Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4780 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4780 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/02/2024
Oggetto:
Ici
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8826/2022 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato presso la Cancelleria della Corte di cassazione
-ricorrente –
contro
Comune di Maranello, in persona del sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato nello studio di quest’ultima, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Emilia-Romagna n. 1161/2021 depositata il 28 settembre 2021;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO CHE
La controversia ha ad oggetto due avvisi di accertamento (n. 786 del 2015, 573 del 2015, n. 470 del 2015), riguardanti il pagamento dell’Ici rispettivamente per gli anni 2009, 2010, 2011 emessi dal Comune di Maranello (d’ora in poi controricorrente) nei confronti di NOME COGNOME (d’ora in poi ricorrente) con riferimento a quattro aree, ritenute edificabili, da quest’ultima possedute nella misura del 50% in comproprietà con la sorella NOME e per la propria quota concessi in locazione alla predetta sorella.
La controversia è incentrata sulla questione dei presupposti necessari per il riconoscimento in favore della ricorrente dell’agevolazione fiscale prevista per lo svolgimento dell’attività agricola.
La CTP, con due sentenze, ha respinto il ricorso dell’odierna ricorrente. La RAGIONE_SOCIALE, dopo avere riunito gli atti di impugnazione, ha respinto l’appello dell’odierna ricorrente fondando la decisione sulla base delle seguenti ragioni:
-p reliminarmente le contestazioni effettuate dall’appellante nella memoria in relazione al calcolo del reddito agrario sono inammissibili, in quanto costituiscono motivo nuovo;
-in diverse occasioni la Suprema Corte ha riconosciuto l’estensibilità dell’agevolazione al comproprietario che non svolga l’attività di coltivatore diretto , purché essa sia esercitata da parte anche di uno solo dei comproprietari, in quanto la destinazione agricola è incompatibile con il relativo sfruttamento edilizio;
-l ‘agevolazione fiscale di cui all’art. 9 del d.lgs. n. 504 del 1992 per i terreni posseduti dai soggetti di cui all’art. 58 del d.lgs. n.
446 del 1997 è subordinata alla ricorrenza dei requisiti della qualifica, da parte del possessore, di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo a titolo principale, desumibile dall’iscrizione negli appositi elenchi di cui all’art. 11 della l. n. 9 del 1963, e della conduzione effettiva dei terreni, che, invece, deve essere provata in via autonoma dal contribuente, atteso che la ratio della disposizione è quella di incentivare la coltivazione della terra alleggerendo il carico tributario dei soggetti che ritraggono dal lavoro agricolo la loro esclusiva fonte di reddito;
-nel caso di specie non sussiste la prevalenza del reddito agricolo, in quanto nella dichiarazione dei redditi relativi all’affittuaria COGNOME NOME per gli anni 2009-2011 il reddito agrario è inferiore alla somma degli altri redditi e anche al solo reddito dei fabbricati;
-il difetto della prevalenza reddituale in capo alla comproprietaria coltivatrice diretta esclude il riconoscimento dell’agevolazione per l’appellante .
La ricorrente propone ricorso fondato su due motivi e deposita memoria, il controricorrente propone controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza d’appello per violazione degli artt. 24 e 57 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per avere qualificato erroneamente come motivi nuovi, preclusi in sede di gravame, le considerazioni svolte dalla ricorrente nelle memorie depositate il 10 settembre 2021 in merito al calcolo del reddito agrario.
1.1. Il motivo è fondato. La ricorrente ha trasfuso nel ricorso il contenuto dei ricorsi, degli atti di appello e delle controdeduzioni d’appello svolte dall’odierno controricorrente nella parte relativa alla questione relativa al calcolo del reddito agrario e alla sua
erroneità, nonché il contenuto delle memorie depositate. Da tali atti si desume che era stata sostanzialmente contestata la modalità di calcolo di tale reddito fondata sulle risultanze delle rendite catastali dei terreni agricoli.
Nelle memorie, la ricorrente, ha esplicitato l’entità del reddito agrario percepito da sua sorella comproprietaria dei beni oggetto del giudizio, attraverso la riproduzione dell’estratto contributivo analitico dei redditi percepiti dell’RAGIONE_SOCIALE , al fine di dimostrare la prevalenza, o la totalità di tali redditi rispetto al restante reddito. Il comune controricorrente aveva eccepito, aderendo alle conclusioni della CTP, che la sorella NOME non ricava dall’attività agricola la parte prevalente del proprio reddito, evidenziando che il Regolamento comunale, ai fini del riconoscimento dell’agev olazione, oltre ai requisiti richiesti dalla legge, pone l’ulteriore condizione che il volume d’affari derivante dall’attività agricola debba risultare superiore al 50% del reddito complessivo. A tal fine, aveva fatto riferimento al ricavato netto dichiarato al fisco, definendolo irrisorio, nonché all’intervenuto frazionamento del terreno in lotti vendibili, indice di una volontà diversa dalla coltivazione dello stesso.
Ritiene, dunque, il Collegio che la questione relativa alle condizioni necessarie per il riconoscimento dell’agevolazione ed in particolare quella riguardante il calcolo del reddito abbia formato oggetto di discussione tra le parti in entrambi i gradi di merito e che su di essa si siano pronunciati i collegi di primo e di secondo grado.
Il Collegio intende in proposito ribadire il principio per il quale nel processo tributario d’appello la nuova difesa del contribuente, ove non sia riconducibile all’originaria causa petendi e si fondi su fatti diversi da quelli dedotti in primo grado, che ampliano
l’indagine giudiziaria ed allargano la materia del contendere, non integra un’eccezione, ma si traduce in un motivo aggiunto e, dunque, in una nuova domanda, vietata ai sensi degli artt. 24 e 57 del d.lgs. n. 546 del 1992 (Cass. Sez. 5, n. 32390/2022, Rv. 666387 – 01).
La doglianza, introdotta con la memoria difensiva circa l’erroneo criterio di calcolo del reddito agrario, ai fini del riconoscimento dell’agevolazione, nel caso di specie, integra un’eccezione e non un motivo aggiunto, in quanto non ha ampliato l’indagine giudiziaria, né allargato la materia del contendere, incentrata, nell’ambito dei presupposti per il riconoscimento dell’agevolazione , sul reddito da prendere in considerazione a tal fine.
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 9, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 e dell’art. 1, comma 1, del d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99, per avere la sentenza escluso la sussistenza delle condizioni richieste per l’esenzione dal pagamento dell’Ici con riferimento ai terreni oggetto del giudizio, posseduti e condotti dalla sorella.
3. Il motivo è fondato.
Ai sensi del l’art. 1 della l. n. 504 del 1992: « Presupposto dell’imposta è il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli, siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa».
L ‘art. 2, comma 1, lett. b), ha riguardo alla qualificazione dell’area, ai fini del criterio del calcolo della base imponibile ed ha carattere oggettivo e dispone che «per area fabbricabile si
intende l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità. Sono considerati, tuttavia, non fabbricabili i terreni posseduti e condotti dai soggetti indicati nel comma 1 dell’art. 9, sui quali persiste l’utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l’esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura ed all’allevamento di animali. Il comune, su richiesta del contribuente, attesta se un’area sita nel proprio territorio è fabbricabile in base ai criteri stabiliti dalla presente lettera».
L ‘art. 9, comma 1, introduce agevolazioni ulteriori, di carattere soggettivo, ai fini del calcolo dell’imposta in concreto applicabile, prevedendo che: «I terreni agricoli posseduti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli che esplicano la loro attività a titolo principale, purché dai medesimi condotti, sono soggetti all’imposta limitatamente alla parte di valore eccedente euro 25.822,84 e con le seguenti riduzioni:
del 70 per cento dell’imposta gravante sulla parte di valore eccedente i predetti euro 25.822,84 e fino a euro 61.974,83;
del 50 per cento di quella gravante sulla parte di valore eccedente euro 61.974,83 e fino a euro 103.291,38;
del 25 per cento di quella gravante sulla parte di valore eccedente euro 103.291,38 e fino a euro 129.114,22.
Agli effetti di cui al comma 1 si assume il valore complessivo dei terreni condotti dal soggetto passivo, anche se ubicati sul territorio di più comuni; l’importo della detrazione e quelli sui quali si applicano le riduzioni, indicati nel comma medesimo, sono ripartiti proporzionalmente ai valori dei singoli terreni e
sono rapportati al periodo dell’anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte ed alle quote di possesso. Resta fermo quanto disposto nel primo periodo del comma 1 dell’articolo 4». Come è stato già chiarito in sede di legittimità (Cass., Sez. 5, n. 13131/2023, Rv. 668079 -01), le due norme disciplinano profili diversi, individuabili, rispettivamente, nella qualificazione dell’area (come non fabbricabile) ai fini del criterio del calcolo della base imponibile e nelle agevolazioni, di carattere soggettivo, ai fini del calcolo dell’imposta in concreto applicabile, con la conseguenza che « l’area ‘considerata’ dall’art. 2, comma 1, lett. b), del citato decreto come non fabbricabile (perché impiegata a fini agricoli dall’imprenditore agricolo professionale) non è, per ciò stesso, ritenuta esente dal pagamento dell’imposta in esame, risultando piuttosto sottoposta ad un regime agevolato, nel duplice senso di assoggettare il terreno alla tassazione in relazione al suo valore catastale, al netto quindi della sua potenzialità edilizia, e di calibrare la misura dell’imposta secondo i criteri di calcolo stabiliti dall’art. 9, comma 1, del menzionato decreto, che pure prevedono, nella parte di valore eccedente € 25.822,84 , l’applicazione dell’imposta con le riduzioni ivi previste» ( vedi in motivazione Cass., Sez. 5, n. 1121/2023).
L ‘art. 58, comma 2, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 , indica i presupposti per la qualificazione del contribuente come imprenditore agricolo a titolo principale o coltivatore diretto e dispone che: «Agli effetti dell’applicazione dell’articolo 9 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, relativo alle modalità di applicazione dell’imposta ai terreni agricoli, si considerano coltivatori diretti od imprenditori agricoli a titolo principale le persone fisiche iscritte negli appositi elenchi
comunali previsti dall’articolo 11 della legge 9 gennaio 1963, n. 9, e soggette al corrispondente obbligo dell’assicurazione per invalidità, vecchiaia e malattia; la cancellazione dai predetti elenchi ha effetto a decorrere dal primo gennaio dell’anno successivo».
In tale quadro normativo, deve essere, dunque, ribadito il principio di legittimità per cui in tema di ICI, l’agevolazione fiscale prevista dall’art. 9 del d.lgs. n. 504 del 1992 per i terreni agricoli posseduti dai soggetti di cui all’art. 58 del d.lgs. n. 446 del 1997, è subordinata alla ricorrenza dei requisiti della qualifica, da parte del possessore, di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo a titolo principale, desumibile dall’iscrizione negli appositi elenchi di cui all’art. 11 della l. n. 9 del 1963, e della conduzione effettiva dei terreni, che, invece, deve essere provata in via autonoma dal contribuente (Cass., Sez. 5, n. 19130/2016, Rv. 641103 -01), atteso che la ratio della disposizione è quella di incentivare la coltivazione della terra alleggerendo il carico tributario dei soggetti che ritraggono dal lavoro agricolo la loro esclusiva fonte di reddito (Cass., Sez. 5, n. 10284/2019, Rv. 653371 – 01).
I requisiti necessari per avere accesso al regime agevolato, dunque, sono: a) iscrizione agli appositi elenchi; b) assoggettamento agli obblighi assicurativi per invalidità, malattia e vecchiaia; c) possesso e conduzione diretta di terreni agricoli e/o aree edificabili; d) carattere principale di tali attività rispetto ad altre fonti di reddito (nello stesso senso ex multis Cass. n. 13306 del 2023, n. 18181 del 2023, n. 556 del 2020, n. 10284 del 2019).
La prova della sussistenza di tali presupposti è a carico del contribuente che chiede di avvalersi della agevolazione (cfr., ex plurimis , Cass., Sez. 5, n. 9143 del 2010).
Va osservato che, mentre l’iscrizione di cui al d.lgs. n. 446 del 1997, art. 58, è idonea a provare, al contempo, la sussistenza dei primi due requisiti, atteso che chi viene iscritto in quell’elenco svolge normalmente a titolo principale quell’attività (di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo) legata all’agricoltura, il terzo requisito, relativo alla conduzione diretta dei terreni, va provato in via autonoma, potendo ben accadere che un soggetto iscritto nel detto elenco poi non conduca direttamente il fondo per il quale chiede l’agevolazione, la quale, pertanto, non compete (Cass. n. 19130/2016, cit.; Cass. n. 12336/2011; Cass. n. 214/2005; Cass. n. 9510/2008, Rv. 581550 – 01).
La ratio della disposizione agevolativa è quella di incentivare la coltivazione della terra e di alleggerire del carico tributario quei soggetti che ritraggono dal lavoro della terra la loro esclusiva ( recte , prevalente) fonte di reddito.
In tal senso si è espresso anche il Giudice delle leggi della (C. Cost. ordinanza n. 87/2005; in termini anche C. Cost. n. 336/2003) che, ai fini dell’applicazione dell’Ici, pronunciandosi sulla legittimità costituzionale dell’art. 58, comma 2, d.lgs. 446/1997, nella parte in cui esclude i coltivatori diretti, titolari di pensione maturata a seguito dell’obbligatoria iscrizione alla relativa gestione previdenziale, dalle agevolazioni previste nell’art. 9 d.lgs. 504/92, ha statuito che «la giustificazione dell’agevolazione fiscale di cui si tratta risiede evidentemente in un intento di incentivazione dell’attività agricola, connesso alla finalità di razionale sfruttamento del suolo cui fa riferimento l’art. 44 della Costituzione, e in relazione alla suddetta ratio incentivante non appare manifestamente irragionevole che da tale beneficio siano esclusi coloro che – nel fatto di godere di
trattamenti pensionistici – all’evidenza non traggono dal lavoro agricolo la loro esclusiva fonte di reddito».
Per completezza va anche precisato che, a seguito del venir meno della figura dell’imprenditore agricolo a titolo principale e la sua sostituzione con quella dell’imprenditore agricolo professionale, sono state ridefinite le condizioni per il riconoscimento dell’agevolazione di cui si discute, rendendo, in particolare ed a tal fine, esigibile non più l’iscrizione nell’elenco comunale di cui all’art. 58 del citato decreto (che concerneva, a mente dell’art. 11, co. 1, della legge n. 9/1963 e poi dell’art. 63, della legge 30 aprile 1969, n. 153, gli elenchi nominativi dei coltivatori diretti e dei coloni e mezzadri), ma quella negli elenchi o albi regionali, essendo stato demandato alle regioni il compito di verificare in capo all’imprenditore agricolo richiedente il possesso dei requisiti soggettivi per l’attribuzione qualifica di professionalità, da cui derivano, tra l’altro, le agevolazioni in oggetto (Cass., Sez. 5, n. 1121/2023, Rv. 666719 -01 e n. 12852/2021, Rv. 661172 – 01).
Nel caso di specie la sentenza impugnata ha applicato il consolidato principio di legittimità per cui in tema di ICI, le agevolazioni fiscali di cui agli artt. 2, comma 1, lett. b) e 9, comma 1, del d.lgs. n. 504 del 1992 di cui benefici il comproprietario, quale coltivatore diretto, di un terreno avente qualità agricola, si applicano anche in favore degli altri comproprietari che non esercitano sul fondo attività agricola, posto che esso comporta per l’assegnatario il rispetto della destinazione agricola dell’area, in quanto la destinazione agricola di un’area è incompatibile con la possibilità dello sfruttamento edilizio della stessa (Cass. Sez. 5, n. 15566/2010, Rv. 613885 -01; Sez. 6 – 5, n. 13261/2017, Rv. 644374 -01, Sez. 6 – 5, n. 17337/2018, Rv. 649380 – 02).
La sentenza ha, altresì, correttamente richiamato i principi sopra ricordati relativi alla necessità che la conduzione effettiva dei terreni deve essere provata in via autonoma dal contribuente e che la prevalente fonte di reddito debba essere costituita dal lavoro agricolo.
Il provvedimento impugnato ha, poi, escluso la sussistenza nel caso specifico della prevalenza del reddito agricolo sul presupposto che: nella dichiarazione dei redditi relativa all’affittuaria, sorella della ricorrente, NOME, per gli anni 2009-2011 «il reddito agrario (1132,00 nel 2009 e nel 2010, nullo nel 2011) è inferiore alla somma degli altri redditi e anche del solo reddito da fabbricati»; da una consulenza espletata nel 2016 si evidenziava la modesta utilizzazione del terreno.
Il deficit istruttorio del provvedimento impugnato ha riguardo al sopra enunciato punto d), relativo all’accertamento sul carattere principale o meno di tali attività agricole svolte dalla sorella della controricorrente, NOME COGNOME, rispetto ad altre fonti di reddito.
Ritiene in proposito il Collegio che la sentenza avrebbe dovuto verificare: se la sorella dell’odierna ricorrente è titolare di una pensione di invalidità o di altro tipo beneficio pensionistico collegato ad una accertata inabilità lavorativa; se è titolare di altro reddito e, in presenza di più redditi, accertare quello prevalente. Tali circostanze , unitamente all’accertamento in concreto dello svolgimento o meno di attività agricola, costituiscono elementi necessari per la configurazione o l’esclusione del diritto all’agevolazione per cui è causa, alla luce anche dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità e dalla Corte Costituzionale sopra richiamati.
Sotto un diverso profilo, il Collegio ritiene di condividere quanto già affermato in sede di legittimità (Cass. n. 18181 del 2023, cit.)
con riguardo al profilo del reddito, ovvero che il reddito fondiario (artt. 25 -43 del d.P.R. n. 917/1986) riguarda i terreni e i fabbricati situati nel territorio italiano e, quindi, censiti nel Catasto Terreni o nel Catasto Fabbricati. Questo si distingue, oltre che nel reddito dei fabbricati, anche nel reddito dominicale e nel reddito agrario.
Il reddito dominicale corrisponde alla «parte dominicale del reddito medio ordinario ritraibile dal terreno attraverso l’esercizio delle attività agricole» che spetta al suo proprietario. Riguarda, dunque, solamente l’entrata che si ottiene per la sola proprietà dei beni e non include quella derivante dall’esercizio dell’attività agricola.
Il reddito agrario rappresenta, invece, la «parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d’esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno, nell’esercizio di attività agricole su di esso ».
In definitiva, sia il reddito dominicale che quello agrario sono correlati alla qualità del terreno e alla sua produttività media ordinaria. Tuttavia, mentre il primo è relativo alla sola proprietà del terreno, il secondo riguarda l’utilizzo produttivo del terreno. In altri termini, il reddito dominicale deriva dal semplice possesso di un fondo, indipendentemente dalla coltivazione o meno dello stesso; il reddito agrario, al contrario, si ha solo se si esercita su un fondo un’attività agricola.
Ne consegue che, al fine di stabilire se il reddito derivante dall’attività latu sensu agricola prevalga rispetto a quello derivante da attività non agricole, occorre considerare, quanto al primo, sia il reddito agrario che quello dominicale.
A conferma indiretta della impostazione che si è inteso privilegiare depone la circostanza che, ai sensi dell’art. 38 del
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e del d.m. 21 luglio 1983, l’Amministrazione delle finanze può legittimamente procedere con metodo sintetico alla rettifica della dichiarazione dei redditi di un coltivatore diretto, comprensiva soltanto del reddito agrario e dominicale – determinati in base agli estimi catastali -del fondo da lui condotto, quando da elementi estranei alla configurazione reddituale prospettata dal contribuente (disponibilità di autoveicoli non inerenti all’attività agricola, tenore di vita, ecc.) si possa fondatamente presumere che ulteriori redditi concorrano a formare l’imponibile complessivo. In tal caso, incombe al contribuente l’onere di dedurre e provare che i redditi effettivi frutto della sua attività agricola sono sufficienti a giustificare il suo tenore di vita, ovvero che egli possiede altre fonti di reddito non tassabili, o separatamente tassate (Cass., Sez. 5, n. 6952/2006; conf. Sez. 5, n. 9505/2009, Sez. 5, n. 10747/2014, Sez. 5, n. 19557/2014). Da ciò si desume che, ai fini del computo del reddito di un coltivatore diretto o di un agricoltore a titolo principale, vanno sempre ricompresi sia quello agrario che quello dominicale.
Alla luce delle considerazioni sopra esposte il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, alla Corte di Giustizia di secondo grado dell’Emilia Romagna , in diversa composizione, la quale dovrà accertare, ai fini dell’agevolazione per cui è causa, se la sorella dell’odierna ricorrente, comproprietaria dei terreni oggetto del giudizio, abbia svolto con carattere principale attività agricola rispetto ad altre fonti di reddito, da intendere nei termini sopra indicati, nonché dovrà provvedere sulle spese della presente fase.
La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia di secondo grado dell’Emilia -Romagna, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 12 gennaio 2024.