Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19893 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19893 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 5679/2018 proposto da:
NOME COGNOME nata a Nave San Rocco (TN) il 12 agosto 1935 (C.F.: CODICE_FISCALE e residente a Mezzolombardo (TN), alla INDIRIZZO rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME del Foro di Trento (C.F.: CODICE_FISCALE; fax: NUMERO_TELEFONO; PEC: EMAIL) e NOME COGNOME del Foro di Roma (C.F.: CODICE_FISCALE; fax: NUMERO_TELEFONO EMAIL) ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla INDIRIZZO n. 91, giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate (C.F.: P_IVA), in persona del Direttore Generale pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale
Avviso liquidazione imposta di registro -Beneficio piccola proprietà contadina – Immobile pertinenziali ai terreni -Qualifica coltivatore diretto
dello Stato (C.F.: P_IVA) e presso la stessa domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-controricorrente –
-avverso la sentenza n. 74/01/2017 emessa dalla CTR Trentino Alto Adige in data 10/07/2017 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
NOME impugnava un avviso di liquidazione con il quale erano state rideterminate le imposte di registro ed ipocatastali con riferimento all’acquisto di un fabbricato e di due fondi coltivati a frutteto con lo scopo dichiarato di arrotondare le proprietà coltive già possedute.
La CTP di Trento rigettava il ricorso, ritenendo infondata l’eccezione di difetto di motivazione dell’avviso impugnato.
Sull’impugnazione della contribuente, la CTR del Trentino Alto Adige accoglieva il gravame, affermando che l’Ufficio era incorso in decadenza nell’esercizio del potere di accertamento.
A seguito della sentenza della Corte di Cassazione, con la quale, rigettata l’eccezione di decadenza, la sentenza veniva cassata, riassunta la stessa su iniziativa della contribuente, la CTR rigettava l’appello di quest’ultima, evidenziando che l’avviso di liquidazione era adeguatamente motivato sulla base del parere negativo rilasciato dall’Ufficio provinciale, che il trattamento agevolativo invocato (coltivatore diretto) non era riconoscibile allorquando, oltre a terreni coltivati, veniva acquistato anche un fabbricato, che non sussisteva la qualifica di coltivatore diretto in ragione della presenza di fabbricati e dell’impegno lavorativo richiesto per la coltivazione, che in quest’ottica deponevano altresì l e circostanze che, con l’acquisto degli ultimi terreni, la proprietà della contribuente si era estesa a mq. 36.000, le operazioni imponibili desumibili dalla dichiarazione IVA per l’anno 2000 erano pari a lire 44.461.000 ed il volume d’affari, con riferimento al 2001, ammontava a lire 19.538.000.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME sulla base di sette motivi, illustrati da memoria. L’Agenzia delle
Entrate ha resistito con controricorso.
Con ordinanza interlocutoria dell’1.5.2023, il Collegio, premesso che il comma 197 dell’art. 1 della l. n. 197/2022, così come modificato da ultimo dall’art. 20, comma 1, lett. c) del d.l. 34/2023, dispone che «Le controversie definibili non sono sospese, salvo che il contribuente faccia apposita richiesta al giudice, dichiarando di volersi avvalere delle disposizioni del presente articolo. In tal caso il processo è sospeso fino al 10 ottobre 2023», che in base a tale previsione, quindi, ai fini della sospensione del giudizio è sufficiente la mera dichiarazione della parte legittimata di volersi avvalere della predetta definizione agevolata e che il giudizio de quo ha ad oggetto un avviso di liquidazione emesso dall’Agenzia delle Entrate relativo all’imposta di registro e d alle imposte ipocatastali, e pertanto non rientra tra le controversie escluse dalla definizione agevolata ai sensi dell’art. 1, comma 193 della l. n. 197/2022, ha disposto la sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 1, comma 197, della legge n. 197 del 2022 e rinviato la causa a nuovo ruolo.
Con nota del 26.10.2023, il ricorrente ha comunicato di non aver aderito alla definizione agevolata delle liti tributarie di cui ai commi 186 e ss. dell’art. 1 della l. n. 197/2022 e che era decorso il termine di sospensione di cui al comma 197 dell’art. 1 , sempre della l. n. 197/2022, chiedendo pertanto procedersi con la trattazione della causa.
Considerato che
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 9, comma 2, dPR n. 601/1973, 12, comma 1, l. n. 1102/1971 e 12 disp. legge in generale, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per aver la CTR rite nuto che la nozione di ‘fondo rustico’ trovi applicazione in relazione ai soli terreni, e non alle relative pertinenze quale un fabbricato rurale.
1.1. Il motivo è fondato.
In materia di agevolazioni tributarie, il presupposto per usufruire della tassazione agevolata è la mera idoneità dei fondi rustici acquistati – la cui nozione è da intendersi equivalente a quella di terreni agricoli e relative
pertinenze – ad aumentare la proprietà contadina legata alla coltivazione dei terreni; sicché, alla stregua di un’interpretazione volta alla massima espansione del contenuto normativo, il fabbricato insistente sul terreno agricolo, avente natura pertinenziale, deve includersi nell’ambito di applicazione dell’agevolazione (cfr. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 12777 del 26/06/2020, sia pure in tema di agevolazione ex art. 7 della legge n. 984 del 1977).
Del resto, in tema di agevolazioni tributarie, l’art. 1 della l. n. 604 del 1954, richiamata dall’art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 99 del 2004, prevede che i fabbricati rurali, inerenti alla formazione della piccola proprietà contadina, debbano possedere la caratteristica della “rusticità”, requisito la cui sussistenza va verificata in concreto dal giudice tributario, senza che a tali fini sia necessaria un’apposita classificazione catastale (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 20508 del 12/10/2016).
Con il secondo motivo la ricorrente rileva la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 9, comma 2, dPR n. 601/1973 e 12, comma 1, l. n. 1102/1971, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per aver la CTR valutato la sussistenza della qualifica di coltivatore diretto in suo capo in relazione non alla situazione (proprietà di mq. 18.005 di terreni) esistente al momento della stipula dell’atto di compravendita e, quindi, in relazione ai fondi già di sua proprietà in quel momento, ma alla situazione esistente dopo l’acquisto (proprietà di mq. 35.987 di terreni).
2.1. Il motivo è fondato.
L’estensione dei terreni posseduti dal contribuente che invoca il beneficio connesso alla piccola proprietà contadina deve essere valutata con riferimento alla situazione esistente al momento dell’acquisto, a tal punto che il contribuente che non abbia dimostrato il possesso del requisito soggettivo di coltivatore diretto, dichiarato al momento del rogito per ottenere il beneficio fiscale, non può successivamente pretendere il richiesto beneficio sulla base del diverso requisito soggettivo di imprenditore agricolo professionale, seppur equipollente ai fini del riconoscimento, in quanto, poiché i poteri di accertamento del tributo si esauriscono quando l’atto viene
sottoposto a tassazione, non è possibile mutare il titolo dell’attribuzione e la decadenza dall’agevolazione concessa preclude qualsiasi accertamento sulla base di diversi presupposti normativi o di fatto (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 14935 del 11/05/2022; conf. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 17411 del 16/06/2023; cfr. altresì Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 24655 del 08/10/2018).
Con il terzo motivo la ricorrente si duole dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., per non aver la CTR considerato che la qualifica di coltivatore diretto in suo capo era stata og getto di dichiarazione nell’atto di compravendita.
Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 9, comma 2, dPR n. 601/1973, 12, comma 1, l. n. 1102/1971 e 31, comma 1, l. n. 590/1965, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per non aver la CTR ritenuto provata la qualifica di coltivatore diretto in suo capo dalla dichiarazione contenuta nell’atto di compravendita.
Con il quinto motivo la ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 9, comma 2, dPR n. 601/1973, 12, comma 1, l. n. 1102/1971, 31, comma 1, l. n. 590/1965 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per n on aver la CTR ritenuto che l’Ufficio fosse onerato della prova contraria quanto all’insussistenza della qualifica di coltivatore diretto in suo capo.
I tre motivi, da trattarsi congiuntamente, siccome strettamente connessi (concernenti tutti il possesso, da parte della contribuente, della qualifica di coltivatrice diretta), sono fondati.
Le agevolazioni tributarie previste dall’art. 9, comma secondo, del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 601 per i trasferimenti di fondi rustici nei territori montani, fatti a scopo di arrotondamento o di accorpamento di proprietà diretto-coltivatrici, richiedono per la loro applicazione la ricorrenza della qualità di coltivatore diretto dell’acquirente (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 8303 del 24/07/1993).
Orbene, in tema di imposte di registro, ai fini dell’applicazione delle
agevolazioni tributarie per i territori montani previste dall’art. 9 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 601 con riguardo ai “trasferimenti di proprietà di fondi rustici effettuati a scopo di arrotondamento od accorpamento di proprietà diretto-coltivatrici”, la sussistenza dei presupposti del beneficio non postula una prova specifica a carico del contribuente (dovendo l’art. 9 della legge n. 991 del 1952, che prescriveva in materia una apposita certificazione dello ispettorato dipartimentale delle Foreste, ritenersi non già richiamato, ma abrogato dall’art. 42 del citato d.P.R. n. 601 del 1971) ed è pertanto direttamente desumibile dalle stesse risultanze dell’atto oggetto di imposta, salvo il potere dell’ufficio di verificare, nella realtà, l’eventuale non corrispondenza del trasferimento allo scopo dichiarato (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 1785 del 19/02/1987).
Nel caso di specie, pertanto, era sufficiente la dichiarazione resa dall’acquirente in sede di stipula della compravendita, accompagnata dalle prescritte certificazioni.
Inoltre, l’art. 9 del d.P.R. n. 601 del 1973, innovando rispetto alla precedente normativa della legge n. 266 del 1956, non subordina l’agevolazione in materia d’imposta di registro per gli atti di trasferimento di proprietà di fondi rustici effettuati a scopo di arrotondamento od accorpamento di proprietà diretto coltivatrici alla documentazione da parte del richiedente – al momento della registrazione – della propria qualità di coltivatore diretto, salvo restando il potere dell’amministrazione di procedere ai necessari accertamenti circa la sussistenza dei presupposti dell’agevolazione (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 5758 del 13/06/1990).
Ha, dunque, errato la CTR, in presenza della detta dichiarazione al momento della stipula dell’atto di compravendita, a concentrare le proprie attenzioni esclusivamente sulle prove addotte dalla contribuente, ritenendole insufficienti, avuto particolare riguardo alla forza lavoro necessaria per la coltivazione.
Va, sul punto, enunciato il seguente principio di diritto: «In tema di trasferimenti di fondi rustici fatti a scopo di arrotondamento o di accorpamento di proprietà diretto-coltivatrice, al fine di beneficiare
dell’agevolazione connessa alla piccola proprietà contadina, non occorre una prova specifica della propria qualità di coltivatore diretto da parte del contribuente, essendo a tal fine sufficiente la dichiarazione dal medesimo resa in sede di stipula dell’atto di compravendita , accompagnata dalle prescritte certificazioni, pur potendo l’Ufficio verificare l’eventuale non corrispondenza del trasferimento allo scopo dichiarato».
6. Con il sesto motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 9, comma 2, dPR n. 601/1973, 12, comma 1, l. n. 1102/1971 e 31, comma 1, l. n. 590/1965, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per aver la CTR escluso la qualifica di coltivatore diretto in suo capo in ragione dell’estensione dei fondi, della capacità produttiva degli stessi, della natura imprenditoriale dell’attività svolta e del volume d’affari ai fini IVA.
6.1. Il motivo è fondato nei termini che seguono.
In tema d’imposta di registro, ai fini dell’applicazione delle agevolazioni tributarie per i territori montani previste dall’art. 9 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 601, l’acquirente deve rivestire la qualità di coltivatore diretto, senza che sia necessaria l’esclusività o la prevalenza di tale attività rispetto alle altre eventualmente esercitate che, quindi, restano irrilevanti, a meno che da esse non si ricavi, sotto il profilo probatorio, l’impossibilità della coltivazione del fondo. In ogni caso, la prova della qualità di coltivatore diretto può essere fornita con qualsiasi mezzo dal contribuente ed il relativo accertamento costituisce una valutazione di fatto riservata al giudice del merito (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 22001 del 17/10/2014; conf. Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 228 del 11/01/2016).
In particolare, il requisito della “abitualità” dell’attività di coltivazione agricola richiesto dall’art. 31 della legge 26 maggio 1965, n. 590, in capo al coltivatore diretto non implica necessariamente che l’attività di conduzione del fondo debba essere svolta, da chi assume di essere titolare del diritto di prelazione, in forma professionale, e neppure in misura preponderante rispetto ad altre sue attività, che restano irrilevanti ai fini della sussistenza della qualità di coltivatore diretto anche se esercitate in
via prevalente venendo a costituire una fonte di reddito superiore o addirittura la fonte di reddito principale, purché la forza lavoro del coltivatore diretto e della sua famiglia costituisca almeno un terzo di quella occorrente per le normali necessità di coltivazione del fondo (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 5673 del 10/04/2003).
Con il settimo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13, comma 1 -quater, dPR n. 115/2002, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per aver la CTR applicato, in ragione del rigetto del giudizio di riassunzione, il raddoppio del contributo unificato.
7.1. Il motivo resta assorbito nell’accoglimento dei precedenti, pur rivelandosi opportuno evidenziare nella presente sede che l’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, sull’obbligo di versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato nell’ipotesi di infondatezza o inammissibilità dell’impugnazione, non trova applicazione ai giudizi tributari, trattandosi di misura eccezionale di carattere lato sensu sanzionatorio, la cui operatività deve, pertanto, essere circoscritta al processo civile; tale misura è invece applicabile al giudizio di legittimità, stante la sua natura di ordinario processo civile, disciplinato dal codice di rito ed avente ad oggetto l’impugnazione della sentenza, (Cass. Ordinanza n. 27296 del 22/10/2024).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, in accoglimento dei motivi dal primo al sesto, la sentenza impugnata va cassata, con conseguente rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Trentino-Alto Adige.
P.Q.M.
accoglie dal primo al sesto motivo del ricorso, dichiara assorbito il settimo, cassa la sentenza impugnata con riferimento ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Trentino-Alto Adige in differente composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 25.6.2025.
NOME COGNOME