Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15144 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15144 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21420/2017 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, con indicazione di domicilio digitale;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore, ex lege domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
nonché contro
AGENZIA DELLE ENTRATE L’AQUILA;
-intimata-
avverso la SENTENZA della COMM. TRIB. REG. L’AQUILA n. 230/2017, depositata il 16/03/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/05/2025 dal Cons. COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il 3 gennaio 2015 l’avv. NOME COGNOME fu destinatario di un avviso di accertamento sugli anni di imposta 2009 e 2010 a seguito di indagini bancarie su movimenti contabili nel periodo febbraio-ottobre 2009 per accrediti non giustificati, i cui esiti furono tutti raccolti in apposito processo verbale di constatazione, seguito da invito a comparire, senza che lo stesso contribuente fosse stato in grado di produrre ulteriori documenti o fornire apprezzabile apporto collaborativo.
Al riguardo il COGNOME esponeva di essere stato sfollato per oltre diciotto mesi nel litorale teramano, a seguito del sisma dell’aprile 2009 che aveva interessato la provincia di L’Aquila, vedendo rovinare il proprio appartamento e lo studio professionale, altresì allagato per la rottura dei tubi dell’impianto idrico, con deperimento irrecuperabile della documentazione contabile, donde l’impossibilità a svolgere la professione e la conseguente dichiarazione neutra dei redditi conseguiti per gli anni 2009 e 2010.
L’ atto impositivo veniva impugnato avanti alla competente CTP, che accoglieva parzialmente il relativo ricorso, riducendo altresì il dovuto in forza della speciale disciplina conseguente al sisma, di cui all’art. 33, comma 28, della l. n. 183/2011.
La sentenza veniva appellata tanto dalla difesa erariale che dalla parte privata, ciascuno per i capi di propria soccombenza; il giudizio di secondo grado veniva definito con la sentenza di cui in epigrafe, mediante la quale risultava confermata la ripresa a tassazione, senza, per quanto interessa il prosieguo, accordare i benefici della disciplina speciale.
Ha proposto ricorso per cassazione l’avv. NOME COGNOME COGNOME difeso da se stesso e, poi, con integrazione anagrafica, conferendo mandato ad altro difensore.
Ha spiegato controricorso l’Avvocatura generale dello Stato , per l’Agenzia delle entrate .
In prossimità dell’adunanza, la parte privata ha depositato memoria ad ulteriore illustrazione delle proprie ragioni.
CONSIDERATO
Vengono proposti sei articolati motivi di ricorso.
1.1. Con il primo motivo si denuncia – ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3, del codice di procedura civile – la violazione dell’articolo 33, comma 28, della legge numero 183 del 2011. Nello specifico si censura la sentenza di appello per non aver accordato la riduzione del 60% del dovuto in applicazione della speciale normativa antisismica.
1.2. Con il secondo motivo si deduce – ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numeri 3 e 5, del codice di procedura civile – la violazione delle norme e principi in tema di contraddittorio preventivo, la violazione della circolare numero 16/E dell’Agenzia delle entrate, l’ omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, il vizio di motivazione inidonea e solo apparente. In particolare, si lamenta che l’atto impositivo non era stato preceduto dall’apposito contraddittorio preventivo, nonché la pretermissione della stessa circostanza nella sentenza in esame.
1.3. Con il terzo motivo si prospetta – ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numeri 3, 4 e 5, del codice di procedura civile – la violazione e falsa applicazione dei principi e norme sull’obbligo di motivazione degli atti tributari, anche con riferimento all’articolo 7 della legge numero 212 del 2000, nonché l’ omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, l’ insufficienza e inidoneità della motivazione. Nel concreto, si contesta la motivazione dell’atto impositivo, ove si riferisce al processo verbale di accertamento, nonché la motivazione della sentenza in ordine a questo specifico aspetto, adeguatamente contestato in appello.
1.4. Con il quarto motivo si lamenta – ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numeri 3 e 4, del codice di procedura civile – la violazione dell’articolo 32, primo comma, degli articoli da 38 a 42 del DPR numero 600 del 1973 e degli articoli 53 e 54 del DPR numero 633 del 1972, nonché la nullità della sentenza per omessa pronuncia. Nello specifico, si contestano le modalità di accertamento su indagini bancarie, il mero carattere presuntivo, l’inidoneità a costituire inversione dell’onere della prova in capo al contribuente.
1.5. Con il quinto motivo si deduce – in sensi dell’articolo 360, primo comma, numeri 3, 4 e 5, del codice di procedura civile – la violazione e falsa applicazione di principi e norme riferiti all’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie con riferimento ai decreti legislativi numero 471 del 1997 e 472 del 1997, anche alla luce delle modifiche di cui al decreto legislativo numero 158 del 2015. Si lamenta ancora l’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e inidoneità della motivazione. Nella sostanza si eccepisce la mancanza d ell’ elemento psicologico necessario per l’irrogazione delle sanzioni, le cui censure in appello non erano state valutate dalla sentenza qui impugnata, nonché per illegittimità delle sanzioni irrogate in via presuntiva.
1.6. Con il sesto e ultimo motivo si denuncia – ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numeri 3, 4 e 5, del codice di procedura civile – la violazione e falsa applicazione dell’articolo 41 bis del DPR numero 600 del 1973, l’ omesso esame di un fatto decisivo per la decisione oggetto di discussione fra le parti e l’ inammissibilità di motivazione postuma, nonché il vizio di motivazione apparente e inconferente. In particolare, si lamenta la mancata pronuncia sulla censura relativa all’illegittimità dell’accertamento parziale.
In via preliminare, occorre esaminare l’eccezione di tardività del controricorso erariale, proposta nella memoria di parte
contribuente, laddove si afferma che il ricorso era stato notificato il giorno 12 settembre 2017, per cui sarebbe fuori termine il controricorso notificato il 25 ottobre 2017. Dall’esame della produzione della stessa parte contribuente, del ricorso e delle relative attestazioni di notifica, a pag. 21 della foliazione, si evince che il ricorso per cassazione era stato notificato all’Agenzia delle entrate il giorno 18 settembre 2017, alle ore 19.09, ragion per cui il controricorso dell’Agenzia delle entrate va ritenuto tempestivo e può essere esaminato.
Il primo motivo di ricorso attiene all’interpretazione da dare all’art. 33, comma 28, della l. n. 183/2011, segnatamente alla riduzione del 60% dei tributi sugli anni 2009-2011 per i contribuenti con sede legale od operativa all’interno del cratere sism ico che ha interessato la provincia di L’Aquila nell’aprile 2009.
3.1 Questa Corte non ignora che la III Sezione penale, con sentenza 16214/2013, ha ritenuto che la riduzione operi indistintamente fra debiti tributari dichiarati e debiti tributari accertati (qual è pacificamente quello dell’odierno ricorrente), non ponendo la norma di riferimento alcuna distinzione.
Tuttavia, deve preferirsi la tesi opposta, che distingue fra tributi dichiarati, cui si applica la riduzione, e tributi accertati, ai quali non si applica alcuna riduzione. Questa soluzione esegetica trova ragione in un dato testuale dell’ultimo periodo della disposizione in questione, ove si riferisce ai tributi ‘oggetto delle sospensioni’ per i quali è prevista la riduzione. I tributi oggetto delle sospensioni possono essere solo i tributi dichiarati per i quali era stata disposta la sospensione della riscossione con le disposizioni emergenziali di cui la norma in esame si pone come conseguente logico, riepilogativo e di assetto definitivo. Ed infatti, il d.l. n. 39/2009, all’art. 1, secondo comma, ha sospeso i termini per gli adempimenti ed i versamenti tributari scadenti nel periodo fra il 6 aprile ed il 20 novembre 2009, termine poi prorogato ulteriormente. Analogo riferimento si trova
nelle ordinanze del Presidente del Consiglio dei ministri, quale vertice della protezione civile, n. 3780 del 6 giugno 2009. Il citato art. 33, comma 28, della l. n. 183/2011 risulta previsto con la finalità di rientrare dall’emergenza, riprendendo la riscossione – sospesa nel periodo predetto – dei tributi, ovviamente già dichiarati a quella data. Tale disposizione non ha senso per i tributi che a quella data non ci sono ancora, perché accertati successivamente (nel 2014, per il caso in esame), seppur attinenti ad anni di imposta 2009 e 2010.
3.2. A questo argomento letterale si affianca un argomento logico, poiché il maggior reddito accertato successivamente, infatti, a distanza di cinque anni dal sisma, non rientra nel regime emergenziale, essendo venute meno le ragioni contingenti che lo giustificavano. Tanto è proprio quanto affermato dall’ incipit del prefato art. 33, dove dispone in ragione del ‘rientro dall’emergenza’.
Infine, per questa soluzione esegetica milita anche un argomento di coerenza eurounitaria. La sospensione generalizzata dei tributi, anche per situazioni emergenziali, deve misurarsi sempre con il regime degli ‘aiuti di Stato’ che infrangono la neutralità della concorrenza su cui si fonda l’Unione europea. Già disposizioni analoghe, relative al sisma che aveva colpito la Sicilia orientale nel 1990, sono state oggetto di procedura di infrazione comunitaria e hanno visto circoscritta la loro portata nei limiti del regime de minimis , in questo senso riconoscendo come imprenditore anche il professionista. L’art. 9, comma 17, della l. n. 289/2002 ha subito un’interpretazione restrittiva dall’ordinanza 15 luglio 2015 C -82/14 della Corte di giustizia dell’Unione europea, altrimenti risultando distorsiva della concorrenza e della neutralità dell’Iva. Ed anche questa Corte di legittimità, sempre con riferimento alla disciplina emergenziale del sisma Sicilia 1990, ha avuto modo di richiamare il carattere di necessaria stretta definizione temporale del regime agevolativo (cfr. Cass. sez. 5, n. 3490/2025; Cass. sez. 5, n. 34530/2024).
3.3. Può quindi essere ribadito il seguente principio di diritto: ‘In tema di agevolazioni fiscali per il sisma in Abruzzo 2009, l’art. 33, comma 28, l. n. 33/2011 si interpreta nel senso che la riduzione del 60% si applica solo ai tributi dichiarati per gli anni di imposta 2009 e 2010, non anche per i tributi successivamente accertati, ancorché riferiti a quegli anni’ .
Il primo motivo non può, quindi, essere accolto.
Il secondo motivo attiene al contraddittorio preventivo o endoprocedimentale. Le indagini bancarie sfociano in presunzioni di evasione per i movimenti privi di giustificazione, quali sono stati i versamenti operati dall’avv. COGNOME nel periodo febbrai o-dicembre 2009. Non è controverso che il contribuente sia stato chiamato a fornire chiarimenti o produrre documentazione che, comunque, non era stato in grado di fornire per l’evento tellurico che aveva distrutto la documentazione contabile, in occasione dell’incontro fissato per il 24 settembre 2014.
4.1. Ciò posto, va ricordato che le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 9 dicembre 2015, n. 24823), premesso che l’art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000 si applica ai soli casi di accesso ed ispezioni e verifiche nei tributi armonizzati, questi ultimi soggetti al diritto dell’Unione europea, hanno chiarito che «in tema di tributi c.d. non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi cd. armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento
al momento del mancato contraddittorio) si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto» (nella successiva giurisprudenza si vedano in senso conforme, tra le altre, Cass. sez. 5, 3 febbraio 2017, n. 2875; Cass. sez. 6-5, ord. 20 aprile 2017, n. 10030; Cass. sez. 6-5, ord. 5 settembre 2017, n. 20799; Cass. sez. 6-5, ord. 11 settembre 2017, n. 21071; Cass. sez. 6-5, ord. 14 novembre 2017, n. 26943).
Nel caso specifico, seppur la ripresa a tassazione ha riguardato anche l’ Iva 2009, il contraddittorio deve ritenersi avvenuto, in virtù del l’incontro del 24 settembre 2014, ancorché in assenza di documentazione. Ma, in ogni caso, il contribuente non ha fornito nei gradi di merito e non prospettandoli nemmeno avanti questa Corte con il formulato ricorso – gli argomenti che avrebbe potuto apportare al procedimento, dimostrando non trattarsi di ragioni dilatorie o pretestuose.
4.2. Pertanto, il secondo motivo è infondato per il profilo sub A; ma è infondato anche per il profilo sub B (pag. 6 del ricorso per cassazione), laddove lamenta pretermissione e mancato esame del fatto storico del vano incontro in data 15 ottobre 2014 e del mancato ulteriore confronto.
Ed infatti, come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così
liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357).
Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 23 maggio 2014, n. 11511; Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).
4.3. Per completezza argomentativa, quanto alla denuncia di vizio di motivazione, poiché è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, risulta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360, comma primo, n. 5) c.p.c. la cui riformulazione, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. Un. 7 aprile 2014 n. 8053).
Pertanto, anche il secondo motivo non può essere accolto.
Il terzo ed il quarto motivo possono essere trattati congiuntamente, in ragione della loro stretta connessione.
Con essi s i lamenta la carenza di motivazione dell’atto impositivo, per rapporto al PVC, la mancata considerazione dell’impossibilità, anche per l’istituto di credito, di risalire alla matrice degli assegni dei versamenti fatti, il carattere indiziario dei movimenti bancari, incapaci di costituire prova.
Anche questi due motivi sono infondati.
5.1. Infatti, secondo il consolidato orientamento di questa Corte in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’Ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili (v. Cass. n. 15857 del 29/07/2016; Cass. n. 18081 del 4/8/2010).
In particolare, in tema di accertamento delle imposte sui redditi e dell’I.V.A., tutti i movimenti sui conti bancari del contribuente, siano essi accrediti che addebiti, si presumono, ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, e dell’art. 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, riferiti all’attività economica del contribuente, i primi quali ricavi e i secondi quali corrispettivi versati per l’acquisto di beni e servizi reimpiegati nella produzione, spettando all’interessato fornire la prova contraria che i singoli movimenti non si riferiscono ad operazioni imponibili (cfr. Cass. 16896 del 24/7/2014; Cass. n. 26111 del 30/12/2015; Cass. n. 623/2018 e, da ultimo, Cass. n. 2928 del 31/01/2024).
Al riguardo questa Corte ha già ribadito che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 32, del d.P.R. n. 600
del 1973 prevede una presunzione legale in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi ed a fronte della quale il contribuente, in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto ad individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative (Cfr. Cass. n. 25502/2011; Cass. n. 2781/2015; Cass. n. 11102/2017).
Peraltro, in tema di prelevamenti e versamenti sui conti correnti bancari, gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973 ad opera della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014 – che ha ritenuto irragionevole e contraria al principio di capacità contributiva la presunzione che i prelievi ingiustificati dai conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo sia a sua volta produttivo di reddito – retroagiscono e si applicano anche ai rapporti giuridici non consolidati e non coperti da decisioni passate in giudicato (v. Cass. Sez. 5, n. 2240/2021). Tuttavia, la movimentazione bancaria contestata riguarda esclusivamente versamenti, in titoli o in contanti, operata dal professionista contribuente.
5.2. Né può ritenersi immotivato l’avviso di accertamento che tali elementi presuntivi ha dedotto. Ed infatti, in tema di atto amministrativo finale di imposizione tributaria, nella specie avviso di rettifica di modello unico, la motivazione “per relationem”, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di
Finanza dell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio. (v. Cass., sez. 5, n. 30560 del 2017; in termini analoghi, Cass., sez. 5, n. 28060 del 2017; cfr., da ultimo, Cass., sez. 5, n. 3610 del 12/02/2025).
5.3. Per le ragioni esposte sopra al § 4.3., non sussiste neppure il sollevato vizio di carenza di motivazione o omissione di valutazione di fatto controverso, in ordine alle sopra menzionate circostanze.
Infondato è anche il quinto motivo, laddove si lamenta un’ingiusta irrogazione di sanzioni, in (asserita) assenza d ell’elemento soggettivo. E’, però, risaputo che le violazioni tributarie hanno natura colposa, presunta dallo stesso fatto dell’evasione, con possibilità di prova liberatoria solo in caso di obbiettiva incertezza normativa, donde è soddisfatto l’onere di motivazione dell’irrogazione delle sanzioni per gli stessi argo menti che sostengono l’atto impositivo.
6.1. Infatti, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, sussiste incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria ai sensi dell’art. 10 della l. n. 212 del 2000 e dell’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, quando è ravvisabile una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita, non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata e neppure all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento a cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata
interpretazione (cfr. Cass. sez. 5, n. 3108/2019; Cass. sez. 5, n. 22244/2024). Non è sufficiente la mera erronea interpretazione della norma da parte del contribuente (così, anche, Cass. n. 3108 del 1° febbraio 2019; Cass. n. 10662 del 04/05/2018: Cass. n. 23845 del 23/11/2016; già in questo senso Cass. n. 4522 del 22/02/2013; Cass. n. 3245 del 11/02/2013; Cass. n. 18434 del 26/10/2012).
6.2. In altri termini, per costante orientamento di questa Corte, “in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, alla stregua del D.Lgs. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, postula una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata, né all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere – dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione). La condizione di obiettiva incertezza normativa, pertanto, consiste in un’oggettiva impossibilità, accertabile esclusivamente dal giudice, d’individuare la norma giuridica in cui sussumere un caso di specie, mentre resta irrilevante l’incertezza soggettiva, derivante dall’ignoranza incolpevole del diritto o dall’erronea interpretazione della normativa o dei fatti di causa 7» (cfr. Cass. 24 giugno 2015, n. 13076, v. anche Cass. 23 novembre 2016, n. 23845).
6.3. Per le ragioni esposte sopra al § 4.3., non sussiste neppure il sollevato vizio di carenza di motivazione o di omissione di valutazione di fatto controverso, in ordine alle sopra menzionate circostanze.
Con il sesto ed ultimo motivo si censura l’inconferente motivazione della sentenza d’appello, laddove ha rigettato la doglianza di parte contribuente circa la legittimità dell’adozione di
accertamento parziale di cui all’art. 41 bis del DPR n. 600/1973, respinta dal giudice di primo grado perché ritenuta ‘poco comprensibile’. Afferma parte contribuente che la procedura di cui all’accertamento parziale presuppone degli elementi di prova e sarebbe quindi incompatibile con l’accertamento induttivo da cui è stato raggiunto il contribuente.
7.1. Il motivo è inammissibile.
La sentenza qui in esame, a pag. 3 (terzo capoverso), precisa che nel corso del giudizio erano ‘state corrette le modalità dell’accertamento’, sicché la pretesa impositiva è stata rimodulata ed è divenuta coerente con la ripresa a tassazione di cui si controverte.
La natura impugnatoria-accertatoria della giurisdizione tributaria si riflette nel suo carattere misto oggettivo e soggettivo e muove da un atto introduttivo teso alla demolizione di un provvedimento amministrativo a contenuto impositivo al fine di accertare l’esatto perimetro d ell’obbligazione tributaria, sicché resta preclusa al giudice di merito la cognizione di vizi del provvedimento non esplicitamente prospettati nel termine decadenziale fissato per la notifica del ricorso. (cfr. Cass. sez. 5, n. 10779/2007; Cass. n. 13742/2015; Cass. Sez. VI -5, n. 11223/2016; Cass. n. 15769/2017). Pertanto, il giudice tributario, nell’ambito di un processo a cognizione piena diretto ad una decisione sostitutiva tendente all’accertamento sostanziale del rapporto controverso, quando ravvisi l’infondatezza parziale della pretesa dell’Amministrazione, non deve, né può, limitarsi ad annullare “in toto” l’atto impositivo, ma deve accertare e quantificare entro i limiti posti dal “petitum” delle parti l’entità della pretesa fiscale, dandone un contenuto quantitativo diverso da quello sostenuto dai contendenti, avvalendosi degli ordinari poteri di indagine e di valutazione dei fatti e delle prove consentiti dagli artt. 115 e 116 c.p.c. in tal modo determinando l’ammontare effettivo delle imposte
e delle sanzioni dovute dal contribuente, senza che ciò violi il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e senza che ciò costituisca attività amministrativa di nuovo accertamento, rappresentando invece soltanto l’esercizio dei poteri di controllo, di valutazione e di determinazione del “quantum” della pretesa tributaria (cfr. Cass. sez. 5, n. 3080/2021, nonché Cass. sez. 5, n. 31827/2024).
Nel caso specifico, come dà atto la stessa parte contribuente (pag. 2 del ricorso per cassazione), la ripresa è stata oggetto di rimodulazione fin dalle sue prime battute.
In definitiva, il ricorso è infondato e deve, perciò, essere totalmente rigettato.
Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente al pagamento dei compensi del presente giudizio a favore della parte controricorrente, che liquida in euro 2.500,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 21/05/2025.