Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14881 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14881 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16958/2022 R.G. proposto da :
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME , COGNOME NOME , in proprio e nella qualità di eredi di COGNOME e di COGNOME NOME , elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COMUNE DI COGNOME ALL’ADIGE , in persona del Sindaco protempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO NOME INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
avverso la sentenza n. 209/2/2020 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, Sez. 2, depositata il 14.2.2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30 aprile 2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Fatti di causa
1. I ricorrenti hanno opposto gli avvisi di accertamento notificati dal Comune di Ronco all’Adige, relativi al pagamento di maggior somma a titolo di ICI per gli anni d’imposta 2010 e 2011 in relazione ad alcuni terreni a destinazione edificatoria dagli stessi posseduti in comproprietà (unitamente alla madre NOME COGNOME nelle more deceduta) e coltivati attraverso una società semplice denominata ‘COGNOME Sara, COGNOME NOME, NOME e RAGIONE_SOCIALE‘, deducendo: il difetto di motivazione degli atti impositivi; la violazione dell’art. 2, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 504 del 1992 e la conseguente applicabilità dell’agevolazione a tutti i comproprietari; l’illegittimità dell’art. 2 del regolamento per l’applicazione dell’imposta comunale sugli immobili deliberato dal Comune il 27 maggio 2003, in forza del quale, nel caso di comproprietà dei terreni posseduti e condotti dai soggetti di cui all’art. 9 del d.lgs. n. 504 del 1992, almeno il 50% delle quote doveva essere posseduto e condotto da soggetti aventi la qualifica di coltivatore diretto o imprenditore agricolo.
La C.T.P. di Verona, con le sentenze n. 169/2017 e 433/2017, ha rigettato i ricorsi.
I giudici d’appello, dopo aver disposto la riunione dei giudizi relativi agli anni 2010 e 2011, con la sentenza impugnata, hanno confermato le decisioni di primo grado, precisando, in particolare, che, perché un fondo possa beneficiare, ai fini della determinazione della base imponibile, dei criteri di calcolo previsti per i terreni edificabili a fini agricoli, era necessaria, oltre alla effettiva
destinazione agricola, anche la conduzione diretta di esso da parte del contribuente e che, nel caso in esame, non era stata fornita la prova che NOME e NOME COGNOME possedevano la qualifica di Imprenditore Agricolo a titolo principale.
Contro detta sentenza hanno proposto ricorso i contribuenti, affidato a tre motivi.
Il Comune di Ronco all’Adige ha resistito con controricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 504 del 11992, nonché dell’art. 9, comma 1, del d.lgs. 504 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.’, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per aver affermato che, per poter beneficiare dell’agevolazione di cui al citato art. 2, i soggetti che conducono i terreni devono avere contemporaneamente la qualifica di coltivatori diretti e di imprenditori agricoli.
1.1. Le disposizioni all’epoca vigenti e rilevanti per il caso in esame erano:
-l’art. 1 della l. n. 504 del 1992, secondo cui: «Presupposto dell’imposta è il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli, siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa»;
-l’art. 2, comma 1, lett. b), che ha riguardo alla qualificazione dell’area, ai fini del criterio del calcolo della base imponibile ed ha carattere oggettivo; esso prevede che «per area fabbricabile si intende l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità. Sono
considerati, tuttavia, non fabbricabili i terreni posseduti e condotti dai soggetti indicati nel comma 1 dell’art. 9, sui quali persiste l’utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l’esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura ed all’allevamento di animali. Il comune, su richiesta del contribuente, attesta se un’area sita nel proprio territorio è fabbricabile in base ai criteri stabiliti dalla presente lettera»;
l’art. 9 dello stesso decreto, il quale introduce agevolazioni di carattere soggettivo, ai fini del calcolo dell’imposta in concreto applicabile, prevedendo al comma 1, che: «I terreni agricoli posseduti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli che esplicano la loro attività a titolo principale, purché dai medesimi condotti, sono soggetti all’imposta limitatamente alla parte di valore eccedente euro 25.822,84 e con le seguenti riduzioni: a) del 70 per cento dell’imposta gravante sulla parte di valore eccedente i predetti euro 25.822,84 e fino a euro 61.974,83; b) del 50 per cento di quella gravante sulla parte di valore eccedente euro 61.974,83 e fino a euro 103.291,38; c) del 25 per cento di quella gravante sulla parte di valore eccedente euro 103.291,38 e fino a euro 129.114,22…»
-l’art. 58, comma 2, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, indica i presupposti per la qualificazione del contribuente come imprenditore agricolo a titolo principale o coltivatore diretto e dispone che: «Agli effetti dell’applicazione dell’articolo 9 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, relativo alle modalità di applicazione dell’imposta ai terreni agricoli, si considerano coltivatori diretti od imprenditori agricoli a titolo principale le persone fisiche iscritte negli appositi elenchi comunali previsti dall’articolo 11 della legge 9 gennaio 1963, n. 9, e soggette al corrispondente obbligo dell’assicurazione per invalidità, vecchiaia e malattia; la cancellazione dai predetti elenchi ha effetto a decorrere dal primo gennaio dell’anno successivo».
1.2. In tale quadro normativo, deve essere, dunque, ribadito il principio di legittimità, secondo il quale, in tema di ICI, l’agevolazione fiscale prevista dall’art. 9 del d.lgs. n. 504 del 1992 per i terreni agricoli posseduti dai soggetti di cui all’art. 58 del d.lgs. n. 446 del 1997, è subordinata alla ricorrenza dei requisiti della qualifica, da parte del possessore, di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo a titolo principale, desumibile dall’iscrizione negli appositi elenchi di cui all’art. 11 della l. n. 9 del 1963, e della conduzione effettiva dei terreni, che, invece, deve essere provata in via autonoma dal contribuente (Cass., Sez. 5, n. 19130/2016, Rv. 641103 – 01), atteso che la ratio della disposizione è quella di incentivare la coltivazione della terra alleggerendo il carico tributario dei soggetti che ritraggono dal lavoro agricolo la loro esclusiva fonte di reddito (Cass., Sez. 5, n. 10284/2019, Rv. 653371 – 01). I requisiti necessari per avere accesso al regime agevolato, quindi, sono: a) iscrizione agli appositi elenchi; b) assoggettamento agli obblighi assicurativi per invalidità, malattia e vecchiaia; c) possesso e conduzione diretta di terreni agricoli e/o aree edificabili; d) carattere principale di tali attività rispetto ad altre fonti di reddito (nello stesso senso ex multis Cass. n. 13306/2023, n. 18181/2023, n. 556/2020, n. 10284/2019, cit.). La prova della sussistenza di tali presupposti è a carico del contribuente che chiede di avvalersi della agevolazione (cfr., ex plurimis , Cass., Sez. 5, n. 9143 del 2010). Va osservato che, mentre l’iscrizione di cui al d.lgs. n. 446 del 1997, art. 58, è idonea a provare, al contempo, la sussistenza dei primi due requisiti, atteso che chi viene iscritto in quell’elenco svolge normalmente a titolo principale quell’attività coltivatore diretto o di imprenditore agricolo) legata all’agricoltura, il terzo requisito, relativo alla conduzione diretta dei terreni, va provato in via autonoma, potendo ben accadere che un soggetto iscritto nel detto elenco poi non conduca direttamente il fondo per il quale chiede l’agevolazione, la
quale, pertanto, non compete (Cass. n. 19130/2016, cit.; Cass. n. 12336/2011; Cass. n. 214/2005; Cass. n. 9510/2008). La ratio della disposizione agevolativa è quella di incentivare la coltivazione della terra e di alleggerire del carico tributario quei soggetti che ritraggono dal lavoro della terra la loro esclusiva ( recte , prevalente) fonte di reddito. In tal senso si è espresso anche il Giudice delle leggi della (Cort. Cost. ordinanza n. 87/2005; in termini anche Corte Cost. n. 336/2003) che, ai fini dell’applicazione dell’ICI, pronunciandosi sulla legittimità costituzionale dell’art. 58, comma 2, d.lgs. 446/1997, nella parte in cui esclude i coltivatori diretti, titolari di pensione maturata a seguito dell’obbligatoria iscrizione alla relativa gestione previdenziale, dalle agevolazioni previste nell’art. 9 d.lgs. 504/92, ha statuito che «la giustificazione dell’agevolazione fiscale di cui si tratta risiede evidentemente in un intento di incentivazione dell’attività agricola, connesso alla finalità di razionale sfruttamento del suolo cui fa riferimento l’art. 44 della Costituzione, e in relazione alla suddetta ratio incentivante non appare manifestamente irragionevole che da tale beneficio siano esclusi coloro che – nel fatto di godere di trattamenti pensionistici all’evidenza non traggono dal lavoro agricolo la loro esclusiva fonte di reddito» (nello stesso senso v. Cass. n. Sez. 5, Sentenza n. 13131/2023, cit.).
1.3. Per completezza, con specifico riferimento alla figura dell’imprenditore agricolo professionale, questa Corte (Cass. Sez. 5, n. 12852/2021, Rv. 661172-01) ha affermato che: – la figura dell’imprenditore agricolo professionale (I.A.P.) ha sostituito ed abrogato la previgente figura di imprenditore agricolo a titolo principale (I.A.T.P.); – l’attribuzione all’imprenditore agricolo della qualifica di I.A.P. è di competenza delle Regioni, che accertano ad ogni effetto il possesso dei requisiti previsti dal d.lgs. n. 99 del 2004; ogni Regione regolamenta le condizioni per ottenere il riconoscimento della qualifica di imprenditore agricolo professionale
(I.A.P.) ed i criteri per la verifica del requisito del tempo dedicato oltre che per le modalità di computo del requisito del reddito ricavato; l’I.A.P. – diversamente dal coltivatore diretto (come definito dalle leggi nn. 454 del 1961, art. 48, 3 maggio 1982, n. 203, art. 6, 1047 del 1957, art. 2,) – non è tenuto direttamente a provvedere alla coltivazione del fondo, ma è sufficiente che lo stesso “conduca” direttamente il terreno agricolo, anche a mezzo di maestranze, trattandosi di un imprenditore che provvede, svolgendo attività di direzione e controllo, alla coltivazione del fondo.
E’ stato poi precisato che il venir meno della figura dell’imprenditore agricolo a titolo principale e la sua sostituzione con quella dell’imprenditore agricolo professionale abbia ridefinito, sotto il profilo in esame, anche le condizioni per il riconoscimento dell’agevolazione di cui si discute, rendendo, in particolare ed a tal fine, esigibile non più l’iscrizione nell’elenco comunale di cui all’art. 58 del citato decreto (che concerneva, a mente dell’art. 11, co. 1, della legge n. 9/1963 e poi dell’art. 63, della legge 30 aprile 1969, n. 153, gli elenchi nominativi dei coltivatori diretti e dei coloni e mezzadri), ma quella negli elenchi o albi regionali, essendo stato demandato alle regioni il compito di verificare, in capo all’imprenditore agricolo richiedente , il possesso dei requisiti soggettivi per l’attribuzione della qualifica di professionalità, da cui derivano, tra l’altro, le agevolazioni in oggetto (Cass., Sez. 5, n. 1132/2023).
1.4. La sentenza impugnata, dopo aver richiamato l’orientamento di legittimità (sopra indicato) in forza del quale, per poter beneficiare dei criteri di calcolo previsti per i terreni edificabili destinati a fini agricoli è necessaria non solo l’iscrizione del proprietario negli elenchi dei coltivatori diretti, ma anche la conduzione dei terreni da parte dello stesso, ha affermato che: ‘nel caso in esame è dimostrato che NOME e NOME COGNOME
sono iscritti negli elenchi INPS dei coltivatori diretti, ma non è stata fornita la prova che possiedono anche la qualifica di I.A.P. (Imprenditore Agricolo a titolo Principale), il cui riconoscimento compete all’AVEPA (Agenzia Veneta per i pagamenti)’ (pagg. 9 e 10 della sentenza). Il riconoscimento dell’agevolazione in esame, pertanto, è stato negato dal giudice regionale non in ragione del difetto di prova della conduzione diretta dei terreni da parte dei comproprietari (come dedotto dalla difesa del Comune controricorrente), bensì sul rilievo dell’assenza di prova, da parte dei comproprietari, della qualifica di I.A.P.. La sentenza ha fatto, dunque, malgoverno dei principi sopra richiamati, atteso che la qualifica di imprenditore agricolo professionale è solo alternativa rispetto a quella di coltivatore diretto che, in presenza dei requisiti oggettivi sopra indicati, dimostri di provvedere alla conduzione diretta dei terreni.
1.5. Questa Corte, con riferimento alla pretesa vantata dal Comune di Ronco all’Adige nei confronti degli odierni ricorrenti, relativamente all’anno d’imposta 2006 -2007, ha già osservato che: ‘la lettera e la ratio legis dell’art 2 lett. b) del D.lgs. 504/1992 è quella di definire il concetto di area fabbricabile (ai fini impositivi) escludendo i terreni posseduti e condotti dai coltivatori diretti o imprenditori agricoli (art.9, comma 1) sui quali persiste l’utilizzazione agro -silvo pastorale mediante l’esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura ed all’allevamento di animali (così Cass. 15566/2010). Questo principio di diritto si è nel tempo consolidato nel senso che “in tema di agevolazione ai fini ICI, la qualità agricola di un terreno pur potenzialmente edificabile, posseduto e condotto da uno dei comproprietari avente i requisiti soggettivi ed oggettivi di cui agli artt.2, comma 1, lett.b), e 9, comma 1, del lgs. n. 504 del 1992, trova applicazione anche in favore degli altri comproprietari che non esercitano sul fondo l’attività agricola, in
quanto la destinazione agricola di un’area è incompatibile con la possibilità dello sfruttamento edilizio della stessa” (Cass. 17337/2018; 13261/2017; Cass. 25596/2017; 22486/2017; 14824/2011; 16636/2011). Ciò in quanto la persistenza della destinazione del fondo a scopo agricolo integra una situazione incompatibile con la possibilità del suo sfruttamento edilizio, e tale incompatibilità, avendo carattere oggettivo, vale sia per comproprietario coltivatore diretto sia per gli altri comunisti’ (Cass. Sez. 5, n. 17001 del 2021).
Si impone, pertanto, l’accoglimento del motivo.
Con il secondo motivo di ricorso, rubricato ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 504 del 1992 nonché dell’art. 7 della l. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’, i ricorrenti lamentano un difetto di motivazione degli avvisi di accertamento, rilevando come il semplice rinvio alla disciplina ICI ed al Regolamento comunale non possa integrare una motivazione sufficiente.
2.1. Il motivo è infondato.
Nell’avviso di accertamento relativo all’anno 2010, trascritto in ricorso in ossequio al principio di autosufficienza (pag. 12 del ricorso), vi è un espresso riferimento ai d.lgs. n. 504 del 1992, n. 471 e 472 del 1997, al Regolamento comunale per la gestione delle entrate comunali, al Regolamento comunale dell’Ici, adottato con delibera n. 31 del 27.5.2003, alla delibera n. 13 del 29.3.2010 relativa all’aliquota d’imposta dell’anno 2010.
La C.T.R., con motivazioni corrette sul piano giuridico, ha evidenziato che ‘Al fine di illustrare le ragioni giuridiche poste a base degli avvisi di accertamento, il Comune richiama provvedimenti legislativi e deliberazioni dell’Amministrazione comunale, la cui conoscenza erga omnes deriva dalla pubblicazione
in Gazzetta U fficiale nel caso dei provvedimenti legislativi e all’albo pretorio per gli atti dell’Ente locale che , in quanto atti amministrativi di carattere generale, dovevano eventualmente essere impugnate nei tempi previsti dalla normativa avanti i competenti organi giurisdizionali’ (pag. 10).
La sentenza impugnata ha dato inoltre corretta applicazione al principio ormai consolidato secondo cui le delibere comunali relative all’applicazione del tributo ed alla determinazione delle relative tariffe non rientrano tra i documenti che devono essere allegati agli avvisi di accertamento ai sensi dell’art. 7 della l. n. 212 del 2000, in quanto detto obbligo è limitato agli atti richiamati nella motivazione che non siano conosciuti o altrimenti conoscibili dal contribuente, ma non anche gli atti generali come le delibere del consiglio comunale che, essendo soggette a pubblicità legale, si presumono conoscibili (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 30052 del 21/11/2018; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 9601 del 13/06/2012 e Cass., Sez. 5, Sentenza n. 5755 del 16/03/2005, proprio in tema di ICI).
3. Con il terzo ed ultimo motivo di ricorso, rubricato ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 504 del 1992 e dell’art. 52, comma 1, e dell’art. 59, comma 1, lett. a) del d.lgs. 446 del 1992 in connessione con l’illegittimità dell’art. 2 del regolamento per l’applicazione dell’imposta comunale sugli immobili deliberato dal comune di Ronco all’Adige il 27 maggio 2003 con delibera n. 1, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’, i ricorrenti, premesso che nella sentenza impugnata vengono richiamate le ragioni di conferma delle sentenze di primo grado con una motivazione apparente e, dunque, nulla, censurano le motivazione contenute nelle sentenze delle C.T.P. nella parte in cui hanno negato l’agevolazione per i terreni condotti in forma societaria, anche in violazione della disposizione del regolamento
comunale secondo il quale chi coltiva deve essere proprietario per almeno una quota del 50%.
3.1. Previa riqualificazione del motivo ai sensi del 360, primo comma, n. 4, c.p.c., si osserva che questa Corte ha da tempo affermato che deve ritenersi nulla, ai sensi della norma appena citata, per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., la motivazione solo apparente, che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata per relationem alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame (tra le tante, Sez. L , Sentenza n. 27112 del 25/10/2018, Rv. 651205 – 01).
3.2. Tale nullità, sotto il profilo della motivazione apparente, si è verificata nella fattispecie in esame in quanto, con riferimento alle questioni relative a) alla possibilità di godere dell’agevolazione in esame per terreni condotti da un proprietario attraverso una società b) alla legittimità della previsione del regolamento comunale secondo la quale chi coltiva deve essere proprietario per una quota pari almeno al 50%, si è limitato ad affermare: ‘ferme restando le condivisibili ragioni di conferma del diniego ampiamento illustrate sia nelle due sentenze oggetto della presente impugnazione che nelle due sentenze di questa Commissione citate innanzi’. Tale motivazione si esaurisce, dunque, in una affermazione di condivisione della ricostruzione delle argomentazioni adoperate delle Commissioni Tributarie Provinciali, senza alcuna trascrizione dei passi motivazionali e senza alcun esame critico degli stessi attraverso il filtro delle censure di parte appellante; sicché rimangono del tutto oscure sia le ragioni che sorreggono la decisione della CTR e sia la tenuta delle stesse rispetto alle critiche mosse col ricorso in appello.
3.3. Per completezza, si osserva che nella citata ordinanza n. 17001 del 2021, proprio con riferimento alla censura svolta anche in questa sede, questa Corte ha già chiarito che ‘il regolamento comunale invocato dal Comune e contestato dai contribuenti dispone che ai fini della applicazione della agevolazione in parola nel caso di comproprietà dei terreni “almeno il 50% delle quote deve essere posseduto e condotto da soggetti aventi la qualifica di coltivatore diretto o imprenditore agricolo”. Deve però tenersi conto che il regolamento fa riferimento non solo al diritto dominicale sulle quote ma anche alla possibilità che il 50% (almeno) delle stesse sia “posseduto e condotto” da soggetto avente la qualifica richiesta. Deve quindi considerarsi che la circostanza che la quota di proprietà sia inferiore al 50% non impedisce al comproprietario di coltivare l’intera area (1102 c.c.), con il consenso degli altri, e quindi di imprimere al fondo una destinazione agricola incompatibile con la possibilità di sfruttamento edilizio; il comproprietario non è, infatti, titolare di una parte dell’area ma lo è dell’intero, pro quota. Altresì il comproprietario può conferire la propria quota in una società, e attraverso essa condurre l’intero fondo e nella fattispecie è appunto dedotta l’esistenza di una società semplice la “RAGIONE_SOCIALE “COGNOME NOMERAGIONE_SOCIALE NOME e RAGIONE_SOCIALE” costituita per la coltivazione del fondo. E’ dunque prospettata non una mera situazione di comproprietà (fattispecie statica) in ipotesi soggetta all’applicazione delle limitazioni previste dal Regolamento, bensì una fattispecie dinamica in cui la conduzione dell’intero terreno viene svolta attraverso una società semplice di cui sono soci tanto comproprietari aventi la qualifica di coltivatore diretto che comproprietari privi della suddetta qualifica, con la conseguenza che il socio coltivatore diretto sarebbe in possesso o comunque condurrebbe l’intero e non solo una parte del fondo stesso. La CTR ha quindi errato ad applicare la norma di legge ed il regolamento comunale, che deve sempre essere letto
alla luce della ratio legis della fonte normativa primaria, trascurando un tema di indagine invece essenziale, e cioè se l’intera area fisse coltivata tramite una società i cui soci conferenti (e comproprietari) quale che sia la loro quota, hanno la qualità di coltivatore diretto; tema di indagine essenziale al fine della corretta applicazione delle norme in questione’.
La sentenza impugnata va, dunque, cassata in accoglimento del primo e terzo motivo di ricorso, rigettato il secondo, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Veneto in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il primo e terzo motivo di ricorso, respinto il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Veneto in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione