Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 931 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 931 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/01/2024
SILENZIO RIFIUTO IRPEF-ILOR 1990/1991/1992
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14482/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore protempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-ricorrente –
contro
NOME e NOME
-intimati – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia -sezione staccata di Catania n. 3988/13/2021, depositata il 30 aprile 2021;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza in camera di consiglio del l’11 ottobre 2023 dal consigliere dott. NOME COGNOME
– Rilevato che:
NOME NOME e NOME NOME presentavano all’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Catania istanza di rimborso di complessivi € 28.296,89, versati a titolo di IRPEF e ILOR negli anni di imposta 1990, 1991 e 1992, in quanto eccedenti la misura del 10% prevista dall’art. 9, comma 17, della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
Formatosi il silenzio-rifiuto sull’istanza in questione , i contribuenti proponevano ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Catania la quale, con sentenza n. 1974/04/2015, depositata il 23 febbraio 2015, lo accoglieva, disponendo il rimborso delle somme richieste.
Interposto gravame da ll’Ufficio , la Commissione tributaria regionale della Sicilia -sezione staccata di Catania, con sentenza n. 3988/13/2021, pronunciata il 1° aprile 2021, e depositata in segreteria il 30 aprile 2021, lo rigettava, condannando l’Ufficio al pagamento delle spese di giudizio.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’ Agenzia delle Entrate, sulla base di due motivi.
NOME NOME e NOME NOME sono rimasti intimati.
La discussione del ricorso è stata fissata dinanzi a questa sezione per l ‘adunanza in camera di consiglio de ll’11 ottobre 2023, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1 cod. proc. civ.
– Considerato che:
Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo di ricorso l’Amministrazione finanziaria eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 17 , della L. n. 289/2002, dell’art. 1, comma 665, della
legge 23 dicembre 2014, n. 190, della VI direttiva n. 77/388/CEE come interpretata dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee con sentenza del 17 luglio 2008, causa C132/06, dell’ordinanza della Sesta Sezione della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 15 luglio 2015 in causa C82/14, nonché della Decisione (2015) 5549 final del 14 agosto 2015 della Commissione Europea, dell’art. 107 e dell’art. 108 del TFUE e del Regolamento (CE) n. 69/2001 del 12 gennaio 2001, dell’art. 108 par. 3 del TFUE , in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, che la C.T.R. avrebbe riconosciuto la spettanza del diritto al rimborso a soggetti titolari di reddito di impresa, senza tuttavia aver accertato -con onere probatorio a carico dei contribuenti stessi – il mancato superamento della soglia del c.d. de minimis , tenuto conto dell’ammontare massimo dell’aiuto su un periodo di tre anni a decorrere dal momento del primo aiuto, comprendendovi qualsiasi aiuto pubblico.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, l’Ufficio eccepisce violazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3) e num. 4), dello stesso codice.
Secondo il ricorrente, il giudice a quo avrebbe accertato d’ufficio il rispetto del regime del c.d. de minimis , in spregio al riparto dell’onere della prova , che, invece, porrebbe a carico dei contribuenti la prova del mancato superamento della suddetta soglia, posta a tutela del divieto europeo degli aiuti di Stato.
Procedendo quindi all’esame de i motivi di ricorso, osserva la Corte quanto segue.
I motivi di ricorso, che sono suscettibili di trattazione unitaria in quanto attinenti alla medesima questione giuridica, sono entrambi fondati.
Ai sensi dell’art. 1, comma 665, della l. n. 190/2014 , « I soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, individuati ai sensi dell’articolo 3 dell’ordinanza del Ministro per il coordinamento della protezione civile 21 dicembre 1990, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 24 dicembre 1990, che hanno versato imposte per il triennio 1990-1992 per un importo superiore al 10 per cento previsto dall’articolo 9, comma 17, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, hanno diritto, con esclusione di quelli che svolgono attività d’impresa, per i quali l’applicazione dell’agevolazione è sospesa nelle more della verifica della compatibilità del beneficio con l’ordinamento dell’Unione europea, al rimborso di quanto indebitamente versato, a condizione che abbiano presentato l’istanza di rimborso ai sensi dell’articolo 21, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni. Il termine di due anni per la presentazione della suddetta istanza è calcolato a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge 28 febbraio 2008, n. 31, di conversione del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 ».
Successivamente è giunta la decisione final della Commissione Europea n. C-2015/5549 del 14 agosto 2015 (che è vincolante per il giudice nazionale, che deve darvi attuazione anche attraverso la disapplicazione delle norme interne con essa contrastante: cfr. Cass. 26 settembre 2017, n. 22377; Cass. 4
luglio 2014, n. 15354), con la quale è stato statuito che le misure legislative che istituiscono i benefici in favore dei soggetti colpiti dal sisma (e da altre calamità naturali quali l’alluvione del 1994 e la cenere vulcanica del 2002) erano state adotta te in violazione dell’art. 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (T .F.U.E.) e, di conseguenza, ha concluso che esse «costituiscono aiuti di Stato incompatibili con il mercato interno» (punto 133 della decisione).
Orbene, alla luce della normativa nazionale e comunitaria, è evidente che il rimborso del 90% delle somme versate a titolo di imposte dirette non poteva essere erogato in favore di soggetti titolari di redditi d’impresa o di lavoro autonomo.
Nel caso di specie, è accertato e non contestato che i contribuenti siano titolari di un reddito d’impresa, per cui si pone la consequenziale questione dell’accertamento sul rispetto o meno della soglia del c.d. de minimis .
Sul punto, questa Corte ha avuto modo di precisare che « l’art. 9, comma 17, della I. n. 289 del 2002 (recante benefici fiscali in favore delle vittime del sisma del 13 e 16 dicembre 1990 in Sicilia) non è applicabile ai contribuenti che svolgono attività d’impresa, costituendo un aiuto di stato illegittimo, ai sensi dell’art. 108, par. 3, del TFUE, come stabilito dalla decisione della Commissione (UE) 2015/5549 del 14 agosto 2015, la quale ha pure precisato che, per quanto riguarda gli aiuti individuali già concessi prima della data di avvio della decisione e dell’ingiunzione di sospensione, il regime va considerato compatibile con il mercato interno se, in virtù della deroga prevista dall’art. 107, par. 2, lett. b) del T.F.U.E., può essere
stabilito un nesso chiaro e diretto tra i danni subiti dall’impresa in seguito alla calamità naturale e l’aiuto di Stato concesso, dovendosi evitare i casi di sovracompensazione rispetto ai danni subiti, dovuta al cumulo di aiuti, oppure se i benefici risultino in linea con il regolamento ‘de minimis’ applicabile » (cfr. Cass. 25 gennaio 2019, n. 2208; Cass. 26 marzo 2019, n. 8408).
Tutto ciò presuppone necessariamente (ma non unicamente) che il beneficiario abbia sede operativa nell’area colpita dalla calamità naturale al momento dell’evento, e che sia evitata una sovra-compensazione rispetto ai danni subiti dalla impresa, scorporando dal danno accertato l’importo compensato da altre fonti (assicurative o altre misure di aiuto: p. 148 della decisione della Commissione). Inoltre, per il rispetto del principio de minimis , non basta che l’importo chiesto in recupero ed oggetto del singolo procedimento sia inferiore alla soglia fissata dal diritto dell’UE, dovendo invece , la relativa prova, riguardare l’ammontare massimo totale dell’aiuto rientrante nella categoria de minimis su un periodo di tre anni a decorrere dal momento del primo (Cass. 9 giugno 2017, n. 14465).
A tal proposito, è stato precisato che il giudice del merito dovrà, di conseguenza, verificare in concreto che il beneficio individuale sia in linea con il regolamento de minimis applicabile. A tal fine, egli dovrà: i ) non arrestarsi all’importo del rimborso che si domanda, essendo indispensabile richiedere al contribuente l’ulteriore e necessaria autocertificazione (dichiarazione di responsabilità) di non avere usufruito di altri aiuti ed agevolazioni nell’anno cui si riferisce la richiesta di rimborso e nei due precedenti; ii ) tenere presente che la regola de minimis , stabilendo una soglia di aiuto al di sotto della quale
l’art. 92 T.F.U.E. può considerarsi inapplicabile, costituisce un’eccezione alla generale disciplina relativa agli aiuti di Stato, per modo che, quando la soglia dell’irrilevanza dovesse essere superata, il beneficio dovrà essere negato nella sua interezza; iii ) tenere conto, infine, del fatto che, per il rispetto del principio de minimis , non basta che l’importo chiesto in rimborso ed oggetto del singolo procedimento sia inferiore alla soglia fissata del diritto dell’UE, dovendo invece, la relativa prova, riguardare l’ammontare massimo totale dell’aiuto rientrante nella categoria de minimis su un periodo di tre anni a decorrere dal momento del primo (Cass. 26 luglio 2022, n. 23379; Cass. 21 novembre 2019, n. 30373).
Al riguardo, occorre altresì precisare che la prova delle suddette circostanze è a carico del soggetto che invoca il beneficio, ma, in sintonia con quanto affermato da Cass. n. 22377/2017, cit., l’applicazione dello ius superveniens (alla cui stregua va ricondotta la decisione della Commissione UE) consente, in sede di rinvio, l’esibizione di quei documenti prima non ottenibili, ovvero l’accertamento di quei fatti che , in base alla precedente disciplina, non erano indispensabili, ma che costituiscono il p resupposto per l’applicazione della nuova regola giuridica (cfr. in tal senso già Cass. 26 maggio 1998, n. 5224).
3. Ne consegue, pertanto, che la sentenza impugnata deve, sul punto, essere cassata, con rinvio per nuovo giudizio al giudice di secondo grado affinché, in diversa composizione, si pronunci sulla sussistenza o meno dei presupposti di applicabilità del regolamento de minimis , secondo i criteri
indicati in precedenza, nonché per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo giudizio alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia -sezione staccata di Catania, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, l’11 ottobre 2023.