Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4775 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 4775 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/02/2025
Avv. Acc. IRAP 2008
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 27841/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentate pro tempore , con sede in Torrenova (ME), INDIRIZZO, rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME e domiciliata ope legis presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, INDIRIZZO Roma.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. SICILIA n. 2567/10/2020, depositata in data 29 aprile 2020.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 27 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Dato atto che il Sostituto Procuratore Generale, nella persona della dr.ssa NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta concludendo per l’accoglimento del ricorso.
Sentita l’Avvocatura Generale dello Stato, nella persona del dott. NOME COGNOME che ha richiesto l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate -direzione provinciale di Messina notificava accertamento alla società RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE, per mezzo del quale si recuperava l’IRAP dovuta in quanto la società nel relativo presentato per il 2008 aveva invocato il codice di Esenzione E5 che corrisponde, come da istruzioni ministeriali per la Sicilia, all’esenzione di cui all’art. 15 della Legge Regionale n. 21 del 29 dicembre 2003, oggetto di contestazione dalla Comunità Economica Europea. In tal senso, la Commissione Europea aveva stabilito che il regime di aiuti cui l’Italia intende dare esecuzione mediante applicazione degli articoli 14, 15 e 16 della Legge della Regione Sicilia n. 21 del 2003 costituisce aiuto di Stato, che viola l’art. 87 del Trattato C.E.E. ed è incompatibile con il mercato comune, per cui ad esso non può essere data esecuzione.
Avverso l’ avviso di accertamento la società contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Messina; si costituiva in giudizio anche l’Ufficio, contestando i motivi di ricorso e chiedendo la conferma del proprio operato.
La C.t.p., con la sentenza n. 222/13/2013, accoglieva il ricorso della società contribuente sul presupposto che, trattandosi di aiuti cd. ‘de minimis’, il relativo importo, essendo di piccola entità, è da considerare irrilevante ed inidoneo a generare turbative del mercato e della concorrenza.
Contro tale decisione proponeva appello l’Agenzia delle Entrate dinanzi la C.t.r. della Sicilia; si costituiva anche la società contribuente, chiedendo il rigetto dell’appello.
Con sentenza n. 2567/10/2020, depositata in data 29 aprile 2020, la C.t.r. adita rigettava il gravame dell’Ufficio sul presupposto che la speciale esenzione riguardante le attività connesse all’esportazione di cui all’art. 1, paragrafo 1, Regolamento CE 1998/2006 trovava la sua ratio nel vietare forme di protezionismo ossia interventi statali nell’economia per proteggere l’industria nazionale, attuabile sia attraverso l’imposizione di dazi che ostacolano o impediscono la concorrenza di prodotti stranieri sul mercato nazionale, sia attraverso premi all’esportazione di prodotti nazionali.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Sicilia, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo e la società contribuente ha resitito con controricorso.
Con istanza del 9 marzo 2023, l’Avvocatura generale dello Stato ha fatto presente che con nota 230381/22 del 28 novembre 2022 la Direzione Provinciale di Messina comunica la domanda di definizione della controversia presentata ai sensi degli artt. 6 e 7 del D.-L. n. 119/18, era stata rigettata ed instava per la fissazione dell’udienza di discussione.
La causa è stata trattata nella pubblica udienza del 27 novembre 2024.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione dell’art. 2, lett. d, del Regolamento CEE n. 1998/2006, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. non ha ritenuto che il Regolamento CEE n. 1998/2006 (‘aiuti ad attività connesse all’esportazione verso Paesi terzi o Stati membri’) vietasse i detti aiuti laddove siano rivolti ad attività connesse all’esportazione verso Paesi terzi o Stati membri, anche qualora essi non superino la soglia de minimis , concludendo per la legittimità degli aiuti del caso di specie.
2. Il motivo è fondato.
La decisione necessita di un logico excursus normativo.
2.1. L’art. 15 della legge regionale Sicilia n.21 del 29712/2003, titolato Incentivi alle imprese operanti in Sicilia, sancisce: ‘Al fine di incentivare lo sviluppo dell’economia siciliana, è concessa l’esenzione dall’imposta regionale sulle attività produttive di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 e successive modifiche ed integrazioni, per i cinque periodi di imposta successivi a quelli in corso al 31 dicembre 2003, alle imprese già operanti in Sicilia per la parte di base imponibile eccedente la media di quella dichiarata nel triennio 2001-2003, ad esclusione delle industrie chimiche e petrolchimiche. 2. L’esenzione di cui al comma 1 è riconosciuta a condizione che la sede legale, gli uffici amministrativi, gli stabilimenti di produzione e/o unità operative siano ubicati nel territorio della Regione siciliana. 3. L’applicazione della presente disposizione è subordinata al rispetto della vigente normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato, nonché della definizione della procedura di cui all’articolo 88, paragrafi 2 e 3, del Trattato istitutivo della Comunità europea. 4. Agli eventuali oneri derivanti dall’applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo si fa fronte con successivi specifici provvedimenti legislativi da emanarsi dopo la definizione positiva del procedimento di controllo comunitario.’
Pertanto, l’applicabilità della norma sugli incentivi alle imprese operanti in Sicilia, è espressamente subordinata al rispetto della vigente normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato. Del resto, il principio del primato (definito anche «preminenza» o «supremazia») del diritto dell’Unione europea (Unione) si basa sull’idea che, ove insorga un conflitto tra un aspetto del diritto dell’Unione e un aspetto del diritto di uno Stato membro dell’Unione (diritto nazionale), prevale il diritto dell’Unione; se così non fosse, gli Stati membri potrebbero semplicemente consentire al
loro diritto nazionale di avere la precedenza sul diritto primario o derivato dell’Unione e il perseguimento delle politiche dell’Unione diverrebbe impraticabile.
2.2. Tanto premesso, l’art. 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) statuisce che ‘1. Salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza. 2. Sono compatibili con il mercato interno: a) gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall’origine dei prodotti; b) gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali;
gli aiuti concessi all’economia di determinate regioni della Repubblica federale di Germania che risentono della divisione della Germania, nella misura in cui sono necessari a compensare gli svantaggi economici provocati da tale divisione. Cinque anni dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare una decisione che abroga la presente lettera. 3. Possono considerarsi compatibili con il mercato interno:a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione, nonché quello delle regioni di cui all’articolo 349, tenuto conto della loro situazione strutturale, economica e sociale; b) gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro;
gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di
talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse; d) gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nell’Unione in misura contraria all’interesse comune; e) le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, su proposta della Commissione’.
L”incompatibilità con il mercato interno degli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza, discende, quindi, dalla necessità che l’attività economica non abbia a migliore la posizione economica sul mercato del beneficiario nei confronti di altre imprese concorrenti, non essendo necessario che l’aiuto abbia un reale effetto sugli scambi all’uopo essendo sufficiente che l’aiuto possa incidere su tali scambi, in tal modo tutelando il gioco della libera concorrenza ed il regolare funzionamento del mercato interno.
2.3. Si legge nel documento n. 67 del 18 giugno 2024 in tema di aiuti di stato (parte generale) Documentazione e ricerche della Camera dei deputati, XIX legislatura, che ‘L’aiuto di Stato -intervenendo sul mercato a sostegno di determinati settori o operatori economici che vi partecipano – costituisce uno strumento di politica economica suscettibile di determinare, se selettivo ed ingiustificato, una distorsione della concorrenza e di restringere la libera circolazione delle merci e dei servizi. La disciplina europea fissa i criteri generali in presenza dei quali l’aiuto è vietato e istituisce un sistema di controllo, ex ante ed ex post, onde evitare che ‘il sostegno finanziario pubblico provochi una alterazione della competizione tra le imprese all’interno del mercato comune’e un danno ai consumatori. Per questi ultimi, le distorsioni della concorrenza possono tradursi in aumenti di prezzi, prodotti di qualità inferiore, minore innovazione’.
2.4. L’art. 1 lett. d) del regolamento CE n. 1998/2006, relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato agli aiuti d’importanza minore («de minimis»), applicabile ratione temporis , stabilisce che il regolamento medesimo si applica agli aiuti concessi alle imprese di qualsiasi settore, ad eccezione, per quel che qui interessa, (lett. d) agli aiuti ad attività connesse all’esportazione verso paesi terzi o Stati membri, ossia aiuti direttamente collegati ai quantitativi esportati, alla costituzione e gestione di una rete di distribuzione o ad altre spese correnti connesse con l’attività d’esportazione. Nel medesimo regolamento, viene spiegato che ‘Il presente regolamento non si dovrebbe applicare agli aiuti «de minimis» alle esportazioni né gli aiuti «de minimis» che favoriscono i prodotti nazionali rispetto ai prodotti importati. Non dovrebbe in particolare applicarsi agli aiuti che finanziano la costituzione e la gestione di una rete di distribuzione in altri paesi. Non costituiscono di norma aiuti all’esportazione gli aiuti inerenti ai costi di partecipazione a fiere commerciali né quelli relativi a studi o servizi di consulenza necessari per il lancio di nuovi prodotti ovvero per il lancio di prodotti già esistenti su un nuovo mercato (punto 6 delle considerazioni preliminari). Si è così ritenuto che gli aiuti all’esportazione, per quanto d’importo modesto, rientrano tra gli aiuti idonei ad incidere sugli scambi tra Stati membri e ciò direttamente, attribuendo un vantaggio concorrenziale ai prodotti esportati o indirettamente, incentivando da parte degli altri Stati membri determinate contromisure simmetriche destinate a compensare il suddetto vantaggio concorrenziale.
2.5. Nella fattispecie in esame, non è contestato che la società controparte abbia svolto cessioni con l’estero in modo rilevante nell’anno 2001, per € 759.875,33, nell’anno 2002, per € 671.810,97, nell’anno 2003, per € 1.563.975,08, nell’anno 2004, per € 1.904.976,23, nell’anno 2005, per € 3.525.586,39, nell’anno
2006 per € 6.484.037,73, nell’anno 2007, per € 4.322.307,72, per l’anno 2008, per € 3.198.356,08, per l’anno 2009, per € 1.836.449,33, per l’anno 2010, per € 890.803,78; inoltre, risultano contabilizzate bollette doganali per importanti importi a seguito di cessioni con paesi della comunità europea.
2.6. La C.t.r., con una motivazione non conforme ai principi unionali testè illustrati, ha opinato che la speciale esenzione riguardante le attività connesse all’esportazione di cui all’art. 1, paragrafo 1, Regolamento CE 1998/2006 trovava la sua ratio nel vietare forme di protezionismo ossia interventi statali nell’economia per proteggere l’industria nazionale, attuabile sia attraverso l’imposizione di dazi che ostacolano o impediscono la concorrenza di prodotti stranieri sul mercato nazionale, sia attraverso premi all’esportazione di prodotti nazionali. ‘E’ pertanto proprio ai premi all’esportazione il regolamento comunitario intende riferirsi nel vietare gli aiuti di Stato, non certo ad agevolazioni in materia di IRAP che spettano alle aziende siciliane alle condizioni date, indipendentemente dalla destinazione della produzione al mercato interno o estero, in quanto esse non influiscono direttamente sulla propensione dell’impresa l’esportazione’
2.7. Non vale a smentire la ricostruzione operata da questa Corte il fatto che l’art. 35 TFUE vieta le restrizioni quantitative all’esportazione fra gli Stati membri nonché qualsiasi misura di effetto equivalente. Invero la valutazione della compatibilità dell’art. 1, paragrafo 1, lett. d) del regolamento 1998/2006 poggia su tre argomentazioni.
2.7.1. In primo luogo il divieto delle restrizioni quantitative all’esportazione e delle misure di effetto equivalente si impone sia alle autorità dell’unione quanto agli Stati membri in modo che la validità di una disposizione di diritto derivato può essere posto in discussione su tale base anche mediante una questione pregiudiziale diretta a valutarne la validità (in tal senso, sentenza
18 maggio 1984, RAGIONE_SOCIALE, 15/83, EU:C:1984, punto 15).
2.7.2 Di poi, mentre l’art. 1, paragrafo 1, lett. d) del regolamento 1998/2006 guarda le esportazioni verso Stati terzi o Stati membri l’art. 35 TFUE si applica soltanto alla circolazione delle merci tra gli Stati membri; di conseguenza l’art. 1, paragrafo 1, lett. d) del regolamento 1998/2006, nei limiti in cui riguarda le esportazioni verso gli Stati terzi non può essere contrario all’art. 35 TFUE.
2.7.3. Infine, l’art. 1, paragrafo 1, lett. d) del regolamento 1998/2006 non stabilisce direttamente restrizioni quantitative all’esportazione.
2.7.4. Inoltre, la disposizione in esame non può essere qualificata come misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa ed esportazione e ciò perchè la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dichiarato che è una misura nazionale applicabile a tutti gli operatori attivi sul territorio nazionale che di fatto incide maggiormente sull’uscita dei prodotti dal mercato dello Stato membro di esportazione che sulla commercializzazione degli stessi sul mercato nazionale detto Stato membro rientra nel divieto di cui all’art. 35 TFUE (sentenza 21 giugni 2016, New Valmar, C-15/15, EU:C:2016:464, punto 36 e la giurisprudenza ivi citata). Il divieto degli aiuti connessi all’esportazione verso Stati membri anche qualora essi non superano la soglia del de minimis, prevista dall’art. 1, paragrafo 1, lett. d) del regolamento 1998/2006, è di per sé priva di effetto sugli scambi dato che si limita a imporre agli Stati membri di astenersi dal concedere un certo tipo di aiuti; di conseguenza, si ripete, una normativa siffatta non costituisce una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all’esportazione, vietata dall’art. 35 TFUE.
In conclusione il ricorso va accolto e non essendo necessari ulteriori accertamento di fatto la causa può essere decisa nel
merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con il rigetto dell’originario ricorso della società contribuente.
Compensa i gradi di merito.
Le spese del giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente.
Compensa i gradi di merito.
Condanna il controricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 3.900,00, oltre a spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma il 27 novembre 2024.