Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6738 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6738 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 11325/2021, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rapp.te p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale allegata al ricorso, dagli Avv.ti COGNOME e NOME COGNOME presso i quali è elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata a ROMA, in INDIRIZZO
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 1164/2020 della Commissione tributaria regionale dell’Emilia -Romagna, depositata il 27 ottobre 2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6 marzo 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE impugnò innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Parma l’avviso di accertamento con il quale era ripreso a tassazione, ai fini Ires per l’anno 2009, il maggior imponibile derivante dal rilievo di un’indebita fruizione dei benefici fiscali di cui all’art. 5, comma 3bis , del d.l. 3 agosto 2009, n. 78, conv. con modif. nella l. n. 102/2009 (cd. Tremontiter ), oltre sanzioni e interessi.
Alla società, in particolare, era stato contestato di aver acquistato beni produttivi e di averli successivamente assegnati a proprie stabili organizzazioni situate fuori dallo Spazio Economico Europeo (SEE), purtuttavia usufruendo del beneficio fiscale in parola, che consentiva la detassazione del reddito d’impresa in misura pari al 50% dell’ammontare degli investimenti effettuati per l’acquisto di tali beni.
La C.T.R. adìta accolse il ricorso limitatamente alle sanzioni, confermando l’atto impositivo per il resto.
La decisione fu oggetto di appello principale dell’Agenzia delle entrate e di appello incidentale della contribuente.
Con la pronunzia indicata in epigrafe, la C.T.R. dell’Emilia -Romagna respinse entrambe le impugnazioni, rilevando:
quanto alle eccezioni preliminari sollevate dalla società in relazione a supposte violazioni della l. 27 luglio 2000, n. 212, che l’accertamento in questione non importava, per la sua validità, la preventiva redazione di un processo verbale;
-quanto al merito, che l’allocazione del bene produttivo al di fuori del SEE equivaleva alla sua cessione, con conseguente revoca del
beneficio, perché «eliminava gli intenti volti ad incentivare ed incrementare i dati economici del Paese concedente l’agevolazione»;
quanto alle sanzioni, infine, che le problematiche interpretative insorte sull’applicazione del decreto ‘Tremonti -ter ‘ giustificavano la disapplicazione.
La sentenza d’appello è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’Amministrazione finanziaria ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale sulla base di un unico motivo.
La contribuente ha depositato controricorso all’avverso ricorso incidentale e memoria in prossimità dell’udienza .
Considerato che:
1. Il primo motivo del ricorso principale denuncia violazione degli artt. 24 della l. 7 gennaio 1929, n. 4, 12 della l. n. 212/2000, 25 e 97 Cost., nonché dell’art. 41 CDFUE e «dei principi generali di diritto dell’Unione relativi all’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale ed al rispetto dei diritti di difesa».
La ricorrente critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto valido l’atto impositivo quantunque non preceduto dalla predisposizione e dall’inoltro di un processo verbale o di altro atto informativo e, dunque, senza una valida instaurazione del contraddittorio nei suoi confronti.
1.1. La censura è infondata.
La sentenza impugnata si è infatti conformata al consolidato orientamento di questa Corte -riferito al regime normativo applicabile ratione temporis -secondo cui l’obbligo di preventiva instaurazione del contraddittorio procedimentale con il contribuente sussiste, a pena di invalidità dell’atto impositivo, solo nelle ipotesi di accertamento effettuato mediante accesso ai locali (e non ‘a tavolino’ come nella
specie) ovvero nel caso, qui non sussistente, in cui la verifica abbia ad oggetto tributi armonizzati (cfr. Cass. Sez. U, n. 23823/2015 e numerosissime altre seguenti).
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 5, commi 3 e 3 -bis , del d.l. n. 78/2009 e dell’art. 12 preleggi.
Si duole, in proposito, del fatto che la C.T.R. abbia interpretato la disposizione agevolatrice di cui al decreto Tremontiter prescindendo dal suo tenore letterale e così estendendo la fattispecie ostativa della cessione a terzi al diverso caso, verificatosi nella specie, di semplice allocazione del bene produttivo fuori dal SEE, pur senza che ciò avesse comportato cessione a terzi e quantunque il bene stesso fosse rimasto nella stabile organizzazione dell’impresa contribuente.
2.1. Anche tale motivo non è fondato.
Va data continuità, sul punto, al principio di diritto affermato da questa Corte per la prima volta con la sentenza n. 2234/2024, secondo cui «il comma 3bis dell’art. 5 del decreto -legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito dalla legge n. 102/2009, che dispone la revoca del beneficio della detassazione parziale degli investimenti in macchinari di cui al precedente comma 1, qualora i beni oggetto degli investimenti siano ceduti a ‘soggetti aventi stabile organizzazione in Paesi non aderenti allo Spazio economico europeo’, va intes o come riferito alla circostanza concreta che il cessionario utilizzi il bene agevolato in strutture produttive, principale o secondaria, non ubicate nell’ambito dello Spazio economico europeo, a prescindere dal luogo in cui è collocata la propria residenza fiscale e pertanto deve ritenersi che, al di fuori della ipotesi di cessione a soggetti terzi, costituisca causa di revoc a dell’agevolazione anche il trasferimento del bene, ad opera del
beneficiario dell’agevolazione, presso proprie strutture produttive situate al di fuori dello Spazio economico europeo».
2.2. L’enunciazione di tale principio muove dal rilievo in base al quale l ‘ originario art. 5 del d.l. n. 78/2009, rubricato «Detassazione degli investimenti in macchinari» -il quale prevedeva, al comma 3, la generale revoca del beneficio nel caso in cui l’ imprenditore avesse ceduto a terzi o destinato i beni oggetto degli investimenti a finalità estranee all’esercizio di impresa prima del secondo periodo di imposta successivo all’acquisto -vide affiancarsi, in sede di conversione (con l’introduzione del comma 3 -bis ), una causa di revoca speciale, riferita al caso in cui «i beni oggetto degli investimenti sono ceduti a soggetti aventi stabile organizzazione in Paesi non aderenti allo Spazio economico europeo».
Secondo questa Corte, la disposizione in esame merita una lettura più coerente con la specifica disciplina agevolativa del D.L. n. 78/2009, con le finalità di logica economica alle quali detto ultimo mira e con il disegno complessivamente perseguito dalle precedenti edizioni della disciplina normativa intesa ad agevolare gli investimenti in macchinari ed apparecchiature industriali da parte delle imprese nazionali.
Siffatta opzione ermeneutica è anzitutto consentita dal tenore della disposizione che, in primo luogo, a differenza di quanto previsto dal comma precedente, non delimita espressamente l’ambito della revoca alle cessioni a terzi poste in essere -nel biennio dall’imprenditore beneficiario della detassazione a terzi (oltre alla differente ipotesi dell’utilizzo per finalità estranee all’esercizio di impresa) , poiché contiene esclusivamente un generico riferimento alla ‘cessione dei beni’, con terminologia ch e consente di attribuire a tale locuzione il significato di trasferimento a qualunque titolo della loro disponibilità
presso una stabile organizzazione collocata al di fuori del SEE, anche ad opera del primo acquirente e beneficiario della detassazione.
Essa, inoltre, trova conferma nella palesata finalità del legislatore di incentivare la produttività delle imprese nazionali, perseguita con la disposizione antielusiva generale del comma 3 e completata con l’introduzione del comma 3 -bis in esame, che prevede la revoca del beneficio non solo quando la cessione avviene a favore di terzi, ma anche quando la cessione del bene ‘agevolato’ avviene a favore di una stabile organizzazione extra SEE, la quale, pur non essendo un soggetto giuridico distinto dalla società cedente ma un mero centro di imputazione di situazioni giuridiche, è produttiva di redditi che, in prima approssimazione, vengono tassati nello Stato della fonte.
2.3. Pertanto, come chiarito dalla circolare esplicativa n. 44/E del 27 ottobre 2009, l’indicazione contenuta nel citato comma 3 -bis a ‘soggetti aventi stabile organizzazione in Paesi non aderenti allo Spazio economico europeo’ non va intesa come riferita alla astratta disponibilità di una stabile organizzazione nei suddetti paesi, quanto piuttosto alla circostanza concreta che il cessionario utilizzi il bene agevolato in strutture produttive (principale o secondaria) ubicate nell’ambito dello Spazio econom ico europeo, a prescindere dal luogo in cui è collocata la propria residenza fiscale e pertanto deve ritenersi che, al di fuori della ipotesi di cessione a soggetti terzi, costituisca causa di revoca dell’agevolazione anche il trasferimento del bene, ad op era del beneficiario dell’agevolazione, presso proprie strutture produttive situate al di fuori dello Spazio economico europeo.
La disciplina così come interpretata inoltre, sotto un profilo di sistema, pur nei limiti in cui esso possa essere colto nel succedersi dei provvedimenti emergenziali, risulta coerente con la finalità di tutela dell’imprenditoria nazionale perseguita dai p recedenti interventi
agevolativi che avevano previsto la detassazione degli investimenti realizzati «nel territorio dello Stato» (art. 3, comma 2, D.L. n. 357/1994, c.d. ‘Legge Tremonti’ e art. 4, comma 4, D.L. n. 383/2001, c.d. ‘Tremonti -bis ‘),
Nella suddetta disciplina, tale finalità, a differenza delle discipline incentivanti precedenti, risulta non contraddetta, ma solamente -e più prudentemente – temperata dalla necessità di compatibilità con il principio comunitario della libera circolazione dei beni, esteso anche ai Paesi del SEE.
2.4. Con tale finalità contrasta il trasferimento dei beni produttivi operato dalla società contribuente in favore delle proprie stabili organizzazioni, che non incentiva la produttività nazionale ma quella di paesi esterni alla SEE, con profitto per il fisco dello Stato estero di residenza della stabile organizzazione, ma con costi a carico dell’erario italiano.
A quanto osservato in merito alla interpretazione dell’art. 5, comma 3bis del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 consegue il rilievo di infondatezza della censura.
L’unico motivo del ricorso incidentale incide la sentenza impugnata nella parte inerente alle sanzioni.
L’Agenzia delle entrate sostiene che la C.T.R. avrebbe errato nell’applicare gli artt. 8 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 6, comma 2, del d.lgs. 1 dicembre 1997, n. 472, e 10, comma 3, della l. n. 212/2000 in quanto, all’epoca del ricorso, era già stata diffusa la prassi interpretativa di cui alla citata circolare n. 44/E del 27 ottobre 2009, donde l’insussistenza di un possibile errore scusabile idoneo a legittimare la disapplicazione della sanzione.
3.1. La censura è fondata.
Giova richiamare, in tal senso, quanto ripetutamente affermato da questa Corte in punto ai requisiti perché possa parlarsi di «obiettiva incertezza normativa» idonea a configurare l’esimente di cui all’art. 6 del d.lgs. n. 472/1997.
Al riguardo è stato precisato, in particolare, che tale situazione è caratterizzata dall ‘ impossibilità di individuare con sicurezza ed univocamente la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile e può essere desunta da alcuni ‘indici’, quali, ad esempio: la difficoltà di individuazione delle disposizioni normative; la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; l’assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorietà delle circolari; la mancanza di precedenti giurisprudenziali; l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; il contrasto tra opinioni dottrinali; l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di una disposizione implicita preesistente (in questo senso, fra le altre, Cass. n. 1893/2021, Cass. n. 15452/2018).
La C.T.R. non ha svolto un ‘ adeguata indagine sulla sussistenza dei detti indici, essendosi limitata ad evocare imprecisate «problematiche interpretative risolvibili ma mai banali»; essa, inoltre e soprattutto, ha omesso di prendere in considerazione il richiamato documento di prassi, del quale, anzi, ha mostrato di non tenere conto, laddove ha precisato esservi stata «la necessità del formarsi di prassi amministrativa», in realtà risalente a undici anni prima.
4. In conclusione, il ricorso principale merita di essere respinto; va invece accolto il ricorso incidentale.
In relazione a detta ultima statuizione, la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice a quo affinchè, in diversa composizione, decida uniformandosi all’indicato principio e provved a, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Al rigetto del ricorso principale consegue, invece, il rilievo della sussistenza dei presupposti per la condanna della ricorrente al pagamento di un importo pari al doppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia -Romagna.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2025.