Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25402 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25402 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/09/2024
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso n. 14066/2018 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del legale rappresentante pro tempore COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, giusta procura alle liti in calce al ricorso per cassazione (indirizzo pec: EMAIL).
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO .
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del VENETO n. 64/2/18, depositata in data 17 gennaio 2018, notificata il 9 marzo 2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 settembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE proposto avverso la sentenza di primo grado, che aveva respinto i ricorsi riuniti avente ad oggetto quattro avvisi di accertamento per imposte Ires, Iva e Irap, relativi agli anni d’imposta 2008, 2009 e 2010.
I giudici di secondo grado hanno ritenuto motivati gli avvisi di accertamento impugnati che riportavano il contenuto del PVC dell’1 febbraio 2012; che, nel caso in esame, si doveva applicare il regime ordinario, tenuto conto dei provRAGIONE_SOCIALE annuali superiori ad euro 300.000,00 e in difetto di prova contraria spettante all’RAGIONE_SOCIALE, anche in considerazione del regime di favore applicabile alla stessa; che era irrilevante l’assoluzione del legale rappresentante dell’RAGIONE_SOCIALE, in ragione della piena a utonomia tra il processo tributario e quello penale; che era assente nello Statuto dell’appellante quello che obbligatoriamente richiedeva l’art. 148 del TUIR; che, ai fini Iva, l’art. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 considerava espressamente la pubblicità commerciale come attività commerciale e, quanto all’accertamento sui conti corrRAGIONE_SOCIALE bancari, esso era stato operato in base alle presunzioni legali di cui all’art. 32, primo comma, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, ove i versamRAGIONE_SOCIALE erano considerati ricavi, salvo prova contraria, che, nel caso in esame, non era stata data; inoltre il contribuente non aveva indicato il soggetto beneficiario e i prelevamRAGIONE_SOCIALE non risultavano dalle scritture contabili.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato ad un unico motivo.
L’RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Il primo mezzo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 148 del d.P.R. n. 917 del 1986 e la sussistenza di un’ipotesi di efficacia, nell’ambito del processo tributario, dell’interpretazione fornita alla norma in esame dal Giudice penale. In particolare, pur nella consapevolezza della eventuale autonomia del processo tributario rispetto al giudizio penale, non si poteva prescindere dall’interpretazione fornita dal Tribunale di Venezia all’art. 148 del d.P.R. n. 917 del 1986 secondo cui «trattasi di normativa di decomercializzazione che conduce ad affermare come non commerciali, ai fini fiscali, tutte le attività svolte dalle RAGIONE_SOCIALE. in diretta attuazione degli scopi istituzionali effettuate dietro pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti». Inoltre, l’ accertamento in fatto operato dai giudici di secondo grado riguardava proprio la carenza del carattere di commercialità dell’attività posta in essere dalla società ricorrente che costituiva elemento circostanziale imprescindibile per la configurazione e l’applicazione della disciplina fiscale utilizzata dall’Ufficio procedente.
1.1 Il motivo è inammissibile ed infondato.
1.2 La censura è inammissibile laddove non trascrive nel ricorso per cassazione l’intero contenuto della sentenza del Tribunale di Venezia, né documenta il passaggio in giudicato della stessa (Cass., 15 luglio 2015, n. 14784; Cass., 27 luglio 2017, n. 18679; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34469) ed è parimRAGIONE_SOCIALE inammissibile perché si tratta di una doglianza diretta, con evidenza, a censurare una erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze probatorie di causa, che non
costituiscono vizio di violazione di legge (Cass., 19 agosto 2020, n. 17313).
1.3 Va precisato, inoltre, che, nel caso in esame, non viene in rilievo l’art. 21 bis del decreto legislativo n. 74 del 2000, introdotto dall’art. 1 del decreto legislativo n. 87 del 2024, rubricato « Efficacia RAGIONE_SOCIALE sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione » ( 1. La sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi. 2. La sentenza penale irrevocabile di cui al comma 1 può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio. 3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano, limitatamente alle ipotesi di sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, anche nei confronti della persona fisica nell’interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, ovvero nei confronti dell’ente e società, con o senza personalità giuridica, nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati» ), in quanto, come emerge a pag. 3 del ricorso per cassazione, viene richiamata una sentenza penale di assoluzione « perchè il fatto non costituisce (reato) », formula decisoria che è fuori dalla previsione della citata nuova disposizione legislativa e, in ogni caso, non emerge in quale fase processuale (se dibattimentale o meno) sia stata emessa la pronuncia penale.
1.4 La censura è pure infondata, tenuto conto che « Ai fini del rispetto RAGIONE_SOCIALE condizioni soggettive per la fruizione RAGIONE_SOCIALE agevolazioni di cui all’art. 148, commi 3,5, 6 e 7 TUIR occorre che le disposizioni contenute nell’atto costitutivo o nello statuto dell’RAGIONE_SOCIALE risultino conformi a quanto indicato nell’art. 148, comma 8, TUIR e che sia assicurato in concreto, durante lo svolgimento dell’attività associativa, il rispetto e l’attuazione dei principi di partecipazione e di democraticità a beneficio degli associati » (Cass., 11 gennaio 2023, n. 553; Cass., 12
ottobre 2022, n. 29800) e che « Un’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, il cui ordinamento interno non sia conforme alle disposizioni contenute nell’art. 148, comma 8, del T.U.I.R., non può avere, né mantenere, la qualifica di ente non commerciale, con la conseguenza che la stessa non può fruire RAGIONE_SOCIALE agevolazioni fiscali previste dalla Legge n. 398/1991, riservata agli RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE senza fine di RAGIONE_SOCIALE » (Cass., 3 agosto 2023, n. 23781).
1.5 Ciò anche alla luce del tenore letterale dell’art. 148, terzo comma, del d.P.R. n. 917 del 1986, rubricato «Enti di tipo associativo», nel testo successivo alla riforma del 2004, che recita: « 3. Per le RAGIONE_SOCIALE, nonché per le strutture periferiche di natura privatistica necessarie agli RAGIONE_SOCIALE pubblici non economici per attuare la funzione di preposto a servizi di pubblico interesse, non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre RAGIONE_SOCIALE che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni RAGIONE_SOCIALE, nonché le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati ».
1.6 Più in particolare, questa Corte ha affermato che « Ai fini del riconoscimento del regime agevolato di cui all’art. 1 della legge n. 398 del 1991, rileva la qualificazione dell’RAGIONE_SOCIALE quale organismo senza fine di RAGIONE_SOCIALE da intendersi, in aderenza alla nozione eurounitaria, quello il cui atto costitutivo o statuto escluda, in caso di scioglimento, la devoluzione dei beni agli associati, trovando tale requisito preciso riscontro, ai fini IVA, nell’art. 4, comma 7, del d.P.R. n. 633 del 1972 e, per le imposte dirette, nell’art. 111, comma 4-quinquies (oggi art. 148, comma 8) del d.P.R.
n. 917 del 1986. Alla formale conformità RAGIONE_SOCIALE regole associative al dettato legislativo si aggiunge, poi, l’esigenza di una verifica in concreto sull’attività svolta al fine di evitare che lo schema associativo (pur formalmente rispettoso degli ulteriori requisiti prescritti dalle lettere a), c), d), e) ed f) degli artt. 148, comma 8, del vigente D.P.R. n. 917 del 1986 e 4, comma 7, del D.P.R. n. 633 del 1972) sia di fatto impiegato quale schermo di un’attività commerciale svolta in forma associata » (cfr. Cass., 26 ottobre 2021, n. 30008).
1.7 Nella sentenza appena richiamata (la n. 30008 del 2021), questa Corte ha precisato che se è vero che l’applicabilità della disposizione è subordinata, innanzitutto, ad un requisito formale e, cioè, all’affiliazione dell’RAGIONE_SOCIALE alle RAGIONE_SOCIALE o a RAGIONE_SOCIALE riconosciuti, ai fini del riconoscimento RAGIONE_SOCIALE agevolazioni fiscali (con riguardo alle imposte sul valore aggiunto e sui redditi), tuttavia, il possesso del requisito formale non è sufficiente, essendo necessaria la dimostrazione del presupposto sostanziale, costituito dalla effettiva sussistenza dei requisiti previsti dalla legge. In particolare, la Corte ha evidenziato che le esenzioni d’imposta a favore RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non lucrative – e, specificamente, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE – dipendono non dalla veste giuridica assunta dall’RAGIONE_SOCIALE (o, quantomeno, non soltanto da quella), bensì dall’effettivo esercizio di un’attività senza fine di RAGIONE_SOCIALE, sicché l’agevolazione fiscale non spetta in base al solo dato formale (estrinseco e neutrale) dell’affiliazione al RAGIONE_SOCIALE, bensì per l’effettivo svolgimento dell’attività considerata, il cui onere probatorio incombe sul contribuente (così anche Cass., 30 aprile 2018, n. 10393; Cass., 30 aprile 2019, n. 11492; Cass., 11 novembre 2020, n. 25353; Cass., 24 dicembre 2020, n. 29500).
1.8 Con specifico riferimento, poi, al dato formale, questa Corte ha affermato che gli RAGIONE_SOCIALE di tipo associativo possono godere del trattamento agevolato previsto dall’art. 111 del d.P.R. n. 917 del 1986,
in materia di IRPEG, e dall’art. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972, in materia di IVA – come modificati dall’art. 5, del decreto legislativo n. 460 del 1997 – a condizione non solo dell’inserimento, nei loro atti costitutivi e negli statuti, di tutte le clausole dettagliatamente indicate nell’ art. 5 del decreto legislativo n. 460 citato (art. 111, comma 4 quinquies) , ma anche dell’accertamento, che va effettuato dal giudice di merito con congrua motivazione, che la loro attività si svolga, in concreto, nel pieno rispetto RAGIONE_SOCIALE prescrizioni contenute nelle clausole stesse (Cass. 30 maggio 2012, n. 8623 e, più di recente, Cass., 12 maggio 2020, n. 11456).
1.9 Sotto lo specifico profilo dell’onere probatorio, questa Corte ha precisato, infine, che gli RAGIONE_SOCIALE di tipo associativo non godono di una RAGIONE_SOCIALE esenzione da ogni prelievo fiscale (come si evince dall’art. 111, comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986), potendo anche le RAGIONE_SOCIALE senza fini di RAGIONE_SOCIALE svolgere, di fatto, attività a carattere commerciale e che l’onere di provare i presupposti di fatto che giustificano l’esenzione è a carico del soggetto che la invoca, ossia l’RAGIONE_SOCIALE, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall’art. 2697 cod. civ. (Cass., 12 febbraio 2013, n. 3360; Cass., 25 marzo 2015, n. 5931; Cass., 4 ottobre 2017, n. 23167).
1.10 Inoltre, « In tema di Ires, ai fini della qualifica di ente non commerciale rileva l’esercizio, in via prevalente, di attività rese in conformità ai fini statutari non rientranti nelle fattispecie di cui all’art. 2195 c.c., svolte in mancanza di specifica organizzazione e verso il pagamento di corrispettivi non eccedRAGIONE_SOCIALE i costi di diretta imputazione, con la conseguenza che va disconosciuto il regime di favore previsto dall’art. 143 (già 108) del d.P.R. n. 917 del 1986, per carenza di detti requisiti di “decommercializzazione”, in caso di distribuzione degli utili, omessa compilazione del libro dei soci e mancata partecipazione degli associati alla vita dell’ente » (Cass., 26 settembre 2018, n. 22939) e che « In tema di agevolazioni fiscali a favore degli RAGIONE_SOCIALE associativi,
spetta sempre a questi la dimostrazione dei requisiti necessari per il relativo godimento, ex art. 2697 c.c. Inoltre, per consolidata giurisprudenza di legittimità, nel caso RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, oltre al formale recepimento, negli atti costitutivi e statuti, RAGIONE_SOCIALE clausole necessarie alle agevolazioni previste ex art. 148, comma 8, T.U.I.R. e 90, Legge n. 289/2002, è fondamentale che tali clausole siano concretizzate attraverso la c.d. vita associativa, che realizza – nei fatti – il concetto di democraticità ed uniformità del rapporto associativo, espresso nelle predette clausole. L’assenza di qualsiasi tipo di documentazione che dimostri tutto ciò rende impossibile confermare che si è in presenza di un ente associativo, con perdita della natura di ente non commerciale » (Cass., 30 aprile 2018, n. 10293).
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e l’RAGIONE_SOCIALE ricorrente va condannata al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali, sostenute dalla RAGIONE_SOCIALE controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’RAGIONE_SOCIALE ricorrente al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 14.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte de ll’RAGIONE_SOCIALE ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 12 settembre 2024.