Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15255 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15255 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1841/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dal l’ avv. NOME COGNOME e dal l’ avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso lo studio dal l’ avv. NOME COGNOME in Roma in INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI;
-intimata- per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 2423/2022, depositata il 9 giugno 2022.
cui è riunito il ricorso iscritto al n. 1947/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso lo studio dall’avv. NOME COGNOME in Roma in INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 2423/2022, depositata il 9 giugno 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE, oggi incorporata in RAGIONE_SOCIALE, era una società operante nel settore del trasporto pubblico locale la quale, nell’ambito della propria attività, ha acquistato diversi veicoli alimentati a gasolio, da adibire al trasporto passeggeri. Su tali veicoli, originariamente omologati (in fase di prima immatricolazione) come categoria ‘Euro 2’, ha successivamente fatto installare filtri anti-particolato per motori diesel (cosiddetti ‘FAP’). L’installazione di detti filtri, avvenuta prima dell’anno d’imposta 2016, ha fatto sì che i veicoli rientrassero, quanto a tutte le emissioni inquinanti rilevanti, nella categoria ‘Euro 3’ o superiore (anche ‘Euro 5’), come espressamente indicato nelle rispettive ‘carte di circolazione’, rilasciate dai co mpetenti uffici/articolazioni del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, nonché come comprovato da una perizia tecnica. Sulla scorta di tali elementi fattuali (riduzione degli inquinanti rilevanti per il ‘miglioramento’ di categoria Euro), KM RAGIONE_SOCIALE chiese il rimborso dell’importo di Euro
26.077,98, a titolo di accise sul ‘gasolio commerciale’, consumato dai propri mezzi dotati di ‘FAP’ (quindi ritenuti di categoria Euro 3 o superiore, indipendentemente dalla categoria Euro 2 assegnata al veicolo al momento dell’originaria omologazione), ne l 4° trimestre 2017, così come previsto dall’art. 1, comma 645 della L. n. 208/2015 e dall’omogeneo art. 24 ter del d.lgs. 504/1995 (Testo Unico Accise).
L’Ufficio delle dogane di Brescia, con provvedimento n. 3963/RU del 6.02.2018 ha respinto tale richiesta ritenendo che i veicoli della Società ricadessero nella preclusione di cui all’art. 1, comma 645 , legge n. 208/2015, in quanto originariamente omologati come Euro 2, risultando quindi irrilevante la successiva installazione (avvenuta prima del 2016) dei FAP.
La società ha presentato ricorso avverso il diniego di rimborso.
La Commissione tributaria provinciale di Brescia, con la sentenza n. 175/2019, ha respinto il ricorso della contribuente.
-Avverso tale sentenza la contribuente ha proposto appello. L’Ufficio si è costituito ribadendo la legittimità del proprio provvedimento.
Con la sentenza n. 2423/2022, depositata il 9 giugno 2022, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha respinto l’appello.
-Avverso la pronuncia, la società contribuente ha presentato ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’Agenzia delle dogane e dei monopoli si è costituita con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 c.p.c.
La Procura generale ha depositato una requisitoria scritta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -In via preliminare va disposta la riunione dei fascicoli contraddistinti ai n. 1841/2023 e n. 1947/2023 R.G. avverso la stessa sentenza n. 2423/2022 della Commissione tributaria regionale della Lombardia (art. 274 c.p.c.). L’istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall’art. 274 c.p.c., in quanto volto a garantire l’economia e il minor costo dei giudizi, oltre alla certezza del diritto, risulta applicabile anche in sede di legittimità, in ossequio al precetto costituzionale della ragionevole durata del processo, cui è funzionale ogni opzione semplificatoria ed acceleratoria delle situazioni processuali che conducono alla risposta finale sulla domanda di giustizia, e in conformità al ruolo istituzionale della Corte di cassazione, che, quale organo supremo di giustizia, è preposta proprio ad assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge.
Come rappresentato n ell’i stanza di riunione, in data 4 gennaio 2023, RAGIONE_SOCIALE notificava all’Agenzia delle dogane e dei monopoli ricorso per la cassazione della sentenza n. 2423/2022 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, Sez. n. 9, pubblicata il 9 giugno 2022. Al momento del deposito, a causa di un mero errore materiale, veniva caricato, nel fascicolo telematico, cui è stato assegnato l’R.G. n. 1841/2023, un documento diverso (contenente il ricorso, in formato pdf, di ASF RAGIONE_SOCIALE per la cassazione della sentenza n. 2142/2022 pronunciata dalla Commissione tributaria regionale Lombardia, Sez. n. 9 depositata il 24 maggio 2022, già in precedenza depositato in data 11 gennaio 2023 e iscritto con al RG. n. 832/2023). In data 24 gennaio 2023, con apposita nota, veniva segnalato l’errore e, a rettifica dello stesso, veniva depositato, nel già costituito fascicolo R.G. n. 1841/2023, l’originale informatico del ricorso di RAGIONE_SOCIALE per la cassazione della sentenza n. 2423/2022 della Commissione
tributaria regionale della Lombardia e notificato il 4 gennaio all’Agenzia delle dogane e dei monopoli. Per ragioni di cautela, alla medesima data del 24 gennaio 2023, veniva rinnovato il deposito dello stesso ricorso RAGIONE_SOCIALE per la cassazione della sentenza n. 2423/2022 della Commissione tributaria regionale Lombardia, in nuovo fascicolo telematico, cui veniva assegnato l’R.G. n. 1947/2023.
-Vanno innanzitutto esaminati i motivi del ricorso R.G. n. 1841/2023.
Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 1, comma 645, della l. 25.12.2015, n. 208 e dell’art. 24 ter del d.lgs. 26.10.1995, n. 504 e falsa applicazione dell’art. 5 del Decreto Ministero dei Trasporti n. 39 del 25/01/2008 (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. quale error in judicando ). Secondo quanto prospettato, la sentenza impugnata sarebbe da cassare in quanto l’art. 1, comma 645, della l. n. 208/2015 (tanto quanto l’omogeneo art. 24 ter, comma 2 del d.lgs. n. 504/1995), nel precludere la spettanza del credito d’imposta ai veicoli Euro 2 o inferiori, fa testuale riferimento alla ‘categoria euro’ di un veicolo, quindi alle attuali ed effettive caratteristiche ambientali dei veicoli a seguito dell’installazione dei FAP, e non, invece, allo stato originario del veicolo, per come ‘fotografato’ al momento dell’omologazione o immatricolazione.
2.1. -Il motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa S.C., in tema di accise sul gasolio per autotrazione, le agevolazioni previste per i veicoli di una determinata categoria “euro” si riferiscono alla categoria attribuita al veicolo in sede di omologazione, rappresentativa della complessiva condizione del mezzo sotto il profilo ambientale, non rilevando che, successivamente all’immatricolazione, siano stati installati sistemi di
riduzione delle emissioni di particolato (Cass., Sez. V, 7 giugno 2023, n. 16009).
In materia di autotrasporto, la legge n. 208 del 2015, con l’art. 1, comma 645, cit., ha ristretto il campo d’applicazione dell’agevolazione prevista a favore degli esercenti il trasporto merci e di determinate imprese che svolgono il trasporto persone, escludendone a decorrere dal 1º gennaio 2016 il gasolio consumato dai veicoli di categoria Euro 2 o inferiore. Ciò in aggiunta ai veicoli di categoria Euro 1 o inferiore, già esclusi dall’art. 1, comma 233, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Legge di Stabilità 2015), con effetto dal 1° gennaio 2015.
In particolare, la legge n. 208 cit., art. 1, comma 645, dispone che, a decorrere dal 1° gennaio 2016, il credito d’imposta relativo all’agevolazione sul gasolio per autotrazione degli autotrasportatori “non spetta per i veicoli di categoria Euro 2 o inferiore”.
I veicoli di categoria Euro 2 o inferiore sono i veicoli che rispettano le emissioni inquinanti definite dalle direttive degli anni dal 1991 al 1998 (Euro 1: direttive 91/441/CEE, 91/542/CEE punto 6.2.1.A e 93/59/CEE; Euro 2: 91/542/CE punto 6.2.1., 94/12/CE, 96/1/CE, 96/44/CE, 96/69/CE e 98/77/CE) (cfr. Dossier n. 240 10 Vol. II, Atto Senato n. 2111 XVII Legislatura).
Analogamente, l’art. 24 -ter del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, inserito dal d.l. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito con mod. dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225 intitolato «Gasolio commerciale», prevede che 1. Il gasolio commerciale usato come carburante è assoggettato ad accisa con l’applicazione dell’aliquota prevista per tale impiego dal numero 4-bis della tabella A allegata al presente testo unico; 2. Per gasolio commerciale usato come carburante si intende il gasolio impiegato da veicoli, ad eccezione di quelli di categoria Euro 2 o inferiore, utilizzati dal proprietario, o in
virtù di altro titolo che ne garantisca l’esclusiva disponibilità, per i seguenti scopi: a) attività di trasporto di merci con veicoli di massa massima complessiva pari o superiore a 7,5 tonnellate esercitata da (…); b) attività di trasporto di persone svolta da: 1) enti pubblici o imprese pubbliche locali esercenti l’attività di trasporto di cui al decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 e alle relative leggi regionali di attuazione; 2) imprese esercenti autoservizi interregionali di competenza statale di cui al decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 285 (Riordino dei servizi automobilistici interregionali di competenza statale); 3) imprese esercenti autoservizi di competenza regionale e locale di cui al decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422; 4) imprese esercenti autoservizi regolari in ambito comunitario di cui al regolamento (CE) n. 1073/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, che fissa norme comuni per l’accesso al mercato internazionale dei servizi di trasporto effettuati con autobus e che modifica il regolamento (CE) n. 561/2006.
Nel caso all’attenzione di questo collegio si tratta di veicoli immatricolati come Euro 2, ma in seguito sottoposti a modifica con la dotazione di filtro antiparticolato.
Ebbene, deve affermarsi che tale intervento non è sufficiente a consentire alla parte di fruire dell’agevolazione fiscale richiesta, non comportando una variazione della categoria di classificazione del mezzo, se non con riguardo alle emissioni di ‘particolato’.
Va infatti chiarito che l’art. 1 della Direttiva 2007/46/CE (vigente ratione temporis , poi abrogata, a decorrere dal 1° settembre 2020, dall’art. 88 del Regolamento 30 maggio 2018, n. 2018/858/UE) stabilisce che ‘la presente Direttiva stabilisce un quadro armonizzato contenente le disposizioni amministrative e i requisiti tecnici generali necessari per l’omologazione di tutti i veicoli
nuovi che rientrano nel suo campo d’applicazione e dei sistemi, dei componenti e delle entità tecniche destinati a tali veicoli, al fine di semplificarne l’immatricolazione, la vendita e la messa in circolazione all’interno della Comunità’.
Ai sensi dell’art. 3 della medesima per omologazione CE si intende ‘la procedura con cui uno Stato membro certifica che un tipo di veicolo, sistema, componente o entità tecnica è conforme alle disposizioni amministrative e alle prescrizioni tecniche pertinenti della presente Direttiva e degli atti normativi elencati negli allegati IV o XI’. La procedura di omologazione CE di un veicolo comprende quindi la verifica della conformità del veicolo da immettere in circolazione ad una serie di standard e requisiti tecnici tra cui quelli ambientali.
In base al Considerando 14 della detta Direttiva ‘l’obiettivo principale della legislazione in materia di omologazione dei veicoli è assicurare che i veicoli nuovi, i componenti e le entità tecniche immessi in commercio forniscano un elevato livello di sicurezza e di protezione dell’ambiente’.
La Comunità europea ha emanato una serie di direttive per regolamentare le emissioni di inquinanti dei veicoli. In base a queste direttive sono state individuate diverse categorie di appartenenza (Euro 1, 2, 3, 4, 5 e 6). Come si evince dal Considerando 10 della Direttiva n. 91/441/CE (disciplinante lo standard Euro 1) poi ripetuto nelle successive direttive sulle categorie Euro superiori, ‘a motivo della grande importanza delle emissioni inquinanti provenienti dai veicoli a motore e del loro contributo ai gas responsabili dell’ «effetto serra», è necessario stabilizzare, e successivamente ridurre, soprattutto le loro emissioni di C02 in conformità della decisione del consiglio di amministrazione del PNUA (Programma delle Nazioni
Unite per l’ambiente), del 24 maggio 1989, in particolare del punto 11 , lettera d).
Nel Considerando 4 del Reg. CE n. 715/2007 (disciplinante lo standard europeo Euro 5 e Euro 6). ‘(…) In tale contesto, il compito di ridurre le emissioni dei veicoli dovrebbe essere affrontato nell’ambito di una strategia globale. Le norme Euro 5 e Euro 6 costituiscono una delle misure intese a ridurre le emissioni di particolato e di precursori dell’ozono come gli ossidi di azoto e gli idrocarburi’.
Le direttive comunitarie, nel disciplinare i vari standard Euro (c.d. classi ambientali), in base ai livelli di emissioni inquinanti, stabiliscono, pertanto, la possibilità degli Stati membri di omologazione soltanto delle automobili che rispettano (anche) tali limiti di volta in volta fissati al momento della loro immatricolazione.
Tuttavia il d.m. Trasporti n. 39/2008, in materia di “sistemi idonei alla riduzione della massa di particolato prodotto dai motori”, dispone espressamente che l’installazione di sistemi idonei alla riduzione di detta massa determina un diverso inquadramento per i veicoli “ai soli fini dell’inquinamento da massa di particolato” e non comporta pertanto una completa equiparazione di tali veicoli a quelli di categoria Euro 3 o superiori. Questo si evince dalle stesse carte di circolazione dei veicoli dotati del filtro antiparticolato, laddove all’annotazione che si tratta di “autoveicolo dotato di sistema per la riduzione della massa di particolato”, viene generalmente aggiunto che “ai soli fini dell’inquinamento da massa di particolato, è inquadrabile quale Eur o 5′ . Invero, i riferimenti presenti nella carta di circolazione del veicolo indicano quale normativa Euro in base alle direttive anti-inquinamento è stata rispettata dalla casa costruttrice.
Peraltro, nella nota del 7 marzo 2016, l’Agenzia delle dogane, in riposta a taluni quesiti formulati da associazioni di settore, studi tributari, nonché da soggetti interessati alla inclusione nel beneficio fiscale previsto sui consumi di gasolio, di mezzi di trasporto classificati Euro 2 o Euro 1 previa installazione di peculiari sistemi di riduzione del particolato, ha chiarito che l’installazione su veicoli di categoria Euro 2 di sistemi di riduzione del particolato non comporta, di per sé, l’equiparazione di tali mezzi a quelli di cui alle categorie Euro 3 o superiori, in quanto tali dispositivi consentono la riconducibilità alla categoria superiore solo quanto al parametro delle emissioni inquinanti.
Al riguardo, viene precisato che tali dispositivi consentono la riconducibilità alla categoria superiore solo quanto al parametro delle emissioni inquinanti, e ciò al fine di ovviare ai divieti di circolazione dei veicoli saltuariamente stabiliti per le città con più elevata densità di polveri sottili ma, non soddisfacendo gli altri requisiti richiesti (quali, ad esempio, i sistemi di sicurezza), non permettono la classificazione del mezzo di trasporto nella categoria diversa da quella originaria.
Neppure è consentita una interpretazione estensiva della norma agevolativa, avente natura eccezionale e per questo non estensibile oltre ai casi esplicitamente previsti.
Per consolidato principio giurisprudenziale infatti, in materia di applicazione di una agevolazione di imposta “non può essere esteso l’ambito operativo, stante il divieto non solo di applicazione analogica, ma anche di interpretazione estensiva, posto in riferimento alla legge speciale dall’art. 14 preleggi, per cui l’agevolazione contestata non opera al di fuori delle ipotesi specificamente numerate” ( ex multis , Cass., Sez. V, 20 maggio 2005, n. 10646, in tema di ICI; Cass., Sez. V, 2 ottobre 2009, n.
21144, in tema di imposte ipotecarie e catastali; Cass., Sez. V, 18 gennaio 2017, n. 1113, in tema di agevolazioni in materia edilizia e mancata utilizzazione dell’area nel quinquennio).
Pertanto, dalla normativa in materia – non suscettibile di una interpretazione estensiva -deve desumersi che l’installazione successiva sui veicoli Euro 2 dei filtri antiparticolato (FAP) può valere ai fini di una classificazione in una categoria superiore (Euro 3 o 5 a seconda dei casi) soltanto quanto al parametro delle emissioni inquinanti per consentire la circolazione dei mezzi nel rispetto delle norme antinquinamento fissate dalla CE, ma non è idonea ad incidere sulla classificazione dei veicoli originaria (nella specie Euro 2) degli stessi valevole ai fini fiscali.
3. -Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 7, paragrafi 2 e 3 della Direttiva 2003/96/CE, in relazione all’artt. 1, comma 645, della legge 25.12.2015, n. 208 e art. 24-ter comma 2 del d.lgs . 26.10.1995, n. 504 (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. quale error in judicando ). Parte ricorrente deduce che la sentenza sarebbe altresì da cassare per violazione dell’art. 7, paragrafi 2 e 3 , della Direttiva 2003/96/CE, attuato erroneamente in Italia con l’art. 1, comma 645, della legge n. 208/201 5 (e dell’omogeneo art. 24 -ter del d.lgs. 504/1995), posto che con la predetta norma il legislatore nazionale, nel delimitare l’ambito di applicazione del regime fiscale differenziato relativo al ‘gasolio commerciale’ (previsto dalla citata Direttiva), ha utilizzato una definizione del predetto concetto diversa da quella indicata nella norma euro-unitaria, che è cogente, immediatamente efficace e incondizionata, una volta che il legislatore dello Stato membro abbia esercitato l’opzione per un’aliquota differenziata per tale uso (come fatto dall’Italia).
3.1. -Il motivo è infondato.
In tema di accise sul gasolio per uso commerciale, l’esclusione del regime agevolativo per i veicoli di categoria Euro 2 o inferiore non viola l’art. 7, parr. 2 e 3, della Direttiva n. 2003/96/CE, il quale, nell’attribuire agli Stati membri la facoltà di applicare un’aliquota di accisa ridotta, non li vincola ad estendere il beneficio indiscriminatamente a tutti i veicoli, compresi quelli che, senza un supporto quale il filtro antiparticolato, dovrebbero essere interdetti dalla circolazione in forza dei principi fissati in materia antinquinamento dalla stessa normativa europea (Cass., Sez. V, 13 dicembre 2023, n. 34882).
Ai sensi dell’art. 7 della Direttiva 2003/96/CE gli Stati membri possono distinguere tra uso commerciale e non commerciale del gasolio utilizzato come propellente, purché siano rispettati i livelli minimi comunitari e l’aliquota per il gasolio commerciale utilizzato come propellente non sia inferiore al livello nazionale di tassazione vigente al 1° gennaio 2003, a prescindere dalle deroghe per detta utilizzazione stabilite dalla presente Direttiva (par. 2); si intende per «gasolio commerciale utilizzato come propellente» il gasolio utilizzato ai fini seguenti: a) trasporto di merci per conto terzi o per conto proprio, effettuato con un autoveicolo a motore o un autoveicolo con rimorchio, adibito esclusivamente al trasporto di merci su strada, avente un peso a pieno carico massimo ammissibile pari o superiore a 7,5 tonnellate; b) trasporto regolare o occasionale di passeggeri, effettuato con un autoveicolo delle categorie M2 o M3, quali definite dalla Direttiva 70/156/CEE del Consiglio, del 6 febbraio 1970, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi (par. 3); …gli Stati membri che introducono un sistema di canone per gli utenti della strada destinato agli autoveicoli a motore o agli autoveicoli con rimorchio, adibiti esclusivamente al trasporto
di merci su strada, possono applicare un’aliquota ridotta sul gasolio utilizzato da tali autoveicoli inferiore al livello nazionale di tassazione vigente al 10 gennaio 2003, purché l’onere fiscale complessivo rimanga globalmente equivalente e purché siano rispettati i livelli minimi comunitari e il livello nazionale di tassazione in vigore al 10 gennaio 2003 per il gasolio utilizzato come propellente sia superiore di almeno due volte rispetto al livello minimo di tassazione applicabile al 10 gennaio 2004 (par.4).
La Corte di giustizia, con sentenza del 30 gennaio 2020, RAGIONE_SOCIALE , C-513/18, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità dell’art. 24 -ter del TUA con l’art. 7, par. 2 e 3 , della Direttiva 2003/96 – atteso che, secondo il giudice del rinvio, detta disposizione, nel riconoscere il beneficio dell’aliquota di accisa ridotta sul gasolio commerciale usato come carburante solo a talune attività e non ad altre, come l’attività di noleggio autobus con conduce nte nel settore del trasporto privato di persone, limiterebbe la portata dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera b), della Direttiva 2003/96, che fa riferimento al «trasporto regolare o occasionale di passeggeri – ha affermato che «per quanto riguarda l’impianto sistematico della Direttiva 2003/96, dal considerando 3 e dall’articolo 4 della medesima risulta che essa non ha proceduto ad un’armonizzazione totale delle aliquote di accisa sui prodotti energetici e sull’elettricità, ma si limita a fissare livelli minimi di tassazione armonizzati. Inoltre, com e ha rilevato l’avvocato generale ai paragrafi 30 e 31 delle conclusioni, oltre all’articolo 7, paragrafo 2, di detta Direttiva, gli articoli 5, da 14 a 17 e 19 di quest’ultima prevedono la possibilità per gli Stati membri di introdurre aliquote di imposta differenziate, esenzioni dall’imposizione o sgravi fiscali delle accise». Tali disposizioni indicano che il legislatore dell’U nione ha lasciato un certo
margine di discrezionalità agli Stati membri in materia di accise (punto 26).
Per quanto riguarda gli obiettivi perseguiti dalla Direttiva 2003/96, nella detta pronuncia si è rilevato che «dai considerando 9 e 11 della menzionata Direttiva risulta che la stessa si propone di lasciare agli Stati membri un certo margine per definire e attuare politiche adeguate ai rispettivi contesti nazionali e che la scelta dei regimi da applicare in relazione all’attuazione della Direttiva in parola spetta a ciascuno degli Stati membri’ (sentenza del 18 gennaio 2017, RAGIONE_SOCIALE -Fondazione Santa Lucia , C-189/15, EU:C:2017:17, punto 50) (punto 28); in secondo luogo, la Direttiva 2003/96, prevedendo un regime di tassazione armonizzato dei prodotti energetici e dell’elettricità, mira, come risulta dai suoi considerando da 2 a 5 e 24, a promuovere il buon funzionamento del mercato interno nel settore dell’energia, evitando, in parti colare, le distorsioni della concorrenza (sentenza del 7 marzo 2018, Cristal Union , C31/17, punto 29 e giurisprudenza ivi citata). In particolare, dal considerando 3 di detta Direttiva risulta che è, al fine di garantire tale buon funzionamento del mercato interno che essa ha fissato livelli minimi comunitari di tassazione (punto 30); ebbene, nella misura in cui i livelli minimi comunitari di tassazione vengano rispettati, tale obiettiv o non osta ad un’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera b), della Direttiva 2003/96 nel senso che gli Stati membri possono limitare l’applicazione dell’aliquota di accisa ridotta (punto 31).
La Corte di giustizia ha, dunque, dichiarato che ‘l’articolo 7, paragrafi 2 e 3, della Direttiva 2003/96/CE del Consiglio, del 27 ottobre 2003, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, deve essere interpretato nel senso che, da un lato, rientra nel suo ambito di applicazione
un’impresa privata che esercita l’attività di trasporto di passeggeri mediante servizi di noleggio autobus con conducente, a condizione che i veicoli noleggiati da tale impresa siano di categoria M2 o M3, quali definite dalla Direttiva 70/156/CEE del Consiglio, del 6 febbraio 1970, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi, e, dall’altro lato, che esso non osta a una normativa nazionale che prev ede un’aliquota di ac cisa ridotta per il gasolio commerciale utilizzato come propellente per il trasporto regolare di passeggeri, senza tuttavia prevedere siffatta aliquota per quello utilizzato per il trasporto occasionale di passeggeri, a condizione che tale normativa rispetti il principio della parità di trattamento, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare’.
È dunque evidente che l’art. 7, comma 2 della Direttiva 27-102003 n. 2003/96/CE si limiti a prevedere la ‘possibilità’ da parte degli Stati membri di introduzione di una tassazione differenziata per il gasolio a seconda dell’uso commerciale o non commerciale, senza imporre alcunché o vietare la possibilità, per il legislatore nazionale, di subordinare una data agevolazione rispetto a interessi di altro genere ritenuti rilevanti nel dato momento in base a politiche adeguate ai contesti nazionali.
Come chiarito da ultimo dalla Corte di giustizia (sentenza, 16 novembre 2023, Tüke Busz , C-391/22), la Direttiva 2003/96 mira non già ad armonizzare in modo esaustivo le aliquote di accisa sui prodotti energetici e sull’elettricità, ma si limita a fissare livelli minimi di tassazione (considerando 3 e articolo 4 della Direttiva). L ‘articolo 7, paragrafo 2, dispone che la facoltà concessa agli Stati membri di prevedere livelli di tassazione diversi a seconda dell’uso, commerciale o non commerciale, del gasolio utilizzato come propellente è soggetta al rispetto dei livelli minimi di tassazione
stabiliti da tale Direttiva. Inoltre, la disposizione in parola impedisce agli Stati membri di fissare l’aliquota di tassazione del gasolio commerciale ad un livello inferiore all’aliquota nazionale in vigore al 1º gennaio 2003. Tali elementi indicano che l’entrata in vigore di detta Direttiva non doveva comportare una diminuzione del livello di tassazione del gasolio commerciale. In tali circostanze, la nozione di «gasolio commerciale utilizzato come propellente» non può essere oggetto di un’interpretazion e estensiva.
Lo Stato italiano ha dato attuazione alla suddetta Direttiva con l’art. 6 del d.lgs. n. 26/2007 che ha riconosciuto ai soggetti di cui all’art. 5, commi 1 e 2 , del d.l. n. 452/2001 il rimborso della prevista maggiore aliquota di accisa sul gasolio usato come carburante. Alla luce di quanto sopra si deve, pertanto, ritenere che l’art. 7, par. 2 e 3, della Direttiva n. 2003/96/CE non osti ad una normativa nazionale qual è l’art. 1, comma 645 , della legge n. 208 del 2015 che (ugualmente all’art. 24 -ter del TUA) escluda l’applicazione dell’aliquota agevolata dell’accisa sul gasolio utilizzato per autotrazione con riguardo ai veicoli di categoria Euro 2 o inferiore, senza che dal par. 3 della detta Direttiva possa evincersi diversamente da quanto prospettato dalla ricorrente – una nozione comunitaria direttamente vincolante per lo Stato italiano di ‘gasolio commerciale utilizzato come propellente’ utilizzato .. b) per il trasporto regolare o occasionale di passeggeri effettuato con autoveicoli delle categorie M2 e M3, quali definite dalla Direttiva 70/156/CEE del Consiglio del 6 febbraio 1970′; posto infatti il rispetto della condizione che i veicoli utilizzati per il trasporto di passeggeri siano di categoria M2 o M3 (in base a determinate caratteriste tecniche quali il numero delle ruote, dimensioni, potenza del motore, numero dei posti e carrozzeria) il legislatore italiano, nell’esercizio di un certo margine di discrezionalità in materia di
accise, ha limitato – senza con ciò porsi in contrasto con la detta Direttiva l’applicazione dell’aliquota di accisa ridotta escludendovi i veicoli omologati di categoria Euro 2 o inferiori.
Nella sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale ha correttamente ritenuto che l’art. 7 della Direttiva attribuisce agli Stati membri la facoltà di applicare un trattamento di favore per il gasolio commerciale, senza imporre alcun obbligo. Non ravvisandosi pertanto alcun contrasto tra la normativa comunitaria e quella italiana, neppure sussistono i presupposti per sottoporre alla Corte di giustizia -come richiesto dalla ricorrente -la questione pregiudiziale ex art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea.
-Il ricorso R.G. n. 1841/2023 deve essere quindi rigettato.
-Non si deve provvedere sulle spese stante la mancata costituzione dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il solo ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
-Conseguentemente, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso R.G. n. 1947/2023 avverso la stessa sentenza n. 2423/2022 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, e ciò non per il principio di consumazione dell’impugnazione, che preclude la riproposizione di un secondo ricorso soltanto ove sia intervenuta una declaratoria d’inammissibilità o improcedibilità del primo (cfr. Cass., Sez. Un., 28 marzo 2024, n. 8486), nella specie non intervenuta all’epoca della proposizione del secondo ricors o, ma per la sopravvenuta carenza di interesse, essendosi ora valutato che la
medesima impugnazione era stata correttamente proposta già con la notifica ed il deposito del primo atto.
6.1.- La sopravvenuta carenza di interesse alla proposizione di tale secondo ricorso e, quindi, la sua sopraggiunta ragione di inammissibilità comportano, da un lato, la decisione di compensare le spese del relativo ricorso, siccome avanzato per (comprensibile) zelo difensivo, così come, sotto altro versante, consentono di ritenere che non ricorrano i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater, d.P.R. n. 115/2002, n. 115, per il versamento, da parte della ricorrente, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso (cfr. sul principio Cass., Sez. Trib., 22 marzo 2024, n. 7806; Cass., Sez. Trib., 23 gennaio 2023, n. 1950 e la giurisprudenza ivi citata; in termini, da ultimo, Cass., Sez. Trib., 17 gennaio 2025, n. 1190).
P.Q.M.
La Corte riunisce al procedimento iscritto al n. 1841/2023 R.G. quello portante il n. 1947/2023 R.G. Rigetta il ricorso n. 1841/2023 R.G.; dichiara inammissibile il ricorso n. 1947/2023 R.G. e compensa le relative voci di spesa.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il solo ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2025.