Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30921 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 30921 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 6490/2020 proposto da:
COGNOME NOME, cui è subentrata COGNOME NOME, nata a Codigoro (FE) il 24.3.1982 e residente in Lagosanto (FE), alla INDIRIZZO (C.F.: CODICE_FISCALE, quale erede legittima di COGNOME NOME, deceduto il 13.3.2020, rappresentata e difesa, come da procura in calce alla memoria del 18.4.2021, congiuntamente e disgiuntamente, dagli Avv.ti NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE) del Foro di Ferrara, con studio alla INDIRIZZO (pec: EMAIL; fax: 0532 203210), e NOME COGNOME (C.F.: CHR RFL 66C24 F 912°) del Foro di Nocera Inferiore, con studio alla INDIRIZZO (fax: NUMERO_TELEFONO; pecEMAIL), elettivamente domiciliata presso lo studio dei nominati procuratori e, con i medesimi, in Roma, alla INDIRIZZO nello studio dell’Avv. NOME COGNOME COGNOME -ricorrente –
Avviso
liquidazione
imposta
registro
–
Mancata
produzione
certificazione IPA
contro
Agenzia delle Entrate (C.F.: 06363391001), in persona del Direttore Generale pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: NUMERO_DOCUMENTO) e presso la stessa domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-controricorrente –
-avverso la sentenza n. 3/1/2020 emessa dalla CTR Emilia-Romagna in data 02/01/2020 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
COGNOME NOME impugnava un avviso di liquidazione per maggiore imposta di registro e catastale notificatogli dall’Agenzia delle Entrate per non aver prodotto, entro il termine di tre anni dall’atto notarile di compravendita (stipulato in data 11.2.2009) di un fondo agricolo con sovrastante fabbricato rurale ad uso ricovero attrezzi agricoli, la certificazione attestante il possesso dei requisiti, dichiarati, necessari per conseguire i benefici fiscali previsti a favore della piccola proprietà contadina dall’art. 2 l. n. 604/1954.
La CTP di Ferrara accoglieva il ricorso, ritenendo che l’obbligo di produrre il certificato definitivo attestante il possesso dei requisiti prescritti fosse venuto meno a seguito dell’entrata in vigore della legge 26.2.2010, n. 25. 3. Sull’impugnazione dell’Agenzia delle Entrate, la CTR dell’Emilia -Romagna accoglieva il gravame, affermando che il termine di presentazione dell’attestazione definitiva aveva carattere perentorio, pur potendo il contribuente presentare tardivamente il certificato nel caso di impossibilità di offrirlo per esclusiva colpa della pubblica amministrazione tenuta al rilascio, e che l’obbligo di deposito del certificato dell’Ispettorato provinciale agrario, attestante la sussistenza dei presupposti per usufruire dei benefici per la piccola proprietà contadina, era venuto meno solo per gli atti stipulati dopo l’entrata in vigore del comma 4 -bis dell’art. 2 del d.l. 30.12.2009, n. 194, introdotto con la legge di conversione 26.2.2010, n. 25.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME
(cui è poi subentrata COGNOME NOME sulla base di quattro motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
In prossimità dell’adunanza camerale la parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che
Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3, 4 e 5 l. n. 604/1954 e l’applicazione abnorme, antinomica, asistematica ed illegittima degli artt. 3 e 4 l. n. 604/1954, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per non aver la CTR considerato che, affermando la necessità ed insostituibilità della certificazione IPA, sarebbe poi risultato impossibile, stante il sopravvenuto art. 2, comma 4-bis, d.l. n. 194/2009, convertito con l. n. 25/2010, l’eser cizio del diritto al rimborso ex art. 5 l. n. 604/1954, concretandosi, per l’effetto, un’inammissibile e contra legem interpretazione abrogans .
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., per non aver la CTR considerato l’atto di compravendita per notaio Manzo dell’11.2.2009.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2135, 2247 e 2251 c.c., 1, commi 3, lett. a), e 4, e 2, commi 4 e 4bis, d.lgs. n. 99/2004, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per aver la CTR omesso di rilevare e dichiarare la sussistenza di una società semplice agricola costituita tra gli acquirenti con almeno un socio in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale.
Con il quarto motivo il ricorrente si duole della nullità della sentenza gravata per violazione dell’art. 102 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c., per aver la CTP, prima, e la CTR, poi, omesso di ordinare l’integrazione del con traddittorio nei confronti del socio COGNOME Nino, necessario per accertare l’esistenza di un rapporto societario di fatto tra gli acquirenti.
In base al secondo comma dell’art. 276, secondo comma, c.p.c., merita
di essere trattato con priorità l’ultimo motivo, atteso che il suo eventuale accoglimento comporterebbe la cassazione della sentenza impugnata con rinvio della causa dinanzi alla CTP, affinché venga ordinata l’integrazione del contraddittorio, in correlazione col secondo e col terzo.
Il ricorrente lamenta, con il secondo ed il terzo motivo, che la CTR avrebbe dovuto dichiarare la sussistenza di una società semplice agricola costituita tra gli acquirenti con almeno un socio in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale, ragion per cui si sarebbe dovuto ordinare ab initio l’integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte necessario COGNOME NinoCOGNOME quale socio di fatto ed ulteriore acquirente del fondo agricolo con sovrastante fabbricato rurale ad uso ricovero attrezzi agricoli.
La censura complessivamente proposta non può essere accolta.
Anzitutto, non essendovene cenno nella sentenza qui impugnata, il ricorrente avrebbe dovuto indicare con precisione in quale fase e con quale atto processuale avesse tempestivamente sollevato la relativa questione.
Inoltre, il contribuente non poteva venire ammesso ad un’agevolazione diversa da quella da lui richiesta, ed in ordine alla quale si è attivata la funzione accertativa dell’amministrazione finanziaria; il tutto, vertendosi in tema di imposta d’atto, con riguardo esclusivo al momento del trasferimento del fondo, ed alla disciplina agevolativa in tal momento vigente (legge n. 604/1954).
In via generale, ricorre poi l’orientamento di legittimità -anche recentemente ribadito – secondo cui: <> (Cass. n. 10099/2017; in termini, Cass. n. 8409/2013).
Né è fondato il rilievo del ricorrente secondo cui la CTR sarebbe incorsa nell’omesso esame di un documento (il rogito notarile di acquisto ed i suoi allegati: l’atto cui è stata applicata la tassazione contestata) già prodotto in primo grado, e ritenuto decisivo per il giudizio, dal quale emergevano, a suo dire, i principali profili fattuali evidenziati nei motivi di ricorso. Invero, alla luce del valore informatore del contraddittorio (art. 111 Cost.), il giudice ha il potere-dovere di esaminare i documenti prodotti dalla parte solo nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza, esponendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con riguardo alle sue pretese, derivandone altrimenti per la controparte l’impossibilità di controdedurre e risultando per lo stesso giudice impedita la valutazione delle risultanze probatorie e dei documenti ai fini della decisione (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 23976 del 24/12/2004; conf. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 5711 del 16/03/2005 e Cass., Sez. L, Sentenza n. 20265 del 20/10/2005).
Anche il primo motivo è infondato.
In forza dell’art. 3 l. n. 604/1954, il riconoscimento dell’agevolazione in oggetto presuppone che l’acquirente produca, assieme all’atto presentato alla registrazione, un certificato del competente ispettorato provinciale agrario attestante la sussistenza dei requisiti dell’agevolazione medesima (tra i quali, il requisito soggettivo di coltivatore diretto), come previsti dall’art. 2 l. citata.
Qualora il richiedente non sia in grado di produrre tale certificato, è ammessa (art. 4) la possibilità di produzione di un’attestazione provvisoria del medesimo ispettorato, concernente la pendenza degli accertamenti per il rilascio del certificato definitivo. In tal caso l’interessato deve, entro tre anni dalla registrazione (termine così elevato dal d.l. 542/1996 conv. in l. 649/1996), “presentare all’Ufficio del registro il certificato definitivo, attestante che i requisiti richiesti sussistevano fin dal momento della stipula dell’atto”. In difetto sono dovute le normali imposte, fatto salvo – in assenza tanto del certificato provvisorio quanto di quello definitivo -il diritto del
contribuente di chiedere il rimborso “nel termine triennale di prescrizione”, previa allegazione del certificato mancante (art. 5).
Dunque, il possesso del certificato definitivo per fruire delle agevolazioni va documentato già al momento della registrazione dell’atto, ai sensi dell’art. 3, salvo che il contribuente non produca l’attestazione provvisoria di cui all’art. 4; in tal caso egli manterrà il diritto al beneficio a condizione che entro il triennio successivo presenti all’Ufficio la certificazione definitiva. Nell’ipotesi, ricorrente nel caso in esame, in cui sia stata fatta la sola dichiarazione, senza tuttavia produrre né il certificato definitivo né quello provvisorio, l’imposta di registro resta dovuta secondo l’aliquota ordinaria. Si rende altresì applicabile l’orientamento di legittimità secondo cui (Cass. n. 10406/2011; conf. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 28392 del 29/09/2022): <>.
Si tratta di indirizzo affermato anche da Cass. nn. 9159/2010 e 21980/2014 e, più recentemente, richiamato sia da Cass. n. 882/2016 (secondo la quale <>, sia da Cass. n. 117/2018 [la quale – nel ribadire il principio – ha osservato altresì come la – solo apparentemente – diversa regola desumibile da Cass. nn. 11610/2003, e 8326/14 (nel senso della possibilità di autonomo vaglio probatorio dei
requisiti agevolativi da parte del giudice tributario), non valga in via generale, ma unicamente nel caso in cui la mancata tempestiva allegazione del certificato sia – appunto – dovuta alla comprovata inerzia della PA].
Sicché, in definitiva, va qui ribadito che:
– ai fini dell’agevolazione a favore della piccola proprietà contadina di cui alla l. n. 604/1954, il certificato definitivo IPA (vincolante per l’amministrazione finanziaria che deve provvedere alla liquidazione dell’imposta) deve sempre essere allegato entro tre anni dalla registrazione dell’atto, a pena di decadenza dal beneficio provvisoriamente riconosciuto, e liquidazione delle imposte in misura ordinaria, così come stabilito dall’art.
4 l. citata;
l’accertamento della qualità di coltivatore diretto e degli altri requisiti agevolativi ben può essere compiuto autonomamente dal giudice tributario sulla base delle prove a tal fine offerte dal contribuente, ma ciò unicamente qualora il certificato prescritto dalla legge non venga rilasciato in tempo utile per la comprovata inerzia della PA, e non per il ritardo o la negligenza del contribuente stesso nel richiederne o sollecitarne il rilascio.
Va, pertanto, ribadito il principio secondo cui <> (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 2941 del 07/02/2018).
Giova altresì specificare che è inapplicabile al caso in esame il principio affermato da Cass., Sez. 5, n. 10248/13, richiamata in ricorso e in memoria, la quale aveva riguardo a un’ipotesi del tutto peculiare, in cui l’Agenzia non aveva contestato <>.
Occorre anche ribadire che l’obbligo di deposito del certificato dell’ispettorato provinciale agrario attestante la sussistenza dei presupposti per usufruire dei benefici per la piccola proprietà contadina è venuto meno solo per gli atti stipulati successivamente all’entrata in vigore del comma 4 bis dell’art. 2 del d.l. n. 194 del 2009, che è stato introdotto con la legge di conversione n. 25 del 2010 e che non ha portata retroattiva, come si desume dal suo tenore letterale (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 21842 del 28/10/2016; conf. Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 21291 del 05/10/2020). Si osserva, infine, come la facoltà riconosciuta al contribuente dall’articolo 5 l. n. 604/1954 – esercitabile entro il “termine triennale di prescrizione” riguardi il diritto al rimborso della maggiore imposta a fronte di domanda presentata dall’acquirente. Nel caso di specie, tuttavia, non si controverteva di diritto al rimborso dell’imposta pagata in eccedenza, quanto di revoca della agevolazione provvisoriamente fruita, conseguente all’inosservanza di un termine triennale, insuscettibile, proprio perché di natura decadenziale, di dilazione.
Va, pertanto, ribadito (vedi Cass. nn. 14935/22 e 17411/23) il principio secondo cui, in tema di agevolazioni in favore della piccola proprietà contadina, il contribuente che non abbia dimostrato il possesso del requisito soggettivo di coltivatore diretto, dichiarato al momento del rogito per ottenere il beneficio fiscale, non può successivamente pretendere il richiesto beneficio sulla base del diverso requisito soggettivo di imprenditore agricolo professionale, seppur equipollente ai fini del riconoscimento, in quanto, poiché i poteri di accertamento del tributo si esauriscono quando l’atto viene sottoposto a tassazione, non è possibile mutare il titolo dell’attribuzione e la decadenza dall’agevolazione concessa preclude qualsiasi accertamento sulla base di diversi presupposti normativi o di fatto.
In quest’ottica, la deduzione secondo cui COGNOME non potrebbe, una volta versata la, a suo dire, ingiusta pretesa di cui all’avviso di liquidazione (per non aver prodotto il certificato IPA ritenuto necessario), esercitare poi il
diritto al rimborso che gli spetterebbe (atteso che la Provincia non rilascia più, a decorrere dall’1.4.2012, il detto certificato), oltre che introdurre una questione di cui non vi è menzione nella sentenza impugnata (e, come tale, in quanto nuova, inammissibile), è irrilevante.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso non merita accoglimento. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 4.500,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 25.10.2024.