Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3919 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3919 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21739/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE – DIREZIONE CENTRALE AFFARI LEGALI E CONTENZIOSO, domiciliata in Roma INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende ex lege
-ricorrente-
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO DOM. DIG., presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE giusta procura in calce al controricorso -controricorrente- avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO EMILIA ROMAGNA n. 561/2023 depositata il 09/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con atto di compravendita del 10/11/2015, stipulato innanzi al notaio A. COGNOME di Cesena, NOME COGNOME vendeva ad NOME COGNOME un rudere di fabbricato sito in Cesenatico, espressamente qualificato come ‘ inidoneo ad utilizzazione produttiva di reddito a causa dell’accentuato livello di degrado ‘ e censito come collabente (categoria Catastale F2). Per tale fabbricato, l’acquirente chiedeva di usufruire della ‘agevolazione prima casa’ di cui al combinato disposto dell’art. 1 e della nota II bis della parte prima della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131/1986 e, pertanto, versava l’imposta di registro nella misura ridotta pari al 2% del valore del cespite, corrispondente, nel caso di specie, al prezzo dichiarato di € 120.000,00.
L’Agenzia delle Entrate notificava, in data 27 marzo 2018, all’acquirente l’avviso di accertamento con cui liquidava la maggiore imposta di registro -principale- nella misura del 9% del valore dell’immobile, pari ad € 8.400.00 e recuperava, altresì, l’imposta di registro in misura fissa in quanto nell’atto di compravendita figurava una clausola penale che veniva assolta dai coobbligati.
L’avviso di liquidazione era emesso anche nei confronti dell’alienante trattandosi di liquidazione di imposta principale e, quindi, imputabile in solido ad entrambi i contraenti.
Il contribuente -acquirente impugnava l’avviso di accertamento.
I giudici di prossimità accoglievano il ricorso della parte contribuente assimilando gli immobili collabenti ad immobili in costruzione e, quindi, idonei a usufruire dell’agevolazione ‘prima casa’ non sussistendo, peraltro, un termine per completare la restaurazione del rudere, decorrendo il termine triennale per i
contro
lli dell’Ufficio, ex art. 76 DPR n. 131/1986, solo dalla fine dei lavori di restauro.
Sull’appello dell’amministrazione finanziaria, i giudici regionali, nel confermare la decisione di primo grado, ritenevano incongrua la motivazione dell’atto impositivo laddove il rudere veniva equiparato ad area edificabile; escludevano poi che l’inagibilità dell’immobile consentisse la decadenza dall’agevolazione prima casa, riconoscendo l’agevolazione anche per gli immobili collabenti che, al pari degli immobili in costruzione, non presentano le caratteristiche dell’abitabilità attuale. Precisando poi che il termine triennale di cui all’art. 76 d.P.R. n. 131/86 deve decorrere non dalla conclusione del rogito, ma dalla ultimazione dei lavori edili. Infine, escludevano la legittimazione passiva di imposta dell’alienante ex art. 57 d.P.R. 131/86, trattandosi di imposta complementare che, in quanto dovuta per un fatto imputabile ad uno dei contraenti, grava solo su quest’ultimo.
L’Agenzia ricorre avverso la sentenza di appello indicata in epigrafe, svolgendo due motivi.
Il contribuente replica con controricorso e memoria difensiva.
MOTIVI DI DIRITTO
1.Con la prima censura si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 1 e Nota II bis Tariffa Parte Prima allegata al d.P.R. n. 131/1986 nonché dell’art. 14 disp. prel. cc., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c.; .; per avere il Collegio erroneamente ritenuto che la contribuente potesse fruire dell’agevolazione ‘prima casa’ anche nell’ipotesi di acquisto di un immobile collabente di categoria catastale F/2 da ristrutturare al fine di destinarlo ad abitazione principale, ancorchè privi di potenzialità produttiva/utilizzabilità e ciò in virtù di una impropria assimilazione agli immobili ad uso abitativo in corso di costruzione. La norma rubricata, infatti, limita l’agevolazione solo alle ‘case di abitazione ‘ non di lusso , con ciò escludendo tutti gli immobili che in
alcun modo, almeno in via potenziale, possano essere adibiti ad abitazione. Si obietta che se tale finalizzazione abitativa sussiste, in astratto ed ex ante , per gli immobili abitativi in corso di costruzione, non può sussistere affatto per i ruderi che non hanno alcuna potenzialità/finalità abitativa astratta o di altra utilizzazione economica.
Il secondo strumento di ricorso denuncia ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 76 d.P.R. n. 131/1986, in relazione all’art. 360, primo comma comma, n. 3) c.p.c. ‘ ; si assume che la decisione impugnata è illegittima anche sotto altro profilo, in quanto, pur a volere assimilare i beni collabenti ai beni in corso di costruzione, comunque il contribuente era decaduto dall’agevolazione ‘prima casa’ non avendo terminato la ricostruzione del bene entro il termine triennale dal rogito e da cui decorrono i termini per i controlli dell’Ufficio ex art. 76 DPR n. 131/1986
3.La prima censura è destituita di fondamento.
In primo luogo, vale osservare che l’espressione ‘unità collabenti’ – (cioè in rovina, dall’etimo latino collabi, collapsus) si riferisce alle costruzioni iscritte in catasto – nella categoria F/2 – ai soli fini della descrizione dei caratteri specifici e della destinazione d’uso ma senza attribuzione di rendita, in quanto inidonee ad utilizzazioni produttive di reddito, a causa dell’accentuato livello di degrado; l’iscrizione nella suddetta categoria prevede la presenza di un fabbricato che abbia perso del tutto la sua capacità reddituale.
In considerazione della descritta incapacità di produrre ordinariamente un reddito proprio, si è affermato nella giurisprudenza di legittimità che non trova applicazione il regime di trattamento fiscale ai fini dell’ICI o dell’IMU, il quale presuppone l’esistenza di una unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano, con relativa rendita catastale: la base imponibile dell’imposta è pari al valore degli immobili, il cui
calcolo viene effettuato, a sua volta, partendo dall’ammontare delle rendite risultanti in catasto (v. tra le molte, Cass. n. 23081/2017; Cass. n. 5088/2019).
Considerato che le unità collabenti vengono per definizione iscritte a catasto senza attribuzione di rendita, da ciò consegue che non sia concretamente possibile determinarne la tassazione ai fini ICI o IMU, mancando per esse la base di calcolo.
L’attribuzione della categoria F/2 – Unità collabenti è regolamentata dal Decreto del Ministro delle Finanze 2 gennaio 1998, n. 28, art. 3, comma 2, per quelle costruzioni caratterizzate da un notevole livello di degrado che ne determina una incapacità di produrre ordinariamente un reddito proprio. In particolare, il menzionato comma 2 prevede che tali costruzioni, ai soli fini dell’identificazione, possono formare oggetto di iscrizione in catasto, senza attribuzione di rendita catastale, ma con descrizione dei caratteri specifici e della destinazione d’uso.
Si legge nella decisione n. 23081/2017 di questa Corte che il fabbricato accatastato come unità collabente (categoria F/2), oltre a non essere tassabile come fabbricato, in quanto privo di rendita, non è tassabile neppure come area edificabile, sino a quando l’eventuale demolizione restituisca autonomia all’area fabbricabile, che da allora è soggetta a imposizione come tale, fino al subentro della imposta sul fabbricato ricostruito. La posizione della Corte di Cassazione in materia di fabbricati collabenti F/2 (con riferimento alle imposte ICI e IMU) è dunque nitida e risulta consolidata a partire dal 2017. In effetti, con la sentenza n. 17815 del 19 luglio 2017, risulta che lo stato di collabenza produce l’improduttività di reddito, ma non fa venir meno in capo all’immobile -fino all’eventuale sua completa demolizione – la tipologia normativa di ‘fabbricato’.
Tanto è vero che la mancata imposizione si giustifica non già per assenza di ‘presupposto’, ma per assenza di ‘base imponibile’
(valore catastale pari a zero)’. Dunque, diversamente da quanto assume l’Agenzia, secondo la giurisprudenza di legittimità affermatasi in relazione all’ICI/IMU -, il fabbricato collabente resta un fabbricato e non può considerarsi area edificabile.
Il concetto è stato ribadito dalla stessa Amministrazione finanziaria anche in altri ambiti. È il caso, fra gli altri, della risposta a interpello n. 138 del 22 maggio 2020 in materia di detrazioni per interventi di cui all’art. 14, comma 2 – quater.1, del d.l. n. 63/2013. È qui affermato che, ‘nella sopra richiamata circolare n. 13/E del 2019, è stato, inoltre, ribadito che l’esistenza dell’edificio è riconosciuta anche se lo stesso è classificato nella categoria catastale F/2 – unità collabenti -in quanto, pur trattandosi di categoria riferita a fabbricati totalmente o parzialmente inagibili e non produttivi di reddito, ciò non esclude che lo stesso possa essere considerato come edificio esistente, trattandosi di un manufatto già costruito e individuato catastalmente, nonostante lo stato di degrado dell’immobile o, più in generale, la sua inabitabilità/inagibilità o comunque la sua non utilizzabilità’.
Tanto premesso sulla natura del fabbricato collabente, quanto al regime giuridico del beneficio rivendicato dalla contribuente, l’art. 1 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 dispone espressamente l’applicazione dell’aliquota agevolata del 2% nell’ipotesi in cui vengano trasferite case di abitazione, ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9, ove ricorrano precise condizioni. Deve trattarsi, pertanto, di unità immobiliari che risultino astrattamente idonee al concreto soddisfacimento di esigenze abitative.
Al contrario, si assume da parte dell’amministrazione finanziaria che per criteri di uniformità di applicazione, e per assicurare l’obiettiva valutazione del presupposto oggettivo dell’agevolazione, si ritengono ‘case di abitazione’ i fabbricati censiti nel Catasto dei Fabbricati nella tipologia abitativa ed, inoltre, che l’attribuzione
della categoria F/2 -Unità Collabenti è riferita ai fabbricati totalmente o parzialmente inagibili il cui notevole livello di degrado -che ne determina l’incapacità di produrre ordinariamente un reddito proprio -non ne consente l’iscrizione in altre categorie catastali. Si soggiunge che si tratta di una classificazione comunque durevole del bene immobile, mentre le classificazioni F/3 e F/4, relative ai fabbricati in corso di costruzione e in corso di definizione, sono necessariamente provvisorie, per un periodo che va dai sei ai dodici mesi.
Secondo l’indirizzo consolidato di legittimità, l’agevolazione ‘prima casa’ compete ai fabbricati in corso di costruzione, categoria catastale F/3, destinati ad abitazione, ossia strutturalmente concepiti per uso abitativo, anche se non è richiesto che gli stessi siano già idonei a detto uso al momento dell’acquisto. Da tali affermazioni, si fa discendere la tesi dell’amministrazione secondo la quale, nel caso di inidoneità assoluta ed oggettiva all’utilizzo dell’immobile abitativo che si intende acquistare, inidoneità originata dalla classificazione catastale F/2, il contribuente non è legittimato a fruire delle agevolazioni ‘prima casa’, poiché l’immobile in questione non può essere equiparato ad un immobile in corso di costruzione.
Non vi è dubbio che i cd. benefici prima casa debbano essere riconosciuti anche nel caso di immobili in corso di costruzione, in ragione della ratio sottesa all’art. 1 della Tariffa Parte prima, nota II-bis, del d.p.r. n. 131 del 1986, con la quale il legislatore ha inteso promuovere e favorire l’acquisto della casa da adibire a prima abitazione, sicché è sufficiente che ad una simile finalità tenda l’acquirente con l’atto di trasferimento, purché l’immobile acquistato sia idoneo ad essere utilizzato come alloggio e presenti le caratteristiche delle abitazioni non di lusso. Da ciò consegue che richiedere la presenza degli elementi «distintivi» già al momento della cessione dell’immobile, finirebbe per escludere dalla
procedura agevolativa l’acquisto di appartamenti di nuova abitazione che di solito avviene prima che la costruzione sia ultimata, ovvero di immobili attualmente non utilizzabili come abitazione.
Oltre a ciò rileva la stessa natura giuridica dell’imposta di registro che, in quanto imposta d’atto, va applicata mediante una valutazione della clausole negoziali, quali si desumono dal documento sottoposto a registrazione; di talché, se nell’atto il contribuente dichiara di non possedere altro fabbricato o porzione di fabbricato destinato ad abitazione nel Comune di residenza, di voler adibire l’immobile acquistato a propria abitazione e che si tratta di fabbricato o porzione di fabbricato destinato ad abitazione non di lusso, l’agevolazione deve essere riconosciuta, in quanto ciò che la legge chiede è che oggetto del trasferimento sia un fabbricato destinato ad abitazione, cioè che sia strutturalmente adeguato ad essere destinato all’uso e non occorre che esso sia già idoneo al momento dell’acquisto.
Questa Corte ha così riconosciuto che può beneficiare delle agevolazioni “prima casa” l’acquirente di immobile «in corso di costruzione» da destinare ad abitazione «non di lusso» (Cass. n. 8748 del 18/06/2002; Cass. n.5180/2022, non massimata) purché esso, secondo la disciplina ratione temporis applicabile, sia conforme ai criteri di cui al d.m. 2 agosto 1969; criteri richiamati dall’art. 1 della Tariffa, Parte Prima allegata al d.p.r. n. 131 del 1986, sempre nel testo ratione temporis applicabile, anche se tali benefici possono essere conservati soltanto ove la finalità dichiarata dal contribuente nell’atto di acquisto di destinare l’immobile a propria abitazione venga dal medesimo realizzata entro il termine di decadenza (che con riferimento all’imposta di registro è di tre anni dalla registrazione dell’atto) del potere di accertamento dell’Ufficio in ordine alla sussistenza dei requisiti per fruire di tali benefici.
Ciò posto, è certamente indubbio che caratteristica dei fabbricati collabenti è la loro inidoneità a soddisfare attuali esigenze abitative, in quanto immobili privi di un’attuale utilizzabilità per il possessore , tanto che gli stessi sono iscritti in catasto senza attribuzione di rendita (Cass. n.17815 del 19/07/2017); ciò nonostante, ritiene questa Corte che né l’assenza di attualità di destinazione ad abitazione né l’attribuzione della categoria catastale F/2 rappresentino ostacoli alla possibilità di accesso alle agevolazioni prima casa; e tanto risulta confermato dal tenore del precetto normativo che esclude l’usufruibilità dei benefici fiscali unicamente per i fabbricati classificati in categoria A/1, A/8 e A/9, senza ulteriori limitazioni per altre categorie catastali suscettibili di destinazione abitativa e, dunque, né per i fabbricati in corso di costruzione ovvero da ultimare né per i fabbricati collabenti, i primi iscritti in categoria F/3 e gli ultimi in categoria F/2.
Ciò che rileva, ai fini fiscali, è che l’immobile, sebbene non al momento abitabile per mancata ultimazione o per degrado o per abbandono, sia, per le sue caratteristiche strutturali, suscettibile di essere e risulti completato nel termine triennale di decadenza stabilito dall’art. 76 comma 2 d.P.R. n. 131/1986, per l’esercizio del potere di accertamento dell’Ufficio; inadempimento questo che non risulta contestato dall’Agenzia, tant’è che l’avviso opposto è stato emesso prima della scadenza del triennio per l’asserita incompatibilità tra categoria catastale ed agevolazione richiesta.
La circostanza che il cespite presenti caratteristiche di degrado tali da esigere importanti opere edili di intervento ovvero la previa demolizione e successiva ricostruzione, se destinato a finalità abitativa, non può limitare l’accesso al beneficio fiscale, tanto più se tali benefici sono accessibili per gli immobili ancora da ultimare; risultando rilevante solo che l’immobile sia strutturalmente destinato ad uso abitativo, non essendo richiesto che esso sia già
idoneo al momento dell’acquisto (Cass.n.3804/2003, Cass. n. 18300/2004).
Al di là del, di per sé, non esaustivo tenore letterale della norma atteso che l’espressione “destinato” può intendersi come riferentesi sia ad un immobile già adibito, al momento in cui viene acquistato dal contribuente, ad abitazione sia (in senso ottativo) ad un immobile che venga acquistato per essere successivamente adibito a tale scopo – una diversa interpretazione risulterebbe invero non coerente con la finalità perseguita dal legislatore di agevolare l’acquisizione di case da parte di soggetti che ne sono sprovvisti, favorendo non solo un meno costoso accesso di costoro alla casa per abitazione, ma anche meno costosi acquisti di immobili che seppur dotati di differenti caratteristiche risultino trasformabili anch’essi in case di abitazione; non rilevando l’attualità dell’abitabilità laddove la “astratta” destinazione dell’immobile ad abitazione costituisce lo specifico ed obiettivo requisito richiesto dalla norma al fine di ottenere le agevolazioni dal medesimo previste.
L’interpretazione restrittiva sostenuta dalla Agenzia ricorrente non sarebbe peraltro ragionevole ove si rifletta sui casi, del tutto comuni, dell’acquisto di un immobile incompleto, e dunque certamente non costituente ancora casa di abitazione, per completarlo e successivamente abitarlo; oppure dell’acquisto di un immobile, al momento assoggettato ad uso diverso da quello abitativo, allo scopo di farne, da parte dell’acquirente, la propria abitazione. Ipotesi queste che la lettera della legge consente di comprendere nella previsione agevolativa, giacché il termine “destinato”, di per sè indica un atteggiamento, oggettivo e concreto, del contribuente, mediante il quale l’acquisto viene indirizzato a soddisfare l’esigenza considerata dalla legge degna di sostegno.
Ed allora, se il termine “destinato” di per sè indica l’obiettiva funzionalizzazione del bene acquistato al soddisfacimento dell’esigenza perseguita dal legislatore di incoraggiare sia lo sviluppo dell’edilizia abitativa mediante l’incremento quantitativo delle costruzioni sia interventi di restauro e risanamento conservativo volti a recuperare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità -il che porterebbe ulteriormente a ritenere che l’oggetto di tale attività conservativa possa consistere in un fabbricato degradato -nonché la commercializzazione degli immobili da recuperare, se ne inferisce che il beneficio dell’agevolazione fiscale non può essere riservato ai soli alloggi già ultimati o in fase di ultimazione (v. Cass. 10/9/2004, n. 18300).
Siffatta interpretazione trova del resto sintomatico riscontro nelle norme prevedenti la spettanza dei benefici (anche) in caso di acquisto di immobile insuscettibile, per i più diversi motivi, di essere immediatamente destinato ad abitazione dell’acquirente, come in caso di acquisto della mera nuda proprietà (v. art. 1 d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 Allegato A – TARIFFA Parte I), ovvero di immobile occupato in quanto condotto in locazione.
Infine, la tesi sostenuta dall’ente finanziario secondo cui l’agevolazione fiscale non può essere riconosciuta per gli acquisti di immobili collabenti, in quanto la classificazione catastale in F/2 sarebbe durevole, mentre quella in F/3 avrebbe una durata al massimo di dodici mesi, si pone in antitesi con il termine triennale riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità per l’ultimazione della costruzione destinata ad abitazione, termine applicabile anche agli immobili collabenti destinati ad abitazione.
Ebbene, nell’accertata premessa che “scopo della contribuente” nella specie era “per l’appunto quello di acquisire la prima abitazione”, come emerge dalla clausola 15 del contratto di acquisto e dai permessi comunali successivamente richiesti dalla proprietaria per il recupero dell’edificio, deve ritenersi che i giudici
distrettuali abbiano correttamente applicato le disposizioni relative alle agevolazioni fiscali anche all’immobile collabente, risultando irrilevante la classificazione catastale del cespite così come lo è quella degli immobili in costruzione.
Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare, le norme fiscali per l’edilizia abitativa subordinano espressamente l’applicazione del particolare regime agevolato a varie condizioni, tra le quali è compresa la dichiarazione del contribuente di volere adibire il fabbricato o la porzione di fabbricato acquistato “a propria abitazione”. Nella previsione legislativa, la detta dichiarazione del contribuente costituisce quindi uno degli elementi indispensabili, nel concorso con gli altri richiesti dalla norma, per la fruizione del beneficio fiscale (v. Cass., 20/9/2006, n. 20376; Cass., 17/10/2005, n. 20066; Cass.,10/9/2004, n. 18300; Cass., 28/3/2003, n. 2714; Cass., 12/3/2003, n. 3604), in guisa che la dichiarata intenzione di adibire l’immobile collabente a futura abitazione è requisito sufficiente per accedere ai benefici fiscali della prima casa, non elisa dall’inserimento del fabbricato nella categoria F/2 (anziché in quella F/3).
Sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il primo motivo di ricorso va respinto, dovendosi affermare il seguente principio di diritto : .
La seconda doglianza del ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.
L’avviso di liquidazione è stato emesso dall’Agenzia sul rilievo della non spettanza dell’aliquota agevolata in caso di acquisto di fabbricati collabenti (v. pagina 3 del ricorso per cassazione) provvedimento ascrivibile alla categoria degli atti di diniego o revoca di agevolazioni (Cass. n. 33358/2023) , tant’è che l’atto opposto veniva notificato prima dello spirare del triennio dall’acquisto dell’immobile, il che dimostra che l’amministrazione finanziaria ha motivato il recupero fiscale sulla base della revoca della richiesta aliquota agevolata dell’imposta di registro, e non in virtù di una predicata decadenza dall’agevolazione per la mancata ultimazione del recupero edilizio nel triennio. L’Amministrazione non può del resto sostituire la motivazione dell’atto impositivo in corso di giudizio, in quanto quest’ultima mira a delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nella successiva fase contenziosa ed, altresì, a consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa, nonchè ad impedire all’amministrazione, nel quadro di un rapporto di leale collaborazione, di addurre in un eventuale successivo contenzioso ragioni diverse rispetto a quelle inizialmente enunciate (v. Cass. n.4070/2020). Difatti, è regola fondamentale del diritto tributario quella secondo cui le ragioni poste a base dell’atto impositivo definiscono i confini del giudizio tributario, che (anche se con sue specifiche caratteristiche) è, pur sempre, un giudizio d’impugnazione di un atto, sicché l’ufficio finanziario, restandone le contestazioni adducibili in sede contenziosa circoscritte dalla motivazione dell’avviso di accertamento, non può porre a base della propria pretesa ragioni diverse da quelle definite dalla motivazione suddetta (Cass., Sez. 5^, 30 marzo 2016, n. 6103; Cass., Sez. 5^, 11 maggio 2018, n. 11466; Cass., Sez. 5^, 5 ottobre 2021, n. 26892; Cass., Sez. 5^, 15 marzo 2022, n. 8361 2021, n. 26892; Cass., Sez. 5^, 15 marzo 2022, n. 8361; Cass., Sez. 5^, 13 ottobre 2022, n. 29996; Cass., Sez. 5^, 8 settembre 2023, n. 26194; Cass., Sez. 5^, 19 febbraio 2024, n. 4339); in
altre parole, la motivazione dell’atto impugnato, ha la funzione di delimitare l’ambito delle contestazioni proponibili dall’amministrazione finanziaria nel successivo giudizio di merito (Cass., Sez. 5^, 6 giugno 2018, n. 14570; Cass., Sez. 5^, 5 ottobre 2021, n. 26892).
Come il contribuente che abbia dichiarato al momento del rogito un determinato requisito per ottenere il beneficio fiscale non può successivamente pretendere il richiesto beneficio sulla base del diverso requisito soggettivo, così l’ente impositore non può mutare il titolo del recupero fiscale contestando dapprima, con l’atto impositivo, la non spettanza in sè dell’agevolazione e, successivamente, in sede giudiziale, la decadenza dall’agevolazione concessa, giacchè i poteri di accertamento e di valutazione del tributo si esauriscono nel momento in cui l’atto viene sottoposto a tassazione, sicché la motivazione dell’atto impositivo preclude qualsiasi altra e diversa contestazione sulla base di presupposti normativi o di fatto divergenti da quelli contestati con l’atto opposto (Cass. nn. 14601 del 2003, n. 6159 del 1990; Cass. n. 14935/2022; n. 17411/2023).
Del tutto irrilevante, quindi, deve ritenersi la censura formulata nel presente giudizio circa la decadenza dalle agevolazioni per la mancata ultimazione del fabbricato nel triennio, stante che, come dalla stessa Amministrazione rappresentato, la causa della revoca (non spettanza) delle concesse agevolazioni erano da rinvenirsi inequivocamente ed esclusivamente nella incompatibilità tra la categoria F/2 e l’agevolazione rivendicata.
Segue l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso.
La novità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
-rigetta il ricorso;
-compensa le spese.
Così deciso nella camera di consiglio della Sezione Tributaria del 21