Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8133 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8133 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18522/2023 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA IN INDIRIZZO INT.12 C/O STUDIO COGNOME, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO SICILIA n. 1803/2023 depositata il 21/02/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Sicilia con la sentenza n. 1803/19/2023, depositata in data 21 febbraio 2023 e non notificata, in riforma della sentenza di primo grado rigettava l’impugnazione proposta da NOME COGNOME avverso un avviso di liquidazione di imposta ed irrogazione sanzioni per dichiarata decadenza dal beneficio prima casa previsto dal d.P.R. 131/1986.
Contro detta sentenza propone ricorso per cassazione sulla base di sei motivi il contribuente NOME COGNOME
L’ufficio resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art.1 parte 1, nota II bis del d.P.R. 26 aprile 1986, n.131, succ. modifiche e integrazioni nonchè dell’art.2697 c.c. lamentan do che nella specie sussisteva il diritto all’agevolazione in ragione della inidoneità strutturale dell’immobile già posseduto. Rileva che secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, in tema di agevolazioni prima casa, «l’idoneità» della casa di abi tazione pre-posseduta va valutata sia in senso oggettivo (effettiva inabitabilità), sia in senso soggettivo (fabbricato inadeguato per dimensioni o caratteristiche qualitative), nel senso che ricorre l’applicazione del beneficio anche all’ipotesi di disponibilità di un alloggio che non sia concretamente idoneo, per dimensioni e caratteristiche complessive, a soddisfare le esigenze abitative dell’interessato.
Con il secondo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5 c.p.c., violazione dell’art. 115 c.p.c. nonché errore percettivo su un fatto probatorio comportante l’omesso esame di un fatto decisivo, assumendo che i giudici di appello avevano rilevato la mancata allegazione di prove sulla inidoneità dell’immobile , non
considerando che tale prova era stata ampiamente offerta sulla scorta dei documenti prodotti analiticamente indicati in ricorso.
Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c. in ragione dell’omessa pronuncia sulle eccezioni preliminari relative all’inammissibilità dell’atto di appello sia per mutatio libelli atteso che l’Agenzia delle Entrate aveva ampliato e modificato i contenuti delle proprie difese, pretendendo di inserire elementi nuovi rispetto al giudizio di primo grado, sia in considerazione della circostanza che parte appellante ‘ non aveva indicato in cosa e perché il Giudice di prime cure avrebbe sbagliato, a quale criterio avrebbe dovuto ispirarsi, né aveva chiarito in quali termini dovesse intervenire la riforma della sentenza medesima, limitandosi a chiedere un generico accogli mento delle proprie richieste’.
Con il quarto motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt.112 e 113 c.p.c., dell’art.76 d.P.R. 26 aprile 1986, n°131, per omessa pronuncia sull’appello incidentale e sull’eccezione di decadenza. Rileva che con l’atto di appello incidentale era stato richiesto il riesame della domanda volta ad ottenere l’accoglimento dell’eccezione di violazione di legge, sotto il profilo della mancata applicazione, con riferimento all’art.76 del d.P.R . 26 aprile 1986, n°131, per intervenuta decadenza dell’azione dell’amministrazione finanziaria, osservando che la legge 289/2002 (Legge finanziaria 2013), non era applicabile al caso in esame.
Con il quinto motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art.112 e 113 c.p.c., degli artt. 24 della Costituzione della Repubblica italiana, 91 c.p.c. e 15 del d.P.R. 31 dicembre 1992, n°546, relativamente all’omessa pronuncia sull’appello incidentale con riferimento alla disposta compensazione delle spese da parte del giudice di primo grado.
Con il sesto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione della Legge 31 dicembre 2012, n.247 e dei collegati DD.MM. 10 marzo 2014, n.55 e 8 marzo 2018, n.37, non potendosi liquidare le spese in favore l’Amministrazione costituitasi in giudizio avvalendosi di un funzionario amministrativo appositamente delegato ed in assenza di notula.
Il ricorso va rigettato per le ragioni appresso specificate.
Il primo motivo è da ritenere infondato, se non inammissibile, atteso che parte ricorrente non coglie adeguatamente la ratio decidendi omettendo di considerare che il giudice di appello, valutate anche le argomentazioni della sentenza di primo grado, è pervenuto, con ragionamento in fatto non sindacabile in questa sede, alla conclusione che il contribuente non aveva offerto prova univoca della ‘inidoneità abitativa’ dell’ immobile già posseduto .
8.1. È appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610). Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente
idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357). Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).
Nel caso in esame il ricorrente finisce per sollecitare una rivisitazione nel merito, osservando che il giudice di appello avrebbe omesso di valutare una serie di elementi istruttori da cui sarebbe stato evincibile che l’alloggio pre -posseduto non era concretamente idoneo, per dimensioni e caratteristiche complessive, a soddisfare le esigenze abitative dell’interessato.
8.2. Né è configurabile una violazione dell’art. 2697 c.c. .
Occorre rilevare che non coglie nel segno la censura circa la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. che si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poichè in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova (vedi sul punto Cass. n. 17313 del 19/08/2020), apparendo evidente che il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto non dimostrata la inidoneità della causa pre-posseduta ai fini abitativi.
Anche il secondo motivo è da ritenere inammissibile, in quanto risulta evidente che non sussiste né violazione dell’art.115 c.p.c. né
omessa valutazione di fatti decisivi, ma parte ricorrente mira nella sostanza ad una rivalutazione della ricostruzione in punto di fatto. Deve preliminarmente ribadirsi che in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio (cfr. Cass. SU. n. 20867 del 30/09/2020, n. 15486 del 22/6/2017 in motiv.; Cass. n. 11892 del 10/5/2016); a tanto va aggiunto che, in linea di principio, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, comma 1°, n. 5, c.p.c. (tra le varie, Cass. n. 23940 del 12/10/2017; Cass. n. 24434 del 30/11/2016), dovendosi peraltro ribadire che, in relazione al nuovo testo di questa norma, qualora il giudice abbia preso in considerazione il fatto storico rilevante, l’omesso esame di elementi probatori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo (Cass., SS.UU. n. 8053 del 7/04/2014), e, nella fattispecie, i giudici del gravame hanno preso in esame tutte le circostanze dedotte in ricorso, valutandole sulla base degli elementi allegati – diversamente da come dedotto dalla contribuente come di seguito illustrato. La censura va, dunque, ritenuta inammissibile, in quanto, sotto l’egida della violazione dell’art. 115 cod. p roc. civ., introduce surrettiziamente una rivisitazione del merito della controversia, limitandosi a contrapporre alle argomentazioni dei giudici di merito, proprie valutazioni (peraltro del tutto generiche), su elementi di fatto, finendo per formulare una richiesta di riesame del merito della lite non consentita in questa sede di legittimità.
Va, pure, ricordato che in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (cfr. Cass. n. 13485 del 13/06/2014, Cass. n. 16499 del 15/07/2009). Vieppiù, va evidenziato che la consulenza di parte, ancorché confermata sotto il vincolo del giuramento, costituisce una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, priva di autonomo valore probatorio, con la conseguenza che il giudice di merito, ove di contrario avviso, non è tenuto ad analizzarne e a confutarne il contenuto, quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni con esso incompatibili (cfr. Cass. n. 9483 del 09/04/2021), come nel caso in esame, in cui il ricorrente ha del tutto omesso di indicare le pertinenti parti della perizia di parte ritenute erroneamente disattese. Peraltro l’attuale testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014 cit.), non può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice predetto individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova; mentre alla Corte di Cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione
compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti (cfr. Cass. n. 30878 del 2023). In altri termini, l’attuale art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, come nella specie, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex multis) anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 35947 del 2023; Cass. n. 28390 del 2023; Cass. n. 27505 del 2023; Cass. n. 4528 del 2023; Cass. n. 2413 del 2023; Cass. n. 31999 del 2022; Cass., SU, n. 23650 del 2022; Cass. n. 9351 del 2022; Cass. n. 2195 del 2022; Cass. n. 595 del 2022; Cass. n. 4477 del 2021; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass., SU, n. 16303 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015).
Distante, inoltre, è la presente fattispecie dall’ipotesi di vero e proprio travisamento della prova determinante un travisamento del fatto decisivo, ricorribile per cassazione nei soli presupposti di cui in Cass. SU n. 5792/24.
Il terzo motivo non ha pregio.
10.1. Il ricorrente da un lato non chiarisce quali elementi di novità sarebbero stati introdotti in secondo grado dall’Agenzia delle entrate e, sotto altro profilo, solo genericamente pone una questione di aspecificità dell’impugnazione dell’ufficio, apparendo, sul punto il ricorso privo di autosufficienza.
10.2. Occorre, peraltro, osservare che secondo il consolidato orientamento di questa Corte «non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi
un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto» (Cass. n. 15255/2019). Deve, quindi, rilevarsi che avendo i giudici di appello esaminato nel merito le censure di cui all’atto di impugnazione , implicitamente hanno disatteso l’ eccezione di inammissibilità dell’appello formulata dalla contribuente.
Per altro verso va rilevato che nell’escludere l’inammissibilità dell’appello dell’Agenzia delle Entrate, ex art. 53 d.lgs. n. 546/92, la Commissione tributaria regionale ha correttamente applicato, nella concretezza del caso, il fermo indirizzo di legittimità secondo il quale, vista anche la natura impugnatoria ab origine rivestita dal processo tributario, la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni inizialmente poste a fondamento dell’impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della dedotta legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci (vedi, ex plurimis, Cass. n. 32954/18)
Si è, ancora, condivisibilmente osservato che nel processo tributario, ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere
d’impugnazione specifica previsto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992 ( vedi Cass. n. 6302/22).
Nel caso di specie questo indirizzo appare tanto più calzante ove si consideri che l’intera controversia poggiava esclusivamente sulla acclarata decadenza dei benefici della prima casa disponendo il contribuente di altro immobile, sicché la riproposizione da parte dell’ufficio delle tesi da ess o già svolta nel primo grado di giudizio e, ancor prima, a fondamento dell’avviso di accertamento opposto, lungi da risultare generica e non mirata sulla diversa ragione decisoria dei primi giudici, dava, invece, conto in maniera puntuale e circostanziata della tesi giuridica di cui l’Amministrazione chiedeva l’accoglimento in riforma della decisione appellata.
11. Il quarto motivo è privo di fondamento.
Il contribuente lamenta che erroneamente era stata disattesa l’eccezione di decadenza dell’azione dell’amministrazione finanziaria, non avendo i giudici di appello tenuto conto che la legge 289/2002 (Legge finanziaria 2013), non era applicabile al caso in esame in quanto la proroga biennale dei termini di decadenza dell’azione erariale risulta espressamente prevista solo ed esclusivamente per le fattispecie relative all’accertamento di valore e degli incrementi di valore di cui al comma 1 dell’art.11 L.289/ 2002 e non anche al riconoscimento di agevolazioni tributarie (eventualmente) indebitamente fruite (previste dal successivo comma 1-bis) ed è principio del nostro ordinamento quello per il quale le norme derogatorie ed eccezionali sono di stretta applicazione e non soggette ad applicazione analogica.
Tale tesi non appare condivisibile avendo questa Corte già precisato, con orientamento cui in questa sede va data continuità, che in tema di perdita del beneficio fiscale concesso per la prima casa ai fini dell’imposta di registro, il termine per la rettifica e la liquidazione della maggiore imposta resta soggetto alla sospensione prevista dall’art. 11, comma 1, della legge n. 289 del 2002 in materia di
definizione agevolata degli avvisi di liquidazione della maggiore imposta di registro ed è prorogato di due anni, ai sensi di detto art. 11″ (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 279 del 08/01/2013; si vedano anche Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 1672 del 2011; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 12069 del 17/05/2010; Sez. 5, Sentenza n. 24575 del 03/12/2010; Sez. 5, Ordinanza n. 15750 del 2010 Sez. 5, Ordinanza n. 4321 del 2009).
Poiché la legge n. 289 del 2002, art. 11, comma 1-bis, consente la condonabilità anche dei recuperi fiscali fondati sulla violazione di norme che stabiliscono agevolazioni fiscali, consegue che, per dar modo ai contribuenti di avvalersi della facoltà, con la derivata necessità di controllo delle istanze da parte dell’Amministrazione, deve ritenersi l’applicabilità della proroga biennale dei termini di accertamento, in via generale stabilita dalla L. n. 289, art. 11, comma 1 cit., anche con riferimento ai recuperi per violazione di norme in tema di agevolazioni. Ne consegue che l’Agenzia delle Entrate non è incorsa in alcuna decadenza, avendo notificato l’avviso di accertamento entro il termine prorogato come correttamente ritenuto dalla C.T.R..
12. Il quinto motivo, riguardante la regolamentazione delle spese di primo grado e la omessa compensazione, rimane assorbito in ragione della soccombenza di parte contribuente.
13. Il sesto motivo, concernente la liquidazione da parte della Commissione Tributaria Regionale delle spese di primo e secondo grado in favore dell’ufficio, ancorché costituitosi soltanto a mezzo funzionari, va rigettato.
Questa Corte ha chiarito che in tema di contenzioso tributario, all’Amministrazione finanziaria assistita in giudizio dai propri funzionari, in caso di vittoria nella lite, spetta, ai sensi dell’art. 15, comma 2 bis, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, la liquidazione delle spese che va effettuata applicandosi la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli
onorari di avvocato, quale rimborso per la sottrazione di attività lavorativa dei funzionari medesimi, utilizzabile altrimenti in compiti interni di ufficio e tenuto conto dell’identità della prestazione professionale profusa dal funzionario rispetto a quella del difensore abilitato (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24675 del 23/11/2011; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 23055 del 17/09/2019; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 27634 del 11/10/2021). Privo di pregio appare, dunque, il richiamo ai principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il contribuente non può essere condannato al pagamento delle spese legali se l’ente pubblico si è difeso con un suo funzionario, precisando che gli enti pubblici non possono chiedere il pagamento dei compensi e dei diritti dei procuratori e degli avvocati se si sono difesi da propri dipendenti, trattandosi di principi affermati in relazione a controversie non riguardanti le cause tributarie (quale quella in esame) per le quali opera, per espressa previsione normativa, una diversa disciplina.
Va, infine, chiarito che il giudice è tenuto a liquidare le spese anche in assenza di nota spese (vedi Cass. 7654/2013).
14. In conclusione il ricorso va rigettato; le spese vanno poste a carico del contribuente e liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in favore dell’ Ufficio in euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito; dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico di parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, in data 21 gennaio 2025 .
Il Presidente NOME COGNOME