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Agevolazioni fiscali enti non profit: quando si perdono

La Cassazione ha annullato la decisione di merito che riconosceva le agevolazioni fiscali a un’associazione non profit. La Corte ha stabilito che la qualifica di ONLUS non basta: l’ente deve provare in concreto di non svolgere attività commerciale, altrimenti perde il diritto ai benefici. Il caso riguardava corrispettivi per servizi sanitari qualificati come attività d’impresa dall’Agenzia delle Entrate.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Agevolazioni fiscali enti non profit: quando si perdono secondo la Cassazione

Le agevolazioni fiscali per gli enti non profit rappresentano un pilastro fondamentale per il sostegno del terzo settore, ma non sono un diritto acquisito. Un’importante ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: la qualifica formale di ONLUS non è sufficiente a garantire l’esenzione dalle imposte. È necessario dimostrare, con prove concrete, che l’attività svolta è effettivamente priva di carattere commerciale. In caso contrario, i benefici fiscali vengono meno e l’ente è tenuto a versare le imposte come qualsiasi altra impresa.

I Fatti del Caso: Una ONLUS Sotto la Lente del Fisco

Il caso ha origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di un’associazione ONLUS attiva nel settore del soccorso sanitario. L’amministrazione finanziaria contestava la natura di alcune operazioni, relative alla fornitura di personale specializzato (autisti e infermieri) ad un’altra associazione, dietro corrispettivo.

Secondo il Fisco, tali prestazioni non potevano essere considerate semplici rimborsi spese nell’ambito di un’attività istituzionale, ma configuravano una vera e propria attività d’impresa. A sostegno della sua tesi, l’Agenzia evidenziava diverse criticità: le fatture emesse erano generiche, mancava la documentazione di supporto che specificasse le ore lavorate e il personale impiegato, e i costi erano stati contabilizzati come ‘costi per servizi’ anziché come ‘costi per il personale’, confermando la natura commerciale dell’operazione. Inoltre, la stessa associazione aveva compilato il quadro relativo al reddito d’impresa nella propria dichiarazione fiscale.

La Decisione della Commissione Tributaria Regionale

Inizialmente, la Commissione Tributaria Regionale aveva dato ragione all’associazione, respingendo l’appello dell’Agenzia delle Entrate. I giudici di secondo grado avevano ritenuto irrilevante la discussione sulla natura dei costi, partendo dal presupposto che l’attività dell’ONLUS fosse interamente istituzionale e finalizzata alla solidarietà sociale. In quest’ottica, non esisteva un reddito d’impresa tassabile, e di conseguenza qualsiasi contestazione sulla deducibilità dei costi era priva di fondamento.

Le Motivazioni della Cassazione: Le agevolazioni fiscali per enti non profit non sono automatiche

La Corte di Cassazione ha completamente ribaltato la prospettiva, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. I giudici supremi hanno individuato un ‘errore di percezione’ nella sentenza impugnata. La Commissione Tributaria, infatti, non aveva compreso che l’avviso di accertamento metteva in discussione proprio la natura dell’attività svolta dall’associazione, qualificandola come commerciale.

Onere della Prova e Requisiti Sostanziali

La Corte ha ribadito un principio consolidato: le agevolazioni fiscali per gli enti non profit non dipendono solo dalla veste giuridica formale, ma dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro. L’onere di dimostrare la sussistenza dei requisiti sostanziali per beneficiare del regime di favore spetta sempre al contribuente. Non è sufficiente presentare uno statuto formalmente ineccepibile; è indispensabile provare che la vita associativa sia democratica e che le attività siano concretamente svolte per scopi istituzionali e non per generare profitto.

L’Errore dei Giudici di Merito

I giudici di merito avevano ignorato gli elementi probatori forniti dall’Agenzia delle Entrate, basando la loro decisione su un presupposto errato, ovvero che la natura non commerciale dell’ente non fosse in discussione. Così facendo, hanno violato l’articolo 115 del codice di procedura civile, che impone al giudice di fondare la propria decisione sulle prove proposte dalle parti. La Cassazione ha sottolineato che la qualifica dei corrispettivi come compensi per una prestazione di servizi commerciali era il fulcro dell’accertamento fiscale, e la Commissione Regionale avrebbe dovuto esaminare nel merito tale contestazione.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per il Terzo Settore

L’ordinanza in esame rappresenta un monito per tutto il settore non profit. Per beneficiare delle agevolazioni fiscali, non basta essere una ONLUS o un altro ente del terzo settore. È essenziale che l’attività svolta sia concretamente e prevalentemente non commerciale. Questo implica la necessità di una gestione contabile e documentale rigorosa, in grado di dimostrare in qualsiasi momento la natura delle operazioni e la loro coerenza con le finalità istituzionali. Fatture dettagliate, contratti chiari, rendicontazione precisa delle spese e una corretta classificazione contabile sono elementi indispensabili per superare un eventuale controllo fiscale. In assenza di queste prove, il rischio di vedersi contestata la natura non commerciale dell’attività, con la conseguente perdita dei benefici fiscali, è molto elevato.

Basta avere la qualifica di ONLUS per non pagare le imposte sulle proprie attività?
No. L’ordinanza chiarisce che la qualifica formale non è sufficiente. L’ente deve dimostrare concretamente, attraverso prove documentali, che l’attività svolta è priva di scopo di lucro e rispetta tutti i requisiti sostanziali previsti dalla legge per beneficiare delle agevolazioni fiscali.

A chi spetta l’onere di provare che un’attività è non commerciale?
L’onere della prova spetta sempre all’ente non profit. È l’associazione che deve fornire all’amministrazione finanziaria e al giudice tutta la documentazione necessaria (contratti, fatture dettagliate, rendiconti) per dimostrare la natura istituzionale e non commerciale delle proprie operazioni.

Un’associazione non profit può svolgere attività commerciale?
Sì, un’associazione non profit può svolgere attività commerciali, ma queste devono essere gestite separatamente e i relativi redditi sono soggetti alla tassazione ordinaria (IRES, IRAP, IVA). Le agevolazioni si applicano esclusivamente alle attività istituzionali. Se l’attività commerciale diventa prevalente, l’ente rischia di perdere la qualifica di ‘ente non commerciale’ e tutti i benefici fiscali connessi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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