Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11734 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11734 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/05/2025
Agevolazioni fiscali -art. 2, comma 5, della legge n. 289/2002 -eredeutilizzo diretto del bene immobile.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12926/2017 R.G. proposto da: COGNOME (CODICE_FISCALE e COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME giusta procura speciale a margine del ricorso
-ricorrenti –
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata
-controricorrente – avverso la sentenza n. 602/1/2016 della Commissione tributaria regionale di Perugia, depositata in data 2.12.2016;
udita la relazione svolta all’udienza camerale del 20.3.2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.COGNOME NOME e COGNOME NOME adivano con separati ricorsi la Commissione tributaria provinciale di Perugia, impugnando, il primo, la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA e, la seconda, la cartella di pagamento n.NUMERO_CARTA emesse entrambe a seguito di controllo
formale ex art. 36 bis d.p.r. 600/73 dei modelli 730/2011, di cui chiedevano l’annullamento per insussistenza della pretesa tributaria.
La C.T.P. di Perugia, nella resistenza dell’Agenzia delle Entrate, previa riunione dei ricorsi, li accoglieva integralmente, ritenendo che l’art. 2, comma 5, della legge n. 289/2002, al di là del suo tenore letterale, dovesse essere interpretato alla luce dei principi costituzionali di uguaglianza e ragionevolezza, con la conseguenza che l’agevolazione goduta in vita dalla madre dei ricorrenti si doveva ritenere trasmessa integralmente agli eredi, a prescindere dal fatto che gli stessi non avessero la detenzione materiale e diretta dei beni immobili.
La decisione veniva riformata dalla C.T.R. di Perugia, la quale, in accoglimento del gravame proposto dall’Agenzia delle Entrate, rigettava gli originari ricorsi e compensava le spese processuali.
In sintesi, la C.T.R., richiamata una precedente pronuncia tra le stesse parti su questione identica, relativa al precedente anno di imposta 2009, ritenuta la norma di cui all’art. 2, comma 5, della legge 27 dicembre 2002 n. 289 di indubbia interpretazione, sia applicando il criterio letterale che quello teleologico, osservava come non fosse praticabile il criterio dell’interpretazione costituzionalmente orientata, in difetto di una pluralità di opzioni interpretative, con la conseguenza che il giudice di primo grado, anziché sostituirsi al legislatore, avrebbe semmai dovuto sollevare la questione di legittimità costituzionale. Aggiungeva la C.T.R. che, essendo incontroverso che i ricorrenti, in qualità di eredi della madre, originaria titolare dell’agevolazione fiscale, non avevano la detenzione materiale e diretta dei beni immobili, in quanto regolarmente locati a terzi, l’operato dell’ufficio doveva ritenersi legittimo. Infine, escludeva di aderire alla sollecitazione del ricorrente di sollevare la questione di legittimità costituzionale, trattandosi di norma di stretta interpretazione, avendo ad oggetto
benefici fiscali, il che consentiva al legislatore la più ampia discrezionalità, con il solo limite della palese irragionevolezza.
Avverso la precitata sentenza hanno proposto ricorso COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME sulla base di un unico motivo.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
I ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con l’unico motivo di ricorso rubricato « violazione e falsa applicazione di norma di legge ed in particolare dell’art. 2, comma 5, della legge 27 dicembre 2002 n. 289 come letto alla luce degli articoli 2, 3, 42 e 117 della Costituzione » -, i ricorrenti si dolgono del fatto che il giudice del merito non si sia avveduto che l’interpretazione strettamente letterale adottata si poneva in contrasto con numerose norme della Costituzione e, peraltro, non era neppure necessitata. Assumono, infatti, che la nozione di detenzione materiale e diretta non può essere intesa come immediata disponibilità del bene, nel senso di una concreta, effettiva e personale utilizzazione, deponendo in senso contrario il fatto che la detrazione spetta anche ad un soggetto che disponga di un immobile come seconda casa senza mai utilizzarla e persino all’erede dell’immobile che permanga inutilizzato; inoltre, l’eventuale utilizzo da parte di terzi soggetti è diversamente modulabile a seconda del tipo di contratto, con aspetti di evidente precarietà in caso di comodato e di più articolata strutturazione nel caso di locazioni, le quali ultime, in ogni caso, impongono un rapporto del locatore con la cosa in funzione della tutela di interessi propri o dell’osservanza di obblighi contrattuali. Infine, sarebbe pure possibile una locazione parziale dell’immobile oggetto di agevolazione. Sarebbero state dunque possibili diverse interpretazioni alternative della disposizione, il che avrebbe
legittimato la scelta di quella compatibile con i valori costituzionali e precisamente quella adottata dal giudice di primo grado.
Aggiungono che, sebbene il tenore della norma sia inequivoco, il significato letterale appare in netto contrasto con i principi di uguaglianza e ragionevolezza tutelati dalla fonte primaria dell’ordinamento. Privare gli eredi della detrazione spettante al de cuius nel caso in cui gli stessi non abbiano la materiale disponibilità del bene, come nel caso di specie, comporterebbe una disparità di trattamento totalmente ingiustificata ed irragionevole, che darebbe luogo ad una profonda iniquità tra chi acquista un bene locato per atto tra vivi e può godere delle detrazioni non utilizzate dal venditore per i residui periodi di imposta e chi lo acquista mortis causa e perde il diritto di usufruirne. Sarebbe anche irragionevole che l’erede subentri in tutte le posizioni attive e passive e non anche nel diritto di godere di un’agevolazione fiscale dilazionata nel tempo, che legittimamente spettava al proprietario, deceduto prima di poterne fruire integralmente. Apparirebbe infine ancora irragionevole che l’agevolazione in questione spetti agli eredi anche per immobili non adibiti ad abitazione principale, quali le seconde case, utilizzate magari per una sola settimana all’anno e non a chi stipula un contratto di locazione a canone concordato in comuni con forte tensione abitativa, facendo fronte al bisogno primario dei cittadini non proprietari di case, anch’esso tutelato dalla Costituzione, con il pericolo che una tale interpretazione disincentivi i proprietari di case a stipulare contratti di locazione. Infine, l’art. 2, comma 5, della legge 27 dicembre 2002 n. 2002 violerebbe il diritto di proprietà, tutelato dall’art. 42 della Costituzione e dall’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo del 1952.
Questa Corte ha più volte chiarito (v. Cass. 14666/2020, Cass. 8033/2023) che non può costituire motivo di ricorso per cassazione la prospettazione di una questione di legittimità costituzionale, in
quanto è riservata al potere decisorio del giudice la facoltà di sollevare o meno la questione dinanzi alla Corte costituzionale (vedi: art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87), mentre alle parti non è attribuito alcun potere di iniziativa al riguardo, in quanto, in riferimento alle questioni di legittimità costituzionale in via incidentale l’iniziativa spetta esclusivamente al giudice e le parti possono presentare soltanto delle deduzioni nel processo dinanzi alla Corte costituzionale e possono, eventualmente, limitarsi a sollecitare anche motivatamente il giudice a sollevare la questione di costituzionalità. Peraltro, ai sensi dell’art. 24, secondo comma, della legge 11 marzo 1953 n. 87, la questione di costituzionalità di una norma, non solo non può costituire unico e diretto oggetto del giudizio, ma soprattutto può sempre essere proposta, o riproposta, dalla parte interessata, oltre che prospettata d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, purché essa risulti rilevante, oltre che non manifestamente infondata, in connessione con la decisione di questioni sostanziali o processuali che siano state ritualmente dedotte nel processo (in senso conforme vedi, tra le altre: Cass. 18 febbraio 1999 n. 1358; Cass. 22 aprile 1999, n. 3990; Cass. 29 ottobre 2003, n. 16245; Cass. 16 aprile 2018, n. 9284; Cass. 24 febbraio 2014, n. 4406). Ne deriva l’inammissibilità del motivo di ricorso per cassazione formulato come diretto esclusivamente a prospettare una questione di legittimità costituzionale (come accade nella specie) oppure a censurare il concreto esercizio del potere che compete al Giudice in materia, perché non può essere configurato al riguardo un vizio del provvedimento impugnato idoneo a determinarne l’annullamento da parte di questa Corte (Cass. SS.UU. 7929/2013; Cass. 9284/2018, 28892/2017, 17862/2016, 25343/2014, 3798/2014; Corte Costituzionale 1/2014).
Ove i ricorrenti abbiano invece inteso censurare l’interpretazione della norma fatta propria dal giudice del merito, la doglianza sarebbe comunque infondata.
L’art. 2, comma 5, della legge 27 dicembre 2002 n. 298 dispone che «La detrazione fiscale spettante per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio di cui all’articolo 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, ivi compresi gli interventi di bonifica dall’amianto, compete, per le spese sostenute fino al 31 dicembre 2005, per un ammontare complessivo non superiore a 48.000 euro, per una quota pari al 36 per cento degli importi rimasti a carico del contribuente, da ripartire in dieci quote annuali di pari importo. Nel caso in cui gli interventi di recupero del patrimonio edilizio realizzati fino al 31 dicembre 2005 consistano nella mera prosecuzione di interventi iniziati successivamente al 1 gennaio 1998, ai fini del computo del limite massimo delle spese ammesse a fruire della detrazione si tiene conto anche delle spese sostenute negli stessi anni. Resta fermo, in caso di trasferimento per atto tra vivi dell’unità immobiliare oggetto degli interventi di recupero del patrimonio edilizio di cui all’articolo 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, che le detrazioni possono essere utilizzate dal venditore oppure essere trasferite all’acquirente persona fisica. In caso di decesso dell’avente diritto, la fruizione del beneficio fiscale si trasmette, per intero, esclusivamente all’erede che conservi la detenzione materiale e diretta del bene.»
5.1 Non appare dubitabile che la locuzione «detenzione materiale e diretta» significhi che il bene per il quale è stata ottenuta l’agevolazione dal de cuius , debba essere utilizzato materialmente e personalmente dall’erede al fine di subentrare nell’agevolazione fiscale, ossia che l’immobile sia nella concreta disponibilità dall’interessato per le sue personali esigenze abitative, quand’anche saltuarie, e che tale disponibilità sia diretta, con ciò
escludendosi una detenzione del bene per interposta persona (in tesi, un locatario o un comodatario).
Del tutto improprio appare pertanto il confronto con la situazione del proprietario di una seconda casa che la ristruttura usufruendo dell’agevolazione e poi di fatto non la utilizza o la utilizza saltuariamente, dal momento che qui si tratta di un soggetto (l’erede), che non ha mai sostenuto spese di ristrutturazione e che dunque non è mai stato titolare in proprio di alcuna agevolazione fiscale.
5.2. Nè si comprende la rilevanza delle presunte diverse caratteristiche della detenzione in caso di locazione piuttosto che di comodato, dal momento che sia i locatari che i comodatari, in virtù di un rapporto contrattuale, hanno la detenzione esclusiva del bene per tutta la durata del contratto e men che meno si comprende come un’ipotetica locazione parziale possa condurre ad una interpretazione alternativa della norma.
5.3. Non si tratta dunque di possibili diverse interpretazioni del concetto di «detenzione materiale e diretta», ma del maldestro tentativo dei ricorrenti di manipolare il contenuto della norma, al fine di farvi rientrare soggetti e casi implicitamente esclusi.
Quanto alla sollecitazione a sollevare la questione di illegittimità costituzionale per contrasto con gli articoli 2, 3, 42 e 117 della Costituzione, si osserva come la questione prospettata appaia manifestamente infondata.
Più volte questa Corte ha inteso riaffermare il principio di diritto per il quale le norme che prevedono agevolazioni tributarie sono di stretta interpretazione. Tale principio, secondo cui costituisce caposaldo dell’ordinamento tributario, nonché «principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte e condiviso dalla prevalente dottrina, che le norme fiscali di agevolazione sono norme di ‘stretta interpretazione’, nel senso che non sono in alcun modo applicabili a casi e situazioni non
riconducibili al relativo significato letterale», è stato da ultimo enunciato (tra le altre) da Cass. civ., sez. VI, 12 luglio 2021 n. 17976, Cass. civ., sez. VI, 16 luglio 2020, n. 15249, in connessione con Cass. civ., sez. un. 22 settembre 2016, n. 18574, che richiama un precedente delle Sezioni unite (Cass. civ., sez. un. 3 giugno 2015, n. 11373). Le Sezioni unite hanno appunto chiarito che le norme che riconoscono agevolazioni o benefici fiscali in deroga all’ordinario regime d’imposizione «sono norme ad interpretazione rigida ed anelastica, in quanto rigorosamente legata al dato letterale. Ed è la centralità stessa del criterio nel sistema dell’imposizione, al fine del perseguimento degli equilibri cui l’imposizione deve mirare in ottemperanza ai principi di cui agli artt. 23, 53 e 81 Cost. (cfr. C. cost. 10/2015) » a rendere ineludibile l’osservanza di tale regula iuris .
I ricorrenti neppure spiegano in che termini il mancato riconoscimento di un’agevolazione di cui non sono mai stati titolari in proprio, possa limitare indebitamente il diritto di proprietà acquisito per successione mortis causa . 6.1 Anche la dedotta incompatibilità della norma agevolatrice con l’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo del 1952 appare formulata in modo del tutto vago e generico. Al riguardo, appare comunque opportuno sottolineare che l’invocata disposizione, dopo aver stabilito, al comma 1, che «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.», specifica, al comma 2, che «Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.». La Corte Cedu ha peraltro più volte affermato
che allo Stato compete un ampio margine di discrezionalità quando si tratti di misure generali di strategia economica o sociale (Wallishauser c. Austria (n.2), paragrafo 65), nonché nella strutturazione e nell’attuazione di politiche in materia di tassazione (Bulves AD.c. Bulgaria, par. 63; RAGIONE_SOCIALE c. Paesi Bassi, par. 60).
Il ricorso va conclusivamente respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali in favore dell’Agenzia delle Entrate, che si liquidano in euro 1.800,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20.3.2025.