Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8139 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8139 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16299/2023 R.G. proposto da: NOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOMECOGNOMENOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. dell’ ABRUZZO n. 178/2023 depositata il 09/03/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, con la sentenza n. 178/2023, nell’accogliere l’appello avanzato dall’Agenzia delle Entrate e rigettare l’appello incidentale della contribuente NOME COGNOME affermava la legittimità dell ‘atto impositivo impugnato sia in ordine alla disposta decadenza dei benefici della prima casa, sia relativamente alla rettifica del valore dichiarato.
Contro detta sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a sette motivi, illustrati con successiva memoria. 3. L’Ufficio resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4, c.p.c., nullità della sentenza, in relazione all’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia in ordine all’eccepita inammissibilità dell’appello dell’ufficio.
Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4, c.p.c., nullità della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c. per extra petizione ed in relazione all’art. 132, comma secondo, n.4. c.p.c. per avere i giudici di appello adottato motivazioni ed argomentazioni contraddittorie ed inconciliabili, inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice.
Con il terzo motivo rileva, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c., nullità della sentenza in relazione all’art. 113 c.p.c. per violazione dell’obbligo di pronuncia secondo le norme di diritto , ed in relazione all’art. 112 c.p.c. per omesso esame ed omessa pronuncia nonchè ex art. 360, primo comma n. 4 c.p.c., nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, secondo comma n. 4 c.p.c. per carenza motivazionale ed inidoneità a far conoscere il ragionamento seguito
dal giudice in ordine al ritenuto obbligo di ultimazione dei lavori entro il triennio dalla data di acquisto.
Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 76, comma 2, d.P.R. n. 131/86 in ordine all’avvenuto adempimento dell’obbligo di riunione dei subalterni; ai sensi dell’art. 360, pr imo comma, n.4, c.p.c., nullità della sentenza in relazione agli artt. 112 e 115 c.p.c. per omessa pronuncia e valutazione in ordine alle prove attestanti la volontà e l’effettiva unione dei due subalterni in un’unica unità abitativa ed, ancora, ai sensi d ell’art. 360, primo comma, n.4, c.p.c., nullità della sentenza in relazione all’art. 132, secondo comma, 2 n. 4 c.p.c. per vizio motivazionale in ragione delle argomentazione contraddittorie ed illogiche, inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice.
Con il quinto motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4, c.p.c., nullità della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c. , per omessa pronuncia in punto di prove attestanti la volontà e l’effettivo intervenuto accorpamento in un’unica unità abitativa, nonché ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c., per violazione ed errata applicazione dell’art. 76, comma 2, del d.P. R. 131/86 in ordine alla individuazione del termine iniziale di decorrenza.
Con il sesto motivo rileva, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4, c.p.c., nullità della sentenza in relazione all’art. 112 per extra petizione e ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4, c.p.c., violazione ed erronea applicazione degli artt. 76 comma 1-bis e 52, comma 4, del d.P.R. 131/86, per omesso accertamento della decadenza dal potere di rettifica e per illegittima rideterminazione del valore dichiarato in conformità alle previsioni di cui all’art. 52 comma 4.
Con il settimo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4, c.p.c., nullità della sentenza in relazione all’art. 112 per extra petizione ed in relazione all’art. 132, comma secondo, n.4.
c.p.c. per avere i giudici di appello adottato motivazioni ed argomentazioni contraddittorie ed inconciliabili, inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice.
Il ricorso deve essere respinto per le ragioni appresso specificate.
8.1. Il primo motivo è privo di fondamento.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte «non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto» (Cass. n. 15255/2019).
Occorre premettere che avendo i giudici di appello esaminato nel merito le censure di cui all’atto di impugnazione , implicitamente hanno disatteso l’ eccezione di inammissibilità dell’appello formulata dalla contribuente.
Per altro verso va rilevato che nell’escludere l’inammissibilità dell’appello dell’Agenzia delle Entrate, ex art. 53 d.lgs. n. 546/92, la Commissione tributaria regionale ha correttamente applicato, nella concretezza del caso, il fermo indirizzo di legittimità secondo il quale, vista anche la natura impugnatoria ab origine rivestita dal processo tributario, la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni inizialmente poste a fondamento dell’impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della dedotta legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili,
seppur per implicito, in termini inequivoci (vedi, ex plurimis , Cass. n. 32954/18).
Si è, ancora, condivisibilmente osservato che nel processo tributario, ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica previsto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992 (vedi Cass. n. 6302/22).
Nel caso di specie questo indirizzo appare tanto più calzante ove si consideri che l’intera controversia poggiava esclusivamente sulla acclarata decadenza dei benefici della prima casa, sicché la riproposizione da parte dell’ufficio delle tesi da essa già svolte nel primo grado di giudizio e, ancor prima, a fondamento dell’avviso di accertamento opposto, lungi da risultare generica e non mirata sulla diversa ragione decisoria dei primi giudici, dava, invece, conto in maniera puntuale e circostanziata della tesi giuridica di cui l’Amministrazione finanziaria chiedeva l’accoglimento in riforma della decisione appellata.
8.2. Il secondo, il terzo ed il settimo motivo -da esaminare congiuntamente in quanto fra loro connessi -sono da ritenere infondati, non apparendo ravvisabili i vizi motivazionali dedotti ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 c.p.c.
Va premesso che questa Corte ha reiteratamente affermato che sussiste una motivazione apparente, come tale suscettiva di integrare il vizio di nullità della sentenza in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, c.p.c., allorché l’apparato argomentativo, pur graficamente esistente (come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale), non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del
convincimento, così precludendo ogni effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (cfr., tra le tante, Cass. n. 11473/2022, che richiama Cass. nn. 16057/2018, 9097/2017, Sez. U 22232/2016, Sez. U 16599/2016, Sez. U 8053/2014 ed ancora Cass. nn. 4891/2000, 1756/2006, 24985/2006, 11880/2007, 161/2009, 871/2009, 20112/2009, nonché Cass. n. 9105/2017; 20921/2019 ed ancora Cass. n. 13248/2020, oltre Cass. nn. 8534/2022 e 8524/2022). Si è pure, condivisibilmente, osservato che «In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla legge n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della mo tivazione …’» (così, ex multis, Cass. n. 11473/2022 citata, che richiama Cass. n. 22598/2018). Occorre pure chiarire che, per giurisprudenza pacifica, il giudice del merito non deve vagliare ogni singolo argomento difensivo sviluppato dalla parte, essendo, invece, necessario e sufficiente, in base all’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto e di diritto posti a fondamento della sua decisione. Va, altresì, rammentato che, secondo il costante orientamento di questa Suprema Corte, in forza di quanto stabilito dalle disposizioni appena richiamate, la mancata esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa, ovvero la mancanza o l’estrema concisione della motivazione in diritto determinano la nullità della sentenza allorquando rendono impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni che stanno a fondamento del dispositivo (Cass., n. 3547 del 2002, 15/01/2016, n. 574, 18/04/2017, n. 9745). Inoltre, «poiché il vizio di omessa pronuncia si concreta nel difetto del momento decisorio, per integrare detto vizio occorre che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, ciò che si verifica quando il giudice non decide su alcuni
capi della domanda, che siano autonomamente apprezzabili, o sulle eccezioni proposte, ovvero quando pronuncia solo nei confronti di alcune parti. Per contro, il mancato o insufficiente esame delle argomentazioni delle parti integra un vizio di natura diversa, relativo all’attività svolta dal giudice per supportare l’adozione del provvedimento, senza che possa ritenersi mancante il momento decisorio» (vedi Cass. n. 5730/2020). Deve, infine, precisarsi che nel vigore del nuovo testo dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., introdotto dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella legge 7 agosto 2012, n. 134, non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 cod. proc. civ. (Cass. Sez. 6, 06/07/2015, n. 13928, Rv. 636030 – 01).
Nella fattispecie in esame devono, quindi, escludersi i vizi lamentati atteso che il giudice dell’appello, richiamato il thema decidendum in relazione ai motivi di censura, ha dato conto, con congrue argomentazioni, delle ragioni per le quali non poteva riconoscersi il regime agevolativo richiesto e doveva ritenersi che non era maturata l’eccepita decadenza, ritenendo prive di fondamento le tesi di parte ricorrente.
8.3. Il quarto ed il quinto motivo, da esaminare congiuntamente in quanto afferenti, sostanzialmente i medesimi profili logico-giuridici, non colgono nel segno non essendo ravvisabili né una violazione dell’art. 76 comma 1 -bis del d.P.R. 131/86, per omesso accertamento della decadenza dal potere di rettifica né tampoco profili di nullità della sentenza, la quale avrebbe trascurato di vagliare elementi decisivi attestanti la volontà e l’effettiva unione dei due subalterni in un’unica unità abitativa.
Occorre premettere che, secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di agevolazioni tributarie, i benefici per l’acquisto della ‘prima casa’ possono essere riconosciuti anche quando siano più di una le unità immobiliari contemporaneamente acquistate purché ricorrano due condizioni, e cioè la destinazione, da parte dell’acquirente, di dette unità immobiliari, nel loro insieme, a costituire un’unica unità abitativa e la qualificabilità come alloggio non di lusso dell’immobile così “unificato” (Cass., Sez. 5^, 23 marzo 2011, n. 6613; Cass., Sez. 6^-5, 6 aprile 2017, n. 9030; Cass., Sez. 5^, 12 giugno 2020, n. 11322; Cass., Sez. 6^-5, 7 ottobre 2020, n. 21614; Cass., Sez. 5^, 29 novembre 2021, n. 37152). Si è al riguardo rilevato, altresì, che l’agevolazione presuppone che, entro il termine di tre anni dalla registrazione, deve esser dato effettivo seguito all’impegno assunto dai contribuenti, in sede di rogito, di procedere all’unificazione dei locali (Cass., Sez. 6^-5, 6 aprile 2017, n. 9030; Cass., Sez. 5^, 12 giugno 2020, n. 11322; Cass., Sez. 6^5, 7 ottobre 2020, n. 21614). Dunque, ai fini dell’agevolazione della c.d. ‘prima casa’, è irrilevante che gli immobili (due o più) acquistati con unico atto siano collocati su unico livello o su distinti livelli, essendo sufficiente che la relazione materiale di contiguità, adiacenza o sovrapposizione consenta -mediante l’esecuzione delle opere necessarie (abbattimento di muri divisori; aperture nei pavimenti; installazione di scale e/o ascensori; adeguamento degli impianti; ecc.) – il loro accorpamento in un’unica abitazione che non abbia complessive caratteristiche ‘di lusso’. Pertanto, l’unico dato che specificamente viene in rilievo si identifica con la realizzazione di un’unica unità abitativa, evento questo che deve essere effettivo. Va rimarcato che, secondo una risalente, ma sempre condivisibile, giurisprudenza di questa Corte, se il legislatore non ha fissato specificamente un termine entro il quale si deve verificare una condizione dalla quale dipenda la concessione di un beneficio, tale termine non potrà essere mai più ampio di quello previsto per i
contro
lli (per la contraddizione di dover considerare sempre inutili i controlli, e così vanificarli, a fronte della possibilità per il contribuente di dichiarare sempre di volere successivamente realizzare la condizione, quando oramai nessun controllo sarebbe più possibile) (Cass., Sez. 5^, 7 luglio 2000, n. 9149; Cass., Sez. 5^, 10 settembre 2004, n. 18300; Cass., Sez. 5^, 17 ottobre 2005, n. 20066; Cass., Sez. 5^, 20 settembre 2006, n. 20376; Cass., Sez. 5^, 29 aprile 2009, n. 10011) e si è, pure soggiunto che i benefici fiscali, sono naturaliter subordinati al raggiungimento dello scopo per cui vengono concessi (Cass., Sez. 1^, 25 gennaio 2000, n. 797; Cass., Sez. 5^, 28 marzo 2003, n. 4714; Cass., Sez. 5^, 20 settembre 2006, n. 20376).
In proposito questo Collegio rammenta che ai fini della chiesta agevolazione ciò che rileva è l’effettività dell’unificazione delle unità immobiliari quale finalizzata a realizzare l’unica abitazione del contribuente, evento, questo, che rileva in via esclusiva e che deve formare oggetto di prova da parte del contribuente e, sotto quest’ultimo profilo possono, quindi, concorrere anche altri dati probatori che diano conto della realizzazione della finalità dichiarata nell’atto (accorpamento di unità immobiliari funzionale alla realizzazione dell’unica abitazione principale del contribuente), quale la documentazione di riscontro delle opere realizzate che offrano la prova della effettiva unione sia funzionale che impiantistica delle unità immobiliari oggetto di accorpamento (vedi Cass., Sez. 5^, 12 giugno 2020, n. 11322).
Orbene, ad avviso di questa Corte, laddove la parte contribuente afferma che: ‘Amplissimi erano stati negli atti difensivi i riferimenti sia ai provvedimenti autorizzatori e concessori emessi dal Comune e dal Genio Civile, fidefacienti della realizzanda tipologia edificatoria in una unica abitazione, sia al concreto intervento di accorpamento. Erano stati prodotti in giudizio gli atti progettuali comprovanti la costituzione di una ‘unica unità abitativa’: – il permesso a costruire
n. 277 per ‘tale tipologia abitativa’ rilasciato in data 21.12.2017 dal Comune di L’Aquila (all.4); -l’autorizzazione per tale ‘tipologia’ rilasciata in data 26/6/2018 dal Genio civile – Settore Ricostruzione della Regione Abruzzo (all. 5); – la Relazione tecnica attestante che immobile era costituito da una abitazione ‘unica’ vuoi nella sua ‘struttura’ creata, vuoi nella sua ‘destinazione’ vuoi nel suo ‘assetto impiantistico’ (in atti, prodotto unitamente alla memoria del 24/11/20; in fascicoletto all. 6); – la Dichiarazione del Direttore dei Lavori Ing. NOME COGNOME che i lavori erano in essere, con attestazione della data di inizio lavori (in atti, prodotta unitamente al ricorso introduttivo; in fascicoletto all. n° 7); -l’estratto comprovante (a conclusione dei lavori) l’avvenuto accatastamento a mezzo di incarico conferito al Geom. NOME COGNOME di procedere anche alla fusione catastale dei due sub n. 1 e n. 3 (sino ad allora impossibile) in un unico subalterno. Non appare revocabile in dubbio che la detta documentazione concretizzasse elemento sufficiente per consentire alla AE la valutazione dell’avvenuto adempimento dell’obbligo di riunione dei due subalterni ‘ la stessa propone, all’ evidenza, una rilettura in fatto degli accertamenti compiuti dal giudice di appello.
Risulta, per contro, che la C.T.R. ha riscontrato, con congrue ed adeguate argomentazioni, corrette in diritto, che: ‘Nella fattispecie in esame, avendo controparte acquistato le citate unità immobiliari con atto registrato in data 05.04.20186 e non avendo, per sua stessa ammissione e come anche confermato dalle risultanze catastali, proceduto all’operazione di fusione delle due unità abitative acquistate, entro i tre anni successivi alla registrazione dell’atto, ovvero entro il 05.04.2019, lo stesso decade dai benefici invocati per l’acquisto “prima casa”.
È appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge
implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione ( ex multis : Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610). Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357). Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).
Ed, ancora, in relazione alla previsione dell’art. 115 cod. proc. civ., è stato chiarito che «per dedurre la sua violazione ‘è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma’, ossia che abbia ‘giudicato o contraddicendo espressamente la regola, dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè
giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio’, mentre ‘detta violazione non si può ravvisare nella me ra circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre», trattandosi di attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (v. Cass. n. 11892 del 10/06/2016)’» (così, Cas s., Sez. T., 4 giugno 2019, n. 15195 e, nello stesso senso, Cass., Sez. II, 7 gennaio 2019, n. 1229 e Cass., Sez. T, 23 settembre 2019, n. 27983, nonché Cass., Sez. U. civ., 30 settembre 2020, n. 20867, Cass., Sez. VI-I, 23 novembre 2022, n. 34472 ed ancora Cass., Sez. III, 22 marzo 2022, n. 9225, che richiama Cass., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16598 e Cass., Sez. VIII, 23 ottobre 2018, n. 26769 del 2018, nonché Cass., Sez. VI/T, 25 gennaio 2022, n. 2242, che richiama pure Cass., Sez. 6^-5, 19 ottobre 2021, n. 28894; Cass., Sez. 6^-5, 28 ottobre 2021, n. 30535).
Ebbene, nella fattispecie in esame, deve riconoscersi che il Giudice regionale non ha violato le predette disposizioni nella parte in cui ha escluso la prova dell’intervenuto accorpamento.
Peraltro parte ricorrente, in disparte ogni considerazione in ordine al fatto che finisce sempre, nell’articolare sempre le censure, per prospettare una rivisitazione nel merito della vicenda, omette di considerare che i documenti autorizzativi indicati nulla comprovano sulla ‘effettiva’ unificazione (pur senza accatastamento) e, peraltro, dall’attestazione del tecnico di parte (sub all. 7) si evince che i lavori erano ancora in corso il 26.11.2020.
8.4. Il sesto motivo va rigettato.
Osserva questa Corte che la sentenza impugnata è da ritenere corretta in diritto nella parte in cui i giudici di appello hanno ritenuto che era infondata l’ eccezione di decadenza. È stato, in particolare, chiarito che la previsione della decadenza triennale non trova
specifiche regole inerenti alla decorrenza iniziale del termine. Tuttavia, la carenza di peculiari disposizioni sul punto non può tradursi nell’esclusione della decadenza medesima, tenuto conto della valenza generale della relativa previsione, il che comporta l’operatività delle comuni norme dell’ordinamento (artt. 2964 e segg. cod. civ.), in forza delle quali il termine di decadenza, inderogabilmente assegnato per porre in essere un determinato atto od un determinato comportamento, è computabile a partire dal momento in cui sussista il potere di compiere o tenere l’atto od il comportamento stesso.
In applicazione delle norme generali, la decorrenza del triennio di decadenza va individuata nella data in cui l’Ufficio può contestare al contribuente la perdita del trattamento agevolato in dipendenza di mendacio, ed in tale prospettiva occorre distinguere l’ipotesi di mendacio cd. originario (relativo alle ipotesi di mancanza dei requisiti condizionanti l’agevolazione fiscale al momento dell’atto), in relazione alla quale la data della registrazione della compravendita segna l’insorgere del potere dell’u fficio di accertare la non spettanza del beneficio e richiedere l’ulteriore imposta dovuta, da quella del mendacio cd. successivo (a seguito del sopraggiungere di fatti, prevedibili o meno, all’epoca del contratto, che evidenzino la perdita della qualità e nunciata nell’atto), in relazione al quale il potere sorge e può essere esercitato solo a partire dell’evento stesso, che segna il giorno iniziale di maturazione del termine di decadenza.
Per tale via è stato affermato il principio, cui in questa sede va data continuità, secondo il quale «l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro con aliquota ordinaria e connessa soprattassa a carico del compratore di un immobile ad uso abitativo che abbia indebitamente goduto in sede di registrazione del trattamento agevolato di cui all’art. 1 sesto comma della legge 22 aprile 1982 n. 168, è soggetto a termine triennale di decadenza, ai sensi e nel vigore dell’art. 74 secondo comma del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634 (corrispondente
all’art. 76 secondo comma del successivo d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131), a partire dalla data in cui l’avviso stesso può essere emesso, e cioè dal giorno della registrazione, quando i benefici non spettino per la falsa dichiarazione nel contratto dell’indisponibilità di altro alloggio o della mancata fruizione in altra occasione dell’agevolazione, o per l’enunciazione nel contratto stesso di un proposito di utilizzare direttamente il bene a fini abitativi già smentito da circostanze in atto, oppure, quando detto enunciato proposito, inizialmente attuabile, sia successivamente rimasto ineseguito od ineseguibile, dal giorno nel quale si sia verificata quest’ultima situazione» (così, Cass., Sez. Un., 21 novembre 2000, n. 1196). E nel caso di mendacio successivo, « il termine di accertamento decorre dalla data di emersione del mendacio (così Cass., sez. VI, 28 luglio 2015, n. n.15960), così alludendo (non alla data di verificazione, ma) al momento in cui tale evento è stato accertato dall’Ufficio, implicitament e, quanto condivisibilmente, considerando la non esigibilità di un monitoraggio continuo della situazione enunciata.
La previsione di un tempo predeterminato nel quale dover conservare la situazione legittimante il godimento del benefico segna anche il perimetro temporale dell’accertamento dell’Ufficio ed è, pertanto, dallo scadere di quel termine massimo che decorrono i tre anni di decadenza di cui all’art. 76, comma 2, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, salvo che l e condizioni per la revoca dell’agevolazione non siano state accertate prima, in tal caso correndo il termine decadenziale da tale momento. In tale prospettiva, va riconosciuto che la combinazione del principio generale secondo cui un termine di decadenza è computabile dal momento in cui e sino a quando sussiste il potere di compiere l’accertamento con la specifica condizione posta dalla fattispecie in rassegna (secondo la quale i requisiti soggettivi per il mantenimento del beneficio devono permanere per cinque anni dall’atto registrato) conduce a ritenere
che è dallo spirare di tale ultimo momento che decorre il termine decadenziale imposto all’Ufficio, a meno che l’accertamento non sia intervenuto prima, giacché prima del decorso del predetto termine (lo si ripete di cinque anni dal compimento dell’atto) l’attività di controllo dell’ufficio potrebbe non assicurare il rispetto della previsione normativa cui è sottoposta il godimento dell’agevolazione. Alla luce di tali principi, il Giudice regionale -senza incorrere in alcuna extra petizione, contrariamente a quanto prospettato da parte ricorrenteha correttamente ritenuto l’avviso tempestivamente notificato, in quanto l’amministrazione dopo aver constatato che decorsi tre anni dalla data di registrazione dell’atto di compravendita 5.4.2016, non avendo l’acquirente dimostrato l’ultimazione dei lavori entro il 5.4.2019 ed, altresì, la completa realizzazione degli obblighi catastali espressi nell’atto, notificava in data 10 maggio 2019 alla stessa l’avviso di liquidazione e irrogazione delle sanzioni.
Va, infine, precisato che non è configurabile alcuna violazione di legge per illegittima rideterminazione del valore dichiarato in conformità alle previsioni di cui all’art. 52 comma 4.
La C.T.R. sul punto ha chiarito: ‘….3) Violazione dell’art. 52,comma 4 del DPR n. 131/1986 per illegittima determinazione di un valore diverso rispetto a quello dichiarato. Anche questo motivo di doglianza appare del tutto infondato in quanto detta lamentata rettifica di valore in realtà non è mai avvenuta da parte dell’Ufficio. L’Ufficio, invero, senza rettificare alcunché ed attenendosi alle indicazioni di valore dichiarato dalle parti, ha semplicemente provveduto ad applicare il diverso coefficiente di valore di cui all’art. 52 DPR 131/86,conseguente alla riqualificazione dell’immobile compravenduto, quale seconda casa. Nell’avviso di liquidazione la rettifica è stata operata ai sensi dell’art. 1, comma 497, Legge 266 del 23.12.2005 e dell’art. 52, commi 4 e 5 del DPR 131/86 e di conseguenza il valore è stato rettificato da €. 98.110,00 (coefficiente
di rivalutazione 115,5 per le prime case) a €. 106.978,00 (coefficiente di rivalutazione 126 per le seconde case)’.
Risulta, pertanto, che l’Ufficio, senza rettificare alcunché ed attenendosi alle indicazioni di valore dichiarato dalle parti, ha semplicemente provveduto ad applicare il diverso coefficiente di valore di cui all’art. 52 D.P.R. 131/86 conseguente alla riqu alificazione dell’immobile compravenduto quale seconda casa non avendo la sig. NOME rispettato gli impegni assunti al momento della stipula dell’atto per l’acquisto della ‘prima casa’. Risulta, quindi, è evidente che l’Agenzia delle Entrate non h a eseguito alcun nuovo accertamento mentre del tutto infondatamente la contribuente si duole del fatto che non poteva procedersi alla determinazione di un valore diverso rispetto a quello dichiarato (qualificato rettifica o applicazione di diverso coefficiente) in quanto non risultava modificabile il valore dell’immobile indicato dall’ acquirente in sede di stipula per derivazione dalla rendita catastale di € 1.272,22.
In conclusione il ricorso va rigettato; le spese vanno poste a carico della contribuente e liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in favore dell’ Ufficio in euro 2.400,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito; dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico di parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, in data