Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20935 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20935 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3362/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura speciale allegata alla memoria di costituzione di nuovo difensore, elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio del dott. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 4267/2016 depositata in data 28/06/2016, non notificata;
Sisma Abruzzo-Cartella 36bis-
udita la relazione tenuta nell’adunanza camerale dell’8 maggio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE impugnava la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA emessa ai sensi dell’art. 36 -bis d.P.R. n. 600 del 1973, con cui erano recuperate le ritenute Irpef non versate per l’anno di imposta 200 9.
La Commissione tributaria provinciale di Roma accoglieva il ricorso.
La Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva l’appello erariale. In particolare, rigettate l’eccezione di inammissibilità dell’appello per novità delle domande e l’eccezione di difetto di contraddittorio per l’omessa evocazione in giudizio di Equitalia Sud s.p.a., nel merito, rilevata la sopravvenuta decisione della Commissione europea n. 2016/195 del 14/08/2015, che qualificava come illegittimo aiuto di stato la sospensione e il differimento del versamento dei tributi previsto per le imprese ubicate in Abruzzo, dopo il sisma del 2009, previsto dall’art. 33, comma 28, della legge n. 183/2011, riformando la sentenza di primo grado, rigettava l’originario ricorso.
Contro tale decisione propone ricorso per cassazione la società in base a sei motivi, cui ha fatto seguito la produzione ex art. 372 c.p.c. di alcuni documenti e il deposito di memoria con ulteriori documenti.
L ‘Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio dell ‘ 8 maggio 2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Occorre preliminarmente evidenziare che in data 15/12/2022 la ricorrente ha prodotto, ai sensi dell’art. 372 c.p.c. , alcuni documenti e precisamente l ‘ istanza di autotutela presentata all’Agenzia delle entrate e la documentazione su cui essa si fonda, con particolare
riferimento alla comunicazione di chiusura nei suoi confronti del procedimento di recupero degli aiuti di stato.
Successivamente in data 28/04/2025 la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380bis .1 c.p.c. nella quale dopo aver richiamato tutto quanto dedotto nel ricorso introduttivo e contestato tutto quanto ex adverso dedotto, ribadendo la piena fondatezza delle sue censure, ha altresì chiesto la cessazione della materia del contendere con compensazione delle spese di lite, in ragione di due sopravvenute circostanze, di cui all ‘ ulteriore documentazione ad essa allegata: a) lo sgravio parziale della cartella n. 09720220178036424 nella quale era confluita la cartella oggetto di giudizio, operato dall’Agenzia delle entrate in data 19/02/2024 in relazione al 60% delle ritenute sospese, come da provvedimento dell’Agenzia delle entrate ; b) l’inserimento del credito nella precisazione dei crediti del concordato preventivo omologato dal Tribunale dell’Aquila e il rigetto dell’opposizione erariale all ‘ omologazione del concordato preventivo.
La produzione documentale allegata alla memoria del 28/04/2025 non può però essere esaminata poiché è inammissibile in quanto depositata in ritardo rispetto al termine previsto dall’art. 372 c.p.c. applicabile ratione temporis, e cioè quindici giorni prima dell’adunanza camerale, fissata nel caso di specie per l’8/05/2025.
L’art. 372 c.p.c., in tema di deposito di documenti nuovi in sede di legittimità, nonostante il testuale riferimento alla sola inammissibilità del ricorso, consente la produzione di ogni documento incidente sulla proponibilità, procedibilità e proseguibilità del ricorso medesimo, inclusi quelli diretti ad evidenziare l’acquiescenza del ricorrente alla sentenza impugnata per comportamenti anteriori all’impugnazione, ovvero la cessazione della materia del contendere per fatti sopravvenuti che elidano l’interesse alla pronuncia sul ricorso purché riconosciuti ed
ammessi da tutti i contendenti (Cass. Sez. U. n. 19976/2024; Cass. n. 3934/2016; Cass. n. 6266/2025).
L’art. 372, secondo comma, c.p.c., ante novella del 2022, prevedeva che il deposito dei documenti potesse avvenire indipendentemente da quello del ricorso, ma che tali documenti dovessero essere notificati, mediante elenco, alle altre parti.
L’art. 3, comma 27, lett. h), del d.lgs. n. 149/2022, nel modificare l’art. 372, secondo comma, c.p.c., ha, da un lato, eliminato l’obbligo di notifica a carico della parte ricorrente dell’elenco dei documenti relativi all ‘ammissibilità del ricorso e ha individuato, dall’altro, un termine entro il quale dover procedere al loro tempestivo deposito, cioè «fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio».
Il d.lgs. n. 149/2022, così come modificato dalla l. n. 197/2022, ha altresì previsto una disciplina di carattere transitorio al fine di accompagnare la progressiva attuazione delle modifiche processuali da esso introdotte.
Per quel che rileva ai fini del presente giudizio, l’art. 35, comma 6, d.lgs. citato, prevede che: «Gli articoli 372 del codice del codice di procedura civile, come modificati o abrogati dal presente decreto, si applicano anche ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio».
Nel caso di specie ricorrono entrambi i presupposti previsti dalla legge affinché possa trovare applicazione il novellato art. 372, secondo comma, c.p.c. in quanto: a) il presente giudizio è stato introdotto con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023, essendo la notifica dello stesso intervenuta in data 27 gennaio 2017; b) alla data del 1° gennaio del 2023 non era ancora intervenuta la fissazione dell’udienza o adunanza in camera di consiglio; b.1) in particolare, la data in cui
può considerarsi fissata l’udienza in camera di consiglio del presente giudizio, ai sensi dell’art. 35, comma 6, del d.lgs. n. 149/2022, deve farsi coincidere con quella della calendarizzazione ufficiale, a firma del Presidente Titolare, cioè il 13/02/2025.
Ciò premesso, va considerato che la modifica dell’art. 372 c.p.c. così come chiarito all’interno della Relazione illustrativa al decreto legislativo n. 149/2022 -risponde all’esigenza di eliminare tutti q uegli adempimenti processuali «che non si rendono più necessari una volta che tali atti depositati telematicamente e quindi inseriti nel fascicolo informatico si rendono, per l’appunto, consultabili dalle altre parti». Se, dunque, l’esigenza di conoscibilità dei predetti documenti è soddisfatta, per le parti, mediante lo strumento di semplificazione del deposito telematico, d’altro lato l’esigenza di «garantire il contraddittorio e consentire al collegio di prendere previa e adeguata conoscenza dei documenti» è, altresì, soddisfatta mediante l’introduzione di un termine entro il quale dover procedere al loro deposito. La ratio della disposizione del novellato art. 372 c.p.c., innanzi evidenziata, consente quindi di affermare che il termine di 15 giorni da essa stabilito per il deposito dei documenti relativi all’ammissibilità del ricorso ha carattere perentorio (Cass. n. 29933/2023; analogamente, in motivazione, Cass. n. 6266/2025; Cass. n. 28196/2024; Cass. n. 9047/2024).
Come osservato di recente da Cass. Sez. U. n. 19976/2024, del resto i termini ex art. 372 e 380bis c.p.c. sono sfalsati, e non a caso, ma proprio per consentire l’interlocuzione alla controparte con memoria (di cui la disposizione novellata specifica la funzione «illustrativa»).
Va poi ulteriormente precisato che l ‘ istanza di cessazione della materia del contendere fa riferimento esclusivamente alla
documentazione depositata in data 28/04/2025 e non a quella depositata in precedenza, costituita da una istanza di annullamento in autotutela con allegati.
Ciò premesso, occorre quindi esaminare il ricorso nel merito.
Con il primo motivo di ricorso, la società deduce la violazione dell’art. 57 d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto la domanda dell’ufficio in appello, volta alla sospensione del giudizio in attesa della pronuncia della Commissione europea, era da considerarsi nuova rispetto alla richiesta di sospensione avanzata in primo grado e finalizzata al riesame in autotutela della lite, dovendo considerarsi errata la valutazione della CTR che si fosse in presenza di emendatio libelli .
2.1. Il motivo è infondato.
In primo luogo, la Commissione UE, con la decisione del 14/08/2015, C(2015) 5549 final ha stabilito all’art. 1 che «Le misure di aiuto di Stato in oggetto (L. 27 dicembre 2012, n. 289, art. 9, comma 17, e successive modifiche e integrazioni; L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 4, comma 90, e successive modifiche e integrazioni; L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 363, e successive modifiche e integrazioni; L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 1011, e successive modifiche e integrazioni; L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 109, e successive modifiche e integrazioni; D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 6, comma 4-bis e 4-ter, e successive modifiche e integrazioni; L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 33, comma 28, e successive modifiche e integrazioni; e tutti gli atti esecutivi pertinenti previsti dalle leggi sopraccitate), che riducono tributi e contributi dovuti da imprese in aree colpite da calamità naturali in Italia dal 1990 e cui l’Italia ha dato effetto in maniera illegale in violazione dell’art. 108, par. 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono incompatibili con il mercato interno».
Tale decisione, come su evidenziato, ha preso in esplicita considerazione anche la disciplina (legge n. 183 del 2011, art. 33, comma 28) su cui si è fondata la difesa nel merito della società contribuente.
Costituisce principio consolidato quello per cui la sopravvenuta decisione della Commissione Europea è immediatamente applicabile trattandosi, ai sensi dell’art. 288 del T.F.U.E, di atto normativo vincolante e, dunque, di jus superveniens , sicché il giudice, anche di legittimità, è tenuto a dare immediata attuazione, anche d’ufficio, alla nuova regolamentazione della materia oggetto della decisione comunitaria (Cass. n. 7319/2012; Cass. n. 13458/2016; Cass. n. 25273/2024), la cui applicazione il giudice nazionale deve attuare anche mediante disapplicazione di norme contrastanti (Cass. n. 15354/2014; Cass. n. 29905/2017; Cass. n. 2208/2019).
Trattandosi di questione rilevabile di ufficio, è irrilevante se e come essa sia stata dedotta dalle parti nei propri atti processuali, per cui il motivo, su tale assunto basato, è infondato.
Con il secondo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 53, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 331 c.p.c., in quanto la CTR avrebbe errato nel non disporre l ‘ integrazione del contraddittorio nei confronti di Equitalia sud s.p.a., agente della riscossione, pur presente nel giudizio di primo grado.
3.1. Il motivo va respinto.
La CTR ha escluso la necessità di integrare il contraddittorio verso l’agente della riscossione sull’assunto che non ci si trovasse in presenza di ipotesi di litisconsorzio necessario, il che è conforme a quanto statuito recentemente da questa Corte che ha affermato il principio di diritto per cui in tema di processo tributario con pluralità di parti, va esclusa l’autonomia della previsione processualtributaria rispetto ai principi codicistici per cui il disposto dell’art. 53, comma 2, d.lgs. n.
546 del 1992 non fa venir meno la distinzione tra cause inscindibili, scindibili e dipendenti, delineata dalle regole processualcivilistiche, cosicché, in base agli artt. 331 e 332 c.p.c., nelle cause scindibili non vi è obbligo di integrare il contraddittorio nei confronti di quelle parti del giudizio di primo grado, il cui interesse alla partecipazione all’appello sia venuto meno (Cass. Sez. U. n. 11676/2024).
Ciò premesso il motivo si limita a ribadire la violazione dell’art. 53, comma 2, sull’assunto che l’agente della riscossione fosse parte del giudizio di primo grado, neanche confrontandosi con la effettiva statuizione della CTR relativa all’assenza di una ipotesi di litisconsorzio necessario.
Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 56 d.lgs. n. 546 del 1992, censurando la sentenza laddove ha ritenuto di non poter pronunciare sulle «censure in rito e sulla domanda subordinata di riduzione delle sanzioni»; si assume infatti che: a) l’art. 56 citato prevede l’onere di riproposizione solo per le domande non accolte laddove nel caso di specie la CTP aveva accolto il ricorso con conseguente assorbimento della domanda relativa alle sanzioni; b) comunque la società aveva riproposto le questioni.
4.1. Il motivo è infondato.
L’onere (a carico dell’appellato) di riproposizione in appello delle eccezioni non accolte in primo grado opera anche nel processo tributario, a norma dell’art. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992, sicché l’omessa specifica riproposizione in sede di gravame preclude l’esame del relativo motivo di ricorso per cassazione (Cass. n. 14925/2011; Cass. n. 12191/2018), e riguarda anche le eccezioni assorbite (la stessa ricorrente evidenzia che la CTP aveva ritenuto assorbite le ulteriori questioni).
Questa Corte ha precisato che ciò vale anche per le domande subordinate, in quanto l’appellato che ha visto accogliere nel giudizio
di primo grado la sua domanda principale è tenuto, per non incorrere nella presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 c.p.c., a riproporre espressamente, in qualsiasi forma indicativa della volontà di sottoporre la relativa questione al giudice d’appello, la domanda subordinata non esaminata dal primo giudice, non potendo quest’ultima rivivere per il solo fatto che la domanda principale sia stata respinta dal giudice dell’impugnazione (Cass. n. 7457/2015, Cass. n. 13721/2020).
Inoltre, l’art. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992 impone che la specifica riproposizione in appello delle domande ed eccezioni avvenga in modo chiaro ed univoco, sia pure per relationem , sicché non è sufficiente il generico richiamo del complessivo contenuto degli atti della precedente fase processuale (Cass. n. 30444/2017), né tanto meno la mera richiesta di conferma della sentenza appellata, come affermato dalla ricorrente e come emerge dalla copia delle controdeduzioni prodotta in atti.
Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, commi 2 e 5, della legge n. 212 del 2000 per carenza della preventiva notifica della comunicazione di irregolarità.
5.1. Il motivo è inammissibile trattandosi di eccezione il cui esame è stato ritenuto correttamente precluso dalla CTR, con la statuizione, infondatamente censurata, di cui al terzo motivo. Pertanto, esso non può essere esaminato in questa sede (vedi la citata Cass. n. 14925/2011).
Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 e dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000.
6.1. Il motivo è inammissibile trattandosi di eccezione il cui esame è stato ritenuto correttamente precluso dalla CTR, con la statuizione, infondatamente censurata, di cui al terzo motivo. Pertanto, anch’esso non può essere esaminato in questa sede.
7. Con il sesto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione della decisione della Commissione europea n. 195 del 14 agosto 2015, avendo la CTR: a) del tutto trascurato di indagare in fatto se l’aiuto individuale rientrasse nei limiti del regolamento de minimis e se potesse beneficiare della deroga prevista dall’art. 107, paragrafo 2 lettera b) TFUE secondo cui il beneficio può essere ritenuto compatibile con il mercato interno a condizione che possa essere stabilito un esso chiaro e diretto tra i danni subiti e l’aiuto di Stat o concesso; b) omesso di considerare che la società operava nel settore sanitario erogando prestazioni polispecialistiche in regime di accreditamento con il SSN, rientrando nei casi di deroga previsti per i servizi di interesse economico generale di cui all’art. 87 TUE, 16 e 86 , comma 2, TUE.
7.1. Il motivo è inammissibile.
E’ certamente vero che in tema di aiuti di Stato, le agevolazioni fiscali, previste dall’art. 33, comma 28, della l. n. 183 del 2011, concernenti il sisma verificatosi in Abruzzo nel 2009, sono consentite quali aiuti individuali ove conformi al regolamento de minimis , nei limiti della soglia della irrilevanza e, in difetto, ove siano comunque compatibili con il mercato interno ovvero quali aiuti destinati a compensare i danni causati da una calamità naturale, sempre che sussista un nesso chiaro e diretto tra i danni subiti dalla singola impresa in seguito alla calamità e l’aiuto concesso, presupponendo che il beneficiario abbia sede operativa nell’area colpita dalla calamità naturale al momento dell’evento e che sia evitata una sovracompensazione con la detrazione dell’importo compensato da altre fonti, nonché il rispetto dell’ammontare massimo totale del contributo su un periodo di tre anni dall’erogazione del primo aiuto (Cass. n. 12858/2022).
Deve evidenziarsi, premesso che l ‘allegazione e prova della sussistenza delle condizioni di inapplicabilità della decisione in tema di
aiuti di Stato è a carico della contribuente, che la parte ricorrente però omette del tutto di indicare se, quando e dove abbia dedotto le questioni indicate col motivo (e cioè la ricorrenza delle condizioni del de minimis , la correlazione col danno subito e la natura dell’attività esercitata), tutte questioni tipicamente attinenti alla ricostruzione del fatto, nel giudizio di merito; per quanto emerge dal ricorso non solo già nel giudizio di merito il tema della ingiunzione pronunciata dalla Commissione a sospendere l’erogazione di aiuti di Stato in favore di imprese era già emerso ma risulta dalla sentenza che la stessa CTR, sopravvenuta in corso del giudizio di appello la decisione della Commissione europea, concesse un termine alle parti per il deposito di memorie difensive, al fine di specificamente valutare la rilevanza della decisione stessa nel giudizio.
Soccorre sul punto il consolidato orientamento secondo cui qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di specificità del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (Cass. n. 3473/2025; Cass. n. 16347/2018; Cass. n. 27568/2017).
Il che nel caso di specie non è avvenuto, mancando ogni riferimento al contenuto degli atti processuali e ad eventuali documenti depositati nel corso del giudizio di merito, relativi all ‘a llegazione e alla prova delle predette circostanze, o anche solo la loro già presenza in atti, non solo in riferimento al regime de minimis ma anche in relazione alla natura dell’attività esercitata (peraltro, questa ultima astrattamente rilevante
già ai fini dell’esclusione dell’ applicazione dell ‘ ingiunzione precedente alla decisione, pure oggetto di discussione nel corso dell’intero giudizio); attività peraltro la quale invero è solo succintamente descritta nel motivo di ricorso, senza alcuna specifica allegazione o prova al riguardo.
Ciò trova peraltro conferma nella lettura della memoria difensiva prodotta dalla società nel giudizio di appello, in vista dell’udienza del 23/05/2016 davanti alla CTR, ove a tali questioni essa non si riferiva in alcun modo, limitandosi a contestare la mancanza di norme interne applicative della sopravvenuta decisione unionale.
Tali considerazioni escludono quindi che la CTR abbia omesso di indagare su tali elementi.
Concludendo, il ricorso va complessivamente respinto.
Alla soccombenza della ricorrente segue la condanna al pagamento delle spese di lite.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore di Agenzia delle entrate, spese che liquida in euro 10.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inse rito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma in data 8 maggio 2025.