Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14026 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 14026 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/05/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14256/2023 R.G. proposto da: ROMA CAPITALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in Amministrazione Straordinaria
-intimata- avverso la SENTENZA della COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 6011/2022 depositata il 15/12/2022.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/02/2025 dal Consigliere COGNOME Sentito il P.G. ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1.La RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria ha impugnato gli avvisi di accertamento del Comune di Roma, con cui è stato chiesto il pagamento IMU, relativamente agli immobili dalla stessa posseduti, per le annualità 2012 e 2013, rappresentando di trovarsi in una situazione di amministrazione straordinaria ai sensi del d.lgs. n. 270 del 1999.
Il ricorso è stato parzialmente accolto in primo grado, essendosi ritenuto applicabile anche all’amministrazione straordinaria l’art. 10, comma 6, de. d.lgs. n. 504 del 1992, letteralmente riferito solo a fallimento e liquidazione coatta. Pertanto, la sentenza di primo grado ha confermato la debenza del tributo, escludendo, però, interessi e sanzioni, in quanto il pagamento è dovuto solo al momento della vendita del bene.
L’appello di Roma Capitale è stato rigettato. A prescindere dalla confusione terminologica tra amministrazione controllata ed amministrazione straordinaria, dalla sentenza risulta che la società è sottoposta ad una procedura ex d.lgs. n. 270 del 1999: procedura che «era fin dall’inizio finalizzata non già alla prosecuzione o riconversione delle attività produttive, ma esclusivamente alla liquidazione degli assetti patrimoniali». In base a tale premessa, la sentenza di appello ha confermato il principio affermato da quella di primo grado, secondo cui il pagamento può essere effettuato solo dopo la vendita del bene e con l’esclusione di sanzioni ed interessi.
Roma Capitale ha proposto ricorso per cassazione, formulando tre motivi.
La società è rimasta intimata.
Il P.G., con memoria in atti, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Con ordinanza interlocutoria è stata disposta la trattazione della causa in pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo Roma Capitale ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 10, comma 6, d.lgs. n. 504 del 1992, che è norma agevolativa e, quindi, di stretta interpretazione, per cui può applicarsi solo al fallimento ed alla liquidazione coatta, a cui fa espresso riferimento, e non all’amministrazione straordinaria di cui al d.lgs. n. 270 del 1999, il cui obiettivo, peraltro, è il salvataggio e non la liquidazione dell’impresa (come confermato dalla disciplina dell’art. 125 del d.P.R. n. 917 del 1986, che stabilisce che le imprese in amministrazione straordinaria devono effettuare gli adempimenti dichiarativi in materia di imposta dei redditi, e come già affermato dalla Corte di cassazione).
Con il secondo ed il terzo motivo -da esaminare congiuntamente in quanto fra loro connessi -parte ricorrente ha lamentato la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per carenza e contraddittorietà della motivazione e per violazione dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. in particolare con riferimento alla finalità liquidatoria della procedura, di cui la sentenza non fornisce alcuna prova.
Per ragioni di ordine logico vanno preliminarmente esaminati il secondo ed il terzo motivo, motivi da rigettare per le ragioni appresso specificate.
3.1. Va osservato che costituisce orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui l’ipotesi di motivazione apparente ricorre allorché essa, pur graficamente e, quindi, materialmente esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento,
non consentendo, in tal modo, alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice, lasciando all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. . Nella specie l’apparenza della motivazione non sussiste posto che i giudici di appello, nel pervenire alle proprie conclusioni, hanno argomentato quanto al carattere liquidatorio delle procedura de qua (precisando che, contrariamente a quanto lamentato dall’ente impositore, risultava che la procedura in questione era destinata non alla prosecuzione o alla riconversione delle attività produttive ma esclusivamente alla liquidazione degli assetti patrimoniali) risultando palese che, sotto lo schermo di un vizio di assenza assoluta di motivazione, il Comune pretende una revisione nel merito. Occorre pure chiarire che fermo restando che in tema di contenuto della sentenza, la concisione della motivazione non può prescindere dall’esistenza di una pur succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione impugnata, la cui assenza configura motivo di nullità della sentenza quando non sia possibile individuare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione. (Sez. 3 – , Ordinanza n. 29721 del 15/11/2019, Rv. 655799 – 01), nella specie risulta evidente che dal
tenore complessivo della pronunzia è possibile individuare il percorso argomentativo della decisione, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione.
Il primo motivo è, per contro, fondato.
4.1. La questione posta con tale motivo attiene all’accertamento se la disposizione dettata dall’art. 10, comma 6, d.lgs. n. 504 del 1992 (applicabile ratione temporis ) sia applicabile anche alle procedure di amministrazione straordinaria che si svolgono ai sensi del (allora vigente) d.lgs. n. 270 del 1999, quando il programma di liquidazione non preveda la continuità aziendale.
Occorre ricordare che la disciplina prevista in materia di IMU dall’art. 10, comma 6, del d.lgs. n. 504/1992, consente alle imprese in fallimento ed in liquidazione coatta amministrativa di differire il versamento dell’IMU dovuta sugli immobili ricompresi nel fallimento, al momento in cui si perfeziona la cessione degli stessi.
In ordine alle disposizioni di riferimento va, in primo luogo, richiamato l’art. 36 del assimila detta procedura alla L.C.A.; la norma stabilisce, in particolare, che: ‘
In particolare la prima norma ha indotto una parte della dottrina ed anche della giurisprudenza di merito ad affermare che, in virtù del rinvio operato dall’art. 36 appena citato, debbano ritenersi applicabili anche alla amministrazione straordinaria, quando non diversamente stabilito, non solo le norme che disciplinano lo svolgimento della procedura concorsuale di liquidazione coatta amministrativa, ma anche quelle che concernono profili non strettamente procedimentali. L’art. 36, in sostanza, secondo i so stenitori di tale impostazione, richiamerebbe tutto il coacervo delle disposizioni applicabili alla liquidazione coatta amministrativa anche quando non funzionali ad integrare le lacune della disciplina dettata dal d.lgs. n. 270/1999.
4.2. Il primo profilo da affrontare è se ci si trovi in presenza o meno di una norma agevolativa.
Osserva questo Collegio che appare fondata la tesi propugnata dal ricorrente e fatta propria anche dalla Procura Generale secondo cui non può accedersi all’ affermazione secondo cui tale disposizione non sarebbe connotata da una funzione agevolativa, prevedendo per i contribuenti sottoposti a fallimento ovvero a liquidazione coatta amministrativa.
Si è affermato, da parte di certa dottrina, che il mero differimento temporale del pagamento dell’IMU non possa costituire un’agevolazione fiscale, seppure esso sia stato disposto da una legge; il che consentirebbe di affermare che non ci si trovi in presenza di una norma di carattere eccezionale, bensì di una norma ordinaria. Essa, infatti, non implicherebbe alcuna deroga ai principi generali di applicazione del tributo IMU in quanto non ne modifica la
base imponibile, né l’aliquota del prelievo, né dispone nuove esclusioni o esenzioni rispetto a quelle contenute nell’impianto normativo che regola il tributo; essa dispone solamente il differimento dei tempi del suo pagamento.
La tesi che taluno propugna (e che, in sostanza, è stata fatta propria dai giudici di appello) è, quindi, quella di una interpretazione ‘estensiva’ della norma, tesi la quale muove dalla considerazione secondo cui nell’ipotesi in cui la procedura di amministrazione straordinaria sia finalizzata alla liquidazione dei beni dell’imprenditore, e non anche alla prosecuzione della sua attività, tale tipologia di procedura concorsuale, sia sotto il profilo funzionale che strutturale, presenta importanti punti di contatto con la procedura fallimentare, specie sotto il profilo del rispetto della par condicio creditorum e del regime dei crediti (in tal senso viene il rilievo l’art.20 della richiamata legge che disciplina l’am ministrazione straordinaria, secondo cui ‘ 1 . I crediti sorti per la continuazione dell’esercizio dell’impresa e la gestione del patrimonio del debitore dopo la dichiarazione dello stato di insolvenza sono soddisfatti in prededuzione, a norma dell’articolo 111, primo comma, numero 1), della legge fallimentare ‘. ).
Tuttavia giova replicare che plurime ragioni depongono nel senso della configurabilità di una vera e propria agevolazione, come, peraltro, già affermato da questa Corte con le pronunzie Cass. nn. 7397/2019 e 19681/2023, dovendosi ritenere pienamente condivisibili le argomentazioni ivi svolte unitamente alle considerazioni formulate dalla Procura Generale nelle proprie conclusioni scritte.
Invero affinché una norma possa ascriversi tra quelle agevolatrici non occorre che stabilisca una totale esenzione dal tributo ma appare sufficiente che, come nel caso in esame, detti un regime speciale che esenta il contribuente dal pagamento di interessi e sanzioni o prevede tempi e modi di pagamento differenti da quelli ordinari.
In dottrina si parla, in generale, di agevolazione ogniqualvolta ci si trovi in presenza di una deroga al regime ordinario. Si è affermato che l’effetto dell’agevolazione è sempre la diminuzione del peso dell’imposta da ottenersi tramite i più disparati strumenti: esenzioni, deduzioni dalla base imponibile, detrazioni dell’imposta, riduzione delle aliquote, regimi sostitutivi, sospensione dell’im posta, crediti d’imposta.
L’art. 10, comma 6, d.lgs. n. 504/1992 è connotato, invero da una chiara funzione agevolativa, prevedendo, per i contribuenti sottoposti a fallimento ovvero a liquidazione coatta amministrativa, un regime più favorevole, in punto di (più elastico) periodo d’imposta del tributo e di esclusione della debenza di sanzioni ed interessi, elemento questo che evidenzia la natura ‘eccezionale’ della norma. D’altra parte, al di là delle indubbie ‘affinità’, sotto il profilo tecnico -liquidatorio, fa procedure, trattasi pur sempre di procedure concorsuali ‘ontologicamente’ diverse e con presupposti, finalità ed effetti non certo sovrapponibili.
Né rileva, in modo determinante, che il tribunale competente abbia dichiarato la cessazione dell’esercizio dell’impresa e disposto la dismissione dei beni per il soddisfacimento dei crediti ammessi al passivo (art. 73 del d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270), atteso che l’eccezionalità dell’art. 10, comma 6, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, prescinde dai possibili sbocchi procedurali dell’amministrazione straordinaria.
Del resto, nel campo tributario esistono altri regimi ‘speciali’ circoscritti solamente a talune procedure.
Ad esempio, in materia di imposte sui redditi, l’art. 183, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (in seguito T.U.I.R.), come noto, dispone che il reddito del periodo che intercorre, indipendentemente dalla sua durata, dalla dichiarazione di fallimento al termine della procedura fallimentare (c.d. maxi-periodo fallimentare) è determinato in misura pari alla differenza tra il patrimonio netto
iniziale (determinato sulla base del bilancio redatto dal curatore ai sensi del comma 1 della disposizione in commento) ed il ‘residuo attivo’. Peraltro, il patrimonio netto è considerato nullo, qualora le passività siano pari o superiori alle attività, da che ne consegue che, fino a che le attività non abbiano superato le passività, non potrà configurarsi nessuna emersione di materia imponibile.
Analoghe esigenze hanno, poi, condotto il legislatore ad adottare previsioni particolari in materia di determinazione del reddito delle imprese in concordato preventivo. In tale ottica gli artt. 86, comma 5, e 88, comma 4, del T.U.I.R. dispongono l’irrilev anza fiscale, rispettivamente, delle plusvalenze emergenti dalla cessione di beni ai creditori in sede di concordato preventivo, e delle sopravvenienze attive derivanti dalla riduzione dei debiti dell’impresa a seguito della omologazione della proposta concordataria.
4.3. Non può del resto sottacersi che il rinvio operato dall’art. 36 d.lgs. n. 270 del 1999 è evidentemente finalizzato a regolamentare lo svolgimento della procedura concorsuale di amministrazione straordinaria relativamente agli aspetti che non siano stati oggetto di normazione esplicita. Non è, invece, plausibile che detto richiamo possa essere letto nel senso che ogni disposizione riferibile alla liquidazione coatta amministrativa deve considerarsi automaticamente applicabile anche alla amministrazione straordinaria. Alla luce di tali considerazioni sembra, perciò, potersi concludere affermando che il rinvio di cui all’art. 36 d.lgs. n. 270 del 1999 non è dirimente.
Non appare, del resto, in alcun modo ipotizzabile la praticata integrazione ‘estensiva’ della disposizione in esame, con applicazione del citato regime anche agli immobili detenuti da imprese che abbiano avviato una procedura di amministrazione straordinaria di tipo liquidatorio.
Va ricordato che secondo le Sezioni unite di questa Corte (vedi Cass. civ., sez. un. 3 giugno 2015, n. 11373) costituisce caposaldo
dell’ordinamento tributario, nonché «principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte e condiviso dalla prevalente dottrina, che le norme fiscali di agevolazione sono norme di ‘stretta interpretazione’, nel senso che non sono in alc un modo applicabili a casi e situazioni non riconducibili al relativo significato letterale». Invero, puntualizzano le Sezioni unite, le norme che riconoscono agevolazioni o benefici fiscali in deroga all’ordinario regime d’imposizione «sono norme ad inter pretazione rigida ed anelastica, in quanto rigorosamente legata al dato letterale. Ed è la centralità stessa del criterio nel sistema dell’imposizione, al fine del perseguimento degli equilibri cui l’imposizione deve mirare in ottemperanza ai principi di cui agli artt. 23, 53 e 81 Cost. (cfr. C. cost. 10/2015) » a rendere ineludibile l’osservanza di tale regula iuris.
A questo riguardo, attesa la ‘specialità’ dell’ordinamento tributario, l’interpretazione analogica non trova applicazione né per le norme impositive, né per quelle sanzionatorie e/o agevolative.
4.4. Come osservato dalla Procura Generale, con considerazioni pienamente condivisibili, non appare possibile ipotizzare che il d.lgs. n. 504/1992 possa essere interpretato oltre il suo tenore letterale per ovviare ad una possibile dimenticanza del legislatore cui occorre rimediare proponendo una lettura costituzionalmente orientata delle norme in esame. A conferma di tale conclusione oltre al rilievo della inapplicabilità dell’art. 10 citato al di fuori dei casi espressamente contemplati in virtù dell’art . 14 delle preleggi, va richiamato, in modo significativo, l’art. 1, comma 768, ultimo periodo, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (‘Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 20202022’), in tem a di c.d. ‘nuova IMU’, che ha conservato una formulazione similare alla norma previgente, secondo cui: «Per gli immobili compresi nel fallimento o nella liquidazione coatta amministrativa, il curatore o il commissario liquidatore sono tenuti al versamento della
tassa dovuta per il periodo di durata dell’intera procedura concorsuale entro il termine di tre mesi dalla data del decreto di trasferimento degli immobili», ribadendo l’esclusione dal beneficio per le imprese e le società in amministrazione straordinaria.
Poiché il d.lgs. n. 270 del 1999 era già entrato in vigore e, dunque, la previsione avrebbe potuto essere colmata nel 2019 quando è stata introdotta la nuova IMU, in tale ultima occasione, ove il legislatore lo avesse voluto, avrebbe potuto estendere la disciplina di favore a tutte le procedure concorsuali con finalità solo liquidatorie, in quanto tali caratterizzate da una eadem ratio, dato questo che appare suffragare la interpretazione della normativa in esame nei termini anzi cennati.
Nel dare continuità ai richiamati precedenti, il motivo va, dunque, accolto alla stregua del seguente principio di diritto: ‘ la disciplina dell’art. 10 d.lgs. 504/1992, integrando una deroga al regime impositivo generale, è da ritenersi di stretta interpretazione e poiché tale norma fa espresso riferimento al fallimento e alla liquidazione coatta amministrativa, non è possibile farne applicazione analogica ovvero ‘estensiva’ all’amministrazione straordinaria anche allorquando abbia finalità liquidatoria ‘ .
In conclusione accolto il primo motivo, rigettato il secondo e terzo, la sentenza impugnata va cassata e non essendo necessario, alla luce della disciplina IMU, alcun accertamento in fatto, la causa può essere decisa nel merito con integrale rigetto del ricorso originario.
Le spese delle fasi di merito possono essere integralmente compensate, mentre le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo ed il terzo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta integralmente il ricorso originario; dichiara integralmente compensate le spese dei giudizi di merito; condanna la RAGIONE_SOCIALE
S.p.ARAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore del ricorrente Comune, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 2.400,00, oltre ad euro 200,00 per esborsi ed oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione