Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4774 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4774 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/02/2024
Oggetto:
Ici
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12458/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato presso la Cancelleria della Corte di cassazione
-ricorrente –
contro
NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato presso la Cancelleria della Corte di cassazione
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Emilia-Romagna n. 258 del 2020 depositata il 22 febbraio 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La controversia ha ad oggetto un avviso di accertamento (n. 1868/36952 ), riguardante il pagamento dell’Ici per l’anno 2009, emesso dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi ricorrente) nei confronti di NOME COGNOME (d’ora in poi controricorrente) con riferimento a tre aree fabbricabili e 6 unità immobiliari da quest’ultima possedute nella misura del 50% in comproprietà con la sorella NOME e per la propria quota concessi in locazione alla predetta sorella.
La controversia è incentrata sulla questione dei presupposti necessari per il riconoscimento in favore della ricorrente dell’agevolazione fiscale prevista per lo svolgimento dell’attività agricola.
La CTP ha respinto il ricorso dell’odierna controricorrente.
La CTR ha accolto l’appello dell’odierna controricorrente, fondando la decisione sulla base delle seguenti ragioni:
-la contribuente (odierna controricorrente) ha ereditato con la sorella diversi terreni e fabbricati; entrambe sono iscritte alla previdenza agricola, ma solamente la sorella svolge attività agricola sui beni, in quanto la contribuente ha ceduto in affitto la sua quota alla sorella;
-l’art. 13, comma 2 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, richiama l’art. 2, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, specificando i soggetti beneficiari dell’agevolazione ;
-tale disposizione, in forza di una finzione cd di non edificabilità, non considera fabbricabili i terreni sui quali persiste l’utilizzazione agricola che siano posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli Iap (imprenditori agricoli professionali) iscritti alla previdenza agricola;
-il beneficio trova applicazione anche per i contitolari del soggetto in possesso dei requisiti, in quanto il beneficio risponde ad un criterio oggettivo con la conseguenza che la natura agricola dei terreni si estende a ciascuno dei contitolari, sul presupposto che la persistente utilizzazione del fondo ai fini agricoli impedisce di fatto lo sfruttamento edificatorio;
-nella specie, i beni sono interamente posseduti e condotti dalla sorella della contribuente che vi esercita attività agricola e tale circostanza è incompatibile con il loro sfruttamento edificatorio da parte della contribuente, ai sensi dell’art. 1102 cod. civ.; le stesse valutazioni valgono per i fabbricati che vi insistono; da ciò consegue l’applicazione del beneficio anche alla contribuente.
Il ricorrente propone ricorso fondato su cinque motivi e deposita memoria, la controricorrente propone controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, comma 1, lett. b), e dell’art. 9, comma 1, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504. Si duole che la sentenza impugnata abbia ritenuto applicabili ai fabbricati gli stessi principi previsti per i terreni, ignorando la documentazione catastale agli atti. Nello specifico, ad avviso del ricorrente, non è stato mai contesto che nessuno dei fabbricati oggetto del giudizio fosse accatastato in categoria A6 o D10 e, avendo la stessa controparte riconosciuto che essi erano diroccati e inabitabili, di certo non avrebbero potuto svolgere alcuna funzione strumentale all’attività agricola .
Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, comma 1, lett. a) del
d.lgs. n. 504 del 1992; dell’art. 23 del d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, convertito dalla l. 27 febbraio 2009, n. 14; dell’art. 9, commi 3 e 3 bis e 3 ter , del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito dalla l. 26 febbraio 1994, n. 133. Contesta nuovamente il ricorrente che i fabbricati oggetto del giudizio non risultano accatastati in A 6 o D 10 e che dalla visura catastale non risulta alcuna annotazione di ruralità e che, pertanto, non sono soggetti all’esenzione prevista dagli articoli sopra richiamati.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13, comma 2, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214; dell’art. 1, comma 743 della l. 27 dicembre 2019, n. 160; dell’art. 58, comma 2, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446; dell’art. 2, comma 1, lett. b) e dell’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 504 del 1992 . Contesta l’applicazione effettuata in sentenza dell’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011 e dell’art. 1, comma 743 della l. 27 dicembre 2019, n. 160, in quanto trattasi di discipline diverse relative ad imposte differenti e relative a periodi di tempo diversi. Sotto il profilo soggettivo il predetto articolo 13 richiede come unica condizione formale, l’iscrizione nella previdenza agricola, mentre per l’Ici, l’art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997 richiede il contestuale doppio requisito dell’iscrizione nella previdenza agricola e del possesso dei requisiti in ragione del quale sussiste l ‘ obbligo di assicurazione.
Con il quarto motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art . 58, comma 2, del d.lgs. n. 447 del 1997; degli artt. 2 e 3 della l. 9 gennaio 1963, n. 9; dell’art. 2, comma 1, lett. b) e dell’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 504 del 1992 . Si
duole che la sentenza impugnata abbia ritenuto sufficiente la sussistenza della sola condizione formale dell’iscrizione alla previdenza agricola, occorrendo, viceversa, secondo la normativa sopra richiamata, il riscontro della condizione sostanziale dell’o bbligo di iscrizione alla previdenza ovvero dei requisiti sostanziali stabiliti dagli artt. 2 e 3 della l. n. 9 del 1963.
Con il quinto motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, consistente nel mancato esame dell’assenza in capo a ll’odierna controricorrente, nonché alla sorella della qualifica di coltivatore agricolo a titolo principale, essendosi i giudici del merito limitati a prendere atto della formale iscrizione delle stesse alla previdenza agricola.
6 . Il primo e il secondo motivo sono fondati, e, stante la loro stretta connessione, possono essere trattati congiuntamente .
In proposito occorre precisare che l’oggetto del giudizio non concerne esclusivamente i fabbricati, come sostenuto in ricorso (primo motivo di impugnazione), bensì aree e fabbricati, come chiarito nella parte in fatto della sentenza ed esplicitato dallo stesso ricorrente laddove ha riportato in stralcio l’atto impugnato. Con riferimento ai fabbricati, la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che, in tema d’ICI, ai fini del trattamento esonerativo, è rilevante l’oggettiva classificazione catastale. Da tale premessa consegue che l’immobile che sia iscritto come rurale, con attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), a seguito della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dall’art. 9 del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557 (conv., con modif., dalla l. 26 febbraio 1994, n. 133), non è soggetto all’imposta, ai sensi dell’art. 23, comma 1- bis, del d.l. 30 dicembre 2008, n. 207
(conv., con modif., dalla l. 27 febbraio 2009, n. 14) e dell’art. 2, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 504 del 1992
Qualora, invece, l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale, è onere del contribuente, che richieda l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento per la ritenuta ruralità del fabbricato (Cass. Sez. 5, n. 10283/2019, Rv. 653370 – 01).
Va, inoltre, ribadito il principio di legittimità secondo cui tale oggettiva rilevanza della classificazione catastale prevale sulla strumentalità dell’immobile all’attività agricola, come confermato sia dall’art. 9 del d.l. n. 577 del 1993 (conv., con modif., dalla l. n. 133 del 1994) e dalle disposizioni successive (Cass. Sez. 5, n. 5769/2018, Rv. 647311 – 01).
Nel caso di specie, come risulta dall’atto impugnato riportato per estratto nel ricorso introduttivo effettivamente emerge che nessuno dei fabbricati oggetto del giudizio è accatastato in categoria A6 o D10.
Su tale questione, tuttavia, la stessa controricorrente ha affermato di avere versato per i fabbricati l’Ici sulla base delle aliquote ordinariamente vigenti, senza fruire di alcuna agevolazione e tale circostanza è stata smentita dal ricorrente nella memoria.
La sentenza impugnata con riguardo ai fabbricati ha effettuato un’unica affermazione ( ultima frase di pag. 2) «Stesse valutazioni valgono per i fabbricati che vi insistono e sono asserviti al fondo» , posta a seguito dell’accertamento dei requisiti di cui all’art. 9 del d.lgs. n. 504 del 1992.
Essendo, dunque, incontestato che i fabbricati non sono iscritti nelle categorie A 6 o D 10, occorreva, alla luce di quanto sopra esposto, verificare, in primo luogo, se l’odierna controricorrente
abbia mai impugnato la diversa classificazione catastale e, in secondo luogo, se abbia pagato il tributo per cui è causa sulla base delle aliquote vigenti.
I motivi terzo e quarto e quinto sono fondati nei termini di seguito esposti e, stante la loro stretta connessione, possono essere trattati congiuntamente. Con essi il ricorrente contesta che la sentenza impugnata abbia ritenuto sufficiente la sussistenza della sola condizione formale dell’iscrizione alla previdenza agricola.
Si osserva preliminarmente che la sentenza impugnata ha richiamato l’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, disciplina non applicabile all’epoca dei fatti, in quanto la controversia ha ad oggetto l’imposta dovuta per l’anno 2009 .
Le disposizioni all’epoca vigenti e rilevanti per il caso in esame erano:
-l’art. 1 della l. n. 504 del 1992, secondo cui: « Presupposto dell’imposta è il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli, siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa»;
-l’art. 2, comma 1, lett. b), che ha riguardo alla qualificazione dell’area, ai fini del criterio del calcolo della base imponibile ed ha carattere oggettivo; esso prevede che «per area fabbricabile si intende l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità. Sono considerati, tuttavia, non fabbricabili i terreni posseduti e condotti dai soggetti indicati nel comma 1 dell’art. 9, sui quali persiste l’utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante
l’esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura ed all’allevamento di animali. Il comune, su richiesta del contribuente, attesta se un’area sita nel proprio territorio è fabbricabile in base ai criteri stabiliti dalla presente lettera»;
l’art. 9 dello stesso decreto, il quale introduce agevolazioni ulteriori, di carattere soggettivo, ai fini del calcolo dell’imposta in concreto applicabile, prevedendo al comma 1, che: «I terreni agricoli posseduti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli che esplicano la loro attività a titolo principale, purché dai medesimi condotti, sono soggetti all’imposta limitatamente alla parte di valore eccedente euro 25.822,84 e con le seguenti riduzioni:
del 70 per cento dell’imposta gravante sulla parte di valore eccedente i predetti euro 25.822,84 e fino a euro 61.974,83;
del 50 per cento di quella gravante sulla parte di valore eccedente euro 61.974,83 e fino a euro 103.291,38;
del 25 per cento di quella gravante sulla parte di valore eccedente euro 103.291,38 e fino a euro 129.114,22.
Agli effetti di cui al comma 1 si assume il valore complessivo dei terreni condotti dal soggetto passivo, anche se ubicati sul territorio di più comuni; l’importo della detrazione e quelli sui quali si applicano le riduzioni, indicati nel comma medesimo, sono ripartiti proporzionalmente ai valori dei singoli terreni e sono rapportati al periodo dell’anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte ed alle quote di possesso. Resta fermo quanto disposto nel primo periodo del comma 1 dell’articolo 4»; – come è stato già chiarito in sede di legittimità (Cass., Sez. 5, n. 13131/2023, Rv. 668079 -01), le due norme da ultimo citate disciplinano profili diversi, individuabili, rispettivamente, nella
qualificazione dell’area (come non fabbricabile), ai fini del criterio del calcolo della base imponibile, e nelle agevolazioni, di carattere soggettivo, ai fini del calcolo dell’imposta in concreto applicabile, con la conseguenza che « l’area considerata dall’art. 2, comma 1, lett. b), del citato decreto come non fabbricabile (perché impiegata a fini agricoli dall’imprenditore agricolo professionale) non è, per ciò stesso, ritenuta esente dal pagamento dell’imposta in esame, risultando piuttosto sottoposta ad un regime agevolato, nel duplice senso di assoggettare il terreno alla tassazione in relazione al suo valore catastale, al netto quindi della sua potenzialità edilizia, e di calibrare la misura dell’imposta secondo i criteri di calcolo stabiliti dall’art . 9, comma 1, del menzionato decreto, che pure prevedono, nella parte di valore eccedente € 25.822,84, l’applicazione dell’imposta con le riduzioni ivi previste » (vedi in motivazione Cass., Sez. 5, n. 1121/2023);
-l’art. 58, comma 2, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 , indica i presupposti per la qualificazione del contribuente come imprenditore agricolo a titolo principale o coltivatore diretto e dispone che: «Agli effetti dell’applicazione dell’articolo 9 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, relativo alle modalità di applicazione dell’imposta ai terreni agricoli, si considerano coltivatori diretti od imprenditori agricoli a titolo principale le persone fisiche iscritte negli appositi elenchi comunali previsti dall’articolo 11 della legge 9 gennaio 1963, n. 9, e soggette al corrispondente obbligo dell’assicurazione per invalidità, vecchiaia e malattia; la cancellazione dai predetti elenchi ha effetto a decorrere dal primo gennaio dell’anno successivo».
In tale quadro normativo, deve essere, dunque, ribadito il principio di legittimità, secondo il quale, in tema di ICI, l’agevolazione fiscale prevista dall’art. 9 del d.lgs. n. 504 del 1992 per i terreni agricoli posseduti dai soggetti di cui all’art. 58 del d.lgs. n. 446 del 1997, è subordinata alla ricorrenza dei requisiti della qualifica, da parte del possessore, di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo a titolo principale, desumibile dall’iscrizione negli appositi elenchi di cui all’art. 11 della l. n. 9 del 1963, e della conduzione effettiva dei terreni, che, invece, deve essere provata in via autonoma dal contribuente (Cass., Sez. 5, n. 19130/2016, Rv. 641103 – 01), atteso che la ratio della disposizione è quella di incentivare la coltivazione della terra alleggerendo il carico tributario dei soggetti che ritraggono dal lavoro agricolo la loro esclusiva fonte di reddito (Cass., Sez. 5, n. 10284/2019, Rv. 653371 – 01).
I requisiti necessari per avere accesso al regime agevolato, quindi, sono: a) iscrizione agli appositi elenchi; b) assoggettamento agli obblighi assicurativi per invalidità, malattia e vecchiaia; c) possesso e conduzione diretta di terreni agricoli e/o aree edificabili; d) carattere principale di tali attività rispetto ad altre fonti di reddito (nello stesso senso ex multis Cass. n. 13306 del 2023, n. 18181 del 2023, n. 556 del 2020, n. 10284 del 2019, cit.).
La prova della sussistenza di tali presupposti è a carico del contribuente che chiede di avvalersi della agevolazione (cfr., ex plurimis , Cass., Sez. 5, n. 9143/2010).
Va osservato che, mentre l’iscrizione di cui al d.lgs. n. 446 del 1997, art. 58, è idonea a provare, al contempo, la sussistenza dei primi due requisiti, atteso che chi viene iscritto in quell’elenco svolge normalmente a titolo principale quell’attività (di
coltivatore diretto o di imprenditore agricolo) legata all’agricoltura, il terzo requisito, relativo alla conduzione diretta dei terreni, va provato in via autonoma, potendo ben accadere che un soggetto iscritto nel detto elenco poi non conduca direttamente il fondo per il quale chiede l’agevolazione, la quale, pertanto, non compete (Cass. n. 19130/2016, cit.; Cass. n. 12336/2011; Cass. n. 214/2005; Cass. n. 9510/2008, Rv. 581550 – 01).
La ratio della disposizione agevolativa è quella di incentivare la coltivazione della terra e di alleggerire del carico tributario quei soggetti che ritraggono dal lavoro della terra la loro esclusiva ( recte , prevalente) fonte di reddito.
In tal senso si è espresso anche il Giudice delle leggi della (Cort. Cost. ordinanza n. 87/2005; in termini anche Corte Cost. n. 336/2003) che, ai fini dell’applicazione dell’ICI, pronunciandosi sulla legittimità costituzionale dell’art. 58, comma 2, d.lgs. 446/1997, nella parte in cui esclude i coltivatori diretti, titolari di pensione maturata a seguito dell’obbligatoria iscrizione alla relativa gestione previdenziale, dalle agevolazioni previste nell’art. 9 d.lgs. 504/92, ha statuito che «la giustificazione dell’agevolazione fiscale di cui si tratta risiede evidentemente in un intento di incentivazione dell’attività agricola, connesso alla finalità di razionale sfruttamento del suolo cui fa riferimento l’art. 44 della Costituzione, e in relazione alla suddetta ratio incentivante non appare manifestamente irragionevole che da tale beneficio siano esclusi coloro che – nel fatto di godere di trattamenti pensionistici – all’evidenza non traggono dal lavoro agricolo la loro esclusiva fonte di reddito» (nello stesso senso v. Cass. n. Sez. 5, Sentenza n. 13131/2023, cit.).
Per completezza va anche precisato che, a seguito del venir meno della figura dell’imprenditore agricolo a titolo principale e la sua sostituzione con quella dell’imprenditore agricolo professionale, sono state ridefinite le condizioni per il riconoscimento dell’agevolazione di cui si discute, rendendo, in particolare ed a tal fine, esigibile non più l’iscrizione nell’elenco comunale di cui all’art. 58 del citato decreto (che concerneva, a mente dell’art. 11, co. 1, della legge n. 9/1963 e poi dell’art. 63, della legge 30 aprile 1969, n. 153, gli elenchi nominativi dei coltivatori diretti e dei coloni e mezzadri), ma quella negli elenchi o albi regionali, essendo stato demandato alle regioni il compito di verificare in capo all’imprenditore agricolo richiedente il possesso dei requisiti soggettivi per l’attribuzione qualifica di professionalità, da cui derivano, tra l’altro, le agevolazioni in oggetto ( Cass., Sez. 5, Ordinanze n. 1121/2023, Rv. 666719 -01 e n. 12852/2021, Rv. 661172 – 01).
La sentenza impugnata, dopo avere fatto riferimento alla formale iscrizione alla previdenza agricola, ha accertato che la sorella dell’attuale controricorrente era nel possesso e conduceva i terreni per cui è causa, svolgendovi attività agricola e che possedeva i requisiti di cui all’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 504 del 1992.
La sentenza impugnata ha, quindi, applicato il consolidato principio di legittimità per cui in tema di ICI, le agevolazioni fiscali di cui agli artt. 2, comma 1, lett. b) e 9, comma 1, del d.lgs. n. 504 del 1992 di cui benefici il comproprietario, quale coltivatore diretto, di un terreno avente qualità agricola, si applicano anche in favore degli altri comproprietari che non esercitano sul fondo attività agricola, posto che esso comporta per l’assegnatario il rispetto della destinazione agricola dell’area, in quanto la
destinazione agricola di un’area è incompatibile con la possibilità dello sfruttamento edilizio della stessa (Cass. Sez. 5, n. 15566/2010, Rv. 613885 -01; Sez. 6 – 5, n. 13261/2017, Rv. 644374 -01, Sez. 6 – 5, n. 17337/2018, Rv. 649380 – 02).
Il deficit istruttorio del provvedimento impugnato ha riguardo al sopra enunciato punto d), relativo al l’accertamento sul carattere principale o meno di tali attività agricole svolte dalla sorella della controricorrente, NOME COGNOME, rispetto ad altre fonti di reddito.
Ritiene in proposito il Collegio che la sentenza avrebbe dovuto verificare: se la sorella dell’odierna ricorrente è titolare di una pensione di invalidità o di altro tipo beneficio pensionistico collegato ad una accertata inabilità lavorativa; se è titolare di altro reddito e, in presenza di più redditi, accertare quello prevalente. Tali circostanze, unitamente all’accertamento in concreto dello svolgimento o meno di attività agricola, costituiscono elementi necessari per la configurazione o l’esclusione del diritto all’agevolazione per cui è causa, alla luce anche dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità e dalla Corte Costituzionale sopra richiamati.
Sotto un diverso profilo il Collegio condivide quanto già affermato in sede di legittimità (Cass. n. 18181 del 2023, cit.) ovvero che il reddito fondiario (artt. 25 -43 del d.P.R. n. 917/1986) riguarda i terreni e i fabbricati situati nel territorio italiano e, quindi, censiti nel Catasto Terreni o nel Catasto Fabbricati. Questo si distingue, oltre che nel reddito dei fabbricati, anche nel reddito dominicale e nel reddito agrario.
Il reddito dominicale corrisponde alla «parte dominicale del reddito medio ordinario ritraibile dal terreno attraverso l’esercizio delle attività agricole» che spetta al suo proprietario. Riguarda, dunque, solamente l’entrata che si ottiene per la sola proprietà
dei beni e non include quella derivante dall’esercizio dell’attività agricola.
Il reddito agrario rappresenta, invece, la «parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d’esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno, nell’esercizio di attività agricole su di esso ».
In definitiva, sia il reddito dominicale che quello agrario sono correlati alla qualità del terreno e alla sua produttività media ordinaria. Tuttavia, mentre il primo è relativo alla sola proprietà del terreno, il secondo riguarda l’utilizzo produttivo del terreno. In altri termini, il reddito dominicale deriva dal semplice possesso di un fondo, indipendentemente dalla coltivazione o meno dello stesso; il reddito agrario, al contrario, si ha solo se si esercita su un fondo un’attività agricola.
Ne consegue che, al fine di stabilire se il reddito derivante dall’attività latu sensu agricola prevalga rispetto a quello derivante da attività non agricole, occorre considerare, quanto al primo, sia il reddito agrario che quello dominicale.
A conferma indiretta della impostazione che si è inteso privilegiare depone la circostanza che, ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e del d.m. 21 luglio 1983, l’Amministrazione delle finanze può legittimamente procedere con metodo sintetico alla rettifica della dichiarazione dei redditi di un coltivatore diretto, comprensiva soltanto del reddito agrario e dominicale – determinati in base agli estimi catastali -del fondo da lui condotto, quando da elementi estranei alla configurazione reddituale prospettata dal contribuente (disponibilità di autoveicoli non inerenti all’attività agricola, tenore di vita, ecc.) si possa fondatamente presumere che ulteriori redditi concorrano a formare l’imponibile complessivo. In tal caso, incombe al
contribuente l’onere di dedurre e provare che i redditi effettivi frutto della sua attività agricola sono sufficienti a giustificare il suo tenore di vita, ovvero che egli possiede altre fonti di reddito non tassabili, o separatamente tassate (Cass., Sez. 5, n. 6952/2006; conf. Sez. 5, Sentenza n. 9505/2009, Sez. 5, n. 10747/2014, Sez. 5, n. 19557/2014). Da ciò si desume che, ai fini del computo del reddito di un coltivatore diretto o di un agricoltore a titolo principale, vanno sempre ricompresi sia quello agrario che quello dominicale.
Alla luce delle considerazioni sopra esposte il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio, alla Corte di Giustizia di secondo grado dell’Emilia -Romagna, in diversa composizione, la quale dovrà accertare, ai fini dell’agevolazione per cui è causa, se la sorella dell’odierna ricorrente, comproprietaria dei terreni oggetto del giudizio abbia svolto con carattere principale attività agricola rispetto ad altre fonti di reddito, da intendere nei termini sopra indicati, nonché dovrà provvedere sulle spese della presente fase.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 12 gennaio 2024.