Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2877 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5   Num. 2877  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 31/01/2024
AGEVOLAZIONE IRES ART. 6 D.P.R. 601/73RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE DEL RAGIONE_SOCIALE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 33501/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  Direttore pro  tempore, elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente pro tempore , rappresentato  e  difeso  dall’AVV_NOTAIO e  dall’AVV_NOTAIO,  in forza di procura  allegata al controricorso,  ed elettivamente  domiciliato  presso  il  loro  studio  sito  in  Roma  al  INDIRIZZO;
-controricorrente e ricorrente incidentaleavverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del l’Umbria n. 175/2018 depositata in data 10/04/2018; udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  camera  di  consiglio  del
14/12/2023 dal consigliere dott. NOME COGNOME.
Rilevato che:
 A  seguito  di  pvc  e  della  successiva  dichiarazione  integrativa, l ‘RAGIONE_SOCIALE, recuperava a tassazione  maggior  Ires  per  l’anno  di  imposta  20 10  nei  confronti dell’RAGIONE_SOCIALE ,  disconoscendo l’agevolazione di cui all’art. 6, primo comma, lett. c) del d.P.R. n. 601 del 1973.
L’ente proponeva ricorso alla Commissione tributaria RAGIONE_SOCIALE di  RAGIONE_SOCIALE  che  lo  accoglieva  in  parte,  annullando l’avviso ,  ritenendo applicabile l’agevolazione  in  parola ma  respingendo  le  doglianze relative all’erroneo assoggettamento a tassazione di canoni di locazione indicati in misura maggiore di quella effettivamente percepita.
La Commissione  tributaria regionale del l’Umbria rigettava l’appello principale  dell ‘RAGIONE_SOCIALE  e  quello  incidentale dell’RAGIONE_SOCIALE .
In particolare, i giudici d’appello, rigettata l’eccezione di inammissibilità dell’appello principale, confermavano la sentenza di primo grado, quanto alla spettanza dell’agevolazione prevista dal citato art. 6, affermando che essa compete non solo agli enti con fine di religione o culto ma anche per le attività dirette a tali fini; che l’attività degli RAGIONE_SOCIALE è un’attività diretta al fine di religione o culto essendo senza dubbio ad essa strumentale, con tratti di differenza rispetto agli altri enti ecclesiastici; che la loro attività, avendo un vincolo di scopo, non potrebbe mai costituire attività commerciale; che nel caso concreto l’RAGIONE_SOCIALE gestiva
circa 6.000 particelle di terreno e 58 fabbricati, 22 dei quali locati a prezzo di mercato per vari usi ed aveva dimostrato di avere versato cospicue somme all’RAGIONE_SOCIALE centrale; rigettava altresì l’appello incidentale, ritenendo che l’errata indicazione di maggiori somme nella dichiarazione dei redditi andasse recuperata con istanza di rimborso.
L’RAGIONE_SOCIALE ricorrente propone ricorso affidato a un motivo.
L’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE–RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso e propone ricorso incidentale affidato a due motivi.
Il ricorso è stato fissato per l ‘adunanza camerale dell’8/02/2023 e poi per l’adunanza camerale del 14/12/2023, per la quale il controricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
1. Co n l’unico motivo di ricorso, l’RAGIONE_SOCIALE denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.P.R. n. 601 del 1973, dell’art. 7 n. 3 dell’accordo tra Stato italiano e Santa Sede del 1984, ratificato dalla l. n. 121 del 1985, degli artt. 15 e 16 della l. n. 122 del 1985 e dell’art. 53 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; evidenzia in particolare che l’agevolazione in esame richiede non solo la qualifica dell’ente, ma anche la valutazione della natura dell’attività svolta, criterio oggettivo, attività che deve essere infatti coerente con il fine istituzionale perseguito o deve essere ad esso connessa da un rapporto di strumentalità diretta ed immediata; deduce ancora che del resto è lo stesso art. 7, comma 3, dell’accordo tra Stato italian o e Santa Sede di cui alla l. n. 121 del 1985 a prevedere che gli enti ecclesiastici possano svolgere attività diversa da quella di religione o culto e che in questo caso tali attività siano assoggettate al regime tributario previsto per le medesime; che l a natura dell’attività non può essere presunta né si può ritenere presuntivamente accertato che i proventi della riscossione dei canoni di locazione siano destinati in ogni caso a
integrare il compenso percepito dei sacerdoti senza che l’ente abbia mai dimostrato l’effettiva destinazione de gli stessi ; l’errore commesso è  individuato  nell’aver  la  CTR  in  sostanza  ritenuto  che  l’attività d ell’istituto costituirebbe  di  per  sé  attività  strumentale  meritevole dell’esenzione, finendo per attribuire a quest’ultima, nel caso di specie, natura di agevolazione soggettiva, peraltro in contrasto con i principi comunitari.
1.1. Con il primo motivo di ricorso incidentale , l’RAGIONE_SOCIALE deduce  violazione  degli  artt.  111  Cost.,  132,  secondo  comma,  cod. proc. civ., 36, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. , lamentando l’apparenza della motivazione  laddove  consista  in  un  acritico  richiamo  di  massime giurisprudenziali.
Con il secondo motivo l’RAGIONE_SOCIALE deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 38 d.P.R. n. 602 del 1973, 2, comma 9bis , d.P.R. n. 322 del 1998, nonché degli artt. 53, primo comma, 97, primo comma, 111, primo comma, Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., laddove la CTR ha ritenuto che, in relazione alla maggior posta di reddito (canoni di locazione) erroneamente indicata in dichiarazione, la parte dovesse attivarsi con istanza di rimborso e non potesse far valere l’errore nel contenzioso avverso l’atto impositivo, soprattutto in considerazione della mancata contestazione di tale errore. Tale assunto violerebbe consolidati principi sull’emendabilità della dichiarazione quale dichiarazione di scienza, e imporrebbe una ingiustificata e gravatoria moltiplicazione dei giudizi.
 Non  può  essere  accolta  la  richiesta  di  trattazione  in  pubblica udienza formulata dall’RAGIONE_SOCIALE nella memoria depositata il 29/07/2022, ben potendo il collegio giudicante escludere la ricorrenza dei relativi presupposti, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare al caso di specie (Cass., Sez. U., 5/06/2018, n. 14437),
ed  allorquando  non  si  verta  in  tema  di  decisioni  aventi  rilevanza nomofilattica,  idonee  a  rivestire  efficacia  di  precedente,  orientando, con motivazione avente anche funzione extra processuale, il successivo percorso della giurisprudenza (Cass., Sez. U., 23/04/2020, n. 8093; Cass. 21/01/2022,  n. 2047;  Cass. 13/01/2021,  n. 392; Cass. 20/11/2020, n. 26480), il che è quanto avviene nel caso di specie alla luce RAGIONE_SOCIALE successive considerazioni.
 Il  ricorso  erariale  va  esaminato  facendo  riferimento  a  diversi precedenti  di  questa  Corte  (Cass.  16/01/2023,  n.  1164; Cass. 5/04/2023, n. 9394; Cass. 5/04/2023, n. 9409; Cass. 17/04/2023, n. 10201; Cass. 18/04/2023, n. 10400).
Preliminarmente peraltro occorre rigettare le eccezioni di inammissibilità sollevate in riferimento alla mancanza di specificità del rinvio agli atti processuali, contenuto a pagina 27 del ricorso, e alla omessa censura della ratio decidendi.
Quanto  alla  prima  doglianza,  essa  è  evidentemente  infondata, concentrando la sua attenzione su un singolo passaggio del ricorso, laddove  un’ampia  prima  parte  del medesimo  contiene  un ‘ articolata esposizione dello svolgimento processuale.
Né  appare  possibile  ritenere  che  l’ampio  e  articolato  motivo  di ricorso  non  censuri  la ratio  decidendi ,  che  non  sarebbe  data  dalla natura soggettiva dell’agevolazione ma dalle caratteristiche dell’RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE,  laddove  peraltro  proprio  tale  passaggio  è indicato espressamente quale parte censurata mentre i riferimenti alla natura anche oggettiva dell’agevolazione costituiscono imprescindibile premessa del ragionamento della difesa erariale.
Ciò premesso, il motivo è fondato nei termini che seguono.
3 .1.  L’art.  6,  primo  comma,  lett.  c)  del  d.P.R.  n.  601  del  1973 (rubricato «Riduzione dell’imposta sul reddito RAGIONE_SOCIALE persone giuridiche», abrogato dall’art. 1, comma 51, della l. 30/12/2018, n.
145 , «a decorrere dal periodo d’imposta di prima applicazione del regime agevolativo di cui al comma 52-bis», il quale a sua volta stabilisce che «Con successivi provvedimenti legislativi sono individuate misure di favore, compatibili con il diritto dell’Unio ne europea, nei confronti dei soggetti che svolgono con modalità non commerciali attività che realizzano finalità sociali nel rispetto dei principi di solidarietà e sussidiarietà. È assicurato il necessario coordinamento con le disposizioni del codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117») prevede che l’imposta sul reddito RAGIONE_SOCIALE persone giuridiche è ridotta alla metà nei confronti degli enti il cui fine è equiparato per legge ai fini di beneficenza o di istruzione, purché in ogni caso tali enti abbiano personalità giuridica (secondo comma).
L’art. 7, n. 3, dell’accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica RAGIONE_SOCIALE e la Santa Sede, ratificato con la l. 25/03/1985, n. 121, prevede che «Agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione» e che «le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime».
Occorre anche ricordare che la l.  20/05/1985, n. 222 («Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE cattolico in servizio nelle diocesi» )  prevede, all’art. 15, che «gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti possono svolgere attività diverse da quelle di religione o di culto, alle condizioni previste dall’articolo 7, n. 3, secondo comma, dell’accordo del 18 febbraio 1984» , e, all’art. 16,
che «Agli effetti RAGIONE_SOCIALE leggi civili si considerano comunque: a) attività di religione o di culto quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura RAGIONE_SOCIALE anime, alla formazione del RAGIONE_SOCIALE e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana; b) attività diverse da quelle di religione  o  di  culto  quelle  di  assistenza  e  beneficenza,  istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro».
3.2. Una consolidata giurisprudenza di questa Corte ritiene, al fine del riconoscimento dell’agevolazione dell’art. 6 d.P.R. n. 601 del 1973, che in generale non sia sufficiente il mero requisito soggettivo, non sia cioè, per quanto concerne in particolare gli enti equiparati a quelli di beneficenza o istruzione, sufficiente che essi siano sorti con tali enunciati fini, ma occorre altresì accertare che l’attività in concreto esercitata dagli stessi non abbia carattere commerciale, in via esclusiva o principale, ed inoltre, in presenza di un’attività commerciale di tipo non prevalente, che la stessa sia in rapporto di strumentalità diretta ed immediata con quei fini, e quindi, non si limiti a perseguire il procacciamento dei mezzi economici al riguardo occorrenti , dovendo altrimenti essere classificata come «attività diversa», soggetta all’ordinaria tassazione (Cass. 13/12/2016, n. 25586).
Tale giurisprudenza risale ad alcuni arresti degli anni ’90; in particolare Cass. 29/03/1990, n. 2573 ebbe a riconoscere che la necessità di accertare oltre al requisito soggettivo, l’attività concretamente svolta come descritta nell’atto costitutivo, con precisa indicazione dell’oggetto, ovvero, in difetto, come effettivamente svolta , nascesse alla stregua del coordinamento della citata norma con gli artt. 1 e 2 del d.P.R. 29/09/1973, n. 598 istitutivo dell’IRPEG, dovendosi accertare che non avesse carattere commerciale, in via esclusiva o principale, e, inoltre, in presenza di un’attività commerciale di tipo non prevalente (nella specie, attività editoriale), che la stessa fosse in
rapporto di strumentalità diretta ed immediata con quei fini di religione e di culto, e quindi, non si limitasse a perseguire il procacciamento dei mezzi economici al riguardo occorrenti; tale decisione concludeva che tale non è un’attività volta al procacciamento di mezzi economici, quando,  per la intrinseca natura di essa o per la sua estraneità rispetto al fine (di religione o di culto), non sia con esso coerente in quanto indifferentemente utilizzabile per il perseguimento di qualsiasi altro fine; quando si tratti, cioè, di un’attività volta al procacciamento di mezzi economici da impiegare in una ulteriore attività direttamente finalizzata, quest’ultima, al culto o alla religione  .
La  natura  non  solo  soggettiva  dell’agevolazione  è  stata  poi  da questa  Corte  confermata  in  numerose  altre  decisioni  (iniziando  da Cass. 15/02/1995, n. 1633 e Cass. 08/03/1995, n. 2705, che ebbe anche a precisare che il rapporto di strumentalità deve essere accertato dal giudice del merito  e  che  il  relativo  accertamento,  ove  sia logicamente  e  congruamente  motivato,  è  incensurabile  in  sede  di legittimità; successivamente Cass. 13/01/2021, n. 339; Cass. 2/10/2013, n. 22493).
Ciò significa, in altri termini, che l ‘esistenza del fine «di religione o di culto» rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente per la spettanza dell’agevolazione, in quanto, come detto, il beneficio non è applicabile solo in ragione della qualificazione soggettiva dell’ente ma assume rilevanza anche l’elemento oggettivo, ra ppresentato dal tipo di attività svolta.
Tale interpretazione è del resto coerente con la considerazione che l’agevolazione, configurando un’eccezione al principio di corrispondenza fra capacità contributiva e soggettività tributaria (quale immediata applicazione del canone costituzionale di cui all’articolo 53 della Costituzione), «può giustificarsi solo in ragione della considerazione della attività che determinate categorie di contribuenti
svolgono» (Consiglio Stato, parere 8 ottobre 1991, n. 1296) e con la considerazione  che  le  norme  agevolatrici  sono  norme  eccezionali  e quindi di stretta interpretazione.
Il  quadro  va  completato  ricordando  che  ricade  sul  soggetto richiedente l’onere di provare il possesso di tutti i requisiti necessari per la fruizione del beneficio fiscale, per cui l’ente deve dimostrare, ai fini  della  propria  natura  non  commerciale,  che  l ‘attività  in  concreto svolta non abbia carattere commerciale in via esclusiva o principale.
Alla luce di tali decisioni, pertanto deve ribadirsi che l’agevolazione di cui all’art. 6, primo comma, d.P.R. n. 601 del 1973 spetti agli enti con finalità di beneficenza o istruzione o ad essi equiparati per legge, come gli enti ecclesiastici con fine di religione o culto (elemento soggettivo) e per le attività non commerciali o per le attività commerciali non prevalenti che siano in rapporto di strumentalità diretta e immediata con i fini di beneficenza e istruzione o, nel caso di specie, religione o culto (elemento oggettivo); con le precisazioni che l’attività è  strumentale direttamente ove con essa l’ente si limiti a procacciare i mezzi economici occorrenti al fine istituzionale  e che non è un’attività volta al procacciamento di mezzi economici, quando,  per la intrinseca natura di essa o per la sua estraneità rispetto al fine (di religione o di culto), non sia con esso coerente in quanto indifferentemente utilizzabile per il perseguimento di qualsiasi altro fine; quando si tratti, cioè, di un’attività volta al procacciamento di mezzi economici da impiegare in una ulteriore attività direttamente finalizzata, quest’ultima, al culto o alla religione 
3.3. Posti tali principi di carattere generale occorre esaminare le due questioni specifiche del presente giudizio, cioè la natura dell’RAGIONE_SOCIALE e la possibilità di considerare  l’attività  di  concessione  a  terzi  di  lo cazione  di  immobili come strumentale e diretta al fine statutario.
3.4. Gli RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE fanno parte degli enti ecclesiastici che possono essere civilmente riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili, ai sensi degli artt. 21, 22 ed 1-5, della  legge  n.  222  del  1985,  che  rego lano  l’istituzione  e  il  fine  dei medesimi.
L’art. 21 prevede infatti che in ogni diocesi venga eretto, entro il 30 settembre 1986, con decreto del Vescovo RAGIONE_SOCIALE, l’RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE previsto dal canone 1274 del codice di diritto canonico (il quale prevede che  Nelle singole diocesi ci sia un istituto speciale che raccolga i beni o le offerte, al preciso scopo che si provveda al RAGIONE_SOCIALE dei chierici che prestano servizio a favore della diocesi, a norma del can. 281, a meno che non si sia provveduto ai medesimi diversamente  ).
L’art. 24, comma 1, determina le attività demandate agli RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, stabilendo, per quanto qui interessa, che dall’1 gennaio 1987 ognuno di essi provveda, in conformità allo statuto, ad assicurare, nella misura periodicamente determinata dalla RAGIONE_SOCIALE, il congruo e dignitoso RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE che svolge servizio in favore della relativa diocesi.
L’art. 27, inoltre, aggiunge che l’RAGIONE_SOCIALE centrale e gli altri RAGIONE_SOCIALE per  il  RAGIONE_SOCIALE  del  RAGIONE_SOCIALE  possono  svolgere  anche  funzioni previdenziali integrative autonome per il RAGIONE_SOCIALE, prevedendo altresì che ogni  RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE  destini,  in  conformità  ad  apposite  norme statutarie, una quota RAGIONE_SOCIALE proprie risorse per sovvenire alle necessità che  si  manifestino  nei  casi  di  abbandono  della  vita  ecclesiastica  da parte di coloro che non abbiano altre fonti sufficienti di reddito.
L’art. 28 prevede che con il decreto di erezione di ciascun RAGIONE_SOCIALE sono contestualmente estinti la mensa vescovile, i benefici capitolari, parrocchiali,  vicariali  curati  o  comunque  denominati,  esistenti  nella diocesi, e i loro patrimoni siano trasferiti di diritto all’RAGIONE_SOCIALE stesso.
Gli artt. 33-35 prevedono ulteriori compiti degli RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE e regolano il funzionamento di questi ultimi sotto diversi aspetti.
Appare utile evidenziare, per quanto qui interessa, che l’art. 35, comma 1, in materia di aspetti economici riguardanti il funzionamento dell’RAGIONE_SOCIALE,  stabilisce  che  esso  provveda  all’integrazione  economica eventualmente  spettante  ai  sacerdoti  della  diocesi  con  i  redditi  del proprio patrimonio, salvo l’intervento dell’RAGIONE_SOCIALE centrale nel caso in cui questi ultimi fossero insufficienti.
Gli  artt.  36-38,  infine,  disciplinano  l’alienazione  di  beni,  ed  in particolare anche di immobili, da parte degli RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE.
Dal complesso di tali disposizioni, come questa Corte ha già avuto modo di osservare (Cass. 30/07/2019, n. 20480) si evince pertanto che il legislatore non ha escluso, ed anzi ha presupposto, che l’RAGIONE_SOCIALE possa svolgere, accanto ad attività di religione o di culto, anche ulteriori compiti, ed in particolare anche attività di natura e rilevanza economica e commerciale, finalizzate alla produzione di quei redditi del proprio patrimonio attraverso i quali provvedere ad integrare, se necessario, la remunerazione spettante al RAGIONE_SOCIALE che svolge servizio in favore della diocesi, per assicurare il congruo e dignitoso RAGIONE_SOCIALE di ogni sacerdote (in quel caso l’RAGIONE_SOCIALE aveva negato che l’RAGIONE_SOCIALE potesse beneficiare della rivalutazione di un terreno, in quanto spettante solo ai soggetti titolari di reddito d’impresa, ovvero, ma limitatamente ai beni relativi all’attività commerciale, agli enti non commerciali, i quali, pur svolgendo attività commerciali, non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di queste ultime, escludendo la sua inclusione sia tra i soggetti di cui all’art. 73, comma 1, lett. a) e b) t.u.i.r., richiamato dall’art. 15, comma 16, del d.l. n. 185 del 2008, convertito
dalla l. n. 2 del 2009, sia tra i soggetti menzionati nell’art. 15 della l. n. 342 del 2000).
In tale precedente la Corte, come dedotto in quella sede dal ricorrente RAGIONE_SOCIALE, ha ritenuto che esso si inserisca tra gli enti ecclesiastici, civilmente riconosciuti, che, come previsto dall’art. 15 della l. n. 222 del 1985, possono svolgere, oltre alle attività di religione o di culto descritte dal successivo art. 16, lett. a), ovvero «quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura RAGIONE_SOCIALE anime, alla formazione del RAGIONE_SOCIALE e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana», anche quelle diverse di cui all’art. 16, lett. b), ovvero «quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro».
L’individuazione RAGIONE_SOCIALE due categorie di attività, ai fini della relativa disciplina nell’ordinamento civile, ed in particolare per quanto riguarda l’aspetto tributario, è stata ritenuta rispettosa di quanto previsto dall’articolo 7, n. 3, dell’accordo del 18 febbraio 1984 tra la Santa Sede e la Repubblica RAGIONE_SOCIALE, che, come anticipato, dispone che «Agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione»; riguardo invece alle ulteriori attività, il secondo comma dell’art. 7, n. 3, dell’accordo del 18 febbraio 1984, espressamente richiamato dall’ art. 15 della legge n. 222 del 1985, stabilisce che: «Le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime».
3.5. La seconda questione attiene alla natura del reddito recuperato parzialmente a tassazione, pacificamente vertendosi in tema di redditi da locazione immobiliare.
Coerentemente con la ratio legis , la disposizione recata dall’art. 6 del d.P.R. n. 601 del 1973, in via di principio, deve applicarsi anche ai proventi derivanti dalla locazione del patrimonio immobiliare (come nel caso di  immobili  ricevuti  per  lasciti  e  donazioni  o  come  tipicamente negli  istituti  RAGIONE_SOCIALE),  a  due  condizioni,  imposte  dai  principi  sopra esposti  (e  che  appaiono  evidenziati  anche  nella  recente  circolare dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE entrate n. 15E del 15 maggio 2022).
In primo luogo, si deve essere in presenza di un mero godimento del patrimonio immobiliare, finalizzato al reperimento di fondi necessari al raggiungimento dei fini istituzionali dell’ente, che si configura quando la  locazione di immobili si risolve nella  mera riscossione dei canoni, senza  una  specifica  e  dedicata  organizzazione  di  mezzi  e  risorse funzionali all’ottenimento del risultato economico.
In linea di principio, infatti, la mera riscossione dei canoni da parte dell’ente religioso, così come l’esecuzione dei pagamenti RAGIONE_SOCIALE spese riferite agli immobili, non implica di per sé l’esercizio di un’attività commerciale. Tuttavia, al fine di escludere lo svolgimento di una attività organizzata in forma di impresa, occorre verificare, caso per caso, che l’ente non impieghi strutture e mezzi organizzati con fini di concorrenzialità sul mercato, ovvero che non si avvalga di altri strumenti propri degli operatori di mercato, esaminando circostanze di fatto che caratterizzano in concreto la situazione specifica. Ad esempio, il citato documento di prassi segnala alcuni indici idonei a tali fini: la ripetitività con la quale si immette sul libero mercato degli affitti il medesimo bene in ragione della stipula di contratti di breve durata; la consistenza del patrimonio immobiliare gestito (da valutarsi non isolatamente, ma qualora accompagnata dalla presenza di una struttura organizzativa dedicata alla gestion e immobiliare); l’adozione di tecniche di marketing finalizzate ad attirare clientela; il ricorso a
promozioni volte a fidelizzare il locatario; la  presenza attiva  in un mercato con spot pubblicitari ad hoc , insegne o marchi distintivi.
L’ipotesi di mero godimento ricorre invero quando gli immobili non sono inseriti in un tale contesto ma sono posseduti al mero scopo di trarne redditi di natura fondiaria, attraverso i quali l’ente si sostiene e si procura i proventi per poter raggiungere i fini istituzionali, compiendo quindi gli interventi conservativi, quali la manutenzione o il risanamento del bene, ovvero quelli migliorativi, atti a consentirne un uso idoneo, mentre, per converso, non rientra nella predetta nozione una gestione caratterizzata dalla presenza di atti volti alla trasformazione del patrimonio immobiliare.
Ciò è del resto conforme alla nozione unionale di «impresa» che abbraccia qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento (v. sentenza del 16 marzo 2004, RAGIONE_SOCIALE, C-264/01, C-306/01, C-354/01 e C-355/01, EU:C:2004:150, punto 46 e giurisprudenza ivi citata; sentenze del 10 gennaio 2006, RAGIONE_SOCIALE, C-222/04, EU:C:2006:8, punto 107, nonché del 27 giugno 2017, RAGIONE_SOCIALE Provincia Betania, C-74/16, EU:C:2017:496, punti 39 e 41 e giurisprudenza ivi citata).
Ove  si  verta  in  ipotesi  di  mero  godimento,  occorre  poi  che  tali proventi siano effettivamente ed  esclusivamente impiegati nelle attività di  religione o di culto  e cioè nel fine istituzionale dell’ente. Trattandosi di mero godimento del patrimonio immobiliare, la destinazione  dei  relativi  proventi,  in  via  esclusiva  e  diretta,  alla realizzazione RAGIONE_SOCIALE finalità istituzionali dell’ente consente di ricondurre il reddito così ritratto al beneficio della riduzione di aliquota.
Nell’ipotesi  in  cui  l’ente  svolga  solo  attività  di  religione  o  di culto  , il reinvestimento nelle attività istituzionali rappresenta l’unica destinazione possibile dei proventi derivanti dal mero godimento del
patrimonio  immobiliare.  Qualora,  invece,  l’ente  svolga  anche  altre  attività diverse  , la destinazione dei proventi alle attività istituzionali dovrà risultare da apposita documentazione.
La sussistenza RAGIONE_SOCIALE predette condizioni garantisce che il godimento in  chiave  meramente  conservativa  del  patrimonio  immobiliare,  i  cui proventi  costituiscono  i  mezzi  necessari  per  il  perseguimento  dello scopo principale, non si ponga in contrasto con le finalità ideali e non economiche perseguite dall’ente.
3.6. Nel caso di specie, alla luce di tali principi, il motivo è fondato nei seguenti termini; la CTR ha di fatto riconosciuto l’agevolazione in base alla circostanza che l’attività dell’RAGIONE_SOCIALE sia di per sé attività di religione o culto e alla considerazione che i proventi siano utilizzati per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, sottraendosi alla necessità di accertare, quanto ai redditi di locazione, in primo luogo che l’ente non impieghi strutture e mezzi organizzati con fini di concorrenzialità sul mercato, e in secondo luogo, solo ove venga in rilievo un mero godimento degli immobili, nel dare rilevanza alla circostanza che i proventi siano destinati direttamente alle attività istituzionali.
Il ricorso incidentale è affidato a due motivi.
4.1. Il primo motivo di ricorso incidentale, con cui viene denunciata una motivazione apparente, è infondato.
E’ noto che a seguito della riformulazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del  minimo costituzionale  richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e danno luogo a nullità della sentenza rilevante ai sensi dell’art. 360, primo comma. n. 4) cod. proc. civ.- di  mancanza della motivazione quale requisito essenziale del
provvedimento  giurisdizionale  ,  di  motivazione  apparente  ,  di  manifesta  ed  irriducibile  contraddittorietà  e  di  motivazione perplessa  od  incomprensibile  ; al di fuori di esse, il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un  fatto storico  ,  che  abbia  formato  oggetto  di  discussione  e  che  appaia  decisivo  ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass., Sez. U., 7/04/2014, n. 8053).
Nel caso di specie la predetta motivazione è graficamente esistente, non si limita a un mero richiamo a precedenti di legittimità ma  provvede  a  trarne  una  precisa ratio  decidendi ,  fondata  sulla considerazione che l’avvenuto pagamento del tributo su una posta di reddito dichiarata erroneamente in misura maggiore, imponga di far valere  l’errore  mediante istanza  di  rimborso,  che,  applicata  al  caso concreto, ha condotto al rigetto dell’appello incidentale .
4.2. Il secondo motivo del ricorso incidentale verte sulla possibilità di emendare in sede contenziosa la dichiarazione dei redditi oggetto di un errore e, nei termini che seguono, è fondato.
I n fatto l’RAGIONE_SOCIALE deduce che in dichiarazione siano stati erroneamente indicati redditi di locazione maggiori di quelli reali.
La CTR, rigett ando l’appello incidentale sul punto, ha richiamato Cass. 9/03/2018, n. 5728 che, nel ribadire il principio di Cass., Sez. U., 30/06/2016, n. 13378, per cui l’errore , di fatto o di diritto, commesso nella redazione della dichiarazione, incidente sull’obbligazione tributaria, è non solo suscettibile di essere oggetto di dichiarazione integrativa o di istanza di rimborso ma può sempre essere fatto valere dal contribuente per opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, in sede contenziosa, ne ha tuttavia limitato l’applicazione al caso in cui l’opposizione miri a limitare o contrastare la pretesa fiscale che si sia tradotta nell’emissione di una cartella esattoriale o di altro atto impositivo, ma non anche ove il
contribuente introduca  una nuova e contrapposta richiesta ovvero faccia valere un credito  . In tali casi, ha precisato la Corte, è evidente, infatti, che il contribuente, autore di una dichiarazione inesatta a proprio danno, ove abbia dato seguito alla dichiarazione stessa, provvedendo a versare (in tutto o in parte) una somma più elevata rispetto a quella effettivamente dovuta, non può contrapporre, nella sede contenziosa, alla pretesa dell’Amministrazione l’esistenza di un diritto di rimborso ovvero di un credito per aver versato un importo erroneamente computato (v. anche Cass. 20/09/2017, n. 21730; Cass. 13/09/2017, n. 21242). Sempre in tale precedente la Corte ha osservato che depone in tal senso, del resto, il carattere impugnatorio del processo tributario, che ha ad oggetto esclusivamente il controllo della legittimità, formale e sostanziale, di uno degli specifici atti impositivi elencati nell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992. L’indagine sul rapporto tributario, quindi, è limitata al riscontro della consistenza della pretesa fatta valere con l’atto stesso, sicché è strutturalmente incompatibile con il processo tributario la possibilità di proporre una domanda riconvenzionale (v. Cass. 20/02/2013, n. 4145; Cass. 11/03/2010, n. 5928; Cass. 22/09/2006, n. 20516. In casi siffatti il contribuente ha l’onere di presentare apposita istanza di rimborso ovvero di riconoscimento di un credito d’imposta.
Fermo tale principio, deve però escludersi che esso possa essere applicato al caso di specie, ove non si è in presenza di crediti di imposta (caso in cui la questione assume un rilievo diverso in presenza, generalmente, di specifiche disposizioni) e la ripresa dell’ufficio è sulla aliquota applicabile al reddito; né si è presenza di una domanda di rimborso in senso proprio, per cui torna a valere il principio generale di Cass. Sez. U. n. 13378/2016 cit. (come del resto evidenziato in Cass. 6/06/2018, n. 14542 che espressamente fa riferimento al rimborso di quanto versato in eccedenza).
Di conseguenza il ricorso principale va accolto; va altresì accolto il  ricorso  incidentale  nel  suo  secondo  motivo,  rigettato  il  primo;  la sentenza della CTR dell’Umbria va cassata, con rinvio alla stessa, in diversa composizione, e cui è demandato di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie  il  ricorso  principale;  accoglie  il  secondo  motivo  del  ricorso incidentale, rigettato il primo;
cassa la sentenza impugnata, rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del l’Umbria , in diversa composizione, cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2023.