Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2467 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2467 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9623/2017 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE),
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persone del Direttore generale pro tempore, ex lege domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.DELLA SICILIA – SEZ.DIST. SIRACUSA n. 3514/2016 depositata il 11/10/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/01/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La società contribuente ricorreva avverso un avviso di accertamento con il quale l’Amministrazione finanziaria, aveva disconosciuto, per l’anno d’imposta 2006, il diritto della società ad avvalersi dell’agevolazione di cui all’art. 15, L.R. Sicilia n. 21/2003 in materia di Irap. Riteneva invero di non avallare la dichiarazione dei redditi presentata dalla contribuente per l’anno d’imposta in oggetto avendo erroneamente indicato l’importo esente IRAP.
La CTP respingeva il gravame nel merito, ivi rigettando anche la censura afferente alla presunta decadenza dal potere accertativo dell’Ufficio.
La CTR confermava la decisione di primo grado dopo aver dichiarato inammissibile il motivo di appello relativo all’intervenuta decadenza dal potere di accertamento, non avendo la contribuente controargomentato su quanto statuito dal primo giudice.
Invoca la cassazione della sentenza la società contribuente che svolge quattro motivi di ricorso, cui resiste l’Avvocatura generale dello Stato con tempestivo controricorso.
COSIDERATO
Vengono proposti quattro motivi di ricorso.
In via preliminare va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività sollevata dal patrono erariale. Afferma infatti l’Amministrazione finanziaria che il termine per la proposizione del ricorso scadeva in data 11.04.2017 mentre esso sarebbe stato notificato in data 12.04.2017, quale data risultante dalla relata di notifica.
L’eccezione va rigettata in virtù del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui «in tema di notificazione, il momento di
perfezionamento per il notificante, ai fini della tempestività dell’impugnazione è costituito alla consegna dell’atto da notificarsi all’ufficiale giudiziario, la cui prova può essere ricavata dal timbro, ancorché privo di sottoscrizione, da questi apposto sull’atto, recante il numero cronologico, la data e la specifica delle spese, salvo che sia in contestazione la conformità al vero di quanto da esso desumibile, atteso che le risultanze del registro cronologico, che egli deve tenere ai sensi dell’art. 116 , primo comma, n. 1, del d.P.R. 15 dicembre 1959 n. 1229, fanno fede fino a querela di falso (cfr. Cass. 25/2/2015 n. 3755).» (cfr. Cass., n. 7846/2018).
Dallo scrutinio della prima pagina del ricorso si evince come esso sia stato consegnato all’ufficio Unep della Corte d’Appello di Catania in data 11.04.2017. È inoltre visibile la firma dell’addetto, l’importo delle spese e il numero di cronologico (n. 15415).
Il ricorso è pertanto tempestivo.
Con il primo motivo la società contribuente denunzia la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 15 L.R. n. 21/2003 in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.
In particolare critica la sentenza nella parte in cui la CTR ha rigettato l’appello ritendendo che l’agevolazione in materia di Irap di cui all’art. 15, L.R. Sicilia n. 21/2003, e che prevede l’esenzione dall’Irap per la parte di base imponibile eccedente la media di quella dichiarata nel triennio 2001-2003, debba essere interpretata nel senso che, in caso di superamento della soglia ammessa, debba essere ripresa a tassazione l’intera somma e non solo la parte eccedente la soglia di tolleranza. Critica altresì la decisione della CTR che, per addivenire a questa conclusione, avrebbe invocato dei precedenti resi da questo Giudice in tema di aiuti de minimis diversi da quelli oggetto di scrutinio. Ricorda la clausola di salvaguardia prevista dalla disciplina speciale in oggetto, censurando anche la disparità di trattamento insita nella lettura proposta dal Giudice di merito.
Il motivo va dichiarato inammissibile nella parte in cui deduce la disparità di trattamento insita nella lettura proposta dal Giudice di merito, non risultando dagli atti che tale doglianza sia stata proposta sin dal ricorso introduttivo né facendone menzione la sentenza impugnata.
Per il resto la censura va dichiarata infondata.
Premesso che «.. una norma intesa ad attribuire una agevolazione (o un’esenzione) va interpretata in termini rigorosi e restrittivi (Cass. civ., 26 giugno 2020, n. 12804 in tema di esenzioni tributarie a favore di enti non commerciali ed ONLUS; Cass. civ., 23 dicembre 2019, n. 34343 in tema di agevolazioni in materia di mutualità; Cass. civ., 17 settembre 2019, n. 23081, in tema di radiofonia mobile; Cass. civ., 14 ottobre 2021, n. 28055, in tema di agevolazione per l’acquisto della prima casa; Cass. civ., 14 ottobre 2020, n. 22174, in tema di agevolazioni per le aree svantaggiate).» (cfr. Cass., V, n. 22271/2023), occorre ricordare quanto già stabilito in materia da questa Corte con specifico riferimento all’art. 15, co. 3, della L.R. n. 21/2003 e precisamente che «La stessa disposizione, al successivo comma 3, stabiliva che ‘L’applicazione della presente disposizione è subordinata al rispetto della vigente normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato, nonché della definizione della procedura di cui all’articolo 88, paragrafi 2 e 3, del Trattato istitutivo della Comunità europea’. In proposito si deve ricordare che la Commissione europea, con decisione del 14 agosto 2015, affermando un principio sul tema degli aiuti di stato e sul dovere dei singoli Stati relativamente agli stessi in relazione al Trattato, stabiliva che ‘ le misure in esame costituiscono aiuti incompatibili con il mercato interno’, ove non si rientrino entro i limiti ‘de minimis’, stabiliti dall’apposito regolamento, e disponeva l’annull amento di tutti i pagamenti effettuati a titolo di aiuti (nella specie si trattava di aiuti in relazione ad eventi calamitosi). Va anche chiarito e ricordato che lo sforamento dei limiti ‘de minimis’
comporta l’esclusione in radice del beneficio. Al considerando 134 si stabilisce infatti che ‘La Commissione osserva che una decisione negativa in merito ad un regime di aiuti non pregiudica la possibilità che determinati vantaggi concessi nel quadro dello stesso regime non costituiscano di per sé aiuti di Stato o configurino, interamente o in parte, aiuti compatibili con il mercato interno (ad esempio perché il beneficio individuale è concesso a soggetti che non svolgono un’attività economica e che pertant o non vanno considerati come imprese oppure perché il beneficio individuale è in linea il regolamento de minimis applicabile oppure perché il beneficio individuale è concesso in conformità di un regime di aiuto approvato o un regolamento di esenzione)’. Si è quindi chiarito, anche dalla giurisprudenza di questa Corte, che la soglia ‘de minimis’ non costituisce una sorta di franchigia (come invece di fatto ritenuto attraverso il primo avviso di accertamento) ma come una soglia di rilevanza, superata la quale l’impresa interessata non può essere interessata dall’aiuto (salvo non si tratti di un intervento meramente risarcitorio di danni verificati) in radice (cfr. Cass. 11228/2011). Su tali basi appunto la Commissione ha imposto il recupero degli aiuti, ai sen si dell’art. 288 TFUE. È principio consolidato quello secondo cui l’efficacia diretta delle norme comunitarie nell’ordinamento interno si estende anche alle decisioni con cui la Commissione, nell’esercizio del controllo sulla compatibilità degli aiuti di stato con il mercato comune, disponga la sospensione di una misura di aiuto, ne dichiari l’incompatibilità o ne ordini la restituzione, e comporta l’invalidità e/o l’inefficacia delle norme di legge e degli atti amministrativi o negoziali in forza dei quali la misura di aiuto è stata erogata (Cass. 22/11/2021, n. 35984, Cass. 03/11/2010, n. 22318).» (Cfr. Cass., V, n. 15006/2024).
La CTR ha dunque fatto buon governo dei principi eurounitari e di quelli sanciti da questa Corte sicché il motivo va disatteso.
Con la seconda doglianza la parte ricorrente prospetta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 53 del d.lgs. n. 546/1992 in parametro all’art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c. nella parte in cui la CTR aveva dichiarato inammissibile il motivo di appello afferente all’intervenuta decadenza dell’Ufficio dal potere di accertamento per non aver la contribuente argomentato su quanto statuito dal primo giudice.
A tal fine trascrive il (solo) motivo di appello, lasciando a questa Corte l’onere di verificare se la CTR abbia violato l’art. 53 citato nella declaratoria di inammissibilità del motivo.
Con il terzo motivo, e sulla scorta di quanto dedotto con il secondo motivo, la parte ricorrente prospetta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 43 d.P.R. n. 600/1973 in parametro all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.. Afferma che, nel caso in commento, la CTR avrebbe dovuto dichiarare la decadenza dell’Ufficio da potere di accertamento, tenuto conto che l’atto impugnato non originava dalla necessità di procedere al recupero di un aiuto di Stato, quanto solo dalla ritenuta violazione della disciplina regionale, senza peraltro che ad essa fosse conseguita l’effettiva fruizione dell’agevolazione.
I due motivi, strettamente connessi tra loro, possono essere esaminati congiuntamente e vanno respinti.
Giova precisare che con il secondo motivo la parte ricorrente non trascrive il capo della decisione di primo grado con cui è stata sancita la predetta inammissibilità. Tuttavia, dalla lettura del motivo di appello riportato in atti si evince che la CTP aveva disatteso la doglianza sul presupposto che non potesse trovare applicazione l’art.
43 d.P.R. n. 600/1973 bensì solo gli artt. 87 e 88 del Trattato CEE.
Orbene, in sede di gravame la società contribuente si è limitata a ribadire l’applicabilità dell’art. 43 in commento senza però contestare e controdedurre in ordine alla contraria applicazione dei citati artt. 87 e 88, richiamati dalla CTP a fondamento della sua decisione.
La decisione della CTR va dunque esente da censura.
Con l’ultimo motivo di doglianza la parte ricorrente denunzia la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 10 d.P.R. n. 600/1973 in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.
In particolare, lamenta l’illegittimità della sentenza nella parte in cui la CTR ha respinto la richiesta esenzione dall’irrogazione sanzionatoria non sussistendo le oggettive situazioni di incertezza della disciplina di riferimento, anche alla luce dei precedenti arresti di questa Corte.
Afferma infatti che le violazioni contestate risalgono al 2006, quando questa Corte non aveva ancora reso i precedenti richiamati dai Giudici di merito, ribadendo peraltro come questi ultimi siano comunque riferiti a diverse fattispecie normative.
Il motivo è infondato.
Questa Corte è ripetutamente intervenuta a definire l’ambito di applicazione dell’errore sulla ‘portata ed ambito applicativo’ della norma tributaria come causa di non punibilità e che trova riscontro in primis nell’art. 8 D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8. Quest’ultimo, infatti, attribuisce al Giudice tributario, in presenza degli indicati presupposti, di dichiarare inapplicabile la sanzione amministrativa pecuniaria.
Orbene, dopo aver stabilito plurimi principi in materia di non debenza delle sanzioni amministrativa (cfr. Cass. n. 13076 del 24/06/2015; Cass. n. 4394 del 24/2/2014; Cass. n. 3113 del 12/2/2014; Cass. n. 24670 del 28/11/2007) è stato altresì affermato che «L’essenza del fenomeno dell’incertezza normativa oggettiva si può rilevare attraverso una serie di fatti indice, che spetta al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo, e che sono stati individuati a titolo di esempio e, quindi, non esaustivamente: 1) nella difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge; 2) nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) nella difficoltà di
determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorietà; 5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nell’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) nella mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, magari accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei Giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale; 8) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) nel contrasto tra opinioni dottrinali; 10) nell’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente. Tali fatti indice devono essere accertati, esaminati ed inseriti in procedimenti interpretativi della formazione che siano metodicamente corretti e che portino inevitabilmente a risultati tra loro contrastanti ed incompatibili. Costituisce, quindi, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ossia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso la sua interpretazione» (Cfr. Cass., V, n. 16105/2024; idem 9055/2023). Nel rilevare come i fatti indice abbiano pari dignità, non potendosi attribuire ad alcuni maggior peso e rilevanza rispetto ad altri, va anche la formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, magari accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei Giudici comuni, di un intervento osservato come sia qualificabile come ‘fatto -indice’ ‘mancanza di precedenti giurisprudenziali’ ovvero ‘nella chiarificatore della Corte costituzionale’.
Nella fattispecie in esame la parte ricorrente censura il richiamo di precedente inconferenti, senza però illustrare le ragioni di siffatta inconferenza. Tra l’altro l’argomentazione è smentita dai recenti precedenti di questa Corte laddove con la pronuncia n. 15006/2024 è stata richiamata proprio la precedente sentenza n. 11228/2011
citata nella pronuncia qui impugnata. A margine poi il fatto che la società contribuente ha lamentato solo il richiamo di precedenti inconferenti, già smentiti, e non anche la sussistenza di contrasti giurisprudenziali.
Parimenti va disattesa l’argomentazione secondo cui l’atto impositivo attiene all’anno d’imposta 2006, ben lontano dal pronunciamento del 2011. Anche tale ultima argomentazione non convince, se non altro perché il ricorso di primo grado risale all’ultimo q uadrimestre del 2013 (cfr. pag. 3 del ricorso).
Il motivo va quindi disatteso.
In definitiva, il ricorso è infondato e dev’essere rigettato. Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrete alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore della parte controricorrente che liquida in €.quattromilacento,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 21/01/2025.