Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5330 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5330 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/02/2025
Oggetto:
Agevolazione Tremonti
ambiente – Art. 6
13-19
l. 388/2000 –
Consumo di energia autoprodotta –
Necessità – Art. 2 8bis d.P.R. 322/1998
Novella del 2016 – Efficacia retroattiva – Esclusione
* Principio di diritto
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22472/2022 R.G. proposto da:
DALLE NOGARE COGNOME NOMECOGNOME DALLE NOGARE NOME e DALLE NOGARE NOME, rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME , elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio della seconda;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria di secondo grado di Trento, n. 10/01/2022, depositata in data 2 marzo 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
1. COGNOME COGNOME e NOME COGNOME, quali soci delle società ‘RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE‘ (d’ora in avanti, per brevità, ‘RAGIONE_SOCIALE‘) e ‘RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE‘, ora ‘RAGIONE_SOCIALE‘ (d’ora in avanti, per brevità, ‘RAGIONE_SOCIALE‘), e COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali soci della società RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE, presentavano , in data 11 agosto 2016, 4 istanze di rimborso delle somme, rispettivamente, di euro 91.159,00, euro 80.880,00, euro 36,00 ed euro 58,00 per Irpef dell’anno 2011; con la medesima istanza COGNOME NOME e COGNOME NOME chiedevano, altresì, il rimborso della maggiore Irpef versata anche per il 2012 (rispettivamente, euro 13.929,00 ed euro 15.953,00). Gli istanti, in particolare, invocavano la detassazione prevista dall’art. 6, commi 13 – 19, della l. n. 388 del 2000 per la realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, sull’assunto di aver realizzato quattro impianti di pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica (due di proprietà della ‘RAGIONE_SOCIALE‘, ubicati in Canazei Val INDIRIZZO e Trento –INDIRIZZO, due di proprietà della RAGIONE_SOCIALE‘, ubicati in Tren to –INDIRIZZO e INDIRIZZO) e di aver dimostrato, mediante due perizie di stima, il valore della componente ambientale dell’investimento . Precisavano di non aver chiesto immediatamente l’agevolazione stante l’incertezza circa la cumulabilità della stessa con la tariffa incentivante di cui godevano le società ai sensi del D.M. Sviluppo Economico 19/2/2007 (secondo Conto Energia) e di aver, quindi, inviato all’Agenzia delle entrate, il 5 luglio 2016, le dichiarazioni integrative per i periodi di imposta interessati.
Contro il silenzio rifiuto opposto dall’amministrazione i contribuenti presentavano quattro distinti ricorsi innanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Trento onde veder riconosciuto il diritto al rimborso.
L’Ufficio si costituiva contestando, preliminarmente, i presupposti del rimborso, in particolare deducendo che l’agevolazione dovesse applicarsi solo all’ipotesi di autoconsumo dell’energia elettrica prodotta ed eccependo la tardività della domanda di rimborso.
I giudici di prossimità, riuniti i ricorsi, disposero CTU, salvo, poi, non recepirne i risultati. Mentre, infatti, l’ausiliare del giudice riteneva agevolabile solo uno dei quattro impianti, in quanto l’unico che implicava (almeno in parte) un autoconsumo dell’energia elettrica prodotta, la CT di primo grado sosteneva che detta conclusione non trovasse conforto nel dato letterale delle disposizioni né giustificazione sul piano logico.
Il giudice di prime cure ritenne, comunque, solo in parte fondati i ricorsi, accogliendo l’eccezione di tardività delle istanze di rimborso, decorrendo il termine di 48 mesi dal versamento degli acconti (eseguito il 5 agosto 2012), ed escludendo, quindi, gli importi relativi ai detti acconti, atteso che l’istanza di rimborso era stata depositata solo l’11 agosto 2016 .
L’Ufficio interponeva gravame avverso la sentenza di primo grado, censurando la decisione di riconoscere il diritto all’agevolazione fiscale in relazione ai 3 impianti che non utilizzavano per la propria attività d’impresa l’energia elettrica prodotta dagli impianti fotovoltaici ivi installati.
I contribuenti spiegavano appello incidentale contestando il mancato rimborso dei pagamenti effettuati in data antecedente all’11 agosto 2012, sull’assunto che per l’investimento ambientale il termine di 48 mesi decorreva dal versamento del saldo per il periodo d’imposta 2011.
La CT di secondo grado accoglieva l’appello dell’Ufficio, riconoscendo la detassazione solo in relazione ad un impianto fotovoltaico (Open Center), l’unico che produceva energia elettrica consumata (sebbene in parte) dall’impresa per la sua attività.
Il giudice di appello respingeva, invece, il gravame incidentale dei contribuenti ritenendo corretta l’individuazione del dies a quo del termine di decadenza dal diritto al rimborso nella data del versamento degli acconti.
Avverso la decisione della Commissione tributaria di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione i contribuenti, affidandosi a quattro motivi. L ‘Ufficio ha resistito con controricorso.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 07/02/2025. Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso i contribuenti denunciano la «illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 6, co. da 13 a 19, L. 388/2000 in relazione all’art. 360, co 1, n. 3. c.p.c.» avendo la CT di secondo grado erroneamente limitato il beneficio della detassazione agli investimenti ambientali che utilizzano direttamente l’energia autoprodotta. Dopo aver premesso che si tratta di stabilire se ‘sono titolati a fruire dell’agevolazione solo gli investimenti che consumano in loco l’energia autoprodotta senza immetterla nella rete…ovvero se…ciò che rileva ai fini dell’accesso all’agevolazione è solo che l’energia prodotta serva ad abbattere l’impatto ambientale dell’attività dell’investitore, restando irrilevante che questa energia non venga immessa nella rete…’ (pag. 16 del ricorso), i ric orrenti affermano che l’agevolazione non p ossa essere negata per il solo fatto che l’energia elettrica prodotta dall’impianto non venga consumata (almeno in parte) dall’impresa, bensì immessa totalmente in rete.
1.1. Il motivo è infondato, soccorrendo in tal senso recenti decisioni di questa Corte rese all’esito di pubblica udienza (Cass. 23/08/2023, n. 25157, e Cass. 22/12/2023, n. 35919); ai principi espressi in quelle sedi occorre dare continuità.
1.2. La censura è incentrata sulla questione dell’applicabilità dell’agevolazione fiscale prevista dall’art. 6, commi 13 -19, l. n. 388/2000 soltanto agli investimenti ambientali destinati (in tutto o in parte) all’autoconsumo (come sostiene la CT di secondo grado)
ovvero anche nel caso dell’esercizio in favore di attività svolte da soggetti terzi , ovvero dell’immissione in rete di tutta l’energia elettrica prodotta dall’impianto (come ritenuto dai ricorrenti).
Questa Corte già in precedenza (Cass. 23/12/2020, n. 29365) ha affermato che «in tema di agevolazioni tributarie, il beneficio di cui all’art. 6, commi da 13 a 19, l. n. 388 del 2000, spetta alle imprese per l’acquisto delle immobilizzazioni materiali necessarie per prevenire, ridurre e riparare i danni causati all’ambiente dall’esercizio dell’attività da esse svolta, essendo fondato sull’implicito presupposto dell’inerenza del danno all’attività dell’impresa investitrice, e non anche per quelli causati da soggetti terzi, ponendosi una diversa interpretazione in contrasto con l’intenzione legislativa, oltre a trasformare l’agevolazione stessa in aiuto di Stato, in contrasto con gli artt. 87 e 89 del Trattato CEE (successivamente con gli artt. da 107 a 109 TFUE), in favore di quelle imprese il cui oggetto sociale sia quello di prevenire, ridurre e riparare i danni causati all’ambiente e i relativi investimenti siano strutturalmente diretti a tali fini».
Con due pronunce dissonanti rispetto a tale principio (Cass. 14/10/2022, n. 30225 e Cass. 29/12/2022, n. 38043) si è invece ritenuto che dalla lettura dell’art. 6 cit. non è dato evincere che l’investimento ambientale, per essere meritevole della relativa agevolazione fiscale, debba essere destinato all’autoconsumo e non al mercato.
La medesima questione è stata tuttavia successivamente trattata da questa Corte ed il collegio condivide e intende dare continuità al principio espresso dalla decisione Cass. n. 25157 del 2023, ribadita pochi mesi dopo da Cass. n. 35919 del 2023 (rese entrambe all’esito di pubblica udienza ), precedenti che hanno chiarito l’effettiva portata precettiva della norma in conformità con il diritto eurounitario.
Si è infatti osservato che il comma 13 e il comma 15 dell’art. 6 della legge n. 388 del 2000, stabiliscono, rispettivamente: «a
quota di reddito delle piccole e medie imprese destinata a investimenti ambientali, come definiti al comma 15, non concorre a formare il reddito imponibile ai fini delle imposte sul reddito» (comma 13); «er investimento ambientale si intende il costo di acquisto delle immobilizzazioni materiali di cui all’articolo 2424, primo comma, lettera 8), n. H, del codice civile, necessarie per prevenire, ridurre e riparare danni causati all’ambiente. Sono in ogni caso esclusi gli investimenti realizzati in attuazione di obblighi di legge. Gli investimenti ambientali vanno calcolati con l’approccio incrementale» (comma 15).
Dalle suddette disposizioni si evince che la concessione dell’agevolazione a favore della generalità delle imprese (piccole e medie) – e non, quindi, di altri soggetti che non esercitano attività di impresa – si fonda sull’implicito presupposto della dannosità per l’ambiente di tale attività, alla quale la stessa dannosità è inerente; pertanto, nel definire gli investimenti cui si applica l’agevolazione come quelli necessari per prevenire, ridurre e ripianare «danni causati all’ambiente», il legislatore ha inteso fare riferimento ai danni all’ambiente inerenti all’attività dell’impresa investitrice, cioè ai danni causati da tale sua attività.
E’ stato quindi rilevato che l’accoglimento della tesi opposta comporterebbe che il beneficio in questione si tradurrebbe in un’agevolazione all’attività stessa delle imprese il cui oggetto è costituito da un’attività di prevenzione, riduzione e riparazione di danni causati all’ambiente da terzi – e i cui investimenti sono, perciò, strutturalmente generalmente diretti a prevenire, ridurre e riparare danni all’ambiente – esito che, oltre che contrastare con l’indicata intenzione del legislatore, sarebbe suscettibile di trasformare l’agevolazione in parola in un aiuto di Stato, in contrasto con gli articoli da 87 a 89 del Trattato CEE (e, successivamente, con gli articoli da 107 a 109 TFUE), stante il vantaggio che essa potrebbe comportare a favore del detto settore di imprese rispetto ai
concorrenti di altri Paesi dell’Unione europea, con la conseguente alterazione (o minaccia di alterazione) della concorrenza.
Invero, la diversità tra la situazione dell’impresa che realizzi un investimento diretto a prevenire, ridurre e riparare danni causati all’ambiente da terzi e la situazione dell’impresa che realizzi un investimento diretto a prevenire, ridurre e riparare danni causati all’ambiente dalla propria attività giustifica il fatto che, a fronte dell’acquisto di un’identica immobilizzazione materiale, il relativo costo non sia detassato nel primo caso e lo sia, invece, nel secondo.
1.3. Posto che le norme di agevolazione fiscale hanno carattere eccezionale e derogatorio e, come tali, sono di stretta interpretazione ( ex plurimis , Cass. 12/06/2020, n. 11337, Cass. 12/12/2019, n. 32635 e 10/05/2019, n. 12500, Cass. 21/06/2017, n. 15407), va poi ulteriormente osservato che la materia dell’imposizione tributaria fa parte del c.d. «nucleo duro» delle prerogative della potestà pubblica, poiché la natura autoritativa del rapporto tra il contribuente e la collettività è predominante (Corte EDU, COGNOME c. Italia), laddove «le scelte in questa materia implicano normalmente una ponderazione di problemi politici, economici e sociali che la Convenzione lascia alla competenza degli stati firmatari, poiché le autorità interne sono evidentemente nella posizione di valutare meglio tali aspetti che non la Corte» (Corte EDU, COGNOME c. Italia).
1.4. Il motivo in scrutinio è, dunque, infondato avendo fatto la CT di secondo grado corretta applicazione dei principi sopra riportati, avendo riconosciuto l’agevolazione solo per l’impianto ‘Open Center’, in quanto solo in relazione a questo la società utilizza l’energia elettrica autoprodotta.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano l ‘ «illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2, co. da 8bis, D.P.R. 322/1998, come novellato dall’art. 5 D.L. 22.10.2016, n. 193, in combinato disposto con l’art. 3, co. 1, L. 212/2000, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.». In particolare, lamentano
che erroneamente i giudici del gravame avrebbero ritenuto non retroattiva la modifica dell’art. 2, comma 8bis, del DPR n. 322/1998, realizzata dall’art. 5 del D.L. n. 193/2016 (conv. con modif. dalla legge 225/2016), non essendo norma di interpretazione autentica. Opinano, di contro, che la CT di secondo grado avrebbe implicitamente richiamato l’art. 3, comma 1, prima parte, della l. 212/2000, norma che però ‘si rivolge agli aspetti sostanziali del rapporto tributario’ (pag. 18 del ricorso).
2.1. Il motivo, con il quale i ricorrenti affermano in sostanza in termini alquanto criptici – che il termine per richiedere il rimborso debba decorrere dalla dichiarazione integrativa tardiva (ove presentata), è infondato.
2.2. La prospettazione dei ricorrenti non è condivisibile.
La quaestio iuris oggetto di scrutinio riguarda l’individuazione dei termini entro cui la dichiarazione può essere emendata al fine di far valere il diritto al rimborso del credito.
La questione è stata affrontata da questa Corte a Sezioni Unite, che, con la sentenza 30 giugno 2016, n. 13378, ha affermato che in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973 solo se diretta ad evitare un danno per la P.A., mentre, se intesa ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro il diverso termine previsto dalla legge.
È vero che il comma 8 dell’art. 2 d.P.R. n. 322/1998 è stato novellato dall’art. 5 d.l. n. 193/2016, conv. dalla I. 225/2016, ed attualmente dispone che «le dichiarazioni dei redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti d’imposta possono essere integrate per correggere errori od omissioni, compresi quelli che abbiano determinato l’indicazione di un maggiore o di un minore
imponibile o, comunque, di un maggiore o di un minore debito d’imposta ovvero di un maggiore o di un minore credito, mediante successiva dichiarazione da presentare …(omissis) non oltre i termini stabiliti dall’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600».
Ma la novella legislativa, la quale non discrimina più, ai fini della rettifica, tra dichiarazione “a favore” e dichiarazione “a sfavore” del contribuente, prevedendo in entrambi i casi che la dichiarazione integrativa possa essere presentata entro il termine di decadenza dell’Amministrazione dal proprio potere di accertamento, non ha natura interpretativa e, pertanto, non può applicarsi retroattivamente al caso di specie, posto che:
l’art. 5 d.l. n. 193/2016, conv. dalla I. 225/2016 (a differenza di altre disposizioni dello stesso d.l. n. 193/1996, come l’art. 7quinquies) non reca nella rubrica la menzione di norma di interpretazione autentica dell’art. 2, comma 8, d.lgs. n. 322/1998;
non è dato desumere dalle norme di cui all’art. 5 d.l. n. 193/2016 e di cui all’art. 8, comma 2, d.P.R. n. 322/1998 un precetto normativo unitario, tale da far ritenere che le due disposizioni si saldino fra loro dando luogo a un nuovo precetto normativo (Corte cost., sentenza 3 dicembre 1993, n. 424), posto che la disposizione novellata riformula integralmente quella precedente;
appare assente dalla disposizione del menzionato art. 5 un contenuto normativo diretto a chiarire il senso della norma preesistente, ovvero volto a escludere o a enucleare uno dei sensi fra quelli ragionevolmente ascrivibili alla norma interpretata (Corte cost., sentenza 28 marzo 2008, n. 74), non intervenendo la suddetta disposizione a chiarire una determinata espressione linguistica dell’art. 2, comma 8, bensì riformulandone i presupposti di applicazione;
-la suddetta disposizione non risolve un contrasto interpretativo in atto, in quanto già risolto con la menzionata pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 13378/2016.
Pertanto, questa Corte è ferma nel ritenere che la novella in oggetto non è applicabile retroattivamente (Cass. 14/12/2022, n. 36704, Cass., 28/06/2019, n. 17506, Cass., 18/01/2019, n. 1291, Cass., 24/08/2018, n. 21120), ed il contribuente che non si avvalga della facoltà di presentare la dichiarazione integrativa (o la presenti tardivamente) non perde il diritto al rimborso (da esercitarsi nel termine previsto dalla legge) né di difendersi in giudizio (in sede di impugnazione di un avviso di accertamento c on il quale l’Ufficio richieda gli importi di cui all’agevolazione de qua ) anche dopo la scadenza del termine per inoltrare la dichiarazione integrativa.
Al riguardo questa Corte costantemente afferma che «in tema d’imposte sui redditi, la dichiarazione affetta da errori di fatto o di diritto da cui possa derivare, in contrasto con l’art. 53 Cost., l’assoggettamento del contribuente a tributi più gravosi di quelli previsti per legge è emendabile anche in sede contenziosa, attesa la sua natura di mera esternazione di scienza, dovendosi ritenere che il limite temporale di cui all’art. 2, comma 8 -bis, del D.P.R. 22 luglio 1998 n. 322 sia circoscritto ai fini dell’utilizzabilità in compensazione, ai sensi dell’art. 17 del D.L.vo 9 luglio 1997 n. 241, dell’eventuale credito risultante dalla rettifica» e che, pertanto, deve «riconoscersi al contribuente la possibilità, in sede contenziosa, di opporsi alla maggiore pretesa tributaria azionata dal fisco – anche con diretta iscrizione a ruolo a seguito di mero controllo automatizzato allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella sua redazione ed incidenti sull’obbligazione tributaria, indipendentemente dal termine (decadenziale) di cui all’art. 2 citato» (Cass. 20/12/2021, n. 40862).
Ciò che rileva – e che correttamente il giudice di secondo grado ha affermato – è la mancata decorrenza di un diverso termine per il rimborso dal momento della presentazione della dichiarazione integrativa: «il termine annuale di cui all’ art. 2, comma 8-bis, del D.P.R. 22 luglio 1998 n. 322, previsto per la presentazione della dichiarazione integrativa e finalizzata all’utilizzo in compensazione
del credito eventualmente risultante, così come non interferisce sul termine di decadenza di quarantotto mesi previsto per l’istanza di rimborso di cui all’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 20 aprile 2012, n. 6253; Cass., Sez. 5″, 17 settembre 2014, n. 19537; Cass., Sez. 5^, 27 febbraio 2015 n. 4049; Cass., Sez. 5^, 5 dicembre 2018, n. 31398; Cass., Sez. 5^, 28 gennaio 2020, n. 1862) non esplica alcun effetto sul procedimento contenzioso instaurato dal contribuente per contestare la pretesa tributaria, quand’anche fondata su elementi o dichiarazioni forniti dal contribuente medesimo» (Cass. 40862/2021 cit.).
2.3. Correttamente, pertanto, nella sentenza impugnata si è ritenuta la non applicabilità della novella al caso di specie e la non decorrenza del termine per il rimborso dalla presentazione della dichiarazione integrativa.
Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano l’«illegittimità della sentenza per omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c.» per avere il giudice di appello omesso di motivare in merito alla dedotta violazione dell’art. 10, co. 1, l. 212/2000, sollevata con l’appello incidentale, ovvero alla violazione , da parte dell’Ufficio, dell’obbligo di correttezza e buona fede, per avere dapprima fornito istruzioni precise per fruire dell’agevolazione e poi successivamente misconosciuto le stesse. Di qui, l’ errore scusabile in capo al contribuente nella presentazione di una tardiva domanda di rimborso, e la sussistenza del diritto alle somme versate a titolo di acconto il 5 agosto 2012.
Il motivo è infondato, avendo il giudice di appello motivato circa l’insussistenza, nella specie, di un errore scusabile del contribuente, con argomentazioni che (formando nella sostanza oggetto del quarto motivo) verranno esaminate infra .
Con il quarto (ed ultimo) motivo i contribuenti denunciano l’«illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli
artt. 2, co. 8-bis, D.P.R. 322/1998 e 38 D.P.R. 602/1973 in combinato disposto con l’art. 10, co. 1, L. 212/2000, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.» per avere i giudici del gravame affermato che l’incertezza interpretativa circa la cumulabilità dell’agevolazione de qua (Tremonti ambiente) con la tariffa incentivante prevista dal conto energia fosse stata dipanata con il D.M. 5 luglio 2012, e non già con la risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 58/E del 2016. Opinano i ricorrenti, infatti, che solo con quest’ultima si è chiarito che le spiegazioni già fornite (nel 2010) per la RAGIONE_SOCIALE , in punto di cumulabilità tra le agevolazioni, valevano anche per la Tremonti ambiente; per tale motivo, solo nel 2016 i contribuenti inoltravano la dichiarazione integrativa e le domande di rimborso. In ogni caso , muovendo da un’affermazione del giudice di appello, secondo cui il richiamo, nella risoluzione n. 58/E del 2016 a quella n. 132/E del 2010 fu ‘ fuorviante ‘ , con riferimento alla decorrenza del termine di 48 mesi per richiedere il rimborso, i ricorrenti sostengono la scusabilità dell’errore in cui sono caduti quando hanno ritenuto di dover far decorrere il dies a quo del termine di 48 mesi dalla data del versamento del saldo (31.8.2012) e, pertanto, affermano di avere diritto al rimborso presentando le istanze l’11.8.2016 . Infatti, nella risoluzione del 2010 espressamente si prevedeva che il rimborso andasse richiesto nel termine di 48 mesi decorrenti dalla data di versamento del saldo.
4.1. Anche questo motivo, con il quale sostanzialmente i ricorrenti pretendono di far decorrere il termine per il rimborso dal versamento del saldo, avendo fatto affidamento sulla Risoluzione n. 58/E del 20/07/2016, è infondato.
4.2. Ritiene, infatti , la Corte che l’errore in cui siano incorsi i contribuenti non sia scusabile.
4.2.1. In plurime pronunce rese da questa Corte in fattispecie analoghe sono stati affermati i seguenti principi:
-la mancata immediata fruizione del beneficio fiscale nel relativo anno di imposta non può dirsi imputabile ad una scelta
discrezionale della società contribuente, ma all’incertezza interpretativa relativa alla cumulabilità delle agevolazioni consistenti nella tariffa incentivante prevista dal conto energia (art. 25, comma 10, del 8 d.lgs. 3 marzo 2011 n. 28), di cui già usufruivano le società partecipate dai contribuenti, e della detassazione degli investimenti ambientali previsti dalla c.d. ‘Tremonti ambientale’ (art. 6, commi da 13 a 19, della Legge 23 dicembre 2000 n. 388);
-l’i ncertezza interpretativa è stata risolta solo a seguito dell’art. 19 del D.M. 5 luglio 2012, il quale ha posto fine ad ogni incertezza circa la possibilità di cumulare i due benefìci fiscali, permettendo da quella data ai contribuenti di accedere a tale agevolazione (in termini: Cass., 27/07/2020, n. 15982);
-i n tale direzione, anche la risoluzione resa dall’Agenzia delle Entrate il 20 luglio 2016 n. 58/E si è espressa in senso favorevole alla possibilità di beneficiare ‘ora per allora’ dell’agevolazione c.d. ‘Tremonti ambientale’ mediante dichiarazione dei redd iti integrativa ex art. 2, comma 8-bis, del D.P.R. 22 luglio 1998 n. 322, chiarendo quanto segue: ‘ con riguardo, infine, alla possibilità di beneficiare dell’agevolazione in un periodo d’imposta successivo a quello di effettuazione dell’investimento ambi entale, conformemente a quanto chiarito con la risoluzione n. 132/E del 20 dicembre 2010 in relazione alla già citata agevolazione ‘Tremonti -ter’, si è ritenuto che la mancata indicazione della deduzione per fruire della detassazione ambientale entro il termine di presentazione della dichiarazione originaria non sia di ostacolo alla possibilità di avvalersi di tale deduzione in sede di dichiarazione dei redditi integrativa ai sensi dell’articolo 2, comma 8 -bis, del D.P.R. n. 322 del 1998. Decorsi i termini per la presentazione della dichiarazione a favore di cui all’articolo 2, comma 8 -bis, del D.P.R. n. 322 del 1998, è altresì possibile recuperare l’agevolazione presentando un’istanza di rimborso, ai sensi dell’articolo 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602» (Cass. 12/01/2022, n. 746; conf., Cass. 31/01/2023, n. 2931, Cass. 15/11/2022, n. 33660 e Cass. 19/07/2022, n. 22589).
Orbene, ritiene la Corte che il riferimento, nella risoluzione del 2016, a quella del 2012, anche a volerlo ritenere ‘fuorviante’ (ma su tale aspetto, v. infra ), non sia idoneo a rendere scusabile l’errore dei contribuenti, anche alla luce di quanto già ben argomentato sul punto dal giudice del gravame. Invero, la risoluzione n. 132/E del 2012 aveva ad oggetto l’articolo 5, commi da 1 a 3bis, del d.l. 78/2009, che espressamente ancora alla data del versamento delle imposte sui redditi l’agevolazione ivi pre vista, per cui giocoforza in quel caso il termine di decadenza dal diritto al rimborso inizia a decorrere dal versamento del saldo. Di contro, la risoluzione del 2016, che si riferisce all’agevolazione c.d. Tremonti ambiente in punto di rimborso, fa espresso riferimento solo all’art. 38 del d.P.R. n. 602/1973.
In realtà, il rimando alla risoluzione del 2012 in quella del 2016 non è nemmeno ‘fuorviante’ a parere di questa Corte , potendo l’ incipit ‘conformemente’ essere riferito esclusivamente alla possibilità di presentare la dichiarazione integrativa e, decorso infruttuosamente il relativo termine , di presentare l’istanza di rimborso, non anche alle tempistiche di quest’ultima ivi previste per tutt’altra fattispecie. Non a caso, come già accennato, nella risoluzione del 2016 non vi è alcun specifico riferimento alla data del versamento del saldo come dies a quo del termine per richiedere il rimborso, affermand osi solo che ‘è altresì possibile recuperare l’agevolazione presentando un’istanza di rimborso, ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602’.
Per tutto quanto esposto, il motivo va rigettato e, trattandosi di questione nuova, è opportuno formulare il seguente principio di diritto: ‘ I n tema di fruizione delle agevolazioni previste dall’art. 6, legge 388/2000 (cd. Tremonti-bis), il rinvio contenuto nella Risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 58/E del 20/07/2016 alla Risoluzione n. 132/E del 20/09/2010 è riferito esclusivamente alla possibilità di avvalersi della deduzione per fruire della detassazione ambientale in sede di dichiarazione integrativa ai sensi dell’art. 2,
comma 8bis, d.P.R. n. 322/1998, ed alla possibilità di chiedere il rimborso, una volta decorso il termine per la presentazione della detta dichiarazione integrativa, e non anche alla decorrenza del termine per il rimborso dalla data del versamento del saldo».
Il ricorso deve, quindi, essere integralmente rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono, infine, i presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese processuali del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.800,00, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 febbraio 2025.