Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2899 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2899 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 31/01/2024
AGEVOLAZIONE IRES ART. 6 D.P.R. 601/73RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE DEL RAGIONE_SOCIALE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4888/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
– RAGIONE_SOCIALE –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente pro tempore , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, in forza di procura allegata al ricorso, ed elettivamente domiciliato presso il loro studio sito in Roma al INDIRIZZO;
-controRAGIONE_SOCIALE –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell ‘Umbria , n. 301/2/2018 depositata in data 3/07/2018; dato atto che il PM, in persona del sostituto Procuratore generale, in persona del AVV_NOTAIO, ha depositato conclusioni scritte per l’accoglimento del ricorso; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
14/12/2023 dal consigliere AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE, emetteva avvisi di accertamento con cui recuperava a tassazione maggior Ires per gli anni di imposta 2011 e 2012 nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE, disconoscendo l’agevolazione di cui all’art. 6, primo comma, lett. c) del d.P.R. n. 601 del 1973.
L’ente proponeva ricorso alla Commissione tributaria RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE che lo accoglieva.
La Commissione tributaria regionale dell ‘Umbria rigettava l ‘appello dell’RAGIONE_SOCIALE.
In particolare, i giudici d’appello confermavano la sentenza di primo grado, quanto alla spettanza dell’agevolazione prevista dal citato art. 6, affermando che essa compete non solo agli enti con fine di religione o culto ma anche per le attività dirette a tali fini; che l’attività degli RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha un vincolo di scopo e che la conservazione e gestione dei cespiti non può integrare attività commerciale; che nel caso concreto l’RAGIONE_SOCIALE aveva dimostrato di avere versato cospicue somme all’RAGIONE_SOCIALE centrale .
L’RAGIONE_SOCIALE propone ricorso affidato a d un motivo.
L’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE – RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Il PG ha depositato conclusioni scritte per l’accoglimento del ricorso.
Il ricorso è stato fissato per l ‘adunanza camerale dell’8/02/ 2023 e poi per l’adunanza camerale del 14/12/2023 , per la quale l’RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
Considerato che:
1. La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE propone un motivo di ricorso, con il quale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.P.R. n. 601 del 1973, dell’art. 7 n. 3 dell’accordo tra Stato italiano e Santa Sede del 1984, ratificato dalla l. n. 121 del 1985, degli artt. 15 e 16 della l. n. 122 del 1985, dell’art. 53 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; evidenzia in particolare che l’agevolazione in esame richiede non solo la qualifica dell’ente, ma anche la valutazione della natura dell’attività svolta, criterio oggettivo, attività che deve essere infatti coerente con il fine istituzionale perseguito o deve essere ad esso connessa da un rapporto di strumentalità diretta ed immediata; deduce ancora che del resto è lo stesso art. 7, comma 3, dell’accordo tra Stato italiano e Santa Sede di cui alla l. n. 121 del 1985 a prevedere che gli enti ecclesiastici possano svolgere attività diversa da quella di religione o culto e che in questo caso tali attività siano assoggettate al regime tributario previsto per le medesime; che la natura dell’attività non può essere presunta né si può ritenere presuntivamente accertato che i proventi della riscossione dei canoni di locazione siano destinati in ogni caso a integrare il compenso percepito dei sacerdoti senza che l’ente abbia mai dimostrato l’effettiva destinazione dei proventi; l’errore commesso è individuato nell’aver la CTR in sostanza ritenuto che l’attività di locazione degli immobil i e di un’azienda agraria, attraverso una struttura amministrativa composta da dipendenti a tempo indeterminato e determinato, costituirebbe di per sé attività strumentale meritev ole dell’esenzione, finendo per
attribuire a quest’ultima, nel caso di specie, natura di agevolazione soggettiva, peraltro in contrasto con i principi comunitari.
Non può essere accolta la richiesta di trattazione in pubblica udienza formulata dall’RAGIONE_SOCIALE nella memoria depositata il 27/07/2022, ben potendo il collegio giudicante escludere la ricorrenza dei relativi presupposti, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare al caso di specie (Cass., Sez. U., 5/06/2018, n. 14437), ed allorquando non si verta in tema di decisioni aventi rilevanza nomofilattica, idonee a rivestire efficacia di precedente, orientando, con motivazione avente anche funzione extra processuale, il successivo percorso della giurisprudenza (Cass., Sez. U., 23/04/2020, n. 8093; Cass. 21/01/2022, n. 2047; Cass. 13/01/2021, n. 392; Cass. 20/11/2020, n. 26480), il che è quanto avviene nel caso di specie alla luce RAGIONE_SOCIALE successive considerazioni.
Nell’esaminare il ricorso occorre fare riferimento a diversi precedenti di questa Corte (Cass. 16/01/2023, n. 1164; Cass. 5/04/2023, n. 9394; Cass. 5/04/2023, n. 9409; Cass. 17/04/2023, n. 10201; Cass. 18/04/2023, n. 10400) che conducono all’accoglimento del medesimo, nei termini che seguono.
Preliminarmente peraltro occorre rigettare le eccezioni di inammissibilità sollevate in riferimento alla mancanza di specificità del rinvio agli atti processuali, contenuto a pagina 21 del ricorso, e alla omessa censura della ratio decidendi.
Quanto alla prima doglianza, essa è evidentemente infondata, concentrando la sua attenzione su un singolo passaggio del ricorso, laddove un’ampia prima parte del medesimo contiene un ‘ articolata esposizione dello svolgimento processuale.
Né appare possibile ritenere che l’ampio e articolato motivo di ricorso non censuri la ratio decidendi , che non sarebbe data dalla natura soggettiva dell’agevolazione ma dalle caratteristiche
dell’RAGIONE_SOCIALE, laddove peraltro proprio tale passaggio è indicato espressamente quale parte censurata mentre i riferimenti alla natura anche oggettiva dell’agevolazione costituiscono imprescindibile premessa del ragionamento svolto dalla difesa erariale.
Ciò premesso, il motivo è fondato nei termini che seguono.
3.1. L’art. 6, primo comma, lett. c) del d.P.R. n. 601 del 1973 (rubricato «Riduzione dell’imposta sul reddito RAGIONE_SOCIALE persone giuridiche», abrogato dall’art. 1, comma 51, della l. 30/12/2018, n. 145, «a decorrere dal periodo d’imposta di prima applicazione del regime agevolativo di cui al comma 52-bis», il quale a sua volta stabilisce che «Con successivi provvedimenti legislativi sono individuate misure di favore, compatibili con il diritto dell’Unione europea, nei confronti dei soggetti che svolgono con modalità non commerciali attività che realizzano finalità sociali nel rispetto dei principi di solidarietà e sussidiarietà. È assicurato il necessario coordinamento con le disposizioni del codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117») prevede che l’imposta sul reddito RAGIONE_SOCIALE persone giuridiche è ridotta alla metà nei confronti degli enti il cui fine è equiparato per legge ai fini di beneficenza o di istruzione, purché in ogni caso tali enti abbiano personalità giuridica (secondo comma).
L’art. 7, n. 3, dell’accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica RAGIONE_SOCIALE e la Santa Sede, ratificato con la l. 25/03/1985, n. 121, prevede che «Agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione» e che «le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato
concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime».
Occorre anche ricordare che la l. 20/05/1985, n. 222 («Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE cattolico in servizio nelle diocesi») prevede, all’art. 15, che «gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti possono svolgere attività diverse da quelle di religione o di culto, alle condizioni previste dall’articolo 7, n. 3, secondo comma, dell’accordo del 18 febbraio 1984», e, all’art. 16, che «Agli effetti RAGIONE_SOCIALE leggi civili si considerano comunque: a) attività di religione o di culto quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura RAGIONE_SOCIALE anime, alla formazione del RAGIONE_SOCIALE e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana; b) attività diverse da quelle di religione o di culto quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro».
3.2. Una consolidata giurisprudenza di questa Corte ritiene, al fine del riconoscimento dell’agevolazione dell’art. 6 d.P.R. n. 601 del 1973, che in generale non sia sufficiente il mero requisito soggettivo, non sia cioè, per quanto concerne in particolare gli enti equiparati a quelli di beneficenza o istruzione, sufficiente che essi siano sorti con tali enunciati fini, ma occorre altresì accertare che l’attività in concreto esercitata dagli stessi non abbia carattere commerciale, in via esclusiva o principale, ed inoltre, in presenza di un’attività commerciale di tipo non prevalente, che la stessa sia in rapporto di strumentalità diretta ed immediata con quei fini, e quindi, non si limiti a perseguire il procacciamento dei mezzi economici al riguardo occorrenti , dovendo altrimenti essere classificata come «attività diversa», soggetta all’ordinaria tassazione (Cass. 13/12/2016, n. 25586).
Tale giurisprudenza risale ad alcuni arresti degli anni ’90; in particolare Cass. 29/03/1990, n. 2573 ebbe a riconoscere che la
necessità di accertare oltre al requisito soggettivo, l’attività concretamente svolta come descritta nell’atto costitutivo, con precisa indicazione dell’oggetto, ovvero, in difetto, come effettivamente svolta , nascesse alla stregua del coordinamento della citata norma con gli artt. 1 e 2 del d.P.R. 29/09/1973, n. 598 istitutivo dell’IRPEG, dovendosi accertare che non avesse carattere commerciale, in via esclusiva o principale, e, inoltre, in presenza di un’attività commerciale di tipo non prevalente (nella specie, attività editoriale), che la stessa fosse in rapporto di strumentalità diretta ed immediata con quei fini di religione e di culto, e quindi, non si limitasse a perseguire il procacciamento dei mezzi economici al riguardo occorrenti; tale decisione concludeva che tale non è un’attività volta al procacciamento di mezzi economici, quando, per la intrinseca natura di essa o per la sua estraneità rispetto al fine (di religione o di culto), non sia con esso coerente in quanto indifferentemente utilizzabile per il perseguimento di qualsiasi altro fine; quando si tratti, cioè, di un’attività volta al procacciamento di mezzi economici da impiegare in una ulteriore attività direttamente finalizzata, quest’ultima, al culto o alla religione .
La natura non solo soggettiva dell’agevolazione è stata poi da questa Corte confermata in numerose altre decisioni (iniziando da Cass. 15/02/1995, n. 1633 e Cass. 08/03/1995, n. 2705, che ebbe anche a precisare che il rapporto di strumentalità deve essere accertato dal giudice del merito e che il relativo accertamento, ove sia logicamente e congruamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità; successivamente Cass. 13/01/2021, n. 339; Cass. 2/10/2013, n. 22493).
Ciò significa, in altri termini, che l’esistenza del fine «di religione o di culto» rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente per la spettanza dell’agevolazione, in quanto, come detto, il beneficio non è applicabile solo in ragione della qua lificazione soggettiva dell’ente ma
assume rilevanza anche l’elemento oggettivo, rappresentato dal tipo di attività svolta.
Tale interpretazione è del resto coerente con la considerazione che l’agevolazione, configurando un’eccezione al principio di corrispondenza fra capacità contributiva e soggettività tributaria (quale immediata applicazione del canone costituzionale di cui all’articolo 53 della Costituzione), «può giustificarsi solo in ragione della considerazione della attività che determinate categorie di contribuenti svolgono» (Consiglio Stato, parere 8/10/1991, n. 1296) e con la considerazione che le norme agevolatrici sono norme eccezionali e quindi di stretta interpretazione (in tal senso la citata Cass. n. 25586 del 2016).
Il quadro va completato ricordando che ricade sul soggetto richiedente l’onere di provare il possesso di tutti i requisiti necessari per la fruizione del beneficio fiscale, per cui l’ente deve dimostrare, ai fini della propria natura non commerciale, che l ‘attività in concreto svolta non abbia carattere commerciale in via esclusiva o principale.
Alla luce di tali decisioni, pertanto deve ribadirsi che l’agevolazione di cui all’art. 6, primo comma, d.P.R. n. 601 del 1973 spetti agli enti con finalità di beneficenza o istruzione o ad essi equiparati per legge, come gli enti ecclesiastici con fine di religione o culto (elemento soggettivo) e per le attività non commerciali o per le attività commerciali non prevalenti che siano in rapporto di strumentalità diretta e immediata con i fini di beneficenza e istruzione o, nel caso di specie, religione o culto (elemento oggettivo); con le precisazioni che l’attività è strumentale direttamente ove con essa l’ente si limiti a procacciare i mezzi economici occorrenti al fine istituzionale e che non è un’attività volta al procacciamento di mezzi economici, quando, per la intrinseca natura di essa o per la sua estraneità rispetto al fine (di religione o di culto), non sia con esso coerente in quanto
indifferentemente utilizzabile per il perseguimento di qualsiasi altro fine; quando si tratti, cioè, di un’attività volta al procacciamento di mezzi economici da impiegare in una ulteriore attività direttamente finalizzata, quest’ultima, al culto o alla religione
3.3. Posti tali principi di carattere generale occorre esaminare le due questioni specifiche del presente giudizio, cioè la natura dell’RAGIONE_SOCIALE e la possibilità di considerare l’attività di concessione a terzi di l ocazione di immobili come strumentale e diretta al fine statutario.
3.4. Gli RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE fanno parte degli enti ecclesiastici che possono essere civilmente riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili, ai sensi degli artt. 21, 22 ed 1-5, della legge n. 222 del 1985, che reg olano l’istituzione e il fine dei medesimi.
L’art. 21 prevede infatti che in ogni diocesi venga eretto, entro il 30 settembre 1986, con decreto del Vescovo RAGIONE_SOCIALE, l’RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE previsto dal canone 1274 del codice di diritto canonico (il quale prevede che Nelle singole diocesi ci sia un istituto speciale che raccolga i beni o le offerte, al preciso scopo che si provveda al RAGIONE_SOCIALE dei chierici che prestano servizio a favore della diocesi, a norma del can. 281, a meno che non si sia provveduto ai medesimi diversamente ).
L’art. 24, comma 1, determina le attività demandate agli RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, stabilendo, per quanto qui interessa, che dall’1 gennaio 1987 ognuno di essi provveda, in conformità allo statuto, ad assicurare, nella misura periodicamente determinata dalla RAGIONE_SOCIALE, il congruo e dignitoso RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE che svolge servizio in favore della relativa diocesi.
L’art. 27, inoltre, aggiunge che l’RAGIONE_SOCIALE centrale e gli altri RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE possono svolgere anche funzioni
previdenziali integrative autonome per il RAGIONE_SOCIALE, prevedendo altresì che ogni RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE destini, in conformità ad apposite norme statutarie, una quota RAGIONE_SOCIALE proprie risorse per sovvenire alle necessità che si manifestino nei casi di abbandono della vita ecclesiastica da parte di coloro che non abbiano altre fonti sufficienti di reddito.
L’art. 28 prevede che con il decreto di erezione di ciascun RAGIONE_SOCIALE sono contestualmente estinti la mensa vescovile, i benefici capitolari, parrocchiali, vicariali curati o comunque denominati, esistenti nella diocesi, e i loro patrimoni siano trasferiti di diritto all’RAGIONE_SOCIALE stesso.
Gli artt. 33-35 prevedono ulteriori compiti degli RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE e regolano il funzionamento di questi ultimi sotto diversi aspetti.
Appare utile evidenziare, per quanto qui interessa, che l’art. 35, comma 1, in materia di aspetti economici riguardanti il funzionamento dell’RAGIONE_SOCIALE, stabilisce che esso provveda all’integrazione economica eventualmente spettante ai sacerdoti della diocesi con i redditi del proprio patrimonio, salvo l’intervento dell’RAGIONE_SOCIALE centrale nel caso in cui questi ultimi fossero insufficienti.
Gli artt. 36-38, infine, disciplinano l’alienazione di beni, ed in particolare anche di immobili, da parte degli RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE.
Dal complesso di tali disposizioni, come questa Corte ha già avuto modo di osservare (Cass. 30/07/2019, n. 20480) si evince pertanto che il legislatore non ha escluso, ed anzi ha presupposto, che l’RAGIONE_SOCIALE possa svolgere, accanto ad attività di religione o di culto, anche ulteriori compiti, ed in particolare anche attività di natura e rilevanza economica e commerciale, finalizzate alla produzione di quei redditi del proprio patrimonio attraverso i quali provvedere ad integrare, se necessario, la remunerazione spettante al RAGIONE_SOCIALE che svolge servizio in favore della
diocesi, per assicurare il congruo e dignitoso RAGIONE_SOCIALE di ogni sacerdote (in quel caso l’RAGIONE_SOCIALE aveva negato che l’RAGIONE_SOCIALE potesse beneficiare della rivalutazione di un terreno, in quanto spettante solo ai soggetti titolari di reddito d’impresa, ovvero, ma limitatamente ai beni relativi all’attività commerciale, agli enti non commerciali, i quali, pur svolgendo attività commerciali, non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di queste ultime, escludendo la sua inclusione sia tra i soggetti di cui all’art. 73, comma 1, lett. a) e b) t.u.i.r., richiamato dall’art. 15, comma 16, del d.l. n. 185 del 2008, convertito dalla l. n. 2 del 2009, sia tra i soggetti menzionati nell’art. 15 della l. n. 342 del 2000).
In tale precedente la Corte, come dedotto in quella sede dal RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ha ritenuto che esso si inserisca tra gli enti ecclesiastici, civilmente riconosciuti, che, come previsto dall’art. 15 della l. n. 222 del 1985, possono svolgere, oltre alle attività di religione o di culto descritte dal successivo art. 16, lett. a), ovvero «quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura RAGIONE_SOCIALE anime, alla formazione del RAGIONE_SOCIALE e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana», anche quelle diverse di cui all’art. 16, lett. b), ovvero «quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro».
L’individuazione RAGIONE_SOCIALE due categorie di attività, ai fini della relativa disciplina nell’ordinamento civile, ed in particolare per quanto riguarda l’aspetto tributario, è stata ritenuta rispettosa di quanto previsto dall’articolo 7, n. 3, dell’accordo del 18 febbraio 1984 tra la Santa Sede e la Repubblica RAGIONE_SOCIALE, che, come anticipato, dispone che «Agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione»; riguardo invece alle ulteriori attività, il secondo comma dell’art. 7, n. 3, dell’accordo del 18 febbraio 1984,
espressamente richiamato dall’ art. 15 della legge n. 222 del 1985, stabilisce che: «Le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime».
3.5. La seconda questione attiene alla natura del reddito recuperato parzialmente a tassazione, pacificamente vertendosi in tema di redditi da locazione immobiliare.
Coerentemente con la ratio legis , la disposizione recata dall’art. 6 del d.P.R. n. 601 del 1973, in via di principio, deve applicarsi anche ai proventi derivanti dalla locazione del patrimonio immobiliare (come nel caso di immobili ricevuti per lasciti e donazioni o come tipicamente negli istituti RAGIONE_SOCIALE), a due condizioni, imposte dai principi sopra esposti (e che appaiono evidenziati anche nella recente circolare dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE entrate n. 15E del 15 maggio 2022).
In primo luogo, si deve essere in presenza di un mero godimento del patrimonio immobiliare, finalizzato al reperimento di fondi necessari al raggiungimento dei fini istituzionali dell’ente, che si configura quando la locazione di immobili si risolve nella mera riscossione dei canoni, senza una specifica e dedicata organizzazione di mezzi e risorse funzionali all’ottenimento del risultato economico.
In linea di principio, infatti, la mera riscossione dei canoni da parte dell’ente religioso, così come l’esecuzione dei pagamenti RAGIONE_SOCIALE spese riferite agli immobili, non implica di per sé l’esercizio di un’attività commerciale. Tuttavia, al fine di escludere lo svolgimento di una attività organizzata in forma di impresa, occorre verificare, caso per caso, che l’ente non impieghi strutture e mezzi organizzati con fini di concorrenzialità sul mercato, ovvero che non si avvalga di altri strumenti propri degli operatori di mercato, esaminando circostanze di fatto che caratterizzano in concreto la situazione specifica. Ad esempio,
il citato documento di prassi segnala alcuni indici idonei a tali fini: la ripetitività con la quale si immette sul libero mercato degli affitti il medesimo bene in ragione della stipula di contratti di breve durata; la consistenza del patrimonio immobiliare gestito (da valutarsi non isolatamente, ma qualora accompagnata dalla presenza di una struttura organizzativa dedicata alla gestione immobiliare); l’adozione di tecniche di marketing finalizzate ad attirare clientela; il ricorso a promozioni volte a fidelizzare il locatario; la presenza attiva in un mercato con spot pubblicitari ad hoc , insegne o marchi distintivi.
L’ipotesi di mero godimento ricorre invero quando gli immobili non sono inseriti in un tale contesto ma sono posseduti al mero scopo di trarne redditi di natura fondiaria, attraverso i quali l’ente si sostiene e si procura i proventi per poter raggiungere i fini istituzionali, compiendo quindi gli interventi conservativi, quali la manutenzione o il risanamento del bene, ovvero quelli migliorativi, atti a consentirne un uso idoneo, mentre, per converso, non rientra nella predetta nozione una gestione caratterizzata dalla presenza di atti volti alla trasformazione del patrimonio immobiliare.
Ciò è del resto conforme alla nozione unionale di «impresa» che abbraccia qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento (v. sentenza del 16 marzo 2004, RAGIONE_SOCIALE, C-264/01, C-306/01, C-354/01 e C-355/01, EU:C:2004:150, punto 46 e giurisprudenza ivi citata; sentenze del 10 gennaio 2006, RAGIONE_SOCIALE, C-222/04, EU:C:2006:8, punto 107, nonché del 27 giugno 2017, RAGIONE_SOCIALE Provincia Betania, C-74/16, EU:C:2017:496, punti 39 e 41 e giurisprudenza ivi citata).
Ove si verta in ipotesi di mero godimento, occorre poi che tali proventi siano effettivamente ed esclusivamente impiegati nelle attività di religione o di culto e cioè nel fine istituzionale dell’ente.
Trattandosi di mero godimento del patrimonio immobiliare, la destinazione dei relativi proventi, in via esclusiva e diretta, alla realizzazione RAGIONE_SOCIALE finalità istituzionali dell’ente consente di ricondurre il reddito così ritratto al beneficio della riduzione di aliquota.
Nell’ipotesi in cui l’ente svolga solo attività di religione o di culto , il reinvestimento nelle attività istituzionali rappresenta l’unica destinazione possibile dei proventi derivanti dal mero godimento del patrimonio immobiliare. Qualora, invece, l’ente svolga anche altre attività diverse , la destinazione dei proventi alle attività istituzionali dovrà risultare da apposita documentazione.
La sussistenza RAGIONE_SOCIALE predette condizioni garantisce che il godimento in chiave meramente conservativa del patrimonio immobiliare, i cui proventi costituiscono i mezzi necessari per il perseguimento dello scopo principale, non si ponga in contrasto con le finalità ideali e non economiche perseguite dall’ente.
3.6. Nel caso di specie, alla luce di tali principi, il motivo è fondato nei seguenti termini; la CTR ha di fatto riconosciuto l’agevolazione in base alla circostanza che l’attività dell’RAGIONE_SOCIALE sia di per sé attività di religione o culto e alla considerazione che i proventi siano utilizzati per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, sottraendosi alla necessità di accertare, quanto ai redditi di locazione, in primo luogo che l’ente non impieghi strutture e mezzi organizzati con fini di concorrenzialità sul mercato, e in secondo luogo, solo ove venga in rilievo un mero godimento degli immobili, nel dare rilevanza alla circostanza che i proventi siano destinati direttamente alle attività istituzionali.
Di conseguenza il ricorso va accolto, con cassazione della sentenza e rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Umbria, in diversa composizione, per nuovo esame, anche RAGIONE_SOCIALE questioni assorbite, e cui è demandato di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Umbria, in diversa composizione, per nuovo esame, anche RAGIONE_SOCIALE questioni assorbite, e cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2023.