Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33578 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33578 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
Oggetto:
amministratore di fatto
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11742/2023 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL)
-ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’ dall’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL giusta procura speciale ad litem in calce al ricorso per cassazione;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Molise n. 01/01/2023 depositata in data 04/01/2023, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 05/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
-con l’avviso di accertamento n. TR6010200240/2020, relativo al periodo di imposta 2014 e con l’avviso di accertamento n. TR6010200628/2020, relativo al periodo di imposta 2016, l’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Campobasso ha verificato la posizione fiscale rispettivamente per l’anno 2014 e per l’anno 2016 del contribuente odierno controricorrente;
secondo l’Ufficio impositore l’COGNOME , pur essendo dedito alla vendita di vestiti per bambini e neonati, sarebbe stato da considerarsi amministratore di fatto delle società RAGIONE_SOCIALE;
provvedeva quindi l’Ufficio al recupero dell’IVA evasa dalle società RAGIONE_SOCIALE accertando per l’Abbamondi ai sensi dell’art. 39, co. 2 e 41 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, un maggior reddito d’impresa di € 21.801,00 quale provento illecito ex art. 14, co. 4, della Legge n. 537 del 1993, da assoggettare all’IRPEF e alle relative addizionali regionale (d. Lgs n. 446 del 1997, art. 50) e comunale (d. Lgs n. 360 del 1998, art. 1);
inoltre, tenuto conto degli artt. 3, 5 bis, 11 e 25 d. Lgs n. 446 del 1997, si accertava un maggior valore della produzione netta imponibile ai fini IRAP di € 21.801,00; ai sensi degli artt. 55 e 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, era accertata un’IVA dovuto con aliquota del 22% pari ad € 4.796,00 (base imponibile € 21.801,00);
-il giudizio di primo grado, introdotto a seguito di ricorsi del contribuente, si concludeva con la sentenza n. 390/2021 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso, che pronunciava l’ accoglimento dei ricorsi riuniti;
la sentenza veniva gravata d’appello dall’Ufficio che sostenendone illegittimità ed erroneità chiedeva la sua riforma integrale in conferma della legittimità degli atti opposti;
la CTR rigettava il gravame;
ricorre a questa Corte l’Agenzia delle Entrate con atto affidato a due motivi di doglianza;
resiste il contribuente con controricorso; lo stesso ha anche depositato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c.;
Considerato che:
va preliminarmente osservato che nel presente caso non viene in rilievo l’art. 21 bis del d. Lgs. n. 74 del 2000, di recente introduzione, in quanto la sentenza di proscioglimento del Tribunale di Campobasso, Ufficio del GUP, n. 115/2020 alla quale si fa riferimento in ricorso non è stata evidentemente emessa a seguito di dibattimento;
inoltre, tale sentenza non viene prodotta a questa Corte con l’attestazione del passaggio in giudicato, elemento essenziale perché la stessa possa costituire cosa giudicata nel presente processo in forza della ridetta previsione normativa;
possono quindi esaminarsi i motivi di ricorso;
il primo motivo censura la pronuncia impugnata denunciando la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1, n. 4, c.p.c.; secondo parte ricorrente il Giudice di appello, seppure investito della domanda di riforma della sentenza di prime cure anche in ordine al disposto annullamento dell’avviso emesso per l’anno 2016 nei confronti del l’ Abbamondi, ha omesso ogni statuizione al riguardo, incorrendo in tal modo nella violazione dell’art. 112 c.p.c.;
il motivo è infondato;
invero, scrive la CTR: ‘ Si discute in questa sede di due avvisi di accertamento afferenti le annualità 2014 e 2016 con i quali l’Ufficio verificando le posizioni fiscali del ricorrente imputava allo stesso redditi derivanti dalla dedotta posizione di amministratore di fatto alla gestione di società coinvolte nel meccanismo fraudolento della c.d. ‘frode carosello’; prima di tale affermazione, essa esordisce scrivendo che ‘COGNOME Francesco, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME
NOME presso il cui studio eleggeva domicilio, proponeva ricorso avverso avviso di accertamento n. TR6010200240/2020 afferente l’annualità 2014 notificato il 27/10/2020 dall’Agenzia delle EntrateDirezione Provinciale di Campobasso a seguito di verifica della posizione fiscale. Al predetto ricorso veniva riunito, per connessione, quello prodotto avverso l’avviso che accertava redditi per l’annualità 2016′; – da tali inequivoche affermazioni si evince quindi come la sentenza di merito abbia preso in esame entrambi gli atti impugnati, anche quello 2016, senza quindi omettere alcuna
riguardante il periodo d’imposta pronuncia;
il secondo motivo si incentra sulla violazione e/o falsa applicazione degli artt. 39 e 41-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e violazione degli artt. 2639 cc ,2697 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per avere la sentenza di appello erroneamente deciso per il rigetto dell’impugnazione dell’Ufficio, assumendo come non data la prova della qualità, asseritamente rivestita dall’COGNOME, di amministratore di fatto di plurime società cartiere, coinvolte nel meccanismo fraudolento rilevato dall’Ufficio all’esito delle operazioni di controllo condotte. Invero il Giudice ha ritenuto, illegittimamente secondo parte ricorrente, di attribuire efficacia dirimente alla sentenza penale di non luogo a procedere resa dal Tribunale di Campobasso, GUP dott. d’COGNOME, in ordine ai reati ipotizzati di associazione a delinquere di cui all’art. 416 c.p., nonché per i reati previsti ai sensi degli artt. 3, 5, 8 e 10 del D. lgs. n. 74/2000;
anche tale motivo è privo di fondamento;
Cons. Est. NOME COGNOME 4 – alla luce della premessa fatta in esordio di motivazione, nel sistema normativo in vigore ratione temporis trova applicazione unicamente la costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 17258 del 27/06/2019) la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula “perché il fatto non sussiste”, non spiega automaticamente efficacia di
giudicato nel processo tributario, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta decisione è destinata ad operare;
ancora, si è precisato che nessuna automatica autorità di cosa giudicata può più attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente e che, pertanto, “il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare” (in termini Cass. V sez. 21.6.2002 n. 9109; Cass. V sez. 8.3.2001 n. 3421; id. 25.1.2002 n. 889; id. 19.3.2002 n. 3961; id. 24.5.2005 n. 10945; id. 12.3.2007 n. 5720; Id. 18.1.2008 n. 1014 -in materia di fatturazione per operazioni inesistenti: ribadisce che la efficacia del giudicato concerne solo circostanze fattuali specifiche, ma non può estendersi anche agli elementi di valutazione di quei fatti-; id. 17.2.2010 n. 3724; id. 8.10.2010 n. 20860; id. 27.9.2011 n. 19786; id. 23.5.2012 n. 8129);
orbene, proprio all’interno di questi binari si è mosso l’apprezzamento della CTR;
Cons. Est. NOME COGNOME – in primo luogo, la sentenza impugnata ha dapprima rilevato ‘…che con la sentenza n. 115/2020 del GUP presso il Tribunale di Campobasso, è
stata esclusa la sussistenza di qualunque elemento di fatto che consentisse di qualificare COGNOME quale associato per delinquere e/o amministratore di fatto delle numerose società in relazione alle quali tale ruolo era contestato tra le quali risultavano presenti anche la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE per le quali è stato emesso l’avviso di accertamento’ per l’anno 2014 in contestazione’; da ciò essa ha tratto corrette conseguenze in diritto, senza quindi motivare unicamente prendendo atto di ciò, in quanto ha ritenuto detta assoluzione ‘circostanza questa che, di certo, non impedisce al giudice tributario una valutazione nel panorama delle ulteriori circostanze da valutare in sede tributaria’;
inoltre, la decisione della CTR si è poi fondata sulla ulteriore valutazione, autonoma e correttamente motivata, di altri e ulteriori analitici elementi di fatto che l’hanno condotta a escludere l’avere l’Ufficio dato prova della sua qualità di amministratore di fatto;
in primo luogo, essa ha ritenuto che ‘la società RAGIONE_SOCIALE, come da accordo di convenzionamento del credito (doc.7), oltre ad essere un soggetto giuridico dedito alla vendita di autoveicoli, grazie all’attestazione professionale conseguita dall’amministratore COGNOME è anche un intermediario nel ricorso al finanziamento e/o al credito per l’acquisto degli autoveicoli e, pertanto, nella intermediazione della pratica di NOME COGNOME non ha assolutamente ricoperto il ruolo di ‘amministrare di fatto’ della società RAGIONE_SOCIALE, come sostenuto nell’avviso, ma ha, unicamente, svolto un’attività lecita in virtù di attestato conseguito di intermediazione nel settore creditizio’;
in secondo luogo, la pronuncia di secondo grado ha preso in esame la ‘dichiarazione di COGNOME COGNOME utilizzata dall’Ufficio per identificare COGNOME quale amministratore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE‘ per concludere come ‘lo stesso indicava, unicamente, l’attività di auto di RAGIONE_SOCIALE, vendita da quest’ultimo effettuata in condizioni di totale e completa autonomia’;
-all’esito di tali valutazioni in fatto, si è ritenuto che ‘alla luce degli atti appaiono non sussistenti i presupposti di fatto e di diritto per considerare Abbamondi ‘amministratore di fatto’ delle società RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE‘;
è quindi chiaro che la sentenza impugnata ha compiuto una propria personale e autonoma valutazione, corretta o meno non rileva in questa sede, dei fatti oggetto del processo e delle prove ivi introdotte; all’esito della stessa è stata assunta la conseguente decisione senza alcun appiattimento sulle risultanze del giudizio penale;
pertanto, il ricorso è rigettato;
le spese sono regolate dalla soccombenza;
p.q.m.
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 10.000,00 cui aggiungersi euro 200,00 per esborsi, 15% per spese generali, CPA ed iva di legge.
Così deciso in Roma, il 5 novembre 2024.