Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3651 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3651 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21807/2021 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliato in presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (P_IVA) che la rappresenta e difende -controricorrente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DEL VENETO n. 122/2021 depositata il 21/01/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/11/2024 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con avviso di liquidazione dell’imposta e contestuale irrogazione delle sanzioni notificato il 19 gennaio 2015, l’Agenzia delle Entrate recuperava l’Iva in relazione ad un atto di compravendita stipulato dal contribuente per l’acquisto di un fabbricato a destinazione abitativa ubicato nel Comune di Negrar (Vr), disconoscendo la spettanza della cd. ‘agevolazione prima casa’. La parte acquirente aveva chiesto l’applicazione dell’aliquota Iva al 4%, dichiarando inoltre che l’immobile in questione non aveva le caratteristiche di abitazione di lusso, come individuate dal D.M. dell’agosto 1969. L’Ufficio aveva successivamente riscontrato che la superficie era estesa mq 569, pertanto era superiore al parametro della superficie utile di mq 240 ex art. 6 del D.M. 1969
Con sentenza n. 11 del 25/01/2016, depositata il 2/02/2016, la Commissione Tributaria Provinciale di Verona accoglieva parzialmente l’impugnazione, osservando che ‘ La Commissione ritiene che il comportamento del contribuente possa beneficiare del principio della buona fede, considerato che il bene immobile godeva già della categoria A/2, circostanza che all’apparenza poteva far presumere l’applicazione delle agevolazioni. Ciò consente di annullare quanto meno le sanzioni ‘.
La Commissione Tributaria Regionale del Veneto accoglieva il successivo appello dell’Agenzia e rigettava il gravame incidentale del contribuente.
Quest’ultimo affida il proprio ricorso per cassazione a tre motivi. L’Agenzia resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si contesta la ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., co. I n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c. nullità della sentenza per motivazione apparente e violazione di legge e
processuale ‘ e si censura la nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente.
Il primo motivo è infondato.
Vi è un accertamento in fatto in ordine alla considerevole estensione dell’immobile, pari ad oltre il doppio del limite dei 240 mq. A fronte di questo accertamento, che ben lascia intuire la ratio decidendi , la contribuente non deduce profili fattuali o circostanze veicolate in appello che siano state obliterate o neglette. Quindi il motivo si risolve nella richiesta di una differente ricostruzione del merito della controversia, invero preclusa in questa sede, dacché riservata al giudice d’appello.
Con il secondo motivo di ricorso si censura la ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, St. Contribuente in relazione all’art. 360 co. I, n. 3 c.p.c. ‘ e si censura la sentenza impugnata nella parte in cui non ha dichiarato la nullità dell’avviso di liquidazione per omessa attivazione del contraddittorio preventivo.
Il secondo motivo non coglie nel segno e va disatteso.
La parte ricorrente ha adombrato la violazione del contraddittorio, trincerandosi nella contestazione di una mera irregolarità formale, senza addurre la specifica incidenza della deviazione dal paradigma normativo sul proprio diritto di difesa.
Orbene, come chiarito da questa Corte (v. in particolare Cass., Sez. Un., n. 24823 del 2015; Cass. n. 11560 del 2018), con indirizzo al quale è d’uopo prestare adesione, affinché la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporti l’invalidità dell’atto non è sufficiente che, in giudizio, chi se ne dolga si limiti alla relativa formalistica eccezione, ma è, altresì, necessario che esso assolva l’onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato (cfr. Cass. n. 11453 del 2014, Cass. n. 25054 del 2013, Cass., Sez. Un., n. 20935 del 2009), e che l’opposizione di dette ragioni (valutate
con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali l’ordinamento lo ha predisposto (Cass., Sez. Un., n. 9935 del 2015, Cass. n. 23726 del 2007; Cass. n. 1271 del 2014, Cass. n. 22502 del 2013).
Con il terzo motivo di ricorso si deduce la ‘ Violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 33 del D.Lgs. 175/2014 e dell’art. 3, co. II, del D.Lgs. 472/1997 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c. nullità della sentenza per violazione di legge ‘ e si eccepisce la mancata applicazione della normativa più favorevole.
Il terzo motivo è infondato.
La parte ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 D.Lgs. n. 472 del 1997, censurando la statuizione impugnata per avere escluso la retroattività (alle compravendite stipulate anteriormente al 1° gennaio 2014) della nuova disciplina in materia di individuazione degli immobili di lusso, di cui al combinato disposto dei decreti legislativi n. 23 del 2011 e n. 175 del 2014, anche con riferimento alle sanzioni.
La parte ricorrente stigmatizza la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 D.Lgs. n. 472 del 1997, contestando, in buona sostanza, l’irrogazione di una sanzione avuto riguardo ad una dichiarazione mendace in punto di estensione dell’immobile che, alla luce della sopravvenuta disciplina normativa, non avrebbe rilevanza, stante l’obiettivizzazione del parametro di riferimento, ormai collegato alla classificazione catastale dell’immobile.
L’assunto di parte ricorrente, in realtà, non coglie nel segno.
La modifica, in vigore dal 2014, dei parametri cui si agganciano i presupposti per la fruizione dell’agevolazione fiscale per gli
immobili ‘non di lusso’ con attribuzione di rilevanza alla sola categoria catastale, non più all’elemento dell’estensione dei metri quadri complessivi utilizzabili, previsto dal D.M. 2 agosto 1969 -non ha inciso retroattivamente sulla sanzionabilità della condotta.
Pur nel cambiamento dell’oggetto della dichiarazione finalizzata a fruire del beneficio fiscale, la violazione continua a essere rappresentata in nuce dal mendacio, che è l’elemento saliente e inalterato. Deve, pertanto, escludersi si sia registrata un’ abolitio criminis .
La falsa dichiarazione del contribuente seguita ad essere sanzionabile, in quanto è il mendacio a connotare strutturalmente l’illecito e a integrarne il tratto caratterizzante.
Significativamente le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 13145 del 27 aprile 2022, hanno affermato in tema di ‘agevolazione prima casa’ che ‘ la modifica dei parametri ai quali ancorare i presupposti per il riconoscimento del beneficio, disposta, quanto all’IVA, dall’art. 33 del d.lgs. n. 175 del 2014, non ha inciso retroattivamente e l’infrazione, costituita dalla dichiarazione mendace, della quale è soltanto cambiato l’oggetto, è rimasta immutata; ne consegue che non si è verificata alcuna abolitio criminis” .
Le argomentazioni dimesse dal Supremo Consesso in riferimento al beneficio ‘prima casa’ sono mutuabili, per identità di ratio , in relazione al diverso beneficio fiscale dell’imposta di registro sugli immobili ‘non di lusso’.
In tema di IVA, con l’art. 10, comma 5, del Dlgs n. 23 del 2011 (in vigore dal 1° gennaio 2014) si è effettuato un intervento normativo di semplificazione, che ha allacciato l’applicazione dell’aliquota agevolata al dato negativo della mera non riconducibilità dell’immobile di riferimento entro le categorie catastali A/1 (immobile signorile), A/8 (villa) e A/9 (castello), a prescindere (da allora in poi) dalle concrete caratteristiche del bene.
In un secondo tempo, peraltro, con l’art. 33 D.Lgs. n. 175 del 2014, il legislatore -che dapprincipio aveva trascurato di occuparsi anche dell’imposta di registro, per la quale l’aliquota agevolata del 4% (Tabella A, Parte II, allegata al d.P.R. n. 633/72), continuava a poggiare sull’invariato riferimento alle caratteristiche di ‘lussuosità’ tratteggiate dal D.M. del 1969 -ha proceduto al riallineamento fra la disciplina dell’IVA e quella dell’imposta di registro, ancorando anche le agevolazioni fiscali correlate a quest’ultima al solo dato catastale, al netto di riferimenti al metraggio complessivo e alla superficie utile degli immobili.
Con riferimento ad ambedue le imposte, a venire in rilievo è, pertanto, l’essenza della trama argomentativa che connota la su richiamata sentenza delle Sezioni Unite, a tenore della quale le disposizioni che identificano le case ‘di lusso’ in base alla sola categoria catastale non hanno comportato un fenomeno di ‘ abolitio criminis ‘, di talché le sanzioni irrogate in relazione agli atti anteriori al 2014 rimangono efficaci. D’altronde, la circostanza che il mendacio del contribuente sia caduto su un elemento -quello dell’estensione della superficie utile dell’immobile ormai estraneo alla fattispecie agevolativa non sovverte un aspetto assorbente, quello per cui il comportamento sanzionato dal legislatore rimane la dichiarazione falsa circa i presupposti per l’agevolazione, cioè, nel caso di specie, circa le caratteristiche dell’immobile.
Ciò che è mutato dal 2014 non è, in altri termini, l’oggetto della dichiarazione, che investe a oggi come allora le caratteristiche non di lusso dell’immobile; ad essere cambiati sono, piuttosto, esclusivamente i presupposti dell’agevolazione, ossia i parametri che consentono di stabilire quando un immobile è o non è di lusso. La struttura dell’illecito resta, in definitiva, pur sempre incardinata sulla dichiarazione mendace. È quest’ultima ad assurgere a presupposto per la revoca dell’agevolazione, quindi anche per l’irrogazione della sanzione amministrativa. La ‘fisionomia’
dell’infrazione, costituita dalla dichiarazione mendace, della quale è soltanto cambiato l’oggetto, è rimasta, in ultima analisi, immutata. Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.200,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 19/11/2024.