Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24477 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 24477 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/09/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5977/2021 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente
avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. TOSCANA n. 556/2020 depositata il 03/08/2020.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Uditi l’Avvocato NOME COGNOME per parte ricorrente nonché l’Avvocato dello Stato NOME COGNOME per l’Ufficio controricorrente che hanno concluso, rispettivamente, per l’accoglimento e per il rigetto del ricorso.
Udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate notificava a NOME COGNOME avvisi di rettifica e liquidazione della maggiore imposta IVA e dell’imposta sostitutiva versata a seguito di mutuo ipotecario disconoscendo, in relazione al contratto di compravendita di un immobile ed a quello del relativo mutuo, stipulati nell’anno 2015, l’agevolazione c.d. “prima casa”. Il recupero erariale risultava fondato sulla circostanza secondo cui la contribuente era titolare di altro immobile in comunione ordinaria con il coniuge nel medesimo comune in cui era situato l’immobile acquistato e, quindi, a parere dell’ufficio, la predetta non poteva usufruire dell’agevolazione fiscale “prima casa” a norma della Nota II bis lett. b) dell’art. 1 della Tariffa Parte Prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986.
La COGNOME impugnava, innanzi alla CTP di Pisa, gli avvisi di rettifica e liquidazione in questione, eccependo che la comunione ordinaria con il coniuge su un immobile situato nello stesso comune del nuovo immobile acquistato non rilevava ai fini della revoca del beneficio fiscale, essendo determinante solo la comunione legale che, nella fattispecie in esame, non era sussistente in quanto con il coniuge aveva optato per il regime patrimoniale della separazione dei beni. Pertanto, la comunione ordinaria con il coniuge su bene immobile insistente sullo stesso comune di quello acquistato con le
agevolazioni prima casa non impediva di usufruire per tale secondo immobile dell’agevolazione “prima casa”, non avendo usufruito per il bene in comunione della medesima agevolazione.
La CTP rigettava il ricorso e tale sentenza veniva confermata con la sentenza n. 556/1/2020, depositata in data 3 agosto 2020 e non notificata, dalla CTR della Toscana la quale riteneva fondata la tesi dell’ufficio, fatta propria dal primo giudice, seco ndo cui la Nota II-bis lett. b) dell’art. 1 della Tariffa Parte Prima allegata al d.P.R. n. 131/1986 non consentiva in alcun modo di limitare la sua operatività al solo caso di comunione “legale” tra coniugi in quanto tale specificazione non era ivi prevista mentre al contrario, la specificazione di “comunione legale” era stabilita nella successiva lett. c) della medesima norma che si riferiva espressamente ai beni in comunione legale situati sull’intero territorio nazionale (ed acquistati usufruendo dell’agevolazione “prima casa”) e non nel solo comune dove era situato il nuovo immobile acquistato con l’agevolazione “prima casa”, come, invece, era previsto nella lettera b) della norma suddetta.
Contro detta sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
L’Ufficio resiste con controricorso.
La Procura Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo parte ricorrente deduce, ex art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 1, comma 2, d.lgs. 546/1992. Ad avviso della COGNOME i giudici di appello erano incorsi in un vizio di ultra-petizione in quanto la CTR avrebbe assunto a base della decisione una circostanza – non sussistente e che non aveva mai costituito punto controverso – secondo cui la contribuente aveva già
usufruito per l’immobile in comproprietà del coniuge dell’agevolazione “prima casa”.
Con il secondo ed il terzo motivo, fra loro connessi, deduce, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. violazione e falsa applicazione dall’art. 1, Nota II-bis, comma 1 lett. b), Parte I, Tabella allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 come richiamata dal n. 21 della Tabella, Parte Seconda allegata al d.P.R. n. 633/1972. Lamenta che la sentenza impugnata, erroneamente, aveva fatto riferimento alla lett. c) dall’art. 1, comma 1 Nota II-bis, Parte I, della richiamata Tabella laddove l’ ufficio aveva contestato al la contribuente la violazione della lettera b) del comma 1 della Nota II-bis, dell’art. 1, Parte I, Tabella allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 come richiamata dal n. 21 della Tabella, Parte Seconda allegata al d.P.R. n. 633/1972 e che i giudici di merito, nell’applicare detta normativa, avevano adottato una interpretazione erronea del termine ‘comunione’ inteso in una accezione estensiva.
Con il quarto motivo lamenta, ex art. 360, comma 1 n. 4, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 1, comma 2, d.lgs. 546/1992 per l’omessa pronuncia sulla richiesta di inapplicabilità delle sanzioni per incertezza del quadro normativo e giurisprudenziale.
Il primo motivo non coglie nel segno posto che, come correttamente rilevato dall’ Ufficio, la CTR ha disatteso la tesi di parte contribuente sul presupposto che l’esistenza di una contitolarità con il coniuge di altro immobile situato nello stesso comune nello stesso immobile acquistato precludeva la possibilità di usufruire dell’agevolazione prima casa per tale secondo immobile, a prescindere dalla pregressa fruizione o meno dell’agevolazione ‘prima casa’.
Osserva, quindi, il Collegio che i successivi due motivi di ricorso ruotano intorno al quesito di diritto se la circostanza che l’acquirente sia già comproprietario pro-quota con il coniuge in comunione
‘ordinaria’ di altra abitazione idonea nello stesso Comune sia preclusivo del riconoscimento dell’agevolazione prima casa di cui al comma 1 della nota IIbis) dell’art.1 della Tariffa, Parte Prima, allegata al DPR n.131/1986, lett. b) ovvero se tale preclusione scaturisca solo dalla comunione ‘legale’ tra i coniugi di cui all’art. 177 c.c.
5.1. La disposizione normativa che viene in rilievo è l’art. 1, Nota IIbis, comma 1 lett. b), Parte I, Tabella allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 che testualmente prevede:
…… ‘
5.2. La questione è stata in passato affrontata, a vario titolo e sotto vari angoli visuali, dalla giurisprudenza di legittimità, sicchè appare opportuno un richiamo ai precedenti di legittimità menzionati dalle parti e dal P.G.
Questa Corte con ordinanza 8 ottobre 2014, n. 21289, ha affermato che l’agevolazione fiscale per l’acquisto della “prima casa” non è preclusa al titolare di una quota particolarmente esigua di altro immobile (nella specie, pari al 5%), che, non comportando il potere
di disporre dell’immobile stesso come propria abitazione, è assimilabile a una proprietà inidonea per le esigenze abitative, tranne l’ipotesi della quota di un immobile in comunione legale tra i coniugi. Nel pervenire a tali conclusioni ha precisato che : «… Costituisce ius receptum che l’agevolazione per la cosiddetta prima casa, disciplinata dall’art. 1, lett. b), nota II – bis della tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, nel testo risultante dopo le modifiche apportate dal D.L. n. 155 del 1993, art. 16, comma 1, convertito con modificazioni – nella L. n. 243 del 1993, subordina l’applicazione del beneficio all’acquisto di un’unità immobiliare da destinare a propria abitazione nel comune di residenza o (se diverso) ove si svolge la propria attività, alla non possidenza di altro immobile “idoneo” ad essere destinato a tale uso e alla dichiarazione formale, posta nell’atto di compravendita, di voler stabilire la residenza nel comune ove è ubicato l’immobile acquistato. Ne consegue che chi abbia il possesso di altra casa valutata come “non idonea” all’uso abitativo, sia per circostanze di natura oggettiva (es.: inabitabilità) che di natura soggettiva (es.: fabbricato inadeguato per dimensioni o caratteristiche qualitative) può ugualmente godere dell’agevolazione” (Cass. n. 2418/2003, n. 8771/2000). È stato, altresì, affermato, in tema di agevolazioni per la “prima casa”, che l’acquisto di una quota particolarmente esigua di un immobile, non comportando il potere di disporne come abitazione propria, non realizza l’intento abitativo, che è la finalità perseguita dal legislatore, ed è, sostanzialmente, assimilabile alla titolarità di immobile inidoneo a soddisfare le esigenze abitative (Cass. n. 13291/2011, n. 10984/2007, n. 9647/1999). Peraltro, a proposito della portata della nota II bis della Tariffe, parte prima lett. b) allegata al D.P.R. n. 131 del 1986 – a cui tenore “Ai fini dell’applicazione dell’aliquota del 2 per cento agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso e agli atti traslativi o consuntivi della nuda proprietà, dell’usufrutto, dell’uso e dell’ambientazione relativi
alle stesse, devono ricorrere le seguenti condizioni…b) che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui e situato l’immobile da acquistare”- va evidenziato, ad ulteriore sostegno della fondatezza del ricorso, che questa Corte è ferma nell’escludere il beneficio “prima casa” solo nei confronti di acquirente di altro immobile acquistato in comunione ex art. 177 c.c., con il coniuge, non ritenendo che la comunione ordinaria su altro cespite immobiliare con il coniuge possa integrare la destinazione del bene ad abitazione dello stesso in via esclusiva cfr. Cass. n. 9647/1999 e Cass. n. 6476/1996. Secondo questo indirizzo, infatti, la L. n. 549 del 28 dicembre 1995, all’art. 3, comma 135, ha modificato la nota II bis dell’art. 1 della tariffa allegata alla L. 28 aprile 1986, n. 131, chiarendo il significato della L. n. 118 del 1985, art. 2, e precisando, con norma interpretativa della legislazione agevolata in materia di prima casa, il contenuto della dichiarazione – che l’acquirente deve inserire nel contratto – “di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare”. Proprio tale dizione importa che solo la comunione legale tra i coniugi osta all’agevolazione, mentre la titolarità di una quota di un appartamento in comunione non preclude il beneficio, in quanto è connaturato alla natura del diritto d’abitazione il legame ai bisogni del titolare e “della sua famiglia” (art. 1022 c.c.) e l’incompatibilità di esso con ogni contitolarità, salvo che della comunione tra i coniugi. Si deve escludere, pertanto, che la facoltà di usare il bene comune, purché non si impedisca a ciascuno degli altri comunisti “di farne parimenti uso” ex art. 1102 c.c., consenta di destinare la casa comune ad abitazione di uno solo dei comunisti, per cui la titolarità di quota è simile a quella di immobile inidoneo a soddisfare le
esigenze abitative dell’acquirente, che è di certo compatibile con le agevolazioni. ».
Secondo Cass. 19 febbraio 2014, n. 3931 : ‘In tema di benefici fiscali “prima casa” di cui all’art. 1, nota II bis, lett. b), della Tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n.131, al verificarsi della separazione legale, la comunione tra coniugi di un diritto reale su un immobile, ancorché originariamente acquistato in regime di comunione legale, deve essere equiparata alla contitolarità indivisa dei diritti sui beni tra soggetti tra loro estranei, che è compatibile con le agevolazioni suddette, atteso che la facoltà di usare il bene comune, che non impedisca a ciascuno degli altri comunisti di “farne parimenti uso” ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., non consente di destinare la casa comune ad abitazione di uno solo dei comproprietari, per cui la titolarità della quota è simile a quella di un immobile inidoneo a soddisfare le esigenze abitative’.
Questa Corte, con la sentenza n. 7069 del 2014), ha chiarito, quindi, che: ‘ A norma dell’art. 1 della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, nota II bis lett. b), per il godimento delle agevolazioni fiscali c.d. “prima casa” occorre che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari: “di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare”. In costanza di contitolarità dei menzionati diritti reali su un immobile sito nel comune ove è ubicato quello da acquistare, il beneficio fiscale è, dunque, precluso, a prescindere dalla scelta del regime patrimoniale dei coniugi: il riferimento alla “comunione con il coniuge” senza ulteriore qualificazione depone univocamente in tal senso, tanto più che la distinzione circa il titolo della comunione stessa viene operata nella successiva lett. c), della medesima nota II bis della Tariffa per escludere l’accesso all’agevolazione a chi ne abbia, in precedenza, fruito in riferimento all’intero territorio nazionale. 5. La disposizione, infatti, persegue lo scopo d’incentivare
l’investimento del risparmio nell’acquisto di un’unità immobiliare da destinare a “prima casa”, sicché, ove i coniugi siano già contitolari sia in comunione legale che convenzionale – di una casa, opera la presunzione legislativa che la stessa sia, appunto, destinata ad “abitazione della famiglia”, con conseguente esclusione dell’agevolazione per il successivo acquisto’ .
Con la pronunzia n. 10984/2007 era stato in precedenza affermato che: « La questione posta con il ricorso va risolta alla luce della sentenza n. 9647/99 di questa Suprema Corte che ha ritenuto la tesi, in questa sede proposta dall’Amministrazione, non condivisibile ‘alla stregua della L. n. 549 del 28 dicembre 1995, che, all’art. 3, comma 135, ha modificato la nota 2 bis, dell’art. 1, della tariffa allegata alla L. n. 131 del 28 aprile 1986, chiarendo il significato della L. n. 118 del 1985, art. 2, e precisando, con norma interpretativa della legislazione agevolata in materia di prima casa (così Cass. 6 aprile 1996 n. 3248 ), la dichiarazione che l’acquirente deve inserire nel contratto che è ‘di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situ ato l’immobile da acquistare’. Tale dizione evidenzia come solo la comunione tra i coniugi osti all’agevolazione; la titolarità di una quota di un appartamento in comunione non preclude il beneficio, in quanto è connaturato alla natura del diritto d’abitaz ione il legame ai bisogni del titolare e ‘della sua famiglia’ ( art. 1022 c.c.), e l’incompatibilità di esso con ogni contitolarità, salvo che della comunione tra i coniugi, dovendosi escludere che la facoltà di usare il bene comune, purché non si impedisca a ciascuno degli altri comunisti ‘di farne parimenti uso’ ex art. 1102 c.c., consenta di destinare la casa comune ad abitazione di uno solo dei comunisti, per cui la titolarità di quota è simile a quella di immobile inidoneo a soddisfare le esigenze abitative dell’acquirente che è di certo compatibile con le agevolazioni ».
Secondo Cass. 9647/1999 ‘ Tanto più alla luce della disciplina di cui al comma 135 dell’art. 3 della legge n. 549 del 1995, la mera titolarità di una quota di un appartamento in comunione non preclude (a meno che non abbia a vertersi in ipotesi di comunione fra coniugi) la fruizione della disciplina agevolativa sull’acquisto della cosiddetta “prima casa”. La facoltà di usare il bene comune purché non si impedisca a ciascuno degli altri comunisti “di farne parimenti uso”, assicurata dall’art. 1102 cod. civ., non consente infatti al singolo comunista di destinare idoneamente la casa in comunione a sua abitazione ‘.
5.3. Parte contribuente, premesso che il senso della norma de qua è quello di favorire le esigenze abitative dell’acquirente, assume che, proprio in ragione di tale finalità, la norma preclude il beneficio a chi risulti già titolare esclusivo o in comunione con il coniuge del diritto di proprietà, usufrutto, uso o abitazione di altro immobile capace di soddisfare dette esigenze abitative e che, pertanto per “comunione con il coniuge” la disposizione si riferisce all’unica situazione giuridica capace di garantire un godimento pieno, esclusivo ed indiviso paritetico a quello del titolare esclusivo: la comunione legale ex art. 159 cod. civ. (ovvero, al più, convenzionale ex art. 210 cod. civ.) tra coniugi, laddove al contrario, la comproprietà ordinaria di un immobile, sia che si realizzi tra estranei, sia tra coniugi, suo dire, attribuisce la titolarità della sola quota di spettanza, e non anche dell’intero bene, non consentendo al singolo di soddisfare quelle sue proprie esigenze abitative tutelate dalla norma.
Rileva, quindi, che appare ragionevole precludere l’accesso alle stesse agevolazioni soltanto qualora l’acquirente si trovi nella titolarità esclusiva di altro immobile, ovvero in una situazione giuridicamente equiparabile a quella della titolarità esclusiva e tale situazione equiparabile è, per l’appunto, solo e soltanto quella del regime patrimoniale di comunione dei beni. Ciò perché, com’è noto,
soltanto tale regime costituisce una comunione “senza quote”, detta anche “a mani riunite”, dove ciascun coniuge è da considerarsi titolare esclusivo dei beni oggetto di comunione, secondo l’ormai acquisito concetto di “titolarità solidale” (avallato anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 311/1988) che giustifica la mera annullabilità (e non già la nullità ovvero l’inefficacia) o perfino la piena validità (se si tratta di beni mobili) degli atti riguardanti beni della comunione compiuti da uno soltanto dei coniugi (cfr. art. 184 c.c.). Al contrario, nel regime patrimoniale di separazione dei beni con il coniuge (come nel caso di specie), sussiste una situazione di contitolarità che non consente al singolo coniuge di poter godere e disporre da solo dell’intero bene (pena la radicale inefficacia di ogni relativo atto), in modo assolutamente identico ad un bene che si trovi in comunione ordinaria con un soggetto diverso dal proprio coniuge.
5.4. Ritiene questo Collegio che, come evidenziato dal P.G. nella propria memoria in atti, il dato testuale conduce a ritenere configurabile l’esclusione del beneficio fiscale nell’ipotesi della comproprietà (e comunione) tra i coniugi di altro immobile sito nello stesso comune in cui si trova l’immobile da acquistare.
Ed, infatti, mentre la lett. b) della norma denunciata dispone ‘che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare’, la successiva lett. c) dispone: ‘che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni di cui al presente articolo ovvero …’.
L’interpretazione letterale della lett. b), applicabile al caso di specie, depone, dunque, nel senso ritenuto dai giudici di appello: ove nel comune stesso siano ubicati sia l’immobile da acquistare, sia altro immobile, rileva la comunione tout court tra coniugi e non soltanto la comunione legale, a differenza della successiva previsione di cui alla lett. c).
Non va sottaciuto che trattandosi di norma eccezionale, come ogni norma relativa ad agevolazioni fiscali, essa è di stretta interpretazione; vale anche nella presente ipotesi il principio generale e inderogabile in materia fiscale, il quale prevede che, in tale campo le norme contemplanti esenzioni o agevolazioni sono di stretta interpretazione, ai sensi dell’art 14 disp. prel. cod. civ., sicché non vi è spazio per ricorrere al criterio analogico o all’interpretazione estensiva della norma oltre i casi e le condizioni dalle stesse espressamente considerati (Cass., Sez. 5^, 7 maggio 2008, n. 11106; Cass., Sez. 5^, 7 marzo 2013, n. 2925; Cass., Sez. 5^, 4 marzo 2016, n. 4333; Cass., Sez. 6^-5, 21 giugno 2017, n. 15407; Cass., Sez. 5^, 16 maggio 2019, n. 13145; Cass., Sez. 5^, 29 ottobre 2020, n. 23877; Cass., Sez. 5^, 17 giugno 2021, n. 15301; Cass., Sez. 5^, 24 novembre 2022, n. 34690), con la conseguenza che non può limitarsi la dizione ‘comunione tra coniugi’, senza ulteriori specificazioni, alla sola comunione legale, come prospettato da parte dalla contribuente. Né rileva, come pure auspicato dalla ricorrente, la circostanza che l’immobile in comunione ordinaria rappresenta una proprietà pro-quota indivisa (nella specie al 50%), giacché quel che rileva, come rappresentato più volte in sede di legittimità, è la diversa circostanza secondo cui il contribuente possa godere o meno di un immobile da abitare; circostanza che, in caso di rapporto matrimoniale in atto (vale a dire, in mancanza di separazione legale), presuppone appunto la coabitazione tra i coniugi e la disponibilità piena della casa coniugale.
In questa prospettiva non appare in alcun modo condivisibile la tesi di parte ricorrente secondo cui il legislatore non avrebbe ‘sentito l’esigenza di esplicitare che la “comunione con il coniuge” di cui alla lettera b) è soltanto quella del regime patrimoniale della comunione dei beni: solo questo tipo di comunione è, infatti, come visto, equiparabile ad una titolarità esclusiva’.
Il dato testuale, la interpretazione sistematica delle disposizioni contenute nelle lettere b) e c) nonché i principi in materia tributaria in tema di interpretazione delle norme riguardanti le agevolazioni, inducono a ritenere non condivisibile quanto affermato in precedenza da questa Corte secondo cui il beneficio “prima casa” è precluso solo nei confronti di acquirente di altro immobile acquistato in comunione ex art. 177 c.c., con il coniuge, non ritenendo che la comunione ordinaria su altro cespite immobiliare con il coniuge possa integrare la destinazione del bene ad abitazione dello stesso in via esclusiva.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono i suindicati motivi devono essere respinti alla luce del seguente principio di diritto: ‘ In materia di agevolazione prima casa la circostanza che l’acquirente sia già comproprietario pro-quota con il coniuge in comunione ordinaria di altra abitazione idonea nello stesso Comune preclude il riconoscimento dell’agevolazione di cui al comma 1 della nota II -bis) dell’art.1 della Tariff a, Parte Prima, allegata al d.P.R. n.131/1986, lett. b) dovendosi escludere che tale preclusione scaturisca solo dalla comunione legale tra i coniugi ‘.
L’ ultimo motivo relativo alle sanzioni va respinto: in disparte la considerazione che lo stesso risulta essere stato implicitamente disatteso dai giudici di merito, ad avviso di questo Collegio deve ritenersi corretto dell’operato dell’ufficio che ha a gito in conformità al dato normativo, il che giustifica anche la debenza delle sanzioni e degli interessi.
Deve, pervero, deve escludersi la sussistenza di obiettive condizioni di incertezza nell’interpretazione delle norme violate, ove si evidenzi
che la giurisprudenza della S.C. citata ha riguardato delle fattispecie in alcun modo sovrapponibili rispetto a quella oggetto di causa.
Il ricorso va, dunque, respinto.
7.1. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in favore dell’Ufficio nella somma di euro 4.300,00 oltre spese prenotate a debito; visto l’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data