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Aggiornamento Istat canone: serve la richiesta

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8299/2025, ha stabilito che l’aggiornamento Istat del canone di locazione, anche se previsto contrattualmente, non genera automaticamente un reddito imponibile. Per la tassazione è necessaria la prova dell’effettiva richiesta da parte del locatore o della percezione della somma. Il Fisco non può basare un accertamento sulla sola clausola contrattuale, poiché questa non dimostra che il reddito sia stato effettivamente conseguito dal contribuente. Lo stesso principio è stato esteso agli interessi su lavori di ristrutturazione previsti nel contratto.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Aggiornamento Istat Canone: Quando è Tassabile? La Cassazione Spiega

L’aggiornamento Istat canone di locazione è una clausola comune in molti contratti, ma la sua sola presenza è sufficiente a generare un reddito tassabile, anche se il locatore non lo ha mai richiesto né incassato? A questa domanda cruciale ha risposto la Corte di Cassazione con una recente ordinanza, chiarendo i presupposti per l’imponibilità di tali somme e fornendo un principio di diritto fondamentale per proprietari e inquilini.

I Fatti di Causa

Il caso nasce da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a una società proprietaria di un immobile. L’Amministrazione Finanziaria contestava alla società la mancata dichiarazione di maggiori redditi derivanti da un contratto di locazione per gli anni 2010 e 2011. Nello specifico, il Fisco riteneva che la società avesse omesso di dichiarare due tipi di proventi previsti dal contratto: l’incremento annuale del canone basato sugli indici Istat e gli interessi dovuti dal locatario sulle spese di ristrutturazione dell’immobile.

La società contribuente si è opposta, sostenendo di non aver mai effettivamente percepito tali somme, in quanto non le aveva mai richieste al proprio inquilino. La sua difesa si basava su un punto semplice: nessun incasso, nessuna imposta.

L’Iter Giudiziario e l’Approdo in Cassazione

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale hanno dato ragione alla società, annullando l’atto impositivo. I giudici di merito hanno ritenuto che la mera previsione contrattuale non fosse una prova sufficiente del conseguimento effettivo del reddito. L’Agenzia delle Entrate, non soddisfatta della decisione, ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che la clausola contrattuale fosse di per sé sufficiente a far presumere l’incasso delle somme e che, di conseguenza, queste dovessero essere tassate.

La Tassazione dell’Aggiornamento Istat Canone Secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando le sentenze dei gradi precedenti. Il principio chiave ribadito dai giudici è che, in materia di locazioni, il diritto del locatore a percepire il canone aggiornato sorge solo nel momento in cui ne fa esplicita richiesta al conduttore. Non si tratta di un automatismo.

La Corte ha richiamato la propria giurisprudenza consolidata, secondo cui la richiesta di adeguamento è una “condizione per il sorgere del relativo diritto”. In assenza di tale richiesta, il locatore non matura un credito esigibile nei confronti dell’inquilino. Di conseguenza, non si può parlare di un reddito percepito o che si sarebbe dovuto percepire, e quindi non vi è materia imponibile su cui applicare le imposte.

Lo stesso principio è stato esteso, per “comunanza di ratio”, anche agli interessi sulle spese di ristrutturazione. Anche in questo caso, la sola pattuizione contrattuale non basta a dimostrare che il reddito sia stato prodotto. Spetta all’Amministrazione Finanziaria l’onere di provare non solo l’esistenza della clausola, ma anche l’effettiva corresponsione delle somme o, quantomeno, la richiesta di pagamento.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano sulla distinzione tra la previsione di un diritto potenziale nel contratto e la sua effettiva nascita. La prospettazione dell’Agenzia delle Entrate si basava esclusivamente su una presunzione derivante dal contratto, senza alcun ulteriore elemento probatorio. La Cassazione ha sottolineato che, sebbene la legislazione abbia eliminato la necessità di una richiesta preventiva per l’aggiornamento, non ha eliminato la necessità della richiesta stessa come atto costitutivo del diritto. La volontà del locatore di avvalersi della clausola di adeguamento deve essere manifestata. Pertanto, l’onere della prova dell’avvenuta percezione del reddito (o almeno della sua richiesta) ricade sull’Amministrazione Finanziaria. Basare un accertamento solo sulla carta del contratto, senza verificare la realtà dei flussi finanziari, è stato ritenuto illegittimo.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza offre importanti spunti pratici. Per i proprietari di immobili (locatori), stabilisce che non si rischia di essere tassati su un reddito “fantasma”, cioè previsto contrattualmente ma mai richiesto né incassato. Per attivare la clausola di aggiornamento Istat canone e renderla un reddito imponibile, è necessario inviare una comunicazione formale all’inquilino. Per l’Agenzia delle Entrate, la decisione rappresenta un monito: per contestare un’evasione su questi elementi, non è sufficiente allegare il contratto di locazione, ma occorre fornire prove più concrete, come la prova della richiesta di pagamento o la traccia dei versamenti. In sintesi, la Corte tutela il principio di capacità contributiva, secondo cui le imposte devono essere pagate su ricchezza effettiva e non solo potenziale.

L’adeguamento ISTAT del canone di locazione è automatico se previsto nel contratto?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che non è automatico. Il diritto del locatore a percepire il canone aggiornato sorge solo dal momento in cui ne fa esplicita richiesta al conduttore, poiché tale richiesta è la condizione per il sorgere del diritto stesso.

La sola clausola contrattuale è sufficiente per l’Agenzia delle Entrate per tassare l’aggiornamento Istat canone?
No, la mera previsione contrattuale non è sufficiente. L’Amministrazione Finanziaria deve fornire la prova che il maggior canone sia stato effettivamente richiesto e/o percepito, in quanto la clausola da sola non dimostra l’effettiva percezione del reddito.

Questo principio si applica anche ad altri importi previsti nel contratto, come gli interessi su lavori di ristrutturazione?
Sì, la Corte ha esteso lo stesso principio, per comunanza di ratio, anche agli interessi contrattualmente pattuiti per le spese di ristrutturazione. Anche in questo caso, per poterli sottoporre a imposizione, è necessario dimostrare che siano stati richiesti e/o corrisposti, non bastando la sola previsione nel contratto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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