Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19773 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19773 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 642-2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME (pecEMAIL;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore ;
– intimata – avverso la sentenza n. 751/07/2021 della Commissione tributaria regionale dell’Emilia -Romagna, depositata in data 26 maggio 2021; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 29 maggio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
Oggetto: TRIBUTI -associazione sportiva dilettantistica
Rilevato che:
1. In controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate nei confronti della RAGIONE_SOCIALE ai fini IVA, IRES ed IRAP per gli anni di imposta 2011, 2012 e 2013 in conseguenza del disconoscimento in capo alla predetta società dei requisiti per godere delle agevolazioni di cui alla legge n. 398 del 1991, la CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) dell’Emilia -Romagna accoglieva, previa riunione, gli appelli proposti dall’Agenzia delle Entrate avverso le sfavorevoli sentenze emesse per ciascun anno d’imposta dalla CTP (ora Corte di giustizia tributaria di primo grado) di Ravenna. I giudici di appello accertavano che la società aveva operato come vero e proprio ente commerciale , esercitando l’attività di una normale palestra senza mai aver promosso attività sportiva dilettantistica o partecipato ad attività agonistica. Sostenevano, altresì, che la decommercializzazione della SSD era giustificata dalla mancanza di prova della convocazione in assemblea e partecipazione degli aventi diritto alla vita associativa, dal rinvenimento di documentazione extracontabile presente negli archivi dei personal computers della società attestanti l’incasso di corrispettivi non contabilizzati e distribuzione di utili ai soci. I giudici di seconde cure sostenevano, in linea con la giurisprudenza comunitaria, che, pur difettando nel caso di specie i requisiti previsti dall’art. 148 TUIR per godere dei benefici fiscali connessi allo status di associazione sportiva dilettantistica, comunque doveva riconoscersi alla società contribuente il diritto alla detrazione dell’IVA già assolta nella misura risultante dalle scritture contabili ed afferente ai costi riconosciuti, con conseguente necessità di rideterminazione delle somme dovute ai fini IVA dalla società per l’anno 2011, avendo l’Agenzia provveduto per il 2012 e 2013.
Avverso tale statuizione la società propone ricorso per Cassazione affidato a quattro motivi. L ‘Agenzia delle Entrate rimane intimata.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., deduce « Motivazione assente, apparente, manifestatamente ed irriducibilmente contradditoria, perpl essa o incomprensibile, in ossequio al disposto di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e conseguente violazione dell’art. 111 c. 6 Costituzione », per non avere la CTR evidenziato l’iter ed il percorso logico giuridico della decisione assunta.
1.1. Sostiene, in particolare, che la sentenza impugnata era carente per non avere operato alcuna distinzione tra i rilievi mossi per ogni singolo anno d’imposta, posto che l’Agenzia delle entrate «per l’anno 2012 e 2013 ha fondato i propri avvisi di accertamento su documentazione chiesta successivamente all’accesso che ha fondato il primo avviso di accertamento»; «per non aver considerato in alcun modo la documentazione prodotta dal contribuente», ovvero «la documentazione, le memorie ed i chiarimenti forniti dalla contribuente sia in sede giudiziaria, che in sede di PVC, atti a dimostrare la correttezza circa i requisiti e le condizioni per rientrare all ‘ interno delle Associazioni Sportive Dilettantistiche, e, di conseguenza, la legittimità nell ‘ applicazione dell ‘ art. 148 TUIR e dell ‘ art. 74 del DPR 633/72»; «per non aver motivato la riforma della sentenza rispetto alle sentenze di Primo Grado».
1.2. Il motivo è infondato e va rigettato.
1.3. Per costante orientamento di questa Corte, il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre quando il giudice, in violazione di un obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), ossia degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, omette di illustrare l’ iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, ossia di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria
determinazione, in tal modo consentendo di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata . La sanzione di nullità colpisce, pertanto, non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione da punto di vista grafico o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e presentano “una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. U, n. 8053 del 7/4/2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione non consente di “comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato”, non assolvendo in tal modo alla finalità di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi ” (Cass. Sez. U., n. 22232 del 3/11/2016). Come questa Corte ha più volte affermato, la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U, n. 22232 del 2016, cit.; Cass. sez. 6- 5, ord. n. 14927 del 15/6/2017 conf. Cass. n. 13977 del 23/05/2019; Cass. n. 29124/2021). Invero, si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente”, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale”
richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., sez. 6-5, 28829 del 2021).
1.4. In tale grave forma di vizio non incorre la sentenza impugnata che è ampiamente sufficiente sul piano della logica giuridica, contenendo un’adeguata esposizione delle ragioni che hanno indotto i giudici di appello a ritenere, accogliendo gli appelli riunit i dell’Agenzia delle entrate, che la società aveva operato come un ente commerciale. Al riguardo, la sentenza contiene una chiara ed esaustiva esposizione delle ragioni che hanno indotto i giudici di appello ad accogliere le censure mosse dall’Agenzia delle entrate alle statuizioni di primo grado, esprimendo argomentazioni pienamente intellegibili e logicamente correlate all’oggetto dei gravami devoluti.
1.5. Invero, la sentenza perviene alla decisione di accoglimento degli appelli dando atto della circostanza che la SSD svolgeva attività di una normale palestra, non aveva mai promosso attività sportiva dilettantistica o partecipato ad attività agonistica, non aveva provato la partecipazione degli aventi diritto alla vita associativa, in particolare alle assemblee societarie (circostanza questa ritenuta di per sé sufficiente a disconoscere la ‘decommercializzazione’ della SSD ), aveva occultato ricavi non contabilizzati e distribuito utili ai soci.
1.6. Di contro, le questioni prospettate nel motivo dalla parte ricorrente, in relazione al l’omessa distinzione per anni d’imposta dei rilievi operati dall’amministrazione finanziaria nonché al l’omessa valutazione della documentazione prodotta e delle memorie depositate in giudizio, non sono idonee ad incidere sul contenuto motivazionale della sentenza impugnata, quanto, piuttosto, sulla correttezza della decisione assunta che, però attiene al merito ed esula dal vizio in esame.
Con il secondo motivo di ricorso viene dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione degli att. 148 TUIR e 4 del d.P.R. n. 633 del 1972.
2.1. Sostiene la ricorrente che la sentenza impugnata ha erroneamente disconosciuto l’applicabilità dei benefici fiscali previsti per le SSD in quanto la ricorrente non aveva mai partecipato ad attività agonistiche, così ponendosi anche in contrasto con quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 30008/2021, e per aver riportato l’errato assunto formulato dall’Agenzia delle entrate sui corrispettivi per accedere all’associazione i quali venivano contabilizzati tra i ricavi ‘ senza che le stesse fossero riv ersate al CONI o Enti similari’».
2.2. Sostiene che «le attività svolte dalla ricorrente RAGIONE_SOCIALE Società Sportiva Dilettantistica, nel rispetto del requisito oggettivo di ente riconosciuto dal CONI e con l ‘ adozione dello statuto contenente le clausole obbligatorie previste dall ‘ art. 148 del TUIR come riconosciuto dalla stessa Commissione Tributaria Regionale, rientra anche dal punto di vista sostanziale fra le attività che possono beneficiare delle agevolazioni di cui alla legge 398/1981»; che «Le attività poste in essere dalla odierna ricorrente non prevedono necessariamente la partecipazione a manifestazioni agonistiche»; che aveva prodotto documentazione idonea in maniera inequivocabile a qualificare la propria attività come sportiva»; che non era tenuta a riversare al CONI o a qualsivoglia altro Ente le quote associative versate dagli associati; infine, che era errato pretendere di considerare ricavi le quote di iscrizione versate dagli associati.
2.3. Il motivo è inammissibile ed infondato.
2.4. È inammissibile là dove lamenta che la sentenza impugnata abbia negato lo svolgimento da parte della stessa di attività sportiva, che invece è circostanza non contestata, avendo i giudici di appello escluso la qualificazione della stessa come società dilettantistica sulla
base delle altre ragioni di cui sopra si è detto, sia nella parte espositiva dei fatti di causa che nell’esame del primo motivo di appello.
2.5. La mancata partecipazione della società ad attività agonistica, ancorché non prevista come obbligatoria, è stato assunta dalla CTR semplicemente come dato di fatto emergente dalla documentazione esaminata e, seppur si volesse ritenere che la stessa sia stata valorizzata per giustificare il disconoscimento della natura dilettantistica della società e della conseguente perdita dei correlati benefici fiscali, comunque l’esclusione di detta circostanza dall’insieme delle altre pure emergenti dagli atti e maggiormente rilevanti ai predetti fini, non determinerebbe comunque un esito diverso del giudizio, con la conseguenza che la censura è, in relazione a tale specifico profilo, inammissibile perché privo di decisività.
2.6. Inammissibile è anche l’altro assunto sostenuto nel motivo in esame, di insussistenza di un obbligo per la società contribuente di riversare le quote associative al CONI o ad altro Ente nazionale, posto che una tale affermazione non è rinvenibile nella sentenza impugnata. Piuttosto, nella stessa si afferma che la società contribuente non aveva contabilizzato dei corrispettivi incassati e che gli stessi costituivano ricavi in nero distribuiti tra i soci. A tal riguardo, l’assunto sostenuto dalla ricorrente, ovvero che si trattava di «quote di iscrizione» che non dovevano essere contabilizzate nei ricavi, è rimasta affermazione priva di qualsivoglia riscontro dimostrativo ed anzi contrastato dal fatto, affermato dai giudici di appello e non contestato dalla ricorrente, che l’Agenzia delle entrate aveva accertato che la SSD offriva, dietro corrispettivo, prestazioni di natura fisioterapica, di impendenziometria, di posturologia, di progettazione e fornitura di plantari.
Con il terzo motivo di ricorso proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 e n. 5 cod. proc. civ., deducendo la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., la ricorrente censura la sentenza d’appello per avere negato la produzione da parte della società contribuente di
documentazione attestante la partecipazione degli aventi diritto alla vita associativa della SSD.
3.1. Deduce, al riguardo, che l’Agenzia delle entrate non aveva mai richiesto «verifiche sui libri soci, esibizione di convocazioni o quant’altro», né aveva «verificato (né ovviamente contestato) la corretta convocazione degli associati alle assemblee», sostenendo di avere comunque prodotto in giudizio l’elenco dei tesserati per ciascun anno di imposta oggetto di verifica, la anagrafica degli associati e, per l’anno 2011, l’elenco dei tesserati U.S. ACLI, le interviste agli iscritti, il modello di domanda di ammissione, oltre alla scheda di iscrizione e al badge che erano allegati al p.v.c.
3.2. Il motivo è manifestamente infondato e va rigettato.
3.3. È noto che per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ, occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (cfr. Cass. n. 26769/2018; Cass. n. 26739/2024).
3.4. Sulla base di tale principio è inammissibile la censura di violazione della predetta disposizione avendo la ricorrente dedotto solo ed esclusivamente l’omesso esame della documentazione prodotta in giudizio.
3.5. A ciò aggiungasi che, al pari di quanto detto con riferimento al precedente motivo di ricorso, anche il mancato svolgimento di attività associativa e l’assenza di prova della partecipazione degli aventi diritto alla vita associativa della società sportiva dilettantistica, che la ricorrente sostiene essere stata inammissibilmente rilevata d’ufficio dai giudici di appello, non avendo mai formato oggetto di specifica
contestazione da parte dell’amministrazione finanziaria, non costituiscono circostanze la cui mancanza, in presenza delle altre pure emergenti dagli atti e di cui si è detto in precedenza, determinerebbe un esito diverso del giudizio, con la conseguenza che la censura è, in relazione a tale specifico profilo, inammissibile perché privo di decisività.
Con il quarto motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 4 e n. 5 cod. proc. civ., la v iolazione dell’art. 148 TUIR per avere la CTR escluso l’applicabilità della citata disposizione avendo ritenuto provata la distribuzione di utili nei confronti di soci e avendo rilevato la presenza di corrispettivi non contabilizzati, senza tenere in considerazione i documenti prodotti in giudizio, idonei a dimostrare il contrario.
4.1. Pur non negando la presenza di un elevato saldo attivo di cassa, la ricorrente sostiene che l’amministratore aveva spiegato le ragioni di detto saldo, rinvenibili dalla necessità di salvaguardare le risorse finanziarie dal sistema bancario; che la situazione debitoria al 31/08/2012 era di tale entità da rendere evidente che nessuna distribuzione di utili poteva essere stata effettuata e che, in ogni caso, non era stata fornita alcuna prova in tal senso; che, con riferimento al file rinvenuto all’interno dei computers in uso alla SSD, denominato ‘anagrafica clienti giorni ZERO.xls’, ove risultavano presenti 1.695 nominativi ai quali erano abbinate somme di danaro, in relazione al quale l’amministrazione finanziaria era giunta alla «frettolosa conclusione che ‘ dette somme sono riconducibili esclusivamente ad incassi da RAGIONE_SOCIALE come agevolmente desumibile anche dalle schede di incassi giornalieri esibite, mentre nel file non sono stati annotati nominativi ed i relativi pagamenti, dei fruitori del RAGIONE_SOCIALE né sono stati annotati gli incassi ed i nominativi) relativi alla cessione dei prodotti commercializzati dalla Società verificata ‘» , in realtà si trattava di informazioni che la SSD disponeva « a fini esclusivamente statistico previsionali ».
4.2. Il motivo è inammissibile.
4.3. Va preliminarmente rilevato che quello che viene in rilievo nel caso di specie non è l’art. 148 TUIR, cui ha fatto riferimento la ricorrente nella rubrica del motivo in esame, bensì l’art. 14 9 del medesimo d.P.R. che stabilisce, al comma 1, che «Indipendentemente dalle previsioni statutarie, l’ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d’imposta», indicando specificamente, nel successivo comma 2, una serie di parametri cui ancorare il giudizio in ordine alla qualificazione dell’ente. Vengono qui in rilievo i «parametri» indicati alle lettere ‘b’ (prevalenza dei ricavi derivanti da attività commerciali rispetto al valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività istituzionali) e ‘c’ (prevalenza dei redditi derivanti da attività commerciali rispetto alle entrate istituzionali, intendendo per queste ultime i contributi, le sovvenzioni, le liberalità e le quote associative).
4.4. Orbene, nella specie la sentenza impugnata contiene al riguardo un accertamento della natura commerciale della SSD verificata che non si espone alle censure mosse dalla ricorrente.
4.5. Secondo i giudici di appello, infatti, «tutte le prestazioni di servizi resi, tra cui di natura fisioterapica, di impedenziometria e di posturologia fornite dagli istruttori preposti nonché la possibilità della progettazione e della fornitura di plantari esulano dall’attività di promozione sportiva indicata nello statuto e avvenivano dietro il versamento di un corrispettivo e consistevano soprattutto nel promuovere il benessere fisico del singolo e non alla promozione di un’attività sportiva dilettantistica. l funzionari hanno esaminato per svariati giorni i bilanci della società e, a seguito del rinvenimento di documentazione extracontabile presente negli archivi dei personal computer in uso presso la società hanno rilevato la presenza di corrispettivi non contabilizzati e la spiegazione fornita che fossero nella disponibilità della società e che non sono stati versati per evitare che le
banche li trattenessero, tenuto conto delle esposizioni debitorie appare poco plausibile». La CTR ha, quindi, affermato che «bene ha fatto l’Agenzia a disconoscere le agevolazioni in quanto l’appellata sin dalla sua costituzione (da parte di alcuni imprenditori) si è comportata come una normale palestra e non ha mai promosso una vera e propria attività sportiva dilettantistica».
4.6. Orbene, anche a voler soprassedere sulla evidente implausibilità, già rilevata dai giudici di appello, delle giustificazioni addotte dalla ricorrente sia con riferimento all’elevato saldo attivo di cassa (che si giustifica non per la dedotta « necessità di salvaguardare le risorse finanziarie dal sistema bancario », quanto piuttosto con la necessità di sottrarre gli importi via via incassati da ogni possibile riscontro), sia con riferimento al file relativo all’anagrafica clienti (tenuta « a fini esclusivamente statistico previsionali »), le argomentazioni svolte nel motivo non colgono nel segno in quanto, oltre a richiedere a questa Corte una non consentita rivalutazione del materiale probatorio esaminato dal giudice di merito (cfr., ex multis , Cass., Sez. U, n. 24148/2013; Cass. n. 91/2014), non sono neppure dirimenti posto che l’accertato svolgimento di attività commerciale da parte della SSD, tanto da farle perdere la qualifica di ente commerciale neppure è necessaria la distribuzione di utili, che la ricorrente ritiene esclusa dal bilancio societario, ma che la CTR non ha affatto posto a base della statuizione assunta.
4.7. Invero, la distribuzione di utili nei confronti dei soci delle somme risultanti dalla documentazione extracontabile rinvenuta in sede di verifica è riportata in sentenza come deduzione fatta dall’Agenzia delle entrate e non costituisce accertamento operato dai giudici di appello. Si legge infatti a pag. 4 della sentenza d’appello che « i verificatori, a seguito del rinvenimento di documentazione extracontabile, hanno ritenuto che fosse avvenuta distribuzione di utili nei confronti dei soci ed hanno rilevato la presenza di corrispettivi non contabilizzati e la
distribuzione di utili comporta, da sola, la decadenza delle agevolazioni di cui alla legge 398/91». La CTR, invece, ha accertato lo svolgimento di attività commerciale della SSD sulla base del rilievo che le prestazioni rese dalla società contribuente «avvenivano dietro il versamento di un corrispettivo e consistevano soprattutto nel promuovere il benessere fisico del singolo e non alla promozione di un’attività sportiva dilettantistica» e sulla base del rinvenimento della documentazione extracontabile di cui si è detto.
4.8. A quanto detto si ritiene opportuno aggiungere, per mera completezza di esame delle questioni poste dalla ricorrente, che le somme, che dalla documentazione extracontabile risultavano incassate, non sono state rinvenute fisicamente né risulta che il legale rappresentate, abbia provveduto al loro deposito, come ammesso dalla ricorrente (ricorso, pag. 20), pur avendo dato disponibilità in tal senso, sicché la deduzione di distribuzione ai soci è più che plausibile e non vi è prova del contrario. Deve, inoltre, rilevarsi, da un lato, l’assoluta infondatezza della deduzione di omesso esame del bilancio societario, posto che nella sentenza impugnata si dà espressamente atto che «i funzionari hanno esaminato per svariati giorni i bilanci della società», e dall’altro che la deduzione difensiva di avvenuto inserimento in bilancio di quelle somme, oltre a porsi in insanabile contrasto con il fatto che si trattava di utili extracontabili, quindi non inseriti in contabilità, è privo di specificità non avendo il ricorrente trascritto nel ricorso né localizzato con precisione le parti rilevanti dei documenti, in particolare del bilancio, da cui desumere quanto affermato.
In estrema sintesi, il ricorso va rigettato senza necessità di provvedere sulle spese non avendo l’intimata svolto difese.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da
parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 29 maggio 2025