Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15422 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15422 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 256/2023 R.G. proposto da
:
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. COGNOME (DMRFDN46D24C776W)
-ricorrente-
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO
-resistente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. Abruzzo n. 386/2022 depositata il 21/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La CTR, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato l’appello del contribuente, con conferma della decisione di primo grado, che aveva rigettato il ricorso introduttivo avverso l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro e delle sanzioni (benefici acquisto prima casa di abitazione);
ricorre in cassazione il contribuente con nove motivi di ricorso, illustrati con memoria;
l’Agenzia delle entrate non si è costituita nei termini e d ha depositato controdeduzioni al solo fine di eventualmente partecipare alla discussione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato e deve respingersi, con il raddoppio del contributo unificato; nulla per le spese per la tardiva costituzione dell’Agenzia delle entrate .
Il contribuente ritiene sussistente la decadenza triennale per la revoca dei benefici prima casa e biennale per la rettifica del valore dichiarato al momento dell’acquisto dell’immobile in oggetto.
I fatti di causa sono pacifici e risultanti dalle decisioni di merito. Il ricorrente acquista l’abitazione in oggetto e registra la compravendita il 5 aprile 2016, il 10 maggio 2019 riceve l’avviso di liquidazione oggi oggetto di contestazione.
Il contribuente avrebbe dovuto unire le due unità immobiliari (foglio 81, particella 1638 sub 1, e sub 3), destinate a diventare una sola unità immobiliare; inoltre, si impegnava a vendere l’abitazione in Roma precedentemente acquistata con le agevolazioni prima casa.
Il problema giuridico posto dal ricorso (i primi quattro motivi del ricorso) consiste nella individuazione del termine di decadenza per l’Ufficio nell’ipotesi di unificazione di due unità immobiliari in una sola abitazione.
Con il primo motivo il ricorrente prospetta la nullità della decisione in relazione all’art. 360, primo comma n. 4, e 112, cod.
proc. civ., omessa pronuncia in ordine all’avvenuto accorpamento ed alla eccezione di illegittimità del termine triennale;
con il secondo motivo il ricorrente prospetta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. ed art. 76, secondo comma, d.P.R. 131 del 1986, per errata individuazione della decorrenza del termine per l’accertame nto e di ultimazione dei lavori entro i tre anni dall’acquisto;
con il terzo motivo il ricorrente prospetta il difetto di motivazione della decisione, rilevante ex art. 360, primo comma, n. 4, e 132, cod. proc. civ. e dell’art. 11, costituzione (imputazione al ricorrente di un fatto altrui);
con il quarto motivo il ricorrente prospetta la nullità della sentenza per violazione di legge rilevante ex art. 360, primo comma n. 4, e 132, secondo comma n. 4, cod. proc. civ. (difetto di motivazione sulla prova -art. 360, primo comma, n 3, cod. proc. civ. -e violazione del principio di disponibilità della prova -art. 115, cod. proc. civ. -);
con il quinto motivo il ricorrente prospetta nullità della sentenza per violazione degli art. 360, primo comma n. 3 e 4, e art. 112, cod. proc. civ. per omessa pronuncia in ordine all’eccezione di avvenuta decadenza (art. 76, comma 1-bis e secondo comma, art. 51, commi secondo e terzo, d.P.R. 131 del 1986);
con il sesto motivo il ricorrente prospetta la nullità della sentenza per difetto di motivazione in ordine all’applicazione degli art. 51 e 52, d.P.R. 131 del 1986, rilevante ex art. 360, primo comma. N. 4, cod. proc. civ.;
con il settimo motivo il ricorrente prospetta la nullità della sentenza per extrapetizione e difetto di motivazione, rilevante ex art. 360, primo comma, n. 4, 112 e 132, secondo comma n. 4, cod. proc. civ. e 111 della Costituzione;
con l’ottavo motivo il ricorrente prospetta nullità della sentenza per omesso esame e motivazione sui criteri adottati per la rettifica
di valore, rilevante ex art. 360, primo comma n. 4, 112, 132, secondo comma n. 4, cod. proc. civ. e 111 Costituzione;
con l’ultimo motivo il ricorrente prospetta la violazione di legge (art. 51 e 52 d.P.R. 131 del 1986, e art. 7, l. 212 del 2000) rilevante ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione del diritto di difesa.
Il primo e il quinto motivo sono infondati (v., per una vicenda speculare a questa, Sez. 5, n. 8139 del 2025, pubblicata il 27 marzo 2025, udienza del 21 gennaio 2025).
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte «non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto» (Cass. n. 15255/2019 e molte altre). Nel caso di specie questo indirizzo appare tanto più calzante ove si consideri che l’intera controversia poggiava esclusivamente sulla acclarata decadenza dei benefici della prima casa e sulla decadenza dal potere di rettifica di due anni, e la sentenza impugnata, peraltro unitamente a quella di primo grado, in doppia conforme, ha specificato in maniera puntuale le motivazioni sulla insussistenza delle decadenze; conseguentemente nessuna omessa pronuncia sussiste. La sentenza analizza puntualmente tutta la vicenda sia in fatto sia in diritto e decide su tutta la domanda del contribuente.
Il terzo, il quarto, il sesto, il settimo e l’ottavo motivo -da esaminare congiuntamente in quanto fra loro connessi -sono da ritenere infondati, non apparendo ravvisabili i vizi motivazionali dedotti ex art. 360, primo comma, n. 3 e 4 cod. proc. civ.. Va premesso che questa Corte ha reiteratamente affermato che sussiste
una motivazione apparente, come tale suscettiva di integrare il vizio di nullità della sentenza in relazione all’art. 360, primo comma, n 4, cod. proc. civ., quando l’apparato argomentativo, pur graficamente esistente (come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale), non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, così precludendo ogni effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (cfr., tra le tante, Cass. n. 11473/2022, che richiama Cass. nn. 16057/2018, 9097/2017, Sez. U 22232/2016, Sez. U 16599/2016, Sez. U 8053/2014 ed ancora Cass. nn. 4891/2000, 1756/2006, 24985/2006, 11880/2007, 161/2009, 871/2009, 20112/2009, nonché Cass. n. 9105/2017; 20921/2019 ed ancora Cass. n. 13248/2020, oltre Cass. nn. 8534/2022 e 8524/2022). Si è pure, osservato che «In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla legge n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione … ‘ » (così, Cass. n. 11473/2022, che richiama Cass. n. 22598/2018). Occorre pure chiarire che, per giurisprudenza pacifica, il giudice del merito non deve vagliare ogni singolo argomento difensivo sviluppato dalla parte, essendo, invece, necessario e sufficiente, in base all’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto e di diritto posti a fondamento della sua decisione. Va, altresì, rammentato che, secondo il costante orientamento di questa Suprema Corte, in forza di quanto stabilito dalle disposizioni appena richiamate, la mancata esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa, ovvero la mancanza o l’estrema concisione della motivazione in diritto determinano la nullità della sentenza allorquando rendono impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni
che stanno a fondamento del dispositivo (Cass., n. 3547 del 2002, 15/01/2016, n. 574, 18/04/2017, n. 9745).
Inoltre, «poiché il vizio di omessa pronuncia si concreta nel difetto del momento decisorio, per integrare detto vizio occorre che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, ciò che si verifica quando il giudice non decide su alcuni capi della domanda, che siano autonomamente apprezzabili, o sulle eccezioni proposte, ovvero quando pronuncia solo nei confronti di alcune parti. Per contro, il mancato o insufficiente esame delle argomentazioni delle parti integra un vizio di natura diversa, relativo all’attività svolta dal giudice per supportare l’adozione del provvedimento, senza che possa ritenersi mancante il momento decisorio» (vedi Cass. n. 5730/2020). Deve, infine, precisarsi che nel vigore del nuovo testo dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., introdotto dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella legge 7 agosto 2012, n. 134, non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 cod. proc. civ. (Cass. Sez. 6, 06/07/2015, n. 13928, Rv. 636030 – 01). Nella fattispecie in esame devono, quindi, escludersi i vizi lamentati atteso che il giudice dell’appello, richiamato il thema decidendum in relazione ai motivi di censura, ha dato conto, con congrue argomentazioni, delle ragioni per le quali non poteva riconoscersi il regime agevolativo richiesto e doveva ritenersi che non era maturata l’eccepita decadenza, ritenendo prive di fondamento le tesi del contribuente.
6. Il secondo ed il quinto motivo, da esaminare congiuntamente in quanto afferenti, sostanzialmente, i medesimi profili logico-
giuridici, non colgono nel segno non essendo ravvisabili nè una violazione dell’art. 76 comma 1 -bis del d.P.R. 131/86, per omesso accertamento della decadenza dal potere di rettifica nè profili di nullità della sentenza, la quale avrebbe trascurato di vagliare elementi decisivi attestanti la volontà e l’effettiva unione dei due subalterni in un’unica unità abitativa. Occorre premettere che, secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di agevolazioni tributarie, i benefici per l’acquisto della ‘prima casa’ possono essere riconosciuti anche quando siano più di una le unità immobiliari contemporaneamente acquistate purché ricorrano due condizioni, e cioè la destinazione, da parte dell’acquirente, di dette unità immobiliari, nel loro insieme, a costituire un’unica unità abitativa e la caratteristica non di lusso dell’immobile “unificato” (Cass., Sez. 5^, 23 marzo 2011, n. 6613; Cass., Sez. 6^-5, 6 aprile 2017, n. 9030; Cass., Sez. 5^, 12 giugno 2020, n. 11322; Cass., Sez. 6^-5, 7 ottobre 2020, n. 21614; Cass., Sez. 5^, 29 novembre 2021, n. 37152). Si è al riguardo rilevato, altresì, che l’agevolazione presuppone che, entro il termine di tre anni dalla registrazione, deve esser dato effettivo seguito all’impegno assunto dai contribuenti, in sede di rogito, di procedere all’unificazione dei locali (Cass., Sez. 6^5, 6 aprile 2017, n. 9030; Cass., Sez. 5^, 12 giugno 2020, n. 11322; Cass., Sez. 6^- 5, 7 ottobre 2020, n. 21614). Dunque, ai fini dell’agevolazione della c.d. ‘prima casa’, è irrilevante che g li immobili (due o più) acquistati con unico atto siano collocati su unico livello o su distinti livelli, essendo sufficiente che la relazione materiale di contiguità, adiacenza o sovrapposizione consenta -mediante l’esecuzione delle opere necessarie (abb attimento di muri divisori; aperture nei pavimenti; installazione di scale e/o ascensori; adeguamento degli impianti; ecc.) – il loro accorpamento in un’unica abitazione che non abbia complessive caratteristiche ‘di lusso’. Pertanto, l’unico dato che specificamente viene in rilievo si identifica con la realizzazione di un’unica unità abitativa, evento questo che
deve essere effettivo. Va rimarcato che, secondo condivisibile giurisprudenza di questa Corte, se il legislatore non ha fissato specificamente un termine entro il quale si deve verificare una condizione dalla quale dipenda la concessione di un beneficio, tale termine non potrà essere mai più ampio di quello previsto per i controlli (per la contraddizione di dover considerare sempre inutili i controlli, e così vanificarli, a fronte della possibilità per il contribuente di dichiarare sempre di volere successivamente realizzare la condizione, quando oramai nessun controllo sarebbe più possibile: Cass., Sez. 5^, 7 luglio 2000, n. 9149; Cass., Sez. 5^, 10 settembre 2004, n. 18300; Cass., Sez. 5^, 17 ottobre 2005, n. 20066; Cass., Sez. 5^, 20 settembre 2006, n. 20376; Cass., Sez. 5^, 29 aprile 2009, n. 10011) e si è pure evidenziato che i benefici fiscali sono evidentemente subordinati al raggiungimento dello scopo per cui vengono concessi (Cass., Sez. 1^, 25 gennaio 2000, n. 797; Cass., Sez. 5^, 28 marzo 2003, n. 4714; Cass., Sez. 5^, 20 settembre 2006, n. 20376).
6. 1. Ai fini della chiesta agevolazione ciò che rileva è l’effettività dell’unificazione delle unità immobiliari quale finalizzata a realizzare l’unica abitazione del contribuente, evento, questo, che rileva in via esclusiva e che deve formare oggetto di prova da parte del contribuente e, sotto quest’ultimo profilo possono, quindi, concorrere anche altri dati probatori che diano conto della realizzazione della finalità dichiarata nell’atto (accorpamento di unità immobiliari funzionale alla realizzazione dell’unica abitazione principale del contribuente), quale la documentazione di riscontro delle opere realizzate che offrano la prova della effettiva unione sia funzionale sia impiantistica delle unità immobiliari oggetto di accorpamento (vedi Cass., Sez. 5^, 12 giugno 2020, n. 11322). Orbene, ad avviso di questa Corte, laddove la parte contribuente afferma che amplissimi erano stati negli atti difensivi i riferimenti sia ai provvedimenti autorizzatori e concessori emessi dal Comune e dal
Genio Civile, fidefacienti della realizzanda tipologia edificatoria in una unica abitazione, sia al concreto intervento di accorpamento (erano stati prodotti in giudizio gli atti progettuali comprovanti la costituzione di una ‘unica unità abitativa – il permesso a costruire per ‘tale tipologia abitativa’ rilasciato in data 21.12.2017 dal Comune di L’Aquila; -l’autorizzazione per tale ‘tipologia’ rilasciata in data 26/6/2018 dal Genio civile – Settore Ricostruzione della Regione Abruzzo; – la Relazione tecnica attestante che immobile era costituito da una abitazione ‘unica’ vuoi nella sua ‘struttura’ creata, vuoi nella sua ‘destinazione’ vuoi nel suo ‘assetto impiantistico’; -la Dichiarazione del Direttore dei Lavori Ing. NOME COGNOME che i lavori erano in essere, con attestazione della data di inizio lavori, sicchè ‘n on appare revocabile in dubbio che la detta documentazione concretizzasse elemento sufficiente per consentire alla AE la valutazione dell’avvenuto adempimento dell’obbligo di riunione de i due subalterni’ ) la stessa propone, all’ evidenza, una rilettura in fatto degli accertamenti compiuti dal giudice di appello. Risulta, per contro, che la C.T.R. ha riscontrato che, nella fattispecie in esame, avendo la parte contribuente acquistato le citate unità immobiliari con atto registrato in data 5 aprile 2016 e non avendo, per sua stessa ammissione e come anche confermato dalle risultanze catastali, proceduto all’operazione di fusione delle due unità abitative acquistate, entro i tre anni successivi alla registrazione dell’atto, ovvero entro il 05 aprile 2019, la stesso decade dai benefici invocati per l’acquisto “prima casa”.
È appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge, implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in
sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (ex multis: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610). Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357). Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662). E, ancora, in relazione alla previsione dell’art. 115 cod. proc. civ., è stato chiarito che «per dedurre la sua violazione ‘è necessario denunciare ch e il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma’, ossia che abbia ‘giudicato o contraddicendo espressamente la regola, dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio’, mentre ‘detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti
attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre», trattandosi di attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (v. Cass. n. 11892 del 10/06/2016)’» (così, Cass., Sez. T., 4 giugno 2019, n. 15195 e, nello stesso senso, Cass., Sez. II, 7 gennaio 2019, n. 1229 e Cass., Sez. T, 23 settembre 2019, n. 27983, nonché Cass., Sez. U. civ., 30 settembre 2020, n. 20867, Cass., Sez. VI-I, 23 novembre 2022, n. 34472 ed ancora Cass., Sez. III, 22 marzo 2022, n. 9225, che richiama Cass., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16598 e Cass., Sez. VIII, 23 ottobre 2018, n. 26769 del 2018, nonché Cass., Sez. VI/T, 25 gennaio 2022, n. 2242, che richiama pure Cass., Sez. 6^-5, 19 ottobre 2021, n. 28894; Cass., Sez. 6^-5, 28 ottobre 2021, n. 30535). Ebbene, nella fattispecie in esame, deve riconoscersi che il Giudice regionale non ha violato le già menzionate disposizioni nella parte in cui ha escluso la prova dell’intervenuto accorpamento. Peraltro, parte ricorrente, in disparte ogni considerazione in ordine al fatto che finisce sempre per prospettare una rivisitazione nel merito della vicenda, omette di considerare che i documenti autorizzativi indicati nulla comprovano sulla ‘effettiva’ ovvero ‘materiale’ unificazione (pur senza accatastamento) e, peraltro, dall’attestazione del tecnico di parte si evince che i lavori erano ancora in corso il 26.11.2020.
7. Il secondo, quinto ed ottavo motivo vanno rigettati, laddove prospettano, oltre al vizio di motivazione della decisione sopra analizzato, la violazione di legge per la rettifica del valore, e per la decadenza dall’accertamento (art. 76 e 52, d.P.R. 131 del 1986) . Osserva questa Corte che la sentenza impugnata è da ritenere corretta in diritto nella parte in cui i giudici di appello hanno ritenuto che era infondata l’eccezione di decadenza. È stato, in particolare, chiarito che la previsione della decadenza triennale non trova specifiche regole inerenti alla decorrenza iniziale del termine. Tuttavia, la carenza di peculiari disposizioni sul punto non può tradursi nell’esclusione della decadenza medesima, tenuto conto
della valenza generale della relativa previsione, il che comporta l’operatività delle comuni norme dell’ordinamento (artt. 2964 e segg. cod. civ.), in forza delle quali il termine di decadenza, inderogabilmente assegnato per porre in essere un determinato atto od un determinato comportamento, è computabile a partire dal momento in cui sussista il potere di compiere o tenere l’atto od il comportamento stesso. In applicazione delle norme generali, la decorrenza del triennio di decadenza va individuata nella data in cui l’Ufficio può contestare al contribuente la perdita del trattamento agevolato in dipendenza di mendacio o dell’inadempienza , ed in tale prospettiva occorre distinguere l’ipotesi di mendacio cd. originario (relativo alle ipotesi di mancanza dei requisiti condizionanti l’agevolazione fiscale al momento dell’atto), in relazione alla quale la data della registrazione della comprav endita segna l’insorgere del potere dell’ufficio di accertare la non spettanza del beneficio e richiedere l’ulteriore imposta dovuta, da quella del mendacio cd. successivo (a seguito del sopraggiungere di fatti, prevedibili o meno, all’epoca del contratto, che evidenzino la perdita della qualità enunciata nell’atto), in relazione al quale il potere sorge e può essere esercitato solo a partire dell’evento stesso, che segna il giorno iniziale di maturazione del termine di decadenza. Per tale via è stato affermato il principio, cui in questa sede va data continuità, secondo il quale «l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro con aliquota ordinaria e connessa soprattassa a carico del compratore di un immobile ad uso abitativo che abbia indebitamente goduto in sede di registrazione del trattamento agevolato di cui all’art. 1 sesto comma della legge 22 aprile 1982 n. 168, è soggetto a termine triennale di decadenza, ai sensi e nel vigore dell’art. 74 secondo comma del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634 (corrispondente all’art. 76, secondo comma, del successivo d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131), a partire dalla data in cui l’avviso stesso può essere emesso, e cioè dal giorno della registrazione, quando i benefici non spettino per la falsa
dichiarazione nel contratto dell’indisponibilità di altro alloggio o della mancata fruizione in altra occasione dell’agevolazione, o per l’enunciazione nel contratto stesso di un proposito di utilizzare direttamente il bene a fini abitativi già smentito da circostanze in atto, oppure, quando detto enunciato proposito, inizialmente attuabile, sia successivamente rimasto ineseguito od ineseguibile, dal giorno nel quale si sia verificata quest’ultima situazione» (così, Cass., Sez. Un., 21 novembre 2000, n. 1196). E nel caso di mendacio successivo, « il termine di accertamento decorre dalla data di emersione del mendacio (così Cass., sez. VI, 28 luglio 2015, n. n.15960), così alludendo (non alla data di verificazione, ma) al momento in cui tale evento è stato accertato dall’Ufficio, implicitamente considerando la non esigibilità di un monitoraggio continuo della situazione enunciata.
La previsione di un tempo predeterminato nel quale dover conservare la situazione legittimante il godimento del benefico segna anche il perimetro temporale dell’accertamento dell’Ufficio ed è, pertanto, dallo scadere di quel termine massimo che decorrono i tre anni di decadenza di cui all’art. 76, comma 2, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, salvo che le condizioni per la revoca dell’agevolazione non siano state accertate prima, in tal caso correndo il termine decadenziale da tale momento. In tale prospettiva, va riconosciuto che la combinazione del principio generale secondo cui un termine di decadenza è computabile dal momento in cui e sino a quando sussiste il potere di compiere l’accertamento con la specifica condizione posta dalla fattispecie in rassegna (secondo la quale i requisiti soggettivi per il mantenimento del beneficio devono permanere per cinque anni dall’atto registrato) conduce a ritenere che è dallo spirare di tale ultimo momento che decorre il termine decadenziale imposto all’Ufficio, a meno che l’accertamento non sia intervenuto prima, giacché prima del decorso del predetto termine (lo si ripete di cinque anni dal compimento dell’atto) l’attività di
contro
llo dell’ufficio potrebbe non assicurare il rispetto della previsione normativa cui è sottoposto il godimento dell’agevolazione. Alla luce di tali principi, il Giudice regionale -senza incorrere in alcuna extra petizione, contrariamente a quanto prospettato da parte ricorrenteha correttamente ritenuto l’avviso tempestivamente notificato, in quanto l’amministrazione dopo aver constatato che decorsi tre anni dalla data di registrazione dell’atto di compravendita, 5.4.2016, non avendo l’acquirente dimostrato l’ultimazione dei lavori entro il 5.4.2019 ed, altresì, la completa realizzazione degli obblighi catastali espressi nell’atto, notificava in data 10 maggio 2019 alla stessa l’avviso di liquidazione e irrogazione delle sanzioni.
1. Va, infine, precisato che non è configurabile alcuna violazione di legge per illegittima rideterminazione del valore dichiarato in conformità alle previsioni di cui all’art. 52 , comma 4, d.P.R. n. 131 del 1986. La C.T.R. sul punto ha chiarito che la violazione dell’art. 52, comma 4 del d.P.R. n. 131/1986, per illegittima determinazione di un valore diverso rispetto a quello dichiarato, non sussiste, in quanto in realtà l’Agenzia delle entrate senza rettificare alcunché ed attenendosi alle indicazioni di valore dichiarato dalle parti, ha semplicemente provveduto ad applicare il diverso coefficiente di valore di cui all’art. 52 DPR 131/86, conseguente alla riqualificazione dell’immobile compravenduto, quale seconda casa. Nell’avviso di liquidazione la rettifica è stata operata ai sensi dell’art. 1, comma 497, Legge 266 del 23.12.2005 e dell’art. 52, commi 4 e 5 del DPR 131/86 e, di conseguenza, il valore è stato rettificato da €. 98.110,00 (coefficiente di rivalutazione 115,5 per le prime case) a €. 106.978,00 (coefficiente di rivalutazione 126 per le seconde case).
2. L ‘Agenzia delle Entrate non ha eseguito , pertanto, alcun nuovo accertamento, mentre del tutto infondatamente il ricorrente prospetta che non poteva procedersi alla determinazione di un valore
diverso rispetto a quello dichiarato (qualificato rettifica o applicazione di diverso coefficiente) in quanto non risultava modificabile il valore dell’immobile indicato dall’ acquirente in sede di stipula per derivazione dalla rendita catastale.
Anche l’ultimo motivo (il nono) risulta infondato (nullità della sentenza per violazione di legge (art. 51 e 52 d.P.R. 131 del 1986, e art. 7, l. 212 del 2000) rilevante ex art. 360, primo comma, n. 3, e art. 112, cod. proc. civ., con violazione del diritto di difesa.
Il motivo, oltre ad essere generico, risulta palesemente infondato, in quanto ha come presupposto logico la ricorrenza di una rideterminazione del valore da parte dell’Agenzia delle entrate.
Come visto, in realtà, l’Agenzia delle entrate senza rettificare il valore si è attenuta alle indicazioni di valore dichiarato dalle parti; ha semplicemente provveduto ad applicare il diverso coefficiente di valore di cui all’art. 52 d.P.R. 131/86, conseguente alla riqualificazione dell’immobile compravenduto, quale seconda casa.
Nessuna violazione del diritto di difesa, pertanto, sussiste, in considerazione del valore dichiarato dalla stessa parte, modificato solo per il coefficiente della seconda casa.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico di parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 21/01/2025 .