Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5149 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5   Num. 5149  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/02/2024
Oggetto:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23844/2017 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE,  in persona  del  legale  rappresentante,  corrente  in  Trieste,  con l’AVV_NOTAIO e con domicilio eletto presso lo studio dell’AVV_NOTAIO in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  legale  rappresentante  p.t., rappresentata  e  difesa  dall’RAGIONE_SOCIALE,  con domicilio ex lege in Roma, alla INDIRIZZO;
-resistente-
avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, Trieste, n. 71/01/2017 pronunciata il 20 dicembre 2016 e depositata il 13 marzo 2017, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07 febbraio 2024 dal Co: NOME COGNOMENOME COGNOME;
RILEVATO
All’esito di una verifica fiscale conclusasi con l’adozione di un pvc, la contribuente veniva attinta da quattro avvisi di accertamento con cui l’Ufficio ne rettificava i redditi per il quadriennio 2006 -2009. In sostanza l’Ufficio negava all’associazione c ontribuente le agevolazioni previste dalla L. n. 398/1991, essendo stato movimentato denaro contante in misura superiore ad euro 516,40 a termini dell’art. 25 della L. n. 133/1999 e per altre irregolarità, parimenti implicanti la medesima decadenza, con conseguente ripresa a tassazione ai fini Ires, Irap e IVA.
Adito il giudice di prossimità con quattro distinti ricorsi, la contribuente contestava il disconoscimento operato nei suoi confronti quale ente non commerciale oltre al disconoscimento RAGIONE_SOCIALE stesse agevolazioni. Censurava poi gli importi di cui al l’accertamento compiuto dall’Amministrazione finanziaria perché esorbitant i, oltre al computo RAGIONE_SOCIALE sanzioni applicate per obiettiva incertezza della normativa. Replicava l’Ufficio il quale, pur confermando la piena legittimità dell’accertamento, respingeva l’assunto di aver disconosciuto la natura non commerciale dell’associazio ne. Quest’ultima, pertanto, chiedeva a sua volta in memoria la quantificazione del reddito secondo i coefficienti previsti dall’art. 145 TUIR. I collegi di primo grado accoglievano parzialmente i ricorsi, confermando la revoca RAGIONE_SOCIALE agevolazioni fiscali ma quantificando il reddito nella misura del 30% dei ricavi dichiarati per ogni anno.
Le  decisioni  del  giudice  di  prime  cure  venivano  impugnate tanto  dalla  contribuente  quanto  dall’Amministrazione  finanziaria, ciascuna  per  la  parte  di  relativa  soccombenza.  La  CTR,  previa
riunione dei quattro ricorsi in appello, riduceva ulteriormente i redditi accertati. Segnatamente, e previa conferma della revoca RAGIONE_SOCIALE agevolazioni, aderiva alla conclusione dell’Ufficio circa l’inapplicabilità RAGIONE_SOCIALE ius superveniens ai fini dell’annullamento degli atti impositivi, stante l’illegittimità dell’operato della contribuente. Riteneva poi inapplicabili i criteri ordinari di determinazione del reddito RAGIONE_SOCIALE imprese, tenuto conto che era stata confermata la natura di ente non commerciale. Pertanto riteneva necessario individuare un nuovo criterio di calcolo che, tuttavia, rispondeva ancora ai suddetti criteri di determinazione del reddito con contestuale diniego di sua quantificazione forfettaria a termini dell’art. 145 TUIR ( vedasi pagg. 16 e 17 ricorso).
Ricorre per la cassazione della sentenza l’associazione contribuente, affidandosi a tre mezzi. L’Amministrazione finanziaria si  è  costituita  ai  sensi  dell’art.  370,  co.  1,  c.p.c.  onde  poter partecipare all ‘ eventuale udienza di discussione.
CONSIDERATO
Vengono proposti tre motivi di ricorso.
Con il primo motivo la parte ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 della L. n. 398/1991 e dell’art. 25 L. n. 133/1999 in relazione a ll’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.
1.1  Dopo  aver  riconosciuto  che  le  movimentazioni  in  contanti erano  superiori al limite di legge, afferma  l’illegittimità della decisione  giacché,  trattandosi  di  sanzione  impropria,  dovrebbe trovare applicazione il principio del favor rei tenuto conto che era indubbia  l’abrogazione  della  norma  in  commento  al  momento  del deposito della sentenza.
Il motivo è infondato.
2.1 Con  specifico  riferimento  all’applicabilità  del  principio  del favor rei in relazione alla decadenza RAGIONE_SOCIALE agevolazioni di cui alla L. n. 398/1991 questa Corte ha invero avuto modo di affermare che «si attagliano all’ipotesi qui esaminata le conclusioni cui sono giunte le
Sezioni unite di questa Corte in una fattispecie analoga, in cui lo ” ius superveniens ” aveva abolito non retroattivamente una decadenza da un beneficio agevolativo; in quella occasione, le Sezioni unite hanno escluso che la perdita della agevolazione costituisse una sorta di sanzione impropria e che dunque l’applicazione retroattiva della norma più vantaggiosa per il contribuente fosse espressione del principio del ” favor rei “, osservando: “la perdita della agevolazione fiscale non sempre ha natura sanzionatoria. Nella specie, venendo meno il presupposto per l’applicazione di un trattamento agevolato (conduzione diretta del fondo per un periodo minimo), non si applica, per questo, un trattamento fiscale punitivo. Si applica il trattamento fiscale ordinario, collegato al presupposto “normale” della compravendita immobiliare, essendo venute meno le ragioni che giustificavano la deroga al principio della par condicio fiscale. La situazione che ne deriva è di ripristino della parità e non di repressione di un comportamento deviante” (Cass., SU, 28/01/2011, n. 2060); anche nella fattispecie oggetto del presente giudizio, la norma vigente all’epoca dei fatti non contemplava un trattamento peggiorativo a carico del contribuente, ma escludeva che gli si potesse estendere un regime premiale, il che esclude l’obbligatoria retroattività della norma abrogatrice in nome del principio del ” favor rei “» (Cfr. Cass., V, n. 26516/2021).
Il motivo va pertanto disatteso.
Con il secondo motivo, svolto in via gradata, la contribuente avanza  censura  ex  art.  360,  co.  1,  n.  4  c.p.c.  per  nullità  della sentenza per assoluta mancanza di motivazione sul punto riguardante la  revoca  dell’agevolazione  fiscale  prevista  dalla  L.  n. 398/1991.
3.1  In  sostanza,  ed  in  modo  molto  scarno,  afferma  che  la decisione impugnata sarebbe carente di motivazione sia in ordine alla mancata applicazione RAGIONE_SOCIALE jus superveniens , sia in ordine alla mancata indicazione e rilevanza RAGIONE_SOCIALE altre cause concorrente alla
revoca  dell’agevolazioni.  Soggiunge  che  la  motivazione  sarebbe anche contraddittoria laddove conferma la natura non commerciale della contribuente e nel contempo  ribadisce la revoca RAGIONE_SOCIALE agevolazioni,  che  definisce  ‘ontologicamente  incompatibile  con  la conferma della natura non commerciale dell’ente’.
La censura non merito accoglimento.
4.1 Va premesso che «Per costante giurisprudenza di questa Corte, il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre quando il giudice, in violazione di un obbligo di legge, costituzionalmente imposto (articolo 111, sesto comma, Cost.), ossia dell’articolo 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e (in materia di processo tributario) dell’articolo 36, comma 2, num. 4, d.lgs. n. 546 del 1992, omette di illustrare l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, ossia di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione» (cfr. Cass., V, n. 16958/2023).
4.2 Orbene, nella fattispecie in esame la Corte ha, seppur sinteticamente, illustrato le ragioni della sua decisione e riconducibili alla circostanza, pacificamente incontroversa tra le parti, di pagamenti in contanti superiori al limite di legge. Sul punto non può non ricordarsi infatti «Nel disciplinare la fruizione RAGIONE_SOCIALE agevolazioni, e nella individuazione RAGIONE_SOCIALE conseguenze della violazione di quelle modalità, la prescrizione della tracciabilità rappresentava dunque una scelta discrezionale del legislatore, all’esito di un bilanciamento degli interessi pubblici in gioco. Ne discende dunque che alla disciplina agevolativa, che nel sistema impositivo rappresenta una opzione di vantaggio, d’eccezione e derogatrice degli ordinari principi contributivi del soggetto passivo d’imposta rispetto alle finalità e agli obiettivi di spesa pubblica, trova applicazione il criterio di stretta interpretazione» (Cfr. Cass., V, n. 3904/2023).
4.3 La CTR ha dunque fatto buon governo dei principi elaborati da questa Corte, secondo cui all’accertamento di movimentazioni in contanti  consegue  la  decadenza  dalle  agevolazioni.  Tutt’al  più, quindi, sarebbe stato onere della contribuente dimostrare che ogni singolo pagamento era di importo inferiore ad euro 516,46.
Con il terzo motivo la parte contribuente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 145 d.P.R. n. 917/1986 in relazione all’art. 360, co. 1, c.p.c. In sostanza afferma che, avendo l’Ufficio accertato la decadenza dalle agevolazioni di cui alla L. n. 398/91 ma non la natura commerciale dell’ente, doveva conseguire la logica conclusione della quantificazione del reddito a termini dell’art. 145 TUIR, con applicazione RAGIONE_SOCIALE aliquote ivi previste anziché di quelle ordinarie. Di contro la CTR, pur riducendo l’imponibile accertato, avrebbe poi negato la sua quantificazione secondo i criteri di cui all’art. 145 TUIR.
Il  motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza e in ogni caso infondato.
6.1 Va premesso che la natura non commerciale dell’ente non implica, quale logico corollario, l’applicazione tout court dell’art. 145 in commento. È stato infatti affermato che «può evidenziarsi che l’art. 73, d.P.R. n. 917 del 1986 (già, 87), nell’annoverare tra i soggetti passivi ires (anche) gli enti non societari, opera una distinzione tra enti commerciali e enti non commerciali, in relazione al fatto che abbiano o meno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali; – qualora si è in presenza di un ente non commerciale trova applicazione il regime di favore previsto dall’art. 143 (già, 108), in base al quale non si considerano attività commerciali le prestazioni di servizi non rientranti nell’art. 2195 c.c. rese in conformità alle finalità istituzionali dell’ente senza specifica organizzazione e verso pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione; – l’art. 148 (già, 111), poi, prevede una «decommercializzazione» specifica per alcune categorie di
RAGIONE_SOCIALE (tra cui le RAGIONE_SOCIALE), estendendo il regime agevolativo alle attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, qualora tali RAGIONE_SOCIALE‘ si conformino ad una serie di clausole, da inserire nei relativi atti costitutivi o statuti, tra cui quelle aventi ad oggetto il divieto di distribuzione di utili durante la vita dell’associazione (salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge), la disciplina uniforme del rapporto associativo e RAGIONE_SOCIALE modalità associative volte a garantire l’effettività del rapporto medesimo, l’obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie e la partecipazione effettiva degli associati alla vita dell’ente (commi 3 e 4quinquies) (cfr., in tema, Cass. 26 settembre 2018, n. 22939; Cass. 9 maggio 2018, n. 11050); – deve, pertanto, distinguersi la questione relativa alla individuazione della qualità dell’ente da quella relativa alla qualificazione RAGIONE_SOCIALE attività poste in essere dall’ente, ai fini fiscali, quali commerciali o non commerciali; -conseguentemente, le questione prospettata dall’Amministrazione può assumere rilevanza ai fini dell’esclusione dell’applicazione della richiamata norma agevolativa di cui all’art. 148, terzo comma, d.P.R. n. 917 del 1986, ostando alla qualifica RAGIONE_SOCIALE attività svolte dall’ente quali attività non commerciali, ma non anche del contestato mancato riconoscimento della qualità di ente non commerciale dell’RAGIONE_SOCIALE, la quale richiede che l’attività dell’ente abbia avuto per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali» (cfr. Cass., V, n. 8182/2020).
6.2 Nella fattispecie in commento la contribuente non ha dedotto né  illustrato  la  natura  RAGIONE_SOCIALE  attività  svolte  (commerciali  o  non commerciali)  né  risulta  che  la  natura  RAGIONE_SOCIALE  attività  sia  mai  stata oggetto  di  specifica  censura  nei  precedenti  gradi  di  merito,  ove
l’applicazione dell’art. 145 citato è stato ricondotto alla sola qualità di ente non commerciale della contribuente.
L’ultima doglianza ha ad oggetto la nullità della sentenza per omesso  esame  circa  un  fatto  decisivo  per  il  giudizio  che  è  stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c., per non essersi la CTR pronunciata sulla censura svolta in via di estremo subordine e relativa alla disapplicazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni per obiettiva incertezza della norma, considerata la assoluta buona fede della ricorrente e l’entrata in vigore del d.lgs. 1 58/2015.
Il motivo è infondato, previa sua riqualificazione ex art. 360 n. 4 c.p.c..
8.1 Va ricordato l’orientamento di questa Corte secondo cui «L’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 sopra citato, applicabile alle sentenze pronunciate dopo l’11/09/2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto RAGIONE_SOCIALE previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U., 7/04/2014, n. 8053). Il fatto (Cass. 06/09/2019, n. 22397, ex plurimis) deve
essere un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico,  come  tale  non  ricomprendente  questioni  o argomentazioni difensive» (Cfr. Cass., V, n. 1873/2024).
8.2 Nel caso di specie la parte ricorrente ha dedotto censura ex art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c. laddove il contenuto del motivo depone a favore della doglianza di omessa pronuncia ex art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c.
8.3 A tale riguardo va ricordato che per integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non è sufficiente la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto. Al contrario, deve ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto della domanda o della eccezione formulata dalla parte quando l’accoglimento della pretesa non espressamente esaminata risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia, anche se manchi, al riguardo, una specifica argomentazione (Cass. 4 ottobre 2011, n. 20311; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 13 agosto 2018, n. 20718; Cass. 4 giugno 2019, n. 15255; Cass. 29 gennaio 2021, n. 2151).
8.4 Ciò premesso, il motivo è infondato tenuto conto che «in tema di sanzioni amministrative tributarie, l’incertezza normativa oggettiva è caratterizzata dalla impossibilità di individuare con sicurezza ed univocamente la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile e può essere desunta da alcuni «indici» (quali, ad esempio: 1) la difficoltà di individuazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni normative; 2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) la difficoltà di determinazione dei significato della formula dichiarativa individuata; 4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; 5) l’assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorietà RAGIONE_SOCIALE circolari; 6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata
sollevata questione di legittimità costituzionale; 8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) il contrasto tra opinioni dottrinali; 10) l’adozione di norme  di interpretazione autentica o meramente esplicative di una disposizione  implicita  preesistente  (Cass.,  17/05/2017,  n.  12301; 13/06/2018, n. 15452)» (Cfr. Cass., V, n. 35911/2023).
8.5 Nella fattispecie in esame difetta radicalmente la prospettazione  dell’incertezza  obiettiva  della  norma  cui  non  è assimilabile la buona fede della contribuente, intesa come mancanza di volontà di eludere la disciplina fiscale.
 Conclusivamente  il  ricorso  va  rigettato.  Le  spese  di  lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio di legittimità in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, che liquida in €.cinquemilaseicento/00 , oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 115/2002 la Corte  dà  atto  della  sussistenza  dei  presupposti  processuali  per  il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 07/02/2024