Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2884 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5   Num. 2884  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 31/01/2024
AGEVOLAZIONE IRES ART. 6 D.P.R. 601/73RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE DEL RAGIONE_SOCIALE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4959/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  Direttore pro  tempore, elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente pro tempore , rappresentato  e  difeso  dall’AVV_NOTAIO e  dall’AVV_NOTAIO, in forza di procura allegata al ricorso, ed elettivamente domiciliato presso il loro studio sito in Roma al INDIRIZZO;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell ‘Umbria , n. 304/1/2018 depositata in data 4/07/2018; udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  camera  di  consiglio  del 14/12/2023 dal consigliere AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE, emetteva  avvisi  di  accertamento  con  cui  recuperava  a  tassazione maggior  Ires  per l’anno di  imposta  2010 nei  confronti  dell’RAGIONE_SOCIALE, disconoscendo l’agevolazione di cui all’art. 6, primo comma, lett. c) del d.P.R. n. 601 del 1973 per i redditi derivanti dal patrimonio immobiliare nonché recuperando a imposizione le plusvalenze derivanti da cessioni immobiliari.
L’ente proponeva ricorso alla Commissione tributaria RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE che lo accoglieva, annullando l’avviso .
La Commissione  tributaria regionale dell ‘Umbria rigettava l’appello dell ‘RAGIONE_SOCIALE.
In particolare, i giudici d’appello confermavano la sentenza di primo grado, quanto alla spettanza dell’agevolazione prevista dal citato art. 6, richiamando la motivazione della stessa CTR, nella sentenza n. 175/2018, ed affermando che essa compete non solo agli enti con fine di religione o culto ma anche per le attività dirette a tali fini; che l’attività degli RAGIONE_SOCIALE è un’attività diretta al fine di religione o culto essendo sen za dubbio ad essa strumentale, con tratti di differenza rispetto agli altri enti ecclesiastici; che la loro attività, avendo un vincolo di scopo, non potrebbe mai costituire attività commerciale; che nel caso concreto l’RAGIONE_SOCIALE aveva dimostrato di avere versato cospicue somme all’RAGIONE_SOCIALE centrale.
Inoltre,  rigettavano l’appello  anche  nella  parte  in  cui  aveva sostenuto  l ‘ imponibilità  RAGIONE_SOCIALE  plusvalenze  da  cessioni  immobiliari, evidenziando  l’inapplicabilità  degli  artt.  67  e  68  t.u.i.r. ,  posto  che l’RAGIONE_SOCIALE era subentrato per legge nella titolarità di tali beni e che non era possibile individuare un costo di acquisto degli stessi.
L’RAGIONE_SOCIALE ricorrente propone ricorso affidato a quattro motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Il ricorso è stato fissato per l ‘adunanza camerale dell’8/02/ 2023 e poi per l’adunanza camerale del 14/12/2023 , per la quale l’RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
Considerato che:
La ricorrente RAGIONE_SOCIALE propone quattro motivi di ricorso.
Con il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.P.R. n. 601 del 1973, dell’art. 7 n. 3 dell’accordo tra Stato italiano e Santa Sede del 1984, ratificato dalla l. n. 121 del 1985, degli artt. 15 e 16 della l. n. 122 del 1985, dell’art. 53 Cost., in relazi one all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; evidenzia in particolare che l’agevolazione in esame richiede non solo la qualifica dell’ente, ma anche la valutazione della natura dell’attività svolta, criterio oggettivo, attività che deve essere infatti coerente con il fine istituzionale perseguito o deve essere ad esso connessa da un rapporto di strumentalità diretta ed immediata; deduce ancora che del resto è lo stesso art. 7, comma 3, dell’accordo tra Stato italiano e Santa Sede di cui alla l. n. 121 del 1985 a prevedere che gli enti ecclesiastici possano svolgere attività diversa da quella di religione o culto e che in questo caso tali attività siano assoggettate al regime tributario previsto per le medesime; che la natura dell’attività non può es sere presunta né si può ritenere presuntivamente accertato che i proventi della riscossione dei canoni di locazione siano destinati in ogni caso a
integrare il compenso percepito dei sacerdoti senza che l’ente abbia mai dimostrato l’effettiva destinazione dei proventi; l’errore commesso è individuato nell’aver la CTR in sostanza ritenuto che l’attività di locazione degli immobil i e di un’azienda agraria, attraverso una struttura amministrativa composta da dipendenti a tempo indeterminato e determinato, costituirebbe di per sé attività strumentale meritevole dell’esenzione, finendo per attribuire a quest’ultima, nel caso di specie, natura di agevolazio ne soggettiva, peraltro in contrasto con i principi comunitari.
Con il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. , in quanto l’RAGIONE_SOCIALE aveva , sia nella prima dichiarazione che nella dichiarazione integrativa, indicato nei redditi imponibili le plusvalenze da cessioni immobiliari, unicamente contestando l’aliquota della tassazione, per cui avrebbe dovuto proporre istanza di rimborso ove avesse inteso nuovamente emendare la dichiarazione.
Col terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 67 e 68 t.u.i.r., in relazione all’art. 360, primo comma n. 3 , cod. proc. civ., censurando la decisione della CTR laddove ha ritenuto che non fosse tassabile la plusvalenza per la mancanza di un atto di acquisto da parte dell’RAGIONE_SOCIALE e la conseguente impossibilità di calcolare il valore iniziale, evidenziando che le disposizioni in tema di plusvalenze sono applicabili  in ogni caso  e che il costo iniziale era stato determinato, favorevolmente per l’RAGIONE_SOCIALE, nel valore alla data di trasferimento di diritto di tali beni al medesimo, 7/01/1986, data di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dei decreti ministeriali di riconoscimento civile degli RAGIONE_SOCIALE; in tal senso, seppure a fini INVIM, si era espressa la Risoluzione 1/306/T del 20/09/1986, richiamata anche in una nota dell’Avvocatura della Diocesi di Milano; peraltro evidenzia che era stato lo stesso
RAGIONE_SOCIALE a indicare tali redditi sia nella dichiarazione originaria che in quella integrativa.
Col  quarto  motivo  deduce  nullità  della  sentenza  per  violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., avendo la CTR omesso di pronunciarsi sul motivo di appello relativo alla validità della dichiarazione integrativa.
Non può essere accolta la richiesta di trattazione in pubblica udienza formulata dall’RAGIONE_SOCIALE nella memoria depositata il 27/07/2022, ben potendo il collegio giudicante escludere la ricorrenza dei relativi presupposti, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare al caso di specie (Cass., Sez. U., 5/06/2018, n. 14437), ed allorquando non si verta in tema di decisioni aventi rilevanza nomofilattica, idonee a rivestire efficacia di precedente, orientando, con motivazione avente anche funzione extra processuale, il successivo percorso della giurisprudenza (Cass., Sez. U., 23/04/2020, n. 8093; Cass. 21/01/2022, n. 2047; Cass. 13/01/2021, n. 392; Cass. 20/11/2020, n. 26480), il che è quanto avviene nel caso di specie alla luce RAGIONE_SOCIALE successive considerazioni.
Nell’esaminare il primo motivo del ricorso occorre fare riferimento a diversi precedenti di questa Corte (Cass. 16/01/2023, n. 1164;  Cass.  5/04/2023,  n.  9394;  Cass.  5/04/2023,  n.  9409;  Cass. 17/04/2023, n. 10201; Cass. 18/04/2023, n. 10400), che conducono all’accoglimento del ricorso nei termini che seguono .
Preliminarmente, peraltro, occorre rigettare le eccezioni di inammissibilità sollevate in riferimento alla mancanza di specificità del rinvio agli atti processuali, contenuto a pagina 26 del ricorso, e alla omessa censura della ratio decidendi.
Quanto  alla  prima  doglianza,  essa  è  evidentemente  infondata, concentrando la sua attenzione su un singolo passaggio del ricorso,
laddove  un’ampia  prima  parte  del  ricorso  contiene  una  articolata esposizione dello svolgimento processuale.
Né  appare  possibile  ritenere  che  l’ampio  e  articolato  motivo  di ricorso  non  censuri  la ratio  decidendi ,  che  non  sarebbe  data  dalla natura soggettiva dell’agevolazione ma dalle caratteristiche dell’RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE,  laddove  peraltro  proprio  tale  passaggio  è indicato espressamente quale parte censurata mentre i riferimenti alla natura anche oggettiva dell’ agevolazione costituiscono imprescindibile premessa al ragionamento della difesa erariale.
Ciò premesso, il primo motivo è fondato nei termini che seguono.
3.1. L’art. 6, primo comma, lett. c) del d.P.R. n. 601 del 1973 (rubricato «Riduzione dell’imposta sul reddito RAGIONE_SOCIALE persone giuridiche», abrogato dall’art. 1, comma 51, della l. 30/12/2018, n. 145, «a decorrere dal periodo d’imposta di prima applicazione del regime agevolativo di cui al comma 52-bis», il quale a sua volta stabilisce che «Con successivi provvedimenti legislativi sono individuate misure di favore, compatibili con il diritto dell’Unione europea, nei confronti dei soggetti che svolgono con modalità non commerciali attività che realizzano finalità sociali nel rispetto dei principi di solidarietà e sussidiarietà. È assicurato il necessario coordinamento con le disposizioni del codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117») prevede che l’imposta sul reddito RAGIONE_SOCIALE persone giuridiche è ridotta alla metà nei confronti degli enti il cui fine è equiparato per legge ai fini di beneficenza o di istruzione, purché in ogni caso tali enti abbiano personalità giuridica (secondo comma).
L’art.  7,  n.  3,  dell’accordo,  con  protocollo  addizionale,  firmato  a Roma il  18  febbraio  1984,  che  apporta  modificazioni  al  Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica RAGIONE_SOCIALE e la Santa Sede, ratificato con la l. 25/03/1985, n. 121, prevede che «Agli effetti
tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione» e che «le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime».
Occorre anche ricordare che la l. 20/05/1985, n. 222 («Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE cattolico in servizio nelle diocesi») prevede, all’art. 15, che «gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti possono svolgere attività diverse da quelle di religione o di culto, alle condizioni previste dall’articolo 7, n. 3, secondo comma, dell’accordo del 18 febbraio 1984», e, all’art. 16, che «Agli effetti RAGIONE_SOCIALE leggi civili si considerano comunque: a) attività di religione o di culto quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura RAGIONE_SOCIALE anime, alla formazione del RAGIONE_SOCIALE e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana; b) attività diverse da quelle di religione o di culto quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro».
3.2. Una consolidata giurisprudenza di questa Corte ritiene, al fine del riconoscimento dell’agevolazione dell’art. 6 d.P.R. n. 601 del 1973, che in generale non sia sufficiente il mero requisito soggettivo, non sia cioè, per quanto concerne in particolare gli enti equiparati a quelli di beneficenza o istruzione, sufficiente che essi siano sorti con tali enunciati fini, ma occorre altresì accertare che l’attività in concreto esercitata dagli stessi non abbia carattere commerciale, in via esclusiva o principale, ed inoltre, in presenza di un’attività commerciale di tipo non prevalente, che la stessa sia in rapporto di strumentalità diretta ed immediata con quei fini, e quindi, non si limiti a perseguire il
procacciamento dei mezzi economici al riguardo occorrenti , dovendo altrimenti essere classificata come «attività diversa», soggetta all’ordinaria tassazione  (Cass. 13/12/2016, n. 25586).
Tale giurisprudenza risale ad alcuni arresti degli anni ’90; in particolare Cass. 29/03/1990, n. 2573 ebbe a riconoscere che la necessità di accertare oltre al requisito soggettivo, l’attività concretamente svolta come descritta nell’atto costitutivo, con precisa indicazione dell’oggetto, ovvero, in difetto, come effettivamente svolta , nascesse alla stregua del coordinamento della citata norma con gli artt. 1 e 2 del d.P.R. 29/09/1973, n. 598 istitutivo dell’IRPEG, dovendosi accertare che non avesse carattere commerciale, in via esclusiva o principale, e, inoltre, in presenza di un’attività commerciale di tipo non prevalente (nella specie, attività editoriale), che la stessa fosse in rapporto di strumentalità diretta ed immediata con quei fini di religione e di culto, e quindi, non si limitasse a perseguire il procacciamento dei mezzi economici al riguardo occorrenti; tale decisione concludeva che tale non è un’attività volta al procacciamento di mezzi economici, quando,  per la intrinseca natura di essa o per la sua estraneità rispetto al fine (di religione o di culto), non sia con esso coerente in quanto indifferentemente utilizzabile per il perseguimento di qualsiasi altro fine; quando si tratti, cioè, di un’attività volta al procacciamento di mezzi economici da impiegare in una ulteriore attività direttamente finalizzata, quest’ultima, al culto o alla religione  .
La  natura  non  solo  soggettiva  dell’agevolazione  è  stata  poi  da questa  Corte  confermata  in  numerose  altre  decisioni  (iniziando  da Cass. 15/02/1995, n. 1633 e Cass. 08/03/1995, n. 2705, che ebbe anche a precisare che il rapporto di strumentalità deve essere accertato dal giudice del merito  e  che  il  relativo  accertamento,  ove  sia logicamente  e  congruamente  motivato,  è  incensurabile  in  sede  di
legittimità; successivamente Cass. 13/01/2021, n. 339; Cass. 2/10/2013, n. 22493).
Ciò significa, in altri termini, che l’esistenza del fine «di religione o di culto» rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente per la spettanza dell’agevolazione, in quanto, come detto, il beneficio non è applicabile solo in ragione della qua lificazione soggettiva dell’ente ma assume rilevanza anche l’elemento oggettivo, rappresentato dal tipo di attività svolta.
Tale interpretazione è del resto coerente con la considerazione che l’agevolazione, configurando un’eccezione al principio di corrispondenza fra capacità contributiva e soggettività tributaria (quale immediata applicazione del canone costituzionale di cui all’articolo 53 della Costituzione), «può giustificarsi solo in ragione della considerazione della attività che determinate categorie di contribuenti svolgono» (Consiglio Stato, parere 8 ottobre 1991, n. 1296) e con la considerazione che le norme agevolatrici sono norme eccezionali e quindi di stretta interpretazione (in tal senso la stessa Cass. n. 25586 del 2016).
Il  quadro  va  completato  ricordando  che  ricade  sul  soggetto richiedente l’onere di provare il possesso di tutti i requisiti necessari per la fruizione del beneficio fiscale, per cui l’ente deve dimostrare, ai fini  della  propria  natura  non  commerciale,  che  l ‘attività  in  concreto svolta non abbia carattere commerciale in via esclusiva o principale.
Alla luce di tali decisioni, pertanto deve ribadirsi che l’agevolazione di cui all’art. 6, primo comma, d.P.R. n. 601 del 1973 spetti agli enti con finalità di beneficenza o istruzione o ad essi equiparati per legge, come gli enti ecclesiastici con fine di religione o culto (elemento soggettivo) e per le attività non commerciali o per le attività commerciali non prevalenti che siano in rapporto di strumentalità diretta e immediata con i fini di beneficenza e istruzione o, nel caso di
specie, religione o culto (elemento oggettivo); con le precisazioni che l’attività è  strumentale direttamente ove con essa l’ente si limiti a procacciare i mezzi economici occorrenti al fine istituzionale  e che non è un’attività volta al procacciamento di mezzi economici, quando,  per la intrinseca natura di essa o per la sua estraneità rispetto al fine (di religione o di culto), non sia con esso coerente in quanto indifferentemente utilizzabile per il perseguimento di qualsiasi altro fine; quando si tratti, cioè, di un’attività volta al procacciamento di mezzi economici da impiegare in una ulteriore attività direttamente finalizzata, quest’ultima, al culto o alla religione 
3.3. Posti tali principi di carattere generale occorre esaminare le due questioni specifiche del presente giudizio, cioè la natura dell’RAGIONE_SOCIALE e la possibilità di considerare  l’attività  di  concessione  a  terzi  di  l ocazione  di  immobili come strumentale e diretta al fine statutario.
3.4. Gli RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE fanno parte degli enti ecclesiastici che possono essere civilmente riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili, ai sensi degli artt. 21, 22 ed 1-5, della  legge  n.  222  del  1985,  che  reg olano  l’istituzione  e  il  fine  dei medesimi.
L’art. 21 prevede infatti che in ogni diocesi venga eretto, entro il 30 settembre 1986, con decreto del Vescovo RAGIONE_SOCIALE, l’RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE previsto dal canone 1274 del codice di diritto canonico (il quale prevede che  Nelle singole diocesi ci sia un istituto speciale che raccolga i beni o le offerte, al preciso scopo che si provveda al RAGIONE_SOCIALE dei chierici che prestano servizio a favore della diocesi, a norma del can. 281, a meno che non si sia provveduto ai medesimi diversamente  ).
L’art. 24, comma 1, determina le attività demandate agli RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, stabilendo, per quanto qui interessa,
che dall’1 gennaio 1987 ognuno di essi provveda, in conformità allo statuto, ad assicurare, nella misura periodicamente determinata dalla RAGIONE_SOCIALE, il congruo e dignitoso RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE che svolge servizio in favore della relativa diocesi.
L’art. 27, inoltre, aggiunge che l’RAGIONE_SOCIALE centrale e gli altri RAGIONE_SOCIALE per  il  RAGIONE_SOCIALE  del  RAGIONE_SOCIALE  possono  svolgere  anche  funzioni previdenziali integrative autonome per il RAGIONE_SOCIALE, prevedendo altresì che ogni  RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE  destini,  in  conformità  ad  apposite  norme statutarie, una quota RAGIONE_SOCIALE proprie risorse per sovvenire alle necessità che  si  manifestino  nei  casi  di  abbandono  della  vita  ecclesiastica  da parte di coloro che non abbiano altre fonti sufficienti di reddito.
L’art. 28 prevede che con il decreto di erezione di ciascun RAGIONE_SOCIALE sono contestualmente estinti la mensa vescovile, i benefici capitolari, parrocchiali,  vicariali  curati  o  comunque  denominati,  esistenti  nella diocesi, e i loro patrimoni siano trasferiti di diritto all’RAGIONE_SOCIALE stesso.
Gli artt. 33-35 prevedono ulteriori compiti degli RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE e regolano il funzionamento di questi ultimi sotto diversi aspetti.
Appare utile evidenziare, per quanto qui interessa, che l’art. 35, comma 1, in materia di aspetti economici riguardanti il funzionamento dell’RAGIONE_SOCIALE,  stabilisce  che  esso  provveda  all’integrazione  economica eventualmente  spettante  ai  sacerdoti  della  diocesi  con  i  redditi  del proprio patrimonio, salvo l’intervento dell’RAGIONE_SOCIALE centrale nel caso in cui questi ultimi fossero insufficienti.
Gli  artt.  36-38,  infine,  disciplinano  l’alienazione  di  beni,  ed  in particolare anche di immobili, da parte degli RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE.
Dal complesso di tali disposizioni, come questa Corte ha già avuto modo di osservare (Cass. 30/07/2019, n. 20480) si evince pertanto che il legislatore non ha escluso, ed anzi ha presupposto, che l’RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE possa svolgere, accanto ad attività di religione o di culto, anche ulteriori compiti, ed in particolare anche attività di natura e rilevanza economica e commerciale, finalizzate alla produzione di quei redditi del proprio patrimonio attraverso i quali provvedere ad integrare, se necessario, la remunerazione spettante al RAGIONE_SOCIALE che svolge servizio in favore della diocesi, per assicurare il congruo e dignitoso RAGIONE_SOCIALE di ogni sacerdote (in quel caso l’RAGIONE_SOCIALE aveva negato che l’RAGIONE_SOCIALE potesse beneficiare della rivalutazione di un terreno, in quanto spettante solo ai soggetti titolari di reddito d’impresa, ovvero, ma limitatamente ai beni relativi all’attività commerciale, agli enti non commerciali, i quali, pur svolgendo attività commerciali, non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di queste ultime, escludendo la sua inclusione sia tra i soggetti di cui all’art. 73, comma 1, lett. a) e b) t.u.i.r., richiamato dall’art. 15, comma 16, del d.l. n. 185 del 2008, convertito dalla l. n. 2 del 2009, sia tra i soggetti menzionati nell’art. 15 della l. n. 342 del 2000).
In tale precedente la Corte, come dedotto in quella sede dal ricorrente RAGIONE_SOCIALE, ha ritenuto che esso si inserisca tra gli enti ecclesiastici, civilmente riconosciuti, che, come previsto dall’art. 15 della l. n. 222 del 1985, possono svolgere, oltre alle attività di religione o di culto descritte dal successivo art. 16, lett. a), ovvero «quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura RAGIONE_SOCIALE anime, alla formazione del RAGIONE_SOCIALE e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana», anche quelle diverse di cui all’art. 16, lett. b), ovvero «quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro».
L’individuazione RAGIONE_SOCIALE due categorie di attività, ai fini della relativa disciplina nell’ordinamento civile, ed in particolare per quanto riguarda l’aspetto  tributario,  è  stata  ritenuta  rispettosa  di  quanto  previsto
dall’articolo 7, n. 3, dell’accordo del 18 febbraio 1984 tra la Santa Sede e la Repubblica RAGIONE_SOCIALE, che, come anticipato, dispone che «Agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione»; riguardo invece alle ulteriori attività, il secondo comma dell’art. 7, n. 3, dell’accordo del 18 febbraio 1984, espressamente richiamato dall’ art. 15 della legge n. 222 del 1985, stabilisce che: «Le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime».
3.5. La seconda questione attiene alla natura del reddito recuperato parzialmente a tassazione, pacificamente vertendosi in tema di redditi da locazione immobiliare.
Coerentemente con la ratio legis , la disposizione recata dall’art. 6 del d.P.R. n. 601 del 1973, in via di principio, deve applicarsi anche ai proventi derivanti dalla locazione del patrimonio immobiliare (come nel caso di  immobili  ricevuti  per  lasciti  e  donazioni  o  come  tipicamente negli  istituti  RAGIONE_SOCIALE),  a  due  condizioni,  imposte  dai  principi  sopra esposti  (e  che  appaiono  evidenziati  anche  nella  recente  circolare dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE entrate n. 15E del 15 maggio 2022).
In primo luogo, si deve essere in presenza di un mero godimento del patrimonio immobiliare, finalizzato al reperimento di fondi necessari al raggiungimento dei fini istituzionali dell’ente, che si configura quando la  locazione di immobili si risolve nella  mera riscossione dei canoni, senza  una  specifica  e  dedicata  organizzazione  di  mezzi  e  risorse funzionali all’ottenimento del risultato economico.
In linea di principio, infatti, la mera riscossione dei canoni da parte dell’ente religioso, così come l’esecuzione dei pagamenti RAGIONE_SOCIALE spese riferite  agli  immobili,  non  implica  di  per  sé  l’esercizio  di  un’attività
commerciale. Tuttavia, al fine di escludere lo svolgimento di una attività organizzata in forma di impresa, occorre verificare, caso per caso, che l’ente non impieghi strutture e mezzi organizzati con fini di concorrenzialità sul mercato, ovvero che non si avvalga di altri strumenti propri degli operatori di mercato, esaminando circostanze di fatto che caratterizzano in concreto la situazione specifica. Ad esempio, il citato documento di prassi segnala alcuni indici idonei a tali fini: la ripetitività con la quale si immette sul libero mercato degli affitti il medesimo bene in ragione della stipula di contratti di breve durata; la consistenza del patrimonio immobiliare gestito (da valutarsi non isolatamente, ma qualora accompagnata dalla presenza di una stru ttura organizzativa dedicata alla gestione immobiliare); l’adozione di tecniche di marketing finalizzate ad attirare clientela; il ricorso a promozioni volte a fidelizzare il locatario; la  presenza attiva  in un mercato con spot pubblicitari ad hoc , insegne o marchi distintivi.
L’ipotesi di mero godimento ricorre invero quando gli immobili non sono inseriti in un tale contesto ma sono posseduti al mero scopo di trarne redditi di natura fondiaria, attraverso i quali l’ente si sostiene e si procura i proventi per poter raggiungere i fini istituzionali, compiendo quindi gli interventi conservativi, quali la manutenzione o il risanamento del bene, ovvero quelli migliorativi, atti a consentirne un uso idoneo, mentre, per converso, non rientra nella predetta nozione una gestione caratterizzata dalla presenza di atti volti alla trasformazione del patrimonio immobiliare.
Ciò è del resto conforme alla nozione unionale di «impresa» che abbraccia qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento (v. sentenza del 16 marzo 2004, RAGIONE_SOCIALE, C-264/01, C-306/01, C-354/01 e C-355/01, EU:C:2004:150, punto 46 e giurisprudenza ivi citata;  sentenze del 10 gennaio 2006, Cassa di
RAGIONE_SOCIALE, C-222/04, EU:C:2006:8, punto 107, nonché del 27 giugno 2017, RAGIONE_SOCIALE, C-74/16, EU:C:2017:496, punti 39 e 41 e giurisprudenza ivi citata).
Ove  si  verta  in  ipotesi  di  mero  godimento,  occorre  poi  che  tali proventi siano effettivamente ed  esclusivamente impiegati nelle attività di  religione o di culto  e cioè nel fine istituzionale dell’ente. Trattandosi di mero godimento del patrimonio immobiliare, la destinazione  dei  relativi  proventi,  in  via  esclusiva  e  diretta,  alla realizzazione RAGIONE_SOCIALE finalità istituzionali dell’ente consente di ricondurre il reddito così ritratto al beneficio della riduzione di aliquota.
Nell’ipotesi  in  cui  l’ente  svolga  solo  attività  di  religione  o  di culto  , il reinvestimento nelle attività istituzionali rappresenta l’unica destinazione possibile dei proventi derivanti dal mero godimento del patrimonio  immobiliare.  Qualora,  invece,  l’ente  svolga  anche  altre  attività diverse  , la destinazione dei proventi alle attività istituzionali dovrà risultare da apposita documentazione.
La sussistenza RAGIONE_SOCIALE predette condizioni garantisce che il godimento in  chiave  meramente  conservativa  del  patrimonio  immobiliare,  i  cui proventi  costituiscono  i  mezzi  necessari  per  il  perseguimento  dello scopo principale, non si ponga in contrasto con le finalità ideali e non economiche perseguite dall’ente.
3.6. Nel caso di specie, alla luce di tali principi, il motivo è fondato nei seguenti termini; la CTR ha di fatto riconosciuto l’agevolazione in base alla circostanza che l’attività dell’RAGIONE_SOCIALE sia di per sé attività di religione o culto e alla considerazione che i proventi siano utilizzati per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, sottraendosi alla necessità di accertare, quanto ai redditi di locazione, in primo luogo che l’ente non impieghi strutture e mezzi organizzati con fini di concorrenzialità sul mercato, e in secondo luogo, solo ove venga in rilievo un mero godimento degli
immobili,  nel  dare  rilevanza  alla  circostanza  che  i  proventi  siano destinati direttamente alle attività istituzionali.
Il secondo motivo è infondato.
Il motivo è proposto deducendo un vizio processuale di omessa pronuncia ma senza alcuna precisa indicazione del motivo di appello sul quale la CTR non si sarebbe pronunciata. La doglianza è altresì infondata laddove deduce, senza però alcun riferimento normativo, che la dichiarazione dei redditi da plusvalenza non potesse essere emendata in sede processuale, in quanto tale assunto contrasta con Cass. Sez. U., 30/06/2016, n. 13378, per cui l’errore , di fatto o di diritto, commesso nella redazione della dichiarazione, incidente sull’obbligazione tributaria, è non solo suscettibile di essere oggetto di dichiarazione integrativa o di istanza di rimborso ma può sempre essere fatto valere dal contribuente per opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, in sede contenziosa; mentre la questione della compensazione della imposta sostitutiva con l’IRES sulla plusvalenza, cui sembra alludere il motivo, laddove evidenzia l’inammissibilità di domande riconvenzionali del contribuente, ovviamente non è stata esaminata dalla CTR in quanto logicamente subordinata rispetto alla ritenuta non imponibilità della medesima.
Il terzo motivo è fondato.
5.1.  Si  controverte  sulla  tassabilità  della  plusvalenza  derivante dalla cessione a titolo oneroso di terreni edificatori, prevista dall’art. 67, primo comma, lett. b, t.u.i.r, che dispone che siano tassate  in ogni caso le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria  , nel particolare caso in cui il terreno sia stato acquistato ope legis , in forza di successione tra enti.
L’art. 28 della l. n. 222 del 1985 prevede infatti che con il decreto di erezione di ciascun RAGIONE_SOCIALE sono contestualmente estinti la mensa
vescovile, i benefici capitolari, parrocchiali, vicariali curati o comunque denominati, esistenti nella diocesi, e i loro patrimoni siano trasferiti di diritto  all’RAGIONE_SOCIALE  stesso  (il  quarto  comma  del  medesimo  articolo precisa che l’RAGIONE_SOCIALE succede ai benefici estinti in tutti i rapporti attivi e passivi).
La  CTR  ha  ritenuto  che  la  plusvalenza  non  sia  tassabile  non ricorrendo  i  presupposti  degli  artt.  67  e  68  t.u.i.r.  non  potendo l’acquisto ope legis, e in particolare la successione nel patrimonio di enti  soppressi,  costituire  un  acquisto  idoneo  a  determinare  il  valore iniziale dell’immobile.
5.2. L’art. 67, primo comma, lett. b, t.u.i.r. prevede la tassabilità: 1) RAGIONE_SOCIALE plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari; 2) nonchè, in ogni caso, RAGIONE_SOCIALE plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione.
La ratio RAGIONE_SOCIALE due ipotesi è diversa.
Per quanto riguarda la cessione infraquinquennale di fabbricati, è chiaro che il legislatore presume in tale operazione un fine speculativo nel comportamento di un soggetto che realizza o acquista la proprietà di un edificio e nel giro di soli cinque anni lo rivende; per tali ragioni esclude dalla tassazione gli acquisti per successione e le abitazioni principali, proprio perché in questi casi il titolo in base al quale si è divenuti proprietari o la destinazione del fabbricato a propria residenza escludono, per loro natura, un  intento speculativo  e la presenza di un  reddito prodotto  .
Nella  cessione  di terreni edificabili,  a  differenza  della  precedente fattispecie, è invece irrilevante che la cessione sia infraquinquennale o che il terreno sia pervenuto per successione, come chiarito dall’inciso  in  ogni  caso  .  La  ricchezza  prodotta  non  deriva  qui  da  un intento  speculativo  in  senso  proprio,  bensì  da  una  caratteristica intrinseca del bene.
In dottrina i motivi che hanno spinto il legislatore dell’art. 11, primo comma, lettera f) , della l. n. 413 del 1991, modificativo dell’art. 81 t.u.i.r. (ora art. 67), a trattare in modo differente le plusvalenze immobiliari realizzate a seguito della cessione RAGIONE_SOCIALE aree edificabili sono legate, in sintesi, alla considerazione che l’incremento del valore patrimoniale del terreno comporta un incremento di ricchezza in capo al suo proprietario e che la causa dell’arricchimento del cittadinocontribuente proprietario di un terreno divenuto edificabile è una conseguenza della decisione della pubblica amministrazione e prescinde dal suo comportamento e dalla sua intenzione.
Tali principi sono posti a base della giurisprudenza di questa Corte laddove ritiene che non integri tale fattispecie impositiva l’ipotesi della cessione di un terreno con fabbricato da demolire:  la ratio ispiratrice del citato art. 81, nella formulazione introdotta dalla l. n. 413 del 1991, è tesa inequivocabilmente ad assoggettare a prelievo fiscale la manifestazione di forza economica conseguente “all’avvenuta destinazione edificatoria in sede di pianificazione urbanistica” di terreni ovvero, in altri termini, ad assoggettare ad imposizione la plusvalenza che scaturisce non “in virtù di un’attività produttiva del proprietario o possessore, ma per l’avvenuta destinazione edificatoria in sede di pianificazione urbanistica” dei terreni (per tutte Cass. 09/07/2014, n. 15629)  .
5.3. Fatte tali considerazioni, la presenza quindi dell’inciso  in ogni caso  nell’individuazione del reddito tassato da parte dell’art. 67, lett.
b, t.u.i.r., non solo esclude le cause di esonero (in particolare l’acquisto per successione) ma svincola la tassabilità della plusvalenza derivante dalla  cessione  del  terreno  edificabile  anche  dalla  presenza  di  un antecedente  atto di acquisto  avvenuto nel quinquennio.
L’art.  67  t.u.i.r.  (proprio  in  forza  di  una  sua  interpretazione letterale,  cui  fa  riferimento  l’RAGIONE_SOCIALE  richiamando  Cass.,  Sez.  U., 25/07/2022, n. 23051) non consente quindi di esentare da tassabilità della plusvalenza l’ente che abbia acquisito il bene, poi alienato, per successione da altro ente (la quale, ai sensi degli artt. 174 e 172 t.u.i.r. infatti non genera realizzo).
5.4. L’RAGIONE_SOCIALE richiama la risoluzione 9/2226 del 23 febbraio 1983 del Ministero RAGIONE_SOCIALE finanze che aveva ritenuto non tassabile la plusvalenza derivante dalla vendita, da parte di alcune RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, dei beni immobili già appartenenti a disciolte RAGIONE_SOCIALE, alle stesse pervenuti in proprietà per effetto della l. n. 902 del 1977; in quel caso il Ministero ritenne che la vendita non integrasse alcuna RAGIONE_SOCIALE fattispecie previste dall’art. 76 d.P.R. n. 597 del 1973, per carenza degli elementi costitutivi RAGIONE_SOCIALE fattispecie stesse, evidenziando che la presunzione assoluta contenuta nel terzo comma, punto 2), dell’art. 76 fosse subordinata alla sussistenza RAGIONE_SOCIALE seguenti condizioni: a) che i beni immobili non destinati all’utilizzazione personale da parte dell’acquirente o dei familiari abbiano formato oggetto di acquisto e vendita; b) che il tempo intercorrente tra i due atti non sia superiore a cinque anni. Il Ministero precisò che mancava l’atto di acquisto, e cioè uno dei due momenti essenziali perchè potesse ritenersi realizzata l’intera operazione speculativa, ritenendo che l’acquisizione della proprietà di uno o più beni immobili, da parte RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, non potesse assimilarsi a detta figura giuridica, dal momento che essa discendeva dall’attuazione di una
legge e non da una convenzione liberamente posta in essere dalle parti, comportante la corresponsione di un corrispettivo.
La risoluzione va calata però entro il riferimento normativo cui si riferisce, costituito dall’art. 76 d.P.R. n. 597 del 1973, secondo il quale erano tassabili le plusvalenze conseguite mediante operazioni poste in essere con fini speculativi; si tratta, cioè, sostanzialmente RAGIONE_SOCIALE ipotesi previste dall’art. 67 per la cessione dell’immobile nel quinquennio.
Il motivo va quindi accolto.
Il  quarto motiv o,  con cui la difesa erariale denuncia l’omessa pronuncia sulla validità della dichiarazione integrativa, invero alquanto aspecifico, con rilevanti profili di inammissibilità, è comunque infondato.
Dallo svolgimento del processo esposto dall’RAGIONE_SOCIALE emerge che l’RAGIONE_SOCIALE aveva presentato una prima dichiarazione in cui le plusvalenze erano state indicate come plusvalenze da conferimenti di beni e aziende e assoggettate a imposta sostitutiva del 19%; poi una dichiarazione integrativa in ravvedimento operoso con cui lo stesso importo era stato indicato come corrispettivo ex art. 67 t.u.i.r., con Ires ridotta, non versata in quanto compensata con l’imposta sostitutiva versata in forza della prima dichiarazione.
Con  l’avviso  l’RAGIONE_SOCIALE ,  recuperando  i  ricavi  da  cessioni  quali plusvalenze  tassabili,  evidenziava  la  invalidità  della  dichiarazione integrativa per omesso versamento.
Nel ricorso l’RAGIONE_SOCIALE, in subordine rispetto alla affermata intassabilità della plusvalenza, sostenendo che la dichiarazione poteva essere sempre emendata, deduceva di avere il diritto di compensare l’imposta sostitutiva (pagina 5 del ricorso).
La CTP annullava l’av v iso ritenendo inapplicabile l’art. 67 t .u.i.r.
L ‘Ufficio  proponeva  appello in  cui  (come  indicato  a  pagina  10) segnalava l’ omessa pronuncia sulla validità della dichiarazione
integrativa, in quanto la dichiarazione integrativa era stata a vantaggio della contribuente, comportamento non ammesso in sede di ravvedimento operoso.
A fronte di tale iter processuale, la CTR, nel momento in cui ha ritenuto non imponibile la plusvalenza, in ragione della inapplicabilità degli artt. 67 e 68 t.u.i.r., espressamente ha ritenuto  assorbiti gli altri motivi di ricorso proposti dall’RAGIONE_SOCIALE con il ricorso di primo grado e riproposti con l’atto di gravame, ancorchè incidentale  . Ora, se è vero che la pronuncia di assorbimento non si riferisce espressamente anche agli ulteriori motivi di appello erariale, appare evidente che la questione della valenza della dichiarazione integrativa con annessa compensabilità della imposta sostitutiva versata in forza di essa con la maggior Ires nonché la questione dei costi da calcolare ai fini del calcolo della plusvalenza erano questioni logicamente subordinate alla (esclusa) tassabilità ai sensi degli artt. 67 e 68 t.u.i.r.
 Di  conseguenza il ricorso va accolto,  quanto al  primo e terzo motivo, con rigetto degli altri, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Umbria, in  diversa  composizione,  per  nuovo  esame,  anche  RAGIONE_SOCIALE  questioni assorbite, e cui è demandato di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Umbria, in diversa composizione, per nuovo esame, anche RAGIONE_SOCIALE questioni assorbite, e cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2023.