Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30951 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 30951 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10187/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO), che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. PUGLIA n. 1181/2021 depositata il 09/04/2021,
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (già RAGIONE_SOCIALE) ha impugnato l’atto di liquidazione della maggiore imposta di registro, ipotecaria e catastale e d’irrogazione sanzioni, con cui l’Agenzia delle Entrate, relativamente all’atto di acquisto della proprietà di alcuni fondi rustici, stipulato in data 3 dicembre 1998, ha contestato, nel 2004, la decadenza dalle agevolazioni per l’imprenditore agricolo, di cui alla legge n. 153 del 1975, all’esito della mancata produzione della relativa certificazione nel termine previsto.
Il ricorso è stato accolto in primo grado.
L’appello dell’Agenzia è stato rigettato. La Commissione tributaria regionale ha ritenuto non necessaria, da parte dei soci delle società agricole, che sono imprenditori agricoli, la produzione della certificazione prevista per i coltivatori diretti, essendo sufficiente l’iscrizione della società nel relativo registro e la conduzione del terreno acquistato per almeno cinque anni.
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello.
La contribuente, pur ritualmente evocata in giudizio, non ha svolto attività difensive.
6.La causa è stata trattata e decisa all’adunanza camerale del 25 ottobre 2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo l’Agenzia ha dedotto la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod.proc.civ., dell’art. 132 cod.proc.civ., atteso che la sentenza fa riferimento alle controdeduzioni dell’appellato e ad un’asserita eccezione di inammissibilità dell’appello, rigettando l’appello «per genericità dei motivi», mentre, al contrario, l’appellato non si è mai costituito.
La censura è infondata, in quanto la sentenza impugnata risulta adeguatamente motivata con riferimento alle circostanze di fatto ed alle argomentazioni giuridiche. In particolare, ad avviso del giudice di appello, ai soci delle società agricole va riconosciuta la qualifica di imprenditori agricoli professionali e, in base alla legge n. 25 del 2010, è venuto meno l’obbligo della produzione della certificazione precedentemente prevista per i coltivatori diretti: «è la legge stessa, art. 13 della legge n. 153 del 1975, che, con riferimento alle cooperative ed alle associazioni di agricoltori, che per propria natura ha tra i soci imprenditori agricoli e che altrimenti non potrebbero essere iscritte in detta categoria di società senza averne i requisiti, non prescrive la produzione di alcuna documentazione inerente a certificazione regionale».
Il riferimento, contenuto nella sentenza di appello, alle difese della parte appellata non scalfisce la comprensibilità della decisione, così come l’erronea indicazione del numero della legge applicabile (135 invece di 153 del 1975). Né il rapidissimo riferimento alla genericità dei motivi assume rilievo nel ragionamento sviluppato a sostegno del rigetto dell’appello, che, difatti, non è stato dichiarato inammissibile, ma esaminato nel merito.
Con il secondo motivo l’Agenzia ha dedotto la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., degli art. 12 e 13 della legge n. 153 del 1975 e della nota I), art. 1 della parte I della tariffa del d.P.R. n. 131 del 1986, atteso che l’acquirente che non possegga, al momento della stipula, la qualifica di imprenditore agricolo, deve produrne la prova nel termine di tre anni. La ricorrente ha, inoltre, rilevato che la contribuente non ha provato, non essendosi costituita in appello, né l’iscrizione nel registro né la coltivazione del fondo per cinque anni.
La censura è fondata.
2.1. Occorre premettere che l’atto è stato stipulato nel 1998, sicché non trova applicazione la disciplina successiva a cui fa riferimento
la sentenza impugnata, in virtù della irretroattività della legge in assenza di una disciplina derogatoria -principio generale ai sensi dell’art. 11 delle preleggi, che in ambito tributario è stato ulteriormente esplicitato dall’art. 3, comma 1, della legge n. 212 del 2000, ai sensi del quale le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo (v., ad esempio, con riferimento alla disciplina del d.lgs. n. 99 del 2004: Cass., Sez. 5, 7 marzo 2014, n. 5378, secondo cui, in tema di agevolazioni tributarie, l’art. 2 del d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99, che parifica il trattamento fiscale, in materia di imposizione indiretta e creditizia, tra persona fisica con qualifica di coltivatore diretto e società di cui all’art. 1, comma 3, del medesimo decreto, qualificate come imprenditori agricoli professionali, ha carattere innovativo e non supera i confini delle provvidenze fiscali destinate agli atti traslativi stipulati da imprenditori agricoli a titolo principale, sicché non si applica agli atti stipulati anteriormente alla sua entrata in vigore né rileva riguardo ai benefici funzionali al riordino della piccola proprietà contadina).
2.2. La disciplina applicabile al caso in esame va, pertanto, individuata in quella vigente al momento della stipula del contratto (3 dicembre 1998) e, cioè, nell’art. 1 della parte I della tariffa del d.P.R. n. 131 del 1986, come integrato dalla nota 1, ai sensi della quale «per gli atti traslativi stipulati da imprenditori agricoli a titolo principale o da associazioni o società cooperative di cui agli artt. 12 e 13 della legge n. 153 del 1975, ai fini dell’applicazione dell’aliquota dell’8 per cento l’acquirente deve produrre al pubblico ufficiale rogante la certificazione della sussistenza dei requisiti in conformità a quanto disposto dall’art. 12 della legge n. 153 del 1975. Il beneficio predetto è esteso altresì agli acquirenti che dichiarino nell’atto di trasferimento di voler conseguire i sopra indicati requisiti e che entro il triennio producano la stessa certificazione; qualora al termine del triennio non sia stata prodotta
la documentazione prescritta l’ufficio del registro competente provvede al recupero della differenza d’imposta».
Solo per completezza deve evidenziarsi che l’ultimo comma dell’art. 12 della legge n. 153 del 1975 (ai sensi del quale «le società sono lo esclusivo inoltre:
considerate imprenditori agricoli a titolo principale qualora statuto preveda quale oggetto sociale l’esercizio dell’attività agricola, ed a) nel caso di società di persone qualora almeno la metà dei soci sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale. Per le società in accomandita la percentuale si riferisce ai soci accomandatari;
nel caso di società cooperative qualora utilizzino prevalentemente prodotti conferiti dai soci ed almeno la metà dei soci sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale;
nel caso di società di capitali qualora oltre il 50 per cento del capitale sociale sia sottoscritto da imprenditori agricoli a titolo principale») è stato introdotto solo con il d.lgs. n. 228 del 2001 e, cioè, successivamente alla stipula dell’atto, a cui non è, quindi, applicabile (sul carattere innovativo e non retroattivo del d.lgs. n. 228 del 2001, v., tra le tante, Cass., Sez. 5, 21 marzo 2014, n. 6696 e 6698 e Cass., Sez. 5, 21 giugno 2005, n. 19015; è rimasta, invece, isolata Cass., Sez. 1, 20 aprile 1995, n. 4451, riferita, peraltro, ad una disciplina non applicabile ratione temporis e, cioè, al d.P.R. n. 634 del 1972).
2.3. Pertanto, in base alla disciplina applicabile ratione temporis , risulta nel caso di specie mancante il presupposto soggettivo della fruizione dell’agevolazione, ancorché non dedotto dalle difese erariali.
Ciò in base al principio di diritto, da questa Corte ripetutamente affermato, secondo cui, in tema di imposta di registro, l’aliquota ridotta dell’otto per cento, prevista dall’art. 1 della tariffa, parte
prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, per gli atti di acquisto, a titolo oneroso, di terreni agricoli da parte di imprenditori agricoli a titolo principale o di associazioni o società cooperative, di cui agli artt. 12 e 13 della legge n. 153 del 1975, non si applica alle società, di persone o di capitali, che svolgano attività agricola, non rientrando esse fra le categorie dei beneficiari espressamente indicate dalla legge, e non potendosi alle stesse estendere l’agevolazione attesa la natura speciale della disposizione che la prevede (cfr., tra le tante, Cass., Sez. 5, 21 marzo 2014, n. 6696 e, in una fattispecie identica alla presente, Cass., Sez. 5, 21 marzo 2014, n. 6698).
Come già evidenziato, difatti, l’art. 10 del d.lgs. n. 228 del 2001, che ha esteso la qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale alle società di persone e alle società di capitali il cui oggetto sociale preveda l’esercizio esclusivo dell’attività agricola e che rispettino le ulteriori condizioni previste dalla norma stessa, ha carattere innovativo e non è, pertanto, applicabile retroattivamente (v. sempre Cass., Sez. 5, 21 marzo 2014, n. 6696 e 6698).
In proposito deve, inoltre, ribadirsi che l’indirizzo della Corte di giustizia (originato dalla sentenza del 18 dicembre 1986, in causa C-312/85, s.p.a. Villa Banfi, e, poi, ulteriormente sviluppato dalla sentenza del 15 ottobre 1992, in causa C-162/91, RAGIONE_SOCIALE), in forza del quale non possono escludersi dalla nozione di imprenditore agricolo a titolo principale persone giuridiche e società, che comunque svolgano attività imprenditoriale agricola, per il solo fatto della loro forma giuridica, opera nei limiti della disciplina normativa nazionale che costituisce attuazione della richiamata direttiva comunitaria in funzione delle provvidenze da questa previste mentre non si estende al trattamento tributario degli atti di acquisto di terreni agricoli da parte di imprenditori agricoli, perché tale materia esula dall’ambito
di applicazione della menzionata direttiva (v., ex plurimis , Cass., Sez. 5, 21 marzo 2014, n. 6696). La stessa Corte di giustizia, con la pronuncia più recente del 15 ottobre 1992, alla quale si è conformata questa Corte, al considerando 25, ha precisato che «gli aiuti nazionali all’acquisto di terre, come le riduzioni dell’imposta di registro sugli acquisti di terreni agricoli da parte delle aziende agricole, non rientrano pertanto nel campo di applicazione ratione materiae del regolamento (del Consiglio 12 marzo 1985, n. 797, relativo al miglioramento dell’ efficienza delle strutture agrarie), bensì in quello del diritto nazionale, cui spetta definire il regime di siffatti aiuti conformemente agli artt. 92-94 del Trattato ».
2.4. Per completezza è necessario sottolineare che i profili incidenti sul presupposto giuridico soggettivo del beneficio, in base alla disciplina vigente al tempo del contratto soggetto a registrazione (3 dicembre 1998), costituiscono questioni suscettibili di rilievo d’ufficio, anche in sede di legittimità, in virtù del principio iura novit curia .
In proposito occorre osservare che, stante la distinzione tra questioni di fatto, soggette al principio di contestazione, e profili di diritto, retti dal principio iura novit curia , denunziato un errore di diritto su un punto della controversia riguardante la fruizione definitiva di un beneficio fiscale provvisoriamente riconosciuto (nel caso di specie, denunciato, da parte dell’Agenzia, l’errore sulla maturata decadenza da parte della contribuente), il giudice di legittimità può constatare l’inesistenza del diritto in sé, per difetto del suo presupposto subiettivo. Difatti, il principio iura novit curia può e deve trovare applicazione nell’intero ambito della parte di sentenza non coperta dal giudicato interno. Costituisce, del resto, orientamento consolidato quello secondo cui la Corte di cassazione può accogliere il ricorso per una ragione di diritto anche diversa da quella prospettata dal ricorrente, sempre che essa sia fondata sui fatti come prospettati dalle parti, fermo restando che l’esercizio del
potere di qualificazione non può comportare la modifica officiosa della domanda per come definita nelle fasi di merito o l’introduzione nel giudizio d’una eccezione in senso stretto (Sez . 3, n. 18775 del 2017, Rv. 645168 – 01).
Né può ritenersi formato un giudicato implicito sulla sussistenza del presupposto soggettivo dell’agevolazione invocata, vista la formulazione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, dell’eccezione di decadenza della contribuente, in appello e in questo giudizio di legittimità: eccezione che, per la sua natura preliminare di merito, è idonea a porre in discussione ogni aspetto della statuizione avente ad oggetto la fruibilità del beneficio da parte della società in quanto tale (sul punto, negli stessi termini, Cass., Sez. 5, 21 marzo 2014, n. 6698). Invero, con tale eccezione, l’Agenzia ha impugnato la statuizione riguardante la esistenza del diritto all’agevolazione, rispetto a cui non si è, dunque, formato alcun giudicato, neppure su singoli punti della decisione, tra cui quello della fruibilità dell’agevolazione da parte di una società prima della modifica normativa del 2001.
2.5.Non sussiste la necessità di assegnare alle parti sulla questione affrontata d’ufficio un termine ex art. 101, secondo comma, cod.proc.civ., trattandosi di una questione di mero diritto. Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, l’obbligo del giudice di stimolare il contraddittorio sulle questioni rilevate d’ufficio non riguarda le questioni di diritto ma quelle di fatto, ovvero miste di fatto e di diritto, che richiedono non una diversa valutazione del materiale probatorio bensì prove dal contenuto diverso rispetto a quelle chieste dalle parti ovvero un’attività assertiva in punto di fatto e non già solo mere difese (Cass., Sez. 2, 19 gennaio 2022, n. 1617).
2.6. Alla questione relativa all’insussistenza del requisito soggettivo dell’agevolazione invocata, di carattere pregiudiziale e per sé già assorbente, si aggiunge, comunque, anche quella ulteriore della
decadenza derivante dalla mancata produzione della certificazione (eccepita dall’Agenzia nell’atto impositivo ed in tutt e le fasi del giudizio), in assenza di una disciplina, all’epoca della stipula del contratto (3 dicembre 1998), derogatoria nei confronti dei soci delle società agricole.
In definitiva, il secondo motivo di ricorso deve essere accolto, rigettato il primo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito e l’originario ricorso deve essere rigettato.
Stante la complessità della disciplina in esame, in considerazione della successione delle normative, dell’intervento della Corte di Giustizia e dei precedenti di questa Corte, le spese dell’intero giudizio devono essere compensate.
P.Q.M.
La Corte di cassazione:
accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, conseguentemente cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito la causa, rigetta l’originaria impugnazione contro l’avviso di liquidazione e irrogazione sanzioni;
dichiara integralmente compensate le spese del l’intero giudizio.
Così deciso in Roma, il 25/10/2024.