Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16473 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16473 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/06/2025
DINIEGO RIMBORSO -IRPEF 2002.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20659/2016 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro-tempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege , -ricorrente – contro
NOMECOGNOME non costituito,
-intimato – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia -sezione staccata di Foggia n. 350/27/2016, depositata il 15 febbraio 2016;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza in camera di consiglio del 19 febbraio 2025 dal consigliere relatore dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME NOME, residente in Pietramontecorvino (FG), richiedeva, con istanza pervenuta all’Agenzia delle Entrate Direzione provinciale di Foggia il 16 febbraio 2011, il rimborso dei tributi pagati nel periodo di sospensione dal 31 ottobre 2002 al 28 gennaio 2009, nella misura del 60% versato, in forza di quanto previsto dall’ art. 6, comma 4bis , del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, conv. dalla l. 28 gennaio 2009, n. 2 (richiamante l’art. 3 del d.l. 23 ottobre 2008, n. 162, conv. dalla l. 22 dicembre 2008, n. 201) per i residenti nei territori del Molise e della Puglia colpiti dagli eventi sismici del 31 ottobre 2002.
Formatosi, sull’istanza in questione, il silenzio-rifiuto, il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Foggia la quale, con sentenza n. 364/04/2012, depositata il 10 ottobre 2012, lo accoglieva, ordinando il rimborso richiesto.
Interposto gravame dall’Agenzia delle Entrate , la Commissione Tributaria Regionale della Puglia -sezione staccata di Foggia, con sentenza n. 350/27/2016, pronunciata il 4 dicembre 2015 e depositata in segreteria 15 febbraio 2016, rigettava l’appello, compensando le spese di lite.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, sulla base di un unico motivo (ricorso notificato il 12 settembre 2016).
NOME NOME è rimasto intimato.
Con decreto del 2 dicembre 2024 è stata fissata per la discussione del ricorso dinanzi a questa sezione l’adunanza in camera di consiglio del 19 febbraio 2025, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1 c.p.c.
– Considerato che:
1. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 4 -bis , del d.l. n. 185/2008, conv. dalla l. n. 2/2009, nonché della decisione della Commissione Europea C(2015)-5549 del 14 agosto 2015, Final , in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Rileva, in particolare, l’Ufficio che erroneamente la C.T.R. aveva ritenuto che, nel caso di specie, non potesse applicarsi la normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato, in quanto, al contrario, avrebbe dovuto disapplicare la normativa interna di cui all’art. 6, commi 4 -bis e 4ter , del d.l. n. 185/2008, conv. dalla l. n. 2/2009, in considerazione del principio di primazia del diritto comunitario, avendo la Commissione Europea ritenuto detta normativa incompatibile con il mercato interno.
2. Il motivo è fondato.
La Commissione UE, con la decisione del 14 agosto 2015, C(2015)-5549, Final (che il giudice nazionale deve attuare anche mediante disapplicazione di norme contrastanti; conf. Cass. 26 settembre 2017, n. 22377; Cass. 13 dicembre 2017, 29905), stabilisce all’art. 1 che «Le misure di aiuto di Stato in oggetto (L. 27 dicembre 2012, n. 289, art. 9, comma 17 e successive modifiche e integrazioni; L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 4, comma 90 e successive modifiche e integrazioni; L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 363 e successive modifiche e integrazioni; L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 1011, e successive modifiche e integrazioni; L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 109 e successive modifiche e integrazioni; D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 6, commi 4bis e 4ter , e successive modifiche e integrazioni;
l. 12 novembre 2011, n. 183, art. 33, comma 28 e successive modifiche e integrazioni; e tutti gli atti esecutivi pertinenti previsti dalle leggi sopraccitate), che riducono tributi e contributi dovuti da imprese in aree colpite da calamità naturali in Italia dal 1990 e cui l’Italia ha dato effetto in maniera illegale in violazione dell’art. 108, par. 3, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, sono incompatibili con il mercato interno».
E’ fatta salva l’ipotesi che si tratti di un “aiuto individuale” che «al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal regolamento (CE) n. 1407/2013 o dal regolamento (CE) n. 717/2014», ovvero dai regolamenti che prevedono gli aiuti c.d. de minimis (art. 2 dec. cit.), o che, «al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal regolamento adottato in applicazione dell’articolo 1 del regolamento (CE) n. 994/98» (sull’applicazione degli artt. 92 e 93 – ora artt. 87 e 88 – del Trattato a determinate categorie di aiuti di Stato orizzontati), «o da ogni altro regime di aiuti approvato», ma «fino a concorrenza dell’intensità massima prevista per questo tipo di aiuti» (art. 3 dec. cit.).
Secondo la Commissione UE, «una decisione negativa in merito ad un regime di aiuti non pregiudica la possibilità che determinati vantaggi concessi nel quadro dello stesso regime non costituiscano di per sé aiuti di Stato o configurino, interamente o in parte, aiuti compatibili con il mercato interno (ad esempio perché il beneficio individuale è concesso a soggetti che non svolgono un’attività economica e che pertanto non vanno considerati come imprese oppure perché il beneficio individuale è in linea (con) il regolamento de minimis
applicabile oppure perché il beneficio individuale è concesso in conformità di un regime di aiuto approvato o un regolamento di esenzione)» (p. 134 dec. cit.).
Orbene, la nozione comunitaria d’impresa include qualsiasi entità che eserciti un’attività economica a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento, laddove costituisce attività economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato (Corte di Giustizia CE 23 aprile 1991, COGNOME & COGNOME; 16 novembre 1995, Federation francaise des societes d’assurances; 11 dicembre 1997, Job Centre; 16 giugno 1987; Corte di Giustizia UE, Commissione vs. Italia, 1° luglio 2008, Motoe; 26 marzo 2009, RAGIONE_SOCIALE). Il che si raccorda sia con la normativa fiscale europea, laddove si stabilisce che è soggetto passivo d’imposta sul valore aggiunto «chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività» (art. 9, p.1, Direttiva UE, n. 2006/112/CE; conf. art. 4, Direttiva UE, n. 77/388/CE), sia con la normativa europea sugli appalti pubblici, laddove si stabilisce che «i termini imprenditore, fornitore e prestatore di servizi designano una persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti e servizi» (art. 1, p.8, Direttiva UE, n. 2004/18/CE). Il tutto è implicitamente recepito dalla ridetta decisione della Commissione UE, laddove si afferma che i «soggetti che non svolgono attività economica (…) non vanno considerati come imprese» (p. 134 dec. cit.). Il che significa che non importa
neppure che l’attività economica possa essere una libera professione regolamentata e che le prestazioni possano essere intellettuali, tecniche o specialistiche (v. Commissione UE, 30 gennaio 1995, n. 95/188/CE; conf. Corte Giustizia CE, 23 aprile 1991, Hoefner e 18 giugno 1998, Commissione vs. Italia).
Nel caso di specie, la C.T.R. avrebbe dovuto, quindi, per prima cosa appurare lo svolgimento di un’attività economica (commerciale o professionale) da parte del contribuente.
Una volta assodato lo svolgimento di tale attività, il medesimo giudice di merito è tenuto a verificare in concreto che il beneficio individuale sia in linea con il regolamento de minimis applicabile (artt. 2 e 3 dec. cit.), «tenendo conto, in specie, che la regola de minimis , stabilendo una soglia di aiuto al di sotto della quale l’art. 92, n. 1, TFUE, può considerarsi inapplicabile, costituisce un’eccezione alla generale disciplina relativa agli aiuti di Stato, per modo che, quando la soglia dell’irrilevanza dovesse essere superata, il beneficio dovrà essere negato nella sua interezza» (Cass., n. 22377/2017, cit.; conf. n. 29905/2017, cit.). In difetto, il giudice di merito deve valutare la sussistenza delle condizioni che, secondo la ridetta decisione della Commissione UE, fanno ritenere comunque compatibili gli aiuti in esame con il mercato interno, ai sensi dell’art. 107, par. 2, lett. b) TFUE, ovvero che si tratti di «aiuti destinati a compensare i danni causati da una calamità naturale» (p. 150, lett. b), dec. cit.), sempre che sussista «un nesso chiaro e diretto tra i danni subiti dalla singola impresa in seguito alle calamità naturali in oggetto e l’aiuto di Stato concesso a norma delle misure in esame» (p. 136 dec. cit.). Il che presuppone necessariamente (ma non unicamente) che il beneficiario abbia
sede operativa nell’area colpita dalla calamità naturale al momento dell’evento, e che sia evitata una sovracompensazione rispetto ai danni subiti dalla impresa, scorporando dal danno accertato l’importo compensato da altre fonti (assicurative o da altre misure di aiuto; p. 148 dec. cit.).
Inoltre, per il rispetto del principio de minimis , non basta che l’importo chiesto in rimborso ed oggetto del singolo procedimento sia inferiore alla soglia fissata del diritto dell’UE, dovendo invece la relativa prova riguardare l’ammontare massimo totale dell’aiuto rientrante nella categoria de minimis su un periodo di tre anni a decorrere dal momento del primo (Cass. 9 giugno 2017, n. 14465).
A tal proposito, è stato precisato che il giudice del merito dovrà, di conseguenza, verificare in concreto che il beneficio individuale sia in linea con il regolamento de minimis applicabile. A tal fine, egli dovrà: i ) non arrestarsi all’importo del rimborso che si domanda, essendo indispensabile richiedere al contribuente l’ulteriore e necessaria autocertificazione (dichiarazione di responsabilità) di non avere usufruito di altri aiuti ed agevolazioni nell’anno cui si riferisce la richiesta di rimborso e nei due precedenti; ii ) tenere presente che la regola de minimis , stabilendo una soglia di aiuto al di sotto della quale l’art. 92 T.F.U.E. può considerarsi inapplicabile, costituisce un’eccezione alla generale disciplina relativa agli aiuti di Stato, per modo che, quando la soglia dell’irrilevanza dovesse essere superata, il beneficio dovrà essere negato nella sua interezza; iii ) tenere conto, infine, del fatto che, per il rispetto del principio de minimis , non basta che l’importo chiesto in rimborso ed oggetto del singolo
procedimento sia inferiore alla soglia fissata del diritto dell’UE, dovendo invece la relativa prova riguardare l’ammontare massimo totale dell’aiuto rientrante nella categoria de minimis su un periodo di tre anni a decorrere dal momento del primo (Cass. 10 gennaio 2024, n. 935; Cass. 26 luglio 2022, n. 23379; Cass. 21 novembre 2019, n. 30373).
Al riguardo, occorre precisare che la prova delle suddette circostanze è a carico del soggetto che invoca il beneficio, ma, in sintonia con quanto affermato da Cass. n. 22377/2017, cit., l’applicazione dello ius superveniens (alla cui stregua va ricondotta la decisione della Commissione UE) consente, in sede di rinvio, l’esibizione di quei documenti prima non ottenibili ovvero l’accertamento di quei fatti che in base alla precedente disciplina non erano indispensabili, ma che costituiscono il presupposto per l’applicazione della nuova regola giuridica (cfr. in tal senso già Cass. 26 maggio 1998, n. 5224).
Nella specie, mancando agevolazioni concesse e da recuperare, è il contribuente stesso che, avendo assolto a suo tempo all’intera imposizione fiscale, chiede il rimborso dell’eccedenza versata rispetto al dovuto in applicazione del d.l. n. 185/2008, art. 6, commi 4bis e 4ter . Il che comporta che alcune verifiche fattuali, ora richieste dalla decisione della Commissione (come la circostanza che l’aiuto per importi e arco temporale sia in linea con il regolamento de minimis ), influiscono sulla valutazione finale della domanda .
Ovviamente l’onere di provare le suddette circostanze incombe al soggetto che invoca il beneficio. Tuttavia,
l’applicazione dello ius superveniens , rappresentato dalla vincolante decisione della Commissione UE (sopravvenuta nel corso del giudizio di appello), e la sua diretta incidenza sulla decisione della lite, nel determinare la cassazione della sentenza delle Corte regionale, consentono l’esibizione, in sede di rinvio, degli ulteriori documenti necessari per l’accertamento di quei fatti che, in precedenza, non erano indispensabili ai fini della decisione, ma che ora costituiscono il presupposto per l’applicazione della nuova regola giuridica dell’UE (Cass. 2 maggio 2018, n. 10450; Cass. 26 settembre 2017, n. 22377).
3. Il ricorso va, pertanto, accolto nei termini sopra enunciati, con cassazione della sentenza in relazione al motivo accolto e rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia -sezione staccata di Foggia, cui è demandato di procedere a nuovo esame in conformità ai superiori principi di diritto, osservando la decisione della Commissione UE del 14/08/2015, e di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia -sezione staccata di Foggia, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2025.