Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19238 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19238 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/07/2025
Avviso di accertamento Enti ecclesiastici -Ires -aliquota agevolata
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1022/2018 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE TORTONA, RAGIONE_SOCIALE, in persona del Vescovo pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente-
controricorrente in via incidentale -contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dal l’Avvocatura generale dello Stato ;
-controricorrente-
ricorrente in via incidentale – avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. PIEMONTE, n. 895/2017, depositata il 6 giugno 2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5 giugno 2025 dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte rassegnate dal Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME con le quali ha chiesto l’accoglimento del terzo motivo del ricorso principale e di tutti i motivi del ricorso incidentale.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate notificava alla Diocesi di Tortona avviso di accertamento con il quale , per l’anno di imposta 2006, nell’insussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’aliquota agevolata Ires, prevista dall’art. 6, comma 1, lett. c) d.P.R. n. 601 del 1973, recuperava una maggiore imposta sui redditi derivanti da cinque immobili ed esposti in dichiarazione nel Quadro RB del Mod. Unico 2007; precisamente, trattavasi di due immobili utilizzati da altro Ente ecclesiastico, l’Opera Diocesana della Preservazione della Fede , dichiarati ai righi RB6 e RB12; di un immobile utilizzato dal ramo Onlus della Diocesi, dichiarato al rigo RB9; di due frazioni di immobili locati alla Agenzia delle entrate ed alla Agenzia del Territorio dichiarati ai righi B10 e B11.
L’Ente ecclesiastico impugnava l’atto impositivo innanzi alla CTP di Alessandria che, accogliendo solo parzialmente il ricorso, riconosceva la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’aliquota agevolata solo con riferimento ad uno dei cinque immobili, ovvero quello utilizzato dal ramo Onlus dell’Ente , indicato in dichiarazione al rigo RB9.
Avverso detta sentenza spiegavano appello entrambe le parti.
La CTR del Piemonte confermava, con la sentenza di cui in epigrafe, integralmente la pronuncia di primo grado.
Avverso la citata sentenza della CTR la Diocesi ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
L ‘Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso e ha formulato anche ricorso incidentale sulla base di tre censure.
La ricorrente principale ha replicato al ricorso incidentale con successivo controricorso e ha depositato anche memoria in prossimità dell’adunanza camerale .
RAGIONI DELLA DECISIONE
La Diocesi di Tortona -quale ricorrente principale – ha proposto tre motivi di ricorso.
1.1. Con il primo motivo denuncia in relazione all’art. 360, pri mo comma, n. 4, cod. proc. civ. – la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Assume che la CTR ha omesso di pronunciarsi sul motivo proposto in primo grado e riproposto in appello con il quale aveva dedotto l’illegittimità dell’atto impositivo per violazione del proprio diritto di difesa in sede amministrativa.
1.2. Con il secondo motivo denuncia in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. – la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Sostiene che la CTR ha omesso di pronunciarsi sul motivo proposto in primo grado e riproposto in appello con il quale aveva dedotto l’illegittimità dell’atto impositivo per vizio della motivazione .
1.3. Con il terzo motivo denuncia in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. -la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, del canone 369 del codice di diritto canonico, degli artt. 72, 73, 149, ultimo comma, t.u.i.r. dell’art. 20 Cost. e delle leggi nn. 121 e 222 del 1985.
Osserva che la CTR, avendo affermato che per stabilire la spettanza dell’aliquota agevolata doveva aversi riguardo all’attività effettivamente svolta, avrebbe dovuto riconoscerne l’applicabilità anche ai redditi derivanti dal possesso di immobili locati al l’Opera Diocesana della Preservazione della Fede (ODPF) in quanto Ente
ecclesiastico senza scopo di lucro e la cui unica attività era di religione e di culto.
Aggiunge che la CTR ha errato anche nel qualificare la Diocesi come un istituto diocesano, pur non essendolo, e laddove ha sostenuto che gli immobili degli enti religiosi, non funzionali all’esercizio dell’at tività di religione e di culto, sono per ciò solo utilizzati per lo svolgimento di attività commerciali. Osserva che la Diocesi è un ente ecclesiastico dotato di personalità giuridica ed avente diversa finalità rispetto a quella perseguita dagli Istituti diocesani, eretti ai sensi della legge n. 222 del 1985. Aggiunge che l’esercizio di attività d iverse da quelle di religione e di culto non comporta, di per sé, l’esercizio di attività commerciale e che l’attività di locazione non conno ta l’ente come ente commerciale. Evidenzia che, del resto, la stessa CTR aveva riconosciuto che agli effetti Ires un Ente ecclesiastico non perdeva mai la sua natura di ente non commerciale.
Anche l’Agenzia delle entrate propone tre motivi di ricorso in via incidentale.
2.1. Con il primo motivo denuncia in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. – la nullità della sentenza per violazione degli artt. 61 e 36, comma 2, n. 4, d.lgs. 31 dicembre 1992 dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost.
Censura la sentenza impugnata per aver reso motivazione apparente, unicamente per relationem alla sentenza di primo grado, e senza esposizione del criterio logico che aveva indotto a rigettare l’appello. Aggiunge che dalla motivazione non era dato comprendere perché la CTR avesse ritenuto che il giudice di primo grado aveva, a propria volta, ben individuato gli immobili ai quali fosse applicabile l’esenzione Ires.
2.2. Con il secondo motivo deduce in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. – la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 e degli artt. 7 e 53 Cost.
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che dovesse applicarsi l’aliquota agevolata al reddito derivante dall’immobile utilizzato dal ramo Onlus della Diocesi .
Evidenzia che l’articolo 6 d.P.R. cit. -norma agevolativa eccezionale -non pone un criterio di esenzione su base meramente soggettiva né prevede alcuna presunzione di legge circa la natura dell’attività esercitata .
2.3. Con il terzo motivo lamenta in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. -la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ.
Censura la sentenza impugnata per aver riconosciuto le agevolazioni richieste, sebbene la contribuente non avesse provato la natura dei redditi e, quindi, la loro assoggettabilità alla norma agevolativa. Assume che, così facendo, la CTR ha violato il principio di ripartizione dell’ onere della prova, in ragione del quale la fruizione dei benefici fiscali è condizionata alla dimostrazione, di cui è onerato il contribuente, di avere in concreto svolto un’attività di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale, non incombendo all’Amministrazione l’onere di sollevare precise contestazioni.
Preliminarmente deve rilevarsi la tempestività del controricorso e del ricorso incidentale, così rispondendosi all’ eccezione della contribuente con cui è stato prospettato come detto ricorso dovesse intendersi proposto oltre sei mesi dalla pubblicazione della sentenza impugnata.
L’art. 371 cod. proc. civ., nella versione vigente prima della riforma di cui al d.lgs. n. 149 del 2022, prevede che il ricorso incidentale va proposto con l’atto contenente il controricorso. L’art. 370 cod. proc.
civ. sancisce che il termine per proporre controricorso è di venti giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso il quale è, a propria volta, ex art. 369 cod. proc civ., di venti giorni dalla notifica. Nella fattispecie il ricorso è stato notificato a mezzo posta con raccomandata ricevuta il 29 dicembre 2017 ed il controricorso è stato notificato, sempre a mezzo posta, con raccomandata spedita il 2 febbraio 2018, dunque nel termine di quaranta giorni.
La proposizione del ricorso incidentale nei termini di cui all’art. 371 cod. proc. civ. ma oltre i termini di cui all’art. 325, secondo comma, cod. proc. civ. (termine breve o semestrale) rileva soltanto nella fattispecie, qui non sussistente, in cui il ricorso principale sia inammissibile (Cass. 26/03/2015, n. 6077 e Cass. 22/06/2021, n. 17707).
Chiarito ciò in via pregiudiziale, si osserva che il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, il cui esame è preliminare, perché volti a denunciare viz i formali dell’atto impositivo , sono infondati.
4.1. Sebbene la CTR non si sia pronunciata sul motivo di appello con il quale si contestava la violazione del contraddittorio endoprocedimentale ed il vizio di motivazione dell’atto impositivo , questa Corte ha già chiarito che nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Cass. 28 ottobre 2015, n. 21968 e Cass. 16/06/2023 n. 17416).
4.2. Nel merito, quanto al contraddittorio, le Sezioni unite -all’esito di un’ampia disamina tanto dell’ordinamento tributario nazionale che dei principi costituzionali di riferimento, quanto degli indirizzi applicabili in materia sulla base del diritto UE e delle pronunce della Corte di Giustizia -hanno affermato, ponendo termine a precedenti oscillazioni interpretative, che solo per i tributi c.d. armonizzati l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa. Per quelli non armonizzati, quali sono i tributi che colpiscono il reddito, non è invece rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, che pertanto sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Cass. Sez. U. 09/12/2015, n. 24823; tra le più recenti Cass. 29/07/2024, n. 21188; Cass. 22/04/2024, n. 10849).
Anche la Corte costituzionale si è pronunciata sulla questione, evidenziando che, di fronte alla molteplicità di strutture e di forme che il contraddittorio endoprocedimentale ha assunto e può assumere in ambito tributario, spetta al legislatore, nel rispetto dei principi costituzionali, il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco, in particolare assegnando adeguato rilievo al contraddittorio con i contribuenti (Corte Cost. n. 47 del 2023).
Deve, pertanto, escludersi che quanto costantemente affermato da questa Corte contrasti con i principi propri dell’ordinamento euro -unitario. Si è chiarito, infatti, che il principio fondamentale dell’Unione del rispetto dei diritti della difesa endoprocedimentale, di cui il diritto al contraddittorio preventivo è parte integrante, non costituisce una prerogativa assoluta, ma può soggiacere a restrizioni rispondenti ad
obiettivi di interesse generale unionale, quale quello di procedere al recupero tempestivo delle entrate proprie (Cass. 01/04/2025, n. 8565).
4 .3. Quanto, invece, al vizio di motivazione dell’atto impositivo , questa Corte ha chiarito che l’avviso di accertamento ha carattere di provocatio ad opponendum , sicché l’obbligo di sua motivazione è soddisfatto, ai sensi dell’art. 56 d.P.R. n. 633 del 1972, ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, e, quindi, di contestarne efficacemente l’an ed il quantum debeatur (v., da ultimo, Cass. 11/01/2025, n. 730).
Dalla stessa articolazione dei motivi di ricorso in primo grado (ricapitolati nel par. 2 del ricorso per cassazione) si evince che l’atto impositivo conteneva le informazioni necessarie per porre la contribuente nella condizione di conoscere le ragioni del recupero a tassazione, stante la ritenuta inapplicabilità dell’aliquota agevolata.
Il terzo motivo del ricorso principale ed i motivi del ricorso incidentale vanno esaminati congiuntamente in quanto connessi.
Gli stessi, infatti, attingono la sentenza della CTR nella parte in cui ha motivato in ordine ai presupposti per l’applicazione della aliquota agevolata di cui all’art. 6 d.P.R. n. 601 del 1973 e denunciano la motivazione apparente e la violazione di legge.
Tali motivi sono fondati per le complessive ragioni che seguono.
5.1. Le disposizioni normative di riferimento vanno rinvenute:
1) nell’art. 6, primo comma, lett. c) d.P.R. n. 601 del 1973, vigente ratione temporis (rubricato: riduzione dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche), il quale prevede che l’imposta sul reddito delle persone giuridiche è ridotta alla metà nei confronti degli enti il cui fine è equiparato per legge ai fini di beneficenza o di istruzione; il secondo comma aggiunge che ciò vale purché in ogni caso tali enti abbiano
personalità giuridica (per completezza si rammenta che la disposizione in esame è stata abrogata, con decorrenza dal 1° gennaio 2019, dall’art. 1, comma 51, legge 30 dicembre 2018, n. 145, a decorrere dal periodo d’imposta di prima applicazione del regime agevolativo di cui al comma 52bis, il quale a sua volta stabilisce che « Con successivi provvedimenti legislativi sono individuate misure di favore, compatibili con il diritto dell’Unione europea, nei confronti dei soggetti che svolgono con modalità non commerciali attività che realizzano finalità sociali nel rispetto dei principi di solidarietà e sussidiarietà. È assicurato il necessario coordinamento con le disposizioni del codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 »);
2) nell’ art. 7, n. 3, dell’accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, ratificato con la legge 25 marzo 1985, n. 121,il quale prevede che agli effetti tributari gli Enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione e che le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime.
Va, altresì, menzionato l’art. 15 della legge 20 maggio 1985, n. 222, il quale prevede che « gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti possono svolgere attività diverse da quelle di religione o di culto, alle condizioni previste dall’art. 7, n. 3, comma 2, dell’accordo del 18 febbraio 1984 “, e, all’art. 16, che ” Agli effetti delle leggi civili si considerano comunque: a) attività di religione o di culto quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione
cristiana; b) attività diverse da quelle di religione o di culto quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro ».
5.2. La consolidata giurisprudenza di questa Corte, alla quale deve darsi continuità, ritiene, al fine del riconoscimento dell’agevolazione di cui all’art. 6 d.P.R. n. 601 del 1973, che, in generale, non sia sufficiente il mero requisito soggettivo e che, per quanto concerne in particolare gli enti equiparati a quelli di beneficenza o istruzione, non sia sufficiente che essi siano sorti con tali enunciati fini; occorre, infatti, accertare anche che l’attività in concreto esercitata dagli enti non abbia carattere commerciale, in via esclusiva o principale; inoltre, in presenza di un’attività commerciale di tipo non prevalente, occorre verificare che la stessa sia in rapporto di strumentalità diretta ed immediata con i fini dell’Ente , e quindi, non si limiti a perseguire il procacciamento dei mezzi economici al riguardo occorrenti, dovendo altrimenti essere classificata come «attività diversa», soggetta all’ordinaria tassazione (v., tra le tante, Cass. 31/01/2024, nn. 2860 e 2877; Cass. 05/04/2023, n. 9394; Cass. 16/01/2023, n. 1164).
Sin dalle più remote pronunce si è, infatti, sottolineato che non può ritenersi che un’attività commerciale di tipo non prevalente sia in rapporto di strumentalità diretta e immediata con i fini di religione e di culto quando «per la intrinseca natura di essa o per la sua estraneità rispetto al fine (di religione o di culto), non sia con esso coerente in quanto indifferentemente utilizzabile per il perseguimento di qualsiasi altro fine; quando si tratti, cioè, di un’attività volta al procacciamento di mezzi economici da impiegare in una ulteriore attività direttamente finalizzata, quest’ultima, al culto o alla religione» (Cass. 29/03/1990, n. 2573 ripresa da Cass. n. 1164 del 2023, cit.).
Pertanto, va ribadito che l’esistenza del fine di religione o di culto rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente per la
spettanza dell’agevolazione, in quanto, come detto, il beneficio non è applicabile solo in ragione della qualificazione soggettiva dell’ente ma assume rilevanza anche l’elemento oggettivo, rappresentato dal tipo di attività svolta.
Tale interpretazione è coerente con la considerazione che l’agevolazione, configurando un’eccezione al principio di corrispondenza fra capacità contributiva e soggettività tributaria (quale immediata applicazione dell’art. 53 Cost.), può giustificarsi solo in ragione della considerazione della attività che determinate categorie di contribuenti svolgono (in questo senso v. il parere del Consiglio di Stato, 08/10/1991, n. 1296) e con la considerazione che le norme agevolatrici sono norme eccezionali e quindi di stretta interpretazione.
Il quadro va completato ricordando che ricade sul soggetto richiedente l’onere di provare il possesso di tutti i requisiti necessari per la fruizione del beneficio fiscale, per cui l’ente deve dimostrare, ai fini della propria natura non commerciale, che l’attività in concreto svolta non abbia carattere commerciale in via esclusiva o principale.
In sintesi, l’agevolazione di cui all’art. 6, primo comma, d.P.R. n. 601 del 1973 spetta agli enti con finalità di beneficenza o istruzione o ad essi equiparati per legge, come gli enti ecclesiastici con fine di religione o culto (elemento soggettivo) e per le attività non commerciali o per le attività commerciali non prevalenti che siano in rapporto di strumentalità diretta e immediata con i fini di beneficenza e istruzione o, nel caso di specie, religione o culto (elemento oggettivo); con le precisazioni che l’attività è strumentale direttamente ove con essa l’ente si limiti a procacciare i mezzi economici occorrenti al fine istituzionale e che non è un’attività volta al procacciamento di mezzi economici, quando, per la intrinseca natura di essa o per la sua estraneità rispetto al fine (di religione o di culto), non sia con esso coerente in quanto indifferentemente utilizzabile per il perseguimento
di qualsiasi altro fine; quando si tratti, cioè, di un’attività volta al procacciamento di mezzi economici da impiegare in una ulteriore attività direttamente finalizzata, quest’ultima, al culto o alla religione.
5.3. Per quanto attiene alla natura del reddito recuperato parzialmente a tassazione, pacificamente derivante da locazione immobiliare, si è chiarito che, coerentemente con la ratio legis , la disposizione di cui all’art. 6 cit. deve, in linea generale, essere applicata anche a detti proventi a due condizioni, imposte dai principi sopra esposti (richiamate anche nella recente circolare dell’Agenzia delle entrate n. 15E del 17 maggio 2022).
In primo luogo, si deve essere in presenza di un mero godimento del patrimonio immobiliare, finalizzato al reperimento di fondi necessari al raggiungimento dei fini istituzionali dell’ente, che si configura quando la locazione di immobili si risolve nella mera riscossione dei canoni, senza una specifica e dedicata organizzazione di mezzi e risorse funzionali all’ottenimento del risultato economico.
In linea di principio, infatti, la mera riscossione dei canoni da parte dell’ente religioso, così come l’esecuzione dei pagamenti delle spese riferite agli immobili, non implica di per sé l’esercizio di un’attività commerciale. Tuttavia, al fine di escludere lo svolgimento di una attività organizzata in forma di impresa, occorre verificare, caso per caso, che l’ente non impieghi strutture e mezzi organizzati con fini di concorrenzialità sul mercato, ovvero che non si avvalga di altri strumenti propri degli operatori di mercato, esaminando circostanze di fatto che caratterizzano in concreto la situazione specifica. Ad esempio, il citato documento di prassi segnala, quali meri esempi, alcuni indici idonei a tali fini: la ripetitività con la quale si immette sul libero mercato degli affitti il medesimo bene in ragione della stipula di contratti di breve durata; la consistenza del patrimonio immobiliare gestito (da valutarsi non isolatamente, ma qualora accompagnata dalla presenza
di una struttura organizzativa dedicata alla gestione immobiliare); l’adozione di tecniche di marketing finalizzate ad attirare clientela; il ricorso a promozioni volte a fidelizzare il locatario; la presenza attiva in un mercato con spot pubblicitari ad hoc , insegne o marchi distintivi.
L’ipotesi di mero godimento ricorre, invero, quando gli immobili non sono inseriti in un tale contesto ma sono posseduti al mero scopo di trarne redditi di natura fondiaria, attraverso i quali l’ente si sostiene e si procura i proventi per poter raggiungere i fini istituzionali, compiendo quindi gli interventi conservativi, quali la manutenzione o il risanamento del bene, ovvero quelli migliorativi, atti a consentirne un uso idoneo, mentre, per converso, non rientra nella predetta nozione una gestione caratterizzata dalla presenza di atti volti alla trasformazione del patrimonio immobiliare.
Ove si verta in ipotesi di mero godimento, occorre poi che tali proventi siano effettivamente ed esclusivamente impiegati nelle attività di religione o di culto e cioè nel fine istituzionale dell’ente. Trattandosi di mero godimento del patrimonio immobiliare, la destinazione dei relativi proventi, in via esclusiva e diretta, alla realizzazione delle finalità istituzionali dell’ente consente di ricondurre il reddito così ritratto al beneficio della riduzione di aliquota.
Nell’ipotesi in cui l’ente svolga solo attività di religione o di culto, il reinvestimento nelle attività istituzionali rappresenta l’unica destinazione possibile dei proventi derivanti dal mero godimento del patrimonio immobiliare. Qualora, invece, l’ente svolga anche attività diverse, la destinazione dei proventi alle attività istituzionali dovrà risultare da apposita documentazione.
La sussistenza delle predette condizioni garantisce che il godimento in chiave meramente conservativa del patrimonio immobiliare, i cui proventi costituiscono i mezzi necessari per il perseguimento dello
scopo principale, non si ponga in contrasto con le finalità ideali e non economiche perseguite dall’ente (Cass. n. 1164 del 2023, cit.).
5.4. Operati questi necessari chiarimenti, deve preliminarmente rilevarsi, quanto alla censura mossa nel corpo del terzo motivo del ricorso principale (par. 3.3.) con la quale si denuncia l’errore commesso dalla CTR nel qualificare la Diocesi ricorrente come «Istituto Diocesano», che -sebbene la ricorrente evidenzi come la Diocesi sia un Ente ecclesiastico dotato di propria personalità giuridica e con ben altro fine rispetto a quello perseguito dagli Istituti Diocesani eretti in forza della legge n. 222 del 1985, e sebbene la CTR abbia impropriamente descritto la natura giuridica degli Istituti Diocesani -la motivazi one resa non è conseguenza dell’ erroneo inquadramento giuridico; l’errore, pertanto, non ha alcuna efficienza causale nella decisione che si fonda, tutta, su argomentazioni spese con riferimento agli enti ecclesiastici -e tale è pacificamente la Diocesi -e non con specifico riferimento agli Istituti Diocesani istituiti con la legge n. 222 del 1985 della quale, peraltro, non vi è menzione in sentenza.
5.5. Piuttosto deve rilevarsi che la CTR, dopo aver esposto i tratti salienti dei principi sopra esposti, si è limitata ad affermare che per tali ragioni era sicuramente da confermare la sentenza di primo grado atteso che quest’ultima aveva ben individuato gli immobili a cui doveva essere applicata l’ese nzione.
Sta di fatto che la decisione della CTP -la quale, aveva ritenuto legittimo il recupero a tassazione su alcun immobili ed illegittimo su altri -veniva censurata da entrambe le parti; infatti, la contribuente aveva insistito sul diritto all’esenzione su tutti gli immobili (e in particolare su entrambi gli immobili locati all’ODPF di cui uno soltanto era stato ammesso al beneficio) e l’Ufficio aveva lamentato che la CTP non aveva svolto un indagine sull’attività svolta e che era errato
affermare che la locazione degli immobili svolta da enti non commerciali escludeva la connotazione passiva di enti di imposta.
5.5.1. La CTR ha, pertanto, reso una motivazione dalla quale non è dato intendere la ratio decidendi che ha portato ad escludere l’aliquota agevolata rispetto ad alcuni immo bili e a riconoscerla per altri, limitandosi ad un’acritica adesio ne alla sentenza di primo grado, senza rapportarsi agli argomenti spesi dalle parti.
Va rammentato, in proposito, che è nulla, per violazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. la sentenza della CTR completamente priva dell’illustrazione delle censure mosse dall’appellante alla decisione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare per relationem alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, poiché, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento della decisione e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’info ndatezza dei motivi di gravame (Cass. 05/10/2018, n. 24452; conf., ex multis , 08/07/2021, n. 19417; 11/11/2020, n. 25325; 14/02/2020, n. 3819; 25/10/2018, n. 27112; 05/11/2018, n. 28139)
5.5.2. La CTR, poi, non si è attenuta ai principi fissati da questa Corte sulla questione controversa in quanto il riconoscimento o l’esclusione dell’aliquota agevolata non poteva prescindere, con riferimento a ciascun immobile, dalla specifica verifica dei profili oggettivi (oltre che soggettivi) rilevanti, nel rispetto degli oneri probatori al riguardo.
Ne consegue, in accoglimento del terzo motivo del ricorso principale -rigettati il primo ed il secondo -e in accoglimento integrale del ricorso incidentale, la cassazione della sentenza impugnata, in
relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, la quale provvederà al riesame, fornendo congrua motivazione, e anche al regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso principale -rigettati il primo ed il secondo -e accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, la quale provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 5 giugno 2025.