parte del ricorrente di elementi di diversità delle ragioni di rigetto del ricorso in primo grado e in appello (Cass. n. 26934/2023; Cass. n. 26860/2014; Cass. n. 26774/2016; Cass. n. 20994/2019; Cass. n. 5947/2023).
Si deve anche precisare che l’ipotesi ricorre non solo quando la decisione di secondo grado corrisponda in toto a quella di primo grado, ma è sufficiente che le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico -argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa. Non osta, dunque, alla configurazione della cd. doppia conforme il fatto che il giudice di appello, nel condividere e confermare la decisione impugnata, abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione (Cass. n. 7724/2022).
In secondo luogo, la deduzione del vizio motivazionale di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma , c.p.c. deve avere ad oggetto l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, inteso nel senso di circostanza fattuale, o un preciso accadimento in senso storico naturalistico (Cass. n. 22397/2019; Cass. n. 24035/2018; Cass. n. 17761/2016; Cass., Sez. U., n. 5745/2015; Cass. n. 7983/2014), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che
abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia e postula la sua concreta e specifica indicazione, anche in relazione alla sede processuale ove sia stata dedotta, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U., n. 8053/2014;di recente anche Cass. n. 17005/2024), come di fatto lamentato con il motivo di ricorso in esame.
Infine, e comunque, deve ritenersi che il motivo abbia la sostanziale finalità di attingere il merito per censurare un accertamento fattuale operato dalla sentenza d’appello (oltre che da quella di primo grado).
3 . Con l’unico motivo di ricorso incidentale, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. il contribuente deduce la violazione dell’art. 15 d.lgs. n. 546 del 1992 , laddove la CTR ha disposto la compensazione delle spese del giudizio di primo grado, rigettando l’appello incidentale sul punto, nonché di quelle di appello, dando rilevanza al comportamento del contribuente agevolativo delle condotte evasive della società e al chiarimento giurisprudenziale relativo alla portata dell’art. 7 intervenuto solo di recente.
3.1. Il testo dell’art. 15 d. lgs. n. 546/1992, come sostituito dall’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 156/2015, applicabile ratione temporis , dispone che «1. La parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza. 2. Le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere
espressamente motivate», regolando quindi la materia autonomamente senza più il rinvio all’art. 92 del codice di rito.
La disciplina della condanna alle spese di cui al d.lgs. n. 546 del 1992, art. 15, riposa, come la norma generale di cui all’art. 91 c.p.c., sul principio della soccombenza, che costituisce espressione del principio di causalità, onde chi abbia dato causa alla necessità dell’introduzione del giudizio col proprio comportamento rivelatosi contra ius è tenuto alla rifusione delle spese anticipate da controparte.
L’enunciazione di ragioni assolutamente illogiche o erronee ai fini della compensazione delle spese per gravi ed eccezionali ragioni è suscettibile di essere denunciata come violazione delle disposizioni in tema di spese (cfr., tra le molte, Cass. n. 14623/2015; Cass. n. 11222/2016; Cass. n. 6059/2017; Cass. n. 22679/2017; Cass. n. 13809/2018).
Pacifica l ‘integrale soccombenza dell’Agenzia delle entrate nel giudizio di primo grado, avente ad oggetto esclusivamente l’applicazione delle sanzioni nei confronti dei COGNOME, la conferma della compensazione delle relative spese da parte del giudice di appello è avvenuta in base a due considerazioni, e cioè il ruolo di collaboratore del COGNOME nell’evasione della società, e il formarsi dell’orientamento giurisprudenziale in tema di mancanza di responsabilità dell’amministratore di fatto per le san zioni, intervenuto solo di recente.
Se la prima considerazione è del tutto estranea alle ragioni idonee a giustificare la compensazione, dando sostanziale rilevanza all’evasione della società, e quindi ad un altro giudizio ed al suo esito, quanto all a data di formazione dell’ orientamento giurisprudenziale in materia, deve invece ritenersi che se prima del 2017 vi fossero solo pronunce sulla disciplina transitoria, la stessa CTR richiama Cass. n. 25284/2017, intervenuta prima della proposizione dell’appello nel 2018.
La soluzione della CTR appare quindi astrattamente corretta per le spese di primo grado ma non per il giudizio di appello.
Concludendo, va rigettato il ricorso principale, mentre va accolto quello incidentale, nei termini indicati; la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di giustizia per nuovo esame, in diversa composizione, e per regolare le spese del giudizio di legittimità.
La soccombenza di una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, determina che non si applichi l’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115 del 2002 (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e accoglie il ricorso incidentale, nei termini di cui in motivazione; cassa, in relazione al ricorso accolto, la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia -Romagna, in diversa composizione, per nuovo esame. Così deciso in Roma in data 2 aprile 2025.