Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2860 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5   Num. 2860  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 31/01/2024
AGEVOLAZIONE IRES ART. 6 D.P.R. 601/73RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE DEL RAGIONE_SOCIALE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27931/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  Direttore pro  tempore, elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  Presidente pro  tempore ,  rappresentato  e difeso dall’AVV_NOTAIO , in forza di procura speciale per AVV_NOTAIO  rep.  299903  del  7  dicembre  2017,  ed elettivamente  domiciliato  presso  il  suo  studio  sito  in  Roma  al  INDIRIZZO;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione  tributaria regionale del Piemonte n. 675/2017 depositata in data 19/04/2017; udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  camera  di  consiglio  del 14/12/2023 dal consigliere dott. NOME COGNOME.
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE, recuperava a tassazione maggior Ires per l’anno di imposta 2006 nei confronti  dell’RAGIONE_SOCIALE Tortona , disconoscendo l’agevolazione di cui all’art. 6, primo comma, lett. c) del d.P.R. n. 601 del 1973.
L’ente proponeva ricorso alla Commissione tributaria RAGIONE_SOCIALE di  RAGIONE_SOCIALE  che  lo  accoglieva,  annullando l’avviso ,  ritenendo  la natura soggettiva dell’agevolazione in parola .
 La  Commissione  tributaria  regionale  del  Piemonte  rigettava l’appello dell’RAGIONE_SOCIALE.
In particolare, i giudici d’appello confermavano la sentenza di primo grado, quanto alla spettanza dell’agevolazione prevista dal citato art. 6, affermandone  da  un  canto  la  natura  soggettiva  e,  dall’altro, evidenziando  che  comunque  l’RAGIONE_SOCIALE  svolge  attività  in rapporto di strumentalità immediata e diretta con il fine di religione e culto, sostanzialmente di gestione di locazioni da cui ricava proventi direttamente utilizzati per corrispondere la remunerazione ai sacerdoti.
L’RAGIONE_SOCIALE ricorrente propone ricorso affidato a due motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE di Tortona resiste con controricorso.
Il ricorso è stato fissato per l ‘adunanza camerale dell’8/02/2023 e poi per l’adunanza camerale del 14/12/2023, per la quale il controricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
Col primo motivo di ricorso, l’RAGIONE_SOCIALE denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.P.R. n. 601 del 1973, dell’art. 7 n. 3 dell’accordo tra Stato italiano e Santa Sede del 1984, ratificato dalla l. n. 121 del 1985, dell’art. 53 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc . civ.; evidenzia in particolare che l’agevolazione in esame richiede non solo la qualifica dell’ente, ma anche la valutazione della natura dell’attività svolta, criterio oggettivo, attività che deve essere infatti coerente con il fine istituzionale perseguito o deve essere ad esso connessa da un rapporto di strumentalità diretta ed immediata; deduce ancora che del resto è lo stesso art. 7, comma 3, dell’accordo tra Stato italiano e Santa Sede di cui alla l . n. 121 del 1985 a prevedere che gli enti ecclesiastici possano svolgere attività diversa da quella di religione o culto e che in questo caso tali attività siano assoggettate al regime tributario previsto per le medesime; l’errore commesso è individuato nell’aver la CTR in sostanza ritenuto che l’attività dell’RAGIONE_SOCIALE costituirebbe di per sé attività strumentale meritevole dell’esenzione, finendo per attribuire a quest’ultima, nel caso di specie, natura di agevolazione soggettiva, peraltro in contrasto con i principi comunitari.
Col secondo motivo l’RAGIONE_SOCIALE deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. , in quanto trattandosi di norma agevolativa, l’onere di provarne i presupposti grava sul contribuente.
Non può essere accolta la richiesta di trattazione in pubblica udienza formulata dall’RAGIONE_SOCIALE nella memoria depositata il 29/07/2022, ben potendo il collegio giudicante escludere la ricorrenza dei relativi presupposti, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare al caso di specie (Cass., Sez. U., 5/06/2018, n. 14437), ed allorquando non si verta in tema di decisioni aventi rilevanza nomofilattica, idonee a rivestire efficacia di precedente, orientando,
con motivazione avente anche funzione extra processuale, il successivo percorso della giurisprudenza (Cass., Sez. U., 23/04/2020, n. 8093; Cass. 21/01/2022,  n. 2047;  Cass. 13/01/2021,  n. 392; Cass. 20/11/2020, n. 26480), il che è quanto avviene nel caso di specie alla luce RAGIONE_SOCIALE successive considerazioni.
Occorre poi dare atto che la memoria depositata in data 1/12/2022, nella sua prima parte, fa riferimento ad una pronuncia di assorbimento e  alla  corretta  imposizione  di  plusvalenze,  questioni  che  però,  per quanto risulta da sentenza, ricorso e controricorso, sono estranee al perimetro del contenzioso definito dalla sentenza impugnata.
I due motivi del ricorso erariale vanno esaminati congiuntamente e nel farlo occorre fare riferimento a diversi precedenti di questa Corte (Cass.  16/01/2023,  n.  1164;  Cass.  5/04/2023,  n.  9394;  Cass. 5/04/2023, n. 9409; Cass. 17/04/2023, n. 10201; Cass. 18/04/2023, n. 10400).
Preliminarmente peraltro occorre rigettare le eccezioni di inammissibilità sollevate in riferimento alla  omessa trascrizione dell’avviso di accertamento e alla omessa censura di una RAGIONE_SOCIALE rationes decidendi.
Quanto alla prima doglianza, essa si fonda sul richiamo di Cass. 31/10/2017, n. 25922, che però appare non pertinente al caso di specie, essendo stata pronunciata per dichiarare l’inammissibilità di un ricorso in cui le critiche erano rivolte nei confronti dell’atto impositivo più che della sentenza impugnata, mentre nel caso di specie non solo non viene in rilievo un vizio di motivazione dell’avviso ma i termini della vicenda sostanziale sono anche pacifici tra le part i, per cui l’omessa trascrizione appare irrilevante.
Né  appare  possibile  ritenere  che  l’ampio  e  articolato  motivo  di ricorso  non  censuri  la ratio  decidendi ,  che  non  sarebbe  data  dalla natura soggettiva dell’agevolazione ma dalle caratteristiche
dell’RAGIONE_SOCIALE,  laddove  peraltro  proprio  tale  passaggio  è indicato espressamente quale parte censurata a pagina 7 del ricorso.
Ciò premesso, i motivi sono fondati.
3 .1. L’art. 6, primo comma, lett. c) del d.P.R. n. 601 del 1973 (rubricato «Riduzione dell’imposta sul reddito RAGIONE_SOCIALE persone giuridiche», abrogato dall’art. 1, comma 51, della l. 30/12/2018, n. 145 , «a decorrere dal periodo d’imposta di prima applicazione del regime agevolativo di cui al comma 52-bis», il quale a sua volta stabilisce che «Con successivi provvedimenti legislativi sono individuate misure di favore, compatibili con il diritto dell’Unio ne europea, nei confronti dei soggetti che svolgono con modalità non commerciali attività che realizzano finalità sociali nel rispetto dei principi di solidarietà e sussidiarietà. È assicurato il necessario coordinamento con le disposizioni del codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117») prevede che l’imposta sul reddito RAGIONE_SOCIALE persone giuridiche è ridotta alla metà nei confronti degli enti il cui fine è equiparato per legge ai fini di beneficenza o di istruzione, purché in ogni caso tali enti abbiano personalità giuridica (secondo comma).
L’art. 7, n. 3, dell’accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica RAGIONE_SOCIALE e la Santa Sede, ratificato con la l. 25/03/1985, n. 121, prevede che «Agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione» e che «le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime».
Occorre anche ricordare che la l. 20/05/1985, n. 222 («Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE cattolico in servizio nelle diocesi» ) prevede, all’art. 15, che «gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti possono svolgere attività diverse da quelle di religione o di culto, alle condizioni previste dall’articolo 7, n. 3, secondo comma, dell’accordo del 18 febbraio 1984» , e, all’art. 16, che «Agli effetti RAGIONE_SOCIALE leggi civili si considerano comunque: a) attività di religione o di culto quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura RAGIONE_SOCIALE anime, alla formazione del RAGIONE_SOCIALE e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana; b) attività diverse da quelle di religione o di culto quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro».
3.2. Una consolidata giurisprudenza di questa Corte ritiene, al fine del riconoscimento dell’agevolazione dell’art. 6 d.P.R. n. 601 del 1973, che in generale non sia sufficiente il mero requisito soggettivo, non sia cioè, per quanto concerne in particolare gli enti equiparati a quelli di beneficenza o istruzione, sufficiente che essi siano sorti con tali enunciati fini, ma occorre altresì accertare che l’attività in concreto esercitata dagli stessi non abbia carattere commerciale, in via esclusiva o principale, ed inoltre, in presenza di un’attività commerciale di tipo non prevalente, che la stessa sia in rapporto di strumentalità diretta ed immediata con quei fini, e quindi, non si limiti a perseguire il procacciamento dei mezzi economici al riguardo occorrenti , dovendo altrimenti essere classificata come «attività diversa», soggetta all’ordinaria tassazione (Cass. 13/12/2016, n. 25586).
Tale  giurisprudenza  risale  ad  alcuni  arresti  degli  anni  ’90;  in particolare  Cass. 29/03/1990,  n.  2573  ebbe  a  riconoscere  che  la necessità di accertare oltre al requisito soggettivo, l’attività concretamente svolta come descritta nell’atto costitutivo, con precisa
indicazione dell’oggetto, ovvero, in difetto, come effettivamente svolta , nascesse alla stregua del coordinamento della citata norma con gli artt. 1 e 2 del d.P.R. 29/09/1973, n. 598 istitutivo dell’IRPEG, dovendosi accertare che non avesse carattere commerciale, in via esclusiva o principale, e, inoltre, in presenza di un’attività commerciale di tipo non prevalente (nella specie, attività editoriale), che la stessa fosse in rapporto di strumentalità diretta ed immediata con quei fini di religione e di culto, e quindi, non si limitasse a perseguire il procacciamento dei mezzi economici al riguardo occorrenti; tale decisione concludeva che tale non è un’attività volta al procacciamento di mezzi economici, quando,  per la intrinseca natura di essa o per la sua estraneità rispetto al fine (di religione o di culto), non sia con esso coerente in quanto indifferentemente utilizzabile per il perseguimento di qualsiasi altro fine; quando si tratti, cioè, di un’attività volta al procacciamento di mezzi economici da impiegare in una ulteriore attività direttamente finalizzata, quest’ultima, al culto o alla religione  .
La  natura  non  solo  soggettiva  dell’agevolazione  è  stata  poi  da questa  Corte  confermata  in  numerose  altre  decisioni  (iniziando  da Cass. 15/02/1995, n. 1633 e Cass. 08/03/1995, n. 2705, che ebbe anche a precisare che il rapporto di strumentalità deve essere accertato dal giudice del merito  e  che  il  relativo  accertamento,  ove  sia logicamente  e  congruamente  motivato,  è  incensurabile  in  sede  di legittimità; successivamente Cass. 2/10/2013, n. 22493; Cass. 13/01/2021, n. 339).
Ciò significa, in altri termini, che l ‘esistenza del fine «di religione o di culto» rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente per la spettanza dell’agevolazione, in quanto, come detto, il beneficio non è applicabile solo in ragione della qualificazione soggettiva dell’ente ma assume rilevanza anche l’elemento oggettivo, ra ppresentato dal tipo di attività svolta.
Tale interpretazione è del resto coerente con la considerazione che l’agevolazione, configurando un’eccezione al principio di corrispondenza fra capacità contributiva e soggettività tributaria (quale immediata applicazione del canone costituzionale di cui all’articolo 53 della Costituzione), «può giustificarsi solo in ragione della considerazione della attività che determinate categorie di contribuenti svolgono» (Consiglio Stato, parere 8/10/1991, n. 1296) e con la considerazione che le norme agevolatrici sono norme eccezionali e quindi di stretta interpretazione (in tal senso Cass. n. 25586 del 2016 citata).
Il  quadro  va  completato  ricordando  che  ricade  sul  soggetto richiedente l’onere di provare il possesso di tutti i requisiti necessari per la fruizione del beneficio fiscale, per cui l’ente deve dimostrare, ai fini  della  propria  natura  non  commerciale,  che  l ‘attività  in  concreto svolta non abbia carattere commerciale in via esclusiva o principale.
Alla luce di tali decisioni, pertanto deve ribadirsi che l’agevolazione di cui all’art. 6, primo comma, d.P.R. n. 601 del 1973 spetti agli enti con finalità di beneficenza o istruzione o ad essi equiparati per legge, come gli enti ecclesiastici con fine di religione o culto (elemento soggettivo) e per le attività non commerciali o per le attività commerciali non prevalenti che siano in rapporto di strumentalità diretta e immediata con i fini di beneficenza e istruzione o, nel caso di specie, religione o culto (elemento oggettivo); con le precisazioni che l’attività è  strumentale direttamente ove con essa l’ente si limiti a procacciare i mezzi economici occorrenti al fine istituzionale  e che non è un’attività volta al procacciamento di mezzi economici, quando,  per la intrinseca natura di essa o per la sua estraneità rispetto al fine (di religione o di culto), non sia con esso coerente in quanto indifferentemente utilizzabile per il perseguimento di qualsiasi altro fine; quando si tratti, cioè, di un’attività volta al procacciamento di
mezzi  economici  da  impiegare  in  una  ulteriore  attività  direttamente finalizzata, quest’ultima, al culto o alla religione 
3.3. Posti tali principi di carattere generale occorre esaminare le due questioni specifiche del presente giudizio, cioè la natura dell’RAGIONE_SOCIALE e la possibilità di considerare  l’attività  di  concessione  a  terzi  di  lo cazione  di  immobili come strumentale e diretta al fine statutario.
3.4. Gli RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE fanno parte degli enti ecclesiastici che possono essere civilmente riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili, ai sensi degli artt. 21, 22 ed 1-5, della  legge  n.  222  del  1985,  che  rego lano  l’istituzione  e  il  fine  dei medesimi.
L’art. 21 prevede infatti che in ogni diocesi venga eretto, entro il 30 settembre 1986, con decreto del Vescovo RAGIONE_SOCIALE, l’RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE previsto dal canone 1274 del codice di diritto canonico (il quale prevede che  Nelle singole diocesi ci sia un istituto speciale che raccolga i beni o le offerte, al preciso scopo che si provveda al RAGIONE_SOCIALE dei chierici che prestano servizio a favore della diocesi, a norma del can. 281, a meno che non si sia provveduto ai medesimi diversamente  ).
L’art. 24, comma 1, determina le attività demandate agli RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, stabilendo, per quanto qui interessa, che dall’1 gennaio 1987 ognuno di essi provveda, in conformità allo statuto, ad assicurare, nella misura periodicamente determinata dalla RAGIONE_SOCIALE, il congruo e dignitoso RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE che svolge servizio in favore della relativa diocesi.
L’art. 27, inoltre, aggiunge che l’RAGIONE_SOCIALE centrale e gli altri RAGIONE_SOCIALE per  il  RAGIONE_SOCIALE  del  RAGIONE_SOCIALE  possono  svolgere  anche  funzioni previdenziali integrative autonome per il RAGIONE_SOCIALE, prevedendo altresì che ogni  RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE  destini,  in  conformità  ad  apposite  norme
statutarie, una quota RAGIONE_SOCIALE proprie risorse per sovvenire alle necessità che  si  manifestino  nei  casi  di  abbandono  della  vita  ecclesiastica  da parte di coloro che non abbiano altre fonti sufficienti di reddito.
L’art. 28 prevede che con il decreto di erezione di ciascun RAGIONE_SOCIALE sono contestualmente estinti la mensa vescovile, i benefici capitolari, parrocchiali,  vicariali  curati  o  comunque  denominati,  esistenti  nella diocesi, e i loro patrimoni siano trasferiti di diritto all’RAGIONE_SOCIALE stesso.
Gli artt. 33-35 prevedono ulteriori compiti degli RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE e regolano il funzionamento di questi ultimi sotto diversi aspetti.
Appare utile evidenziare, per quanto qui interessa, che l’art. 35, comma 1, in materia di aspetti economici riguardanti il funzionamento dell’RAGIONE_SOCIALE,  stabilisce  che  esso  provveda  all’integrazione  economica eventualmente  spettante  ai  sacerdoti  della  diocesi  con  i  redditi  del proprio patrimonio, salvo l’intervento dell’RAGIONE_SOCIALE centrale nel caso in cui questi ultimi fossero insufficienti.
Gli  artt.  36-38,  infine,  disciplinano  l’alienazione  di  beni,  ed  in particolare anche di immobili, da parte degli RAGIONE_SOCIALE per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE.
Dal complesso di tali disposizioni, come questa Corte ha già avuto modo di osservare (Cass. 30/07/2019, n. 20480) si evince pertanto che il legislatore non ha escluso, ed anzi ha presupposto, che l’RAGIONE_SOCIALE possa svolgere, accanto ad attività di religione o di culto, anche ulteriori compiti, ed in particolare anche attività di natura e rilevanza economica e commerciale, finalizzate alla produzione di quei redditi del proprio patrimonio attraverso i quali provvedere ad integrare, se necessario, la remunerazione spettante al RAGIONE_SOCIALE che svolge servizio in favore della diocesi, per assicurare il congruo e dignitoso RAGIONE_SOCIALE di ogni sacerdote (in quel caso l’RAGIONE_SOCIALE aveva negato che l’RAGIONE_SOCIALE potesse
beneficiare della rivalutazione di un terreno, in quanto spettante solo ai soggetti titolari di reddito d’impresa, ovvero, ma limitatamente ai beni relativi all’attività commerciale, agli enti non commerciali, i quali, pur svolgendo attività commerciali, non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di queste ultime, escludendo la sua inclusione sia tra i soggetti di cui all’art. 73, comma 1, lett. a) e b) t.u.i.r., richiamato dall’art. 15, comma 16, del d.l. n. 185 del 2008, convertito dalla l. n. 2 del 2009, sia tra i soggetti menzionati nell’art. 15 della l. n. 342 del 2000).
In tale precedente la Corte, come dedotto in quella sede dal ricorrente RAGIONE_SOCIALE, ha ritenuto che esso si inserisca tra gli enti ecclesiastici, civilmente riconosciuti, che, come previsto dall’art. 15 della l. n. 222 del 1985, possono svolgere, oltre alle attività di religione o di culto descritte dal successivo art. 16, lett. a), ovvero «quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura RAGIONE_SOCIALE anime, alla formazione del RAGIONE_SOCIALE e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana», anche quelle diverse di cui all’art. 16, lett. b), ovvero «quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro».
L’individuazione RAGIONE_SOCIALE due categorie di attività, ai fini della relativa disciplina nell’ordinamento civile, ed in particolare per quanto riguarda l’aspetto tributario, è stata ritenuta rispettosa di quanto previsto dall’articolo 7, n. 3, dell’accordo del 18 febbraio 1984 tra la Santa Sede e la Repubblica RAGIONE_SOCIALE, che, come anticipato, dispone che «Agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione»; riguardo invece alle ulteriori attività, il secondo comma dell’art. 7, n. 3, dell’accordo del 18 febbraio 1984, espressamente richiamato dall’ art. 15 della legge n. 222 del 1985, stabilisce che: «Le attività diverse da quelle di religione o di culto,
svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime».
3.5. La seconda questione attiene alla natura del reddito recuperato parzialmente a tassazione, pacificamente vertendosi in tema di redditi da locazione immobiliare.
Coerentemente con la ratio legis , la disposizione recata dall’art. 6 del d.P.R. n. 601 del 1973, in via di principio, deve applicarsi anche ai proventi derivanti dalla locazione del patrimonio immobiliare (come nel caso di  immobili  ricevuti  per  lasciti  e  donazioni  o  come  tipicamente negli  istituti  RAGIONE_SOCIALE),  a  due  condizioni,  imposte  dai  principi  sopra esposti  (e  che  appaiono  evidenziati  anche  nella  recente  circolare dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE entrate n. 15E del 15 maggio 2022).
In primo luogo, si deve essere in presenza di un mero godimento del patrimonio immobiliare, finalizzato al reperimento di fondi necessari al raggiungimento dei fini istituzionali dell’ente, che si configura quando la  locazione di immobili si risolve nella  mera riscossione dei canoni, senza  una  specifica  e  dedicata  organizzazione  di  mezzi  e  risorse funzionali all’ottenimento del risultato economico.
In linea di principio, infatti, la mera riscossione dei canoni da parte dell’ente religioso, così come l’esecuzione dei pagamenti RAGIONE_SOCIALE spese riferite agli immobili, non implica di per sé l’esercizio di un’attività commerciale. Tuttavia, al fine di escludere lo svolgimento di una attività organizzata in forma di impresa, occorre verificare, caso per caso, che l’ente non impieghi strutture e mezzi organizzati con fini di concorrenzialità sul mercato, ovvero che non si avvalga di altri strumenti propri degli operatori di mercato, esaminando circostanze di fatto che caratterizzano in concreto la situazione specifica. Ad esempio, il citato documento di prassi segnala alcuni indici idonei a tali fini: la ripetitività con la quale si immette sul libero mercato degli affitti il
medesimo bene in ragione della stipula di contratti di breve durata; la consistenza  del  patrimonio  immobiliare  gestito  (da  valutarsi  non isolatamente, ma  qualora  accompagnata  dalla  presenza  di  una struttura organizzativa dedicata alla gestione immobiliare) ; l’adozione di  tecniche  di marketing finalizzate  ad  attirare  clientela;  il  ricorso  a promozioni volte a fidelizzare il locatario; la  presenza attiva  in un mercato con spot pubblicitari ad hoc , insegne o marchi distintivi.
L’ipotesi di mero godimento ricorre invero quando gli immobili non sono inseriti in un tale contesto ma sono posseduti al mero scopo di trarne redditi di natura fondiaria, attraverso i quali l’ente si sostiene e si procura i proventi per poter raggiungere i fini istituzionali, compiendo quindi gli interventi conservativi, quali la manutenzione o il risanamento del bene, ovvero quelli migliorativi, atti a consentirne un uso idoneo, mentre, per converso, non rientra nella predetta nozione una gestione caratterizzata dalla presenza di atti volti alla trasformazione del patrimonio immobiliare.
Ciò è del resto conforme alla nozione unionale di «impresa» che abbraccia qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento (v. sentenza del 16 marzo 2004, RAGIONE_SOCIALE, C-264/01, C-306/01, C-354/01 e C-355/01, EU:C:2004:150, punto 46 e giurisprudenza ivi citata; sentenze del 10 gennaio 2006, RAGIONE_SOCIALE, C-222/04, EU:C:2006:8, punto 107, nonché del 27 giugno 2017, RAGIONE_SOCIALE Provincia Betania, C-74/16, EU:C:2017:496, punti 39 e 41 e giurisprudenza ivi citata).
Ove  si  verta  in  ipotesi  di  mero  godimento,  occorre  poi  che  tali proventi siano effettivamente ed  esclusivamente impiegati nelle attività di  religione o di culto  e cioè nel fine istituzionale dell’ente. Trattandosi di mero godimento del patrimonio immobiliare, la destinazione  dei  relativi  proventi,  in  via  esclusiva  e  diretta,  alla
realizzazione RAGIONE_SOCIALE finalità istituzionali dell’ente consente di ricondurre il reddito così ritratto al beneficio della riduzione di aliquota.
Nell’ipotesi  in  cui  l’ente  svolga  solo  attività  di  religione  o  di culto  , il reinvestimento nelle attività istituzionali rappresenta l’unica destinazione possibile dei proventi derivanti dal mero godimento del patrimonio  immobiliare.  Qualora,  invece,  l’ente  svolga  anche  altre  attività diverse  , la destinazione dei proventi alle attività istituzionali dovrà risultare da apposita documentazione.
La sussistenza RAGIONE_SOCIALE predette condizioni garantisce che il godimento in  chiave  meramente  conservativa  del  patrimonio  immobiliare,  i  cui proventi  costituiscono  i  mezzi  necessari  per  il  perseguimento  dello scopo principale, non si ponga in contrasto con le finalità ideali e non economiche perseguite dall’ente.
3.6. Nel caso di specie, alla luce di tali principi, il motivo è fondato nei seguenti termini; la CTR ha infatti errato nel ritenere, nella prima parte della motivazione, la natura soggettiva dell’agevolazione, e poi, comunque, spettante l’agevolazione in base alla sola considerazione che i proventi siano utilizzati per il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, sottraendosi alla necessità di accertare, quanto ai redditi di locazione, in primo luogo che l’ente non impieghi strutture e mezzi organizzati con fini di concorrenzialità sul mercato, e in secondo luogo, solo ove venga in rilievo un mero godimento degli immobili, che i proventi siano destinati direttamente alle attività istituzionali.
Di conseguenza il ricorso va accolto; la sentenza della CTR del Piemonte va cassata, con rinvio alla stessa, in diversa composizione, e cui è demandato di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie i motivi di ricorso, cassa la sentenza impugnata, rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa
composizione, cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2023.