Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5915 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 5915 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore ;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , con sede legale in Perugia, INDIRIZZO, C.F. CODICE_FISCALE, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante, AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO. NOME COGNOME, nato a Spello (PG) il DATA_NASCITA (C.F. CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliato ai fini del presente giudizio in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO, presso lo Studio dell’AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) del Foro di RAGIONE_SOCIALE, che la rappresenta e difende, giusta procura su foglio separato da intendersi materialmente congiunta al presente atto
– controricorrente
–
Avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Umbria n. 50/2/24 depositata il 31 gennaio 2024.
Udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del cinque febbraio 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
AGEV. IRES
RAGIONE_SOCIALE
Dato atto che il Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
Dato atto che la difesa erariale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Dato atto che l’AVV_NOTAIO, delegato dal difensore della controricorrente AVV_NOTAIO, ha concluso per il rigetto del ricorso.
RILEVATO CHE
La RAGIONE_SOCIALE presentava istanza di rimborso ritenendo a sé applicabile l’agevolazione di cui all’art. 6 DPR 601/73, relativamente agli anni d’imposta 2015 e 2016. La RAGIONE_SOCIALE affermava di operare nei settori di rilevanza sociale previsti dall’art. 6 D.P.R. 601/73. L’Agenzia comunicava provvedimento di diniego. La CTP accoglieva il ricorso con sentenza n. 296/2022, ritenendo che sulla base della documentazione prodotta l’attività svolta era senza scopo di lucro. Quanto al possesso di azioni UniCredit, lo stesso per il primo giudice, anche attesa la percentuale estremamente limitata, non configurerebbe attività imprenditoriale, ciò anche rapportando questa con tutte le azioni svolte nell’abito sociale dalla RAGIONE_SOCIALE, ed osservando come tutte le altre RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE risultano beneficiare di tale agevolazione. L’Agenzia proponeva appello avverso la suddetta sentenza. La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado nel merito, osservato che l’applicazione della agevolazione invocata implica il cosiddetto “giudizio di meritevolezza”, consistente nella concreta valorizzazione della attività esercitata con riferimento alla utilità sociale, con onere probatorio a carico della RAGIONE_SOCIALE contribuente, posto che l’agevolazione configura una eccezione al principio generale, riteneva nella specie assolto il relativo onere probatorio.
In particolare, riteneva che la contribuente avesse portato elementi conoscitivi dei propri investimenti in progetti con ricadute sociali,
finanziati dalle entrate derivanti dalla gestione del patrimonio, riscontrati nei bilanci di missione e in quelli di esercizio. Rilevava la presenza di numerosi progetti sottoposti alla valutazione della RAGIONE_SOCIALE, unitamente ad alcuni di iniziativa. Accertava altresì che le aree di intervento erano tutte compatibili con le finalità sociali, culturali e sanitarie proprie della missione statutaria della RAGIONE_SOCIALE.
Del pari riteneva la CTR la sussistenza dell’ulteriore presupposto della mancanza di attività commerciali e la non titolarità di poteri in grado di influenzare anche indirettamente la governance di Unicredit.
La RAGIONE_SOCIALE era titolare di una quota di partecipazione del tutto marginale, insufficiente ad influire sulla governance di Unicredit. Nè risultavano provati dall’Ufficio patti parasociali o di sindacato.
L’assenza di poteri di influenza era evincibile anche dai bilanci della banca.
Ricorre quindi in cassazione l’Agenzia affidandosi a due motivi. La contribuente resiste a mezzo di controricorso, e da ultimo la difesa erariale ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 6 D.P.R. 601/73 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c. Con esso l’Agenzia impugna la pronuncia in questione (primo profilo) laddove essa ritiene non necessaria la gestione diretta delle attività meritorie.
In relazione poi all’onere probatorio incombente sulla RAGIONE_SOCIALE, si duole la difesa erariale (secondo profilo) che il giudice d’appello non abbia considerato che, pur avendo essa esibito vari documenti, sia stato posto a carico dell’Agenzia l’onere della prova circa la presenza di patti parasociali.
Non solo, ma ai fini dell’applicazione dell’agevolazione in esame, era necessario escludere che le RAGIONE_SOCIALE, anche attraverso
l’esercizio di altre attività, diverse da quella RAGIONE_SOCIALE, avessero conservato natura imprenditoriale, a nulla rilevando il requisito della non lucratività soggettiva, che esula dal concetto comunitario di impresa. La RAGIONE_SOCIALE che invocasse l’applicabilità dell’agevolazione sarebbe, dunque, tenuta ad esibire la documentazione necessaria, da cui in particolare, tra l’altro, emergesse attività di trading, ossia compravendita di partecipazioni a scopo speculativo, e rafforzare l’idea di una gestione professionale – ossia non occasionale – dei pacchetti azionari delle banche e finanziarie partecipate (cfr. Cass. n. 16927 del 2007).
In proposito la semplice produzione dei bilanci relativi alle annualità in questione, infatti, in assenza di documentazione contabile dalla quale possano desumersi le movimentazioni delle attività finanziarie (in particolare compravendita di pacchetti azionari o altri strumenti finanziari), non sarebbe sufficiente ad escludere l’assenza di natura imprenditoriale in capo all’ente.
In proposito l’Agenzia ricordava di aver allegato la sussistenza di una serie di operazioni sui pacchetti azionari Unicredit (di cessione sul mercato e poi di acquisto tramite esercizio d’opzione) che sicuramente avrebbero rilevato ai fini in esame, e non considerati dal giudice d’appello.
Col secondo motivo si denuncia omesso esame di un fatto decisivo, consistente nell’omessa considerazione delle operazioni appena sopra indicate, e le quali non sembravano alla difesa erariale rispondere pienamente alle finalità dello Statuto e quindi ai presupposti previsti per il riconoscimento della agevolazione. Eventuali attività commerciali poste in essere dalla RAGIONE_SOCIALE, difatti, dovrebbero avere esclusivamente una finalità diretta e strumentale rispetto agli scopi istituzionali.
I motivi possono essere trattati congiuntamente attesa la loro connessione.
Essi anzitutto non involgono una rivalutazione nel merito delle prove addotte, perché a mezzo degli stessi col primo si invoca una corretta sussunzione della fattispecie, denunciandosi aver il giudice di merito trascurato elementi che invece avrebbero portato, a suo giudizio, a un differente inquadramento; col secondo si denuncia l’omesso esame di fatti storici che avrebbero peraltro avuto analogo effetto.
Quanto poi alla denunciata ‘novità’ della questione inerente alla necessaria natura meritoria della stessa attività svolta dall’ente, aldilà della finalizzazione delle relative risorse, l’eccezione non coglie il segno ove si consideri che il presente giudizio trae origine da un’istanza di rimborso, rispetto alla quale il contribuente assume la veste di attore in senso sostanziale.
Né, con specifico riferimento al secondo motivo, può ritenersi ricorrere la causa di inammissibilità di cui all’art. 348 ter, cod. proc. civ., dal momento che esso verte su fatti non esaminati e considerati dai giudici nei due gradi di giudizio, e quindi non ricorre l’ipotesi della medesimezza della ‘questione di fatto’ e delle ‘ragioni’ poste a base delle due sentenze.
3.1. Va anzitutto chiarito qual sia lo stato della giurisprudenza in ordine alla natura delle RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, così come risultanti dalla c.d. riforma Amato, recata dal d.lgs n. 356/1990, in base alla quale gli enti creditizi vennero trasformati in persone giuridiche private senza fine di lucro (C.Cost. ord. n. 300 del 2003), che conferivano l’azienda RAGIONE_SOCIALE in società per azioni, acquisendone in cambio l’intero pacchetto azionario o una parte consistente dello stesso, e successivamente dalle RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE introdotte dalla riforma Ciampi recata dal d.lgs. n. 153/1999.
Orbene con riferimento a tali enti, questa Corte ha avuto plurime volte occasione di chiarire che essi, gravati dall’obbligo di detenere e conservare la maggioranza del capitale delle società RAGIONE_SOCIALE come previsto dall’art. 12, d.lgs n. 356/1990, dunque
funzionalmente (e per la ragione appena indicata) e geneticamente vincolati alle aziende suddette (in tal senso C. Cost. sent. n. 163 del 1995), non potevano essere assimilati né alle persone giuridiche di cui alla l. n. 1745/1962 né agli enti con le finalità sociali sopra riportate di cui all’art. 6, d.p.r. n. 601/1973, i quali ultimi sono invece caratterizzati da un fine sociale già esistente al momento di entrata in vigore della disposizione (Cass. 16842/2013), e pertanto non potevano in linea di principio fruire dei relativi benefici.
Tale orientamento risulta confermato sia dalla pronuncia Cass. 16906/20, sia da ultimo da Cass. 31203/24, che proprio dalla differente natura delle RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha tratto argomento per una diversa disciplina in tema di enti fin dall’origine aventi finalità sociale (nella specie di gestione della previdenza obbligatoria di una determinata categoria professionale).
Ne deriva, dal punto di vista processuale, che deve presumersi (Cass. Sez. U. n. 1576/2009) che tale tipologia di ente, detenendo e conservando una rilevante (se non totalitaria) partecipazione nella società, avesse come finalità precipua la gestione della stessa. Espressione di tale orientamento è, anche con riferimento alle RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (che succedono temporalmente agli enti previsti dalla riforma Amato), la pronuncia già richiamata (Cass. 16906/20), che appunto proprio per la vocazione gestoria dell’ente, richiede che la asserita finalità di utilità sociale sia oggetto di dimostrazione.
Deve però operarsi una distinzione temporale, consistente nel fatto che mentre per gli enti previsti dal d.lgs n. 218/1990 era istituzionalmente prevista la gestione della partecipazione totalitaria o maggioritaria nelle società RAGIONE_SOCIALE, e la stessa continuò ad essere ammessa fino al 2005 (termine poi prorogato al 2006) anche per le RAGIONE_SOCIALE istituite a mezzo del d.lgs. n.
153/1999, dopo tale termine le stesse hanno dovuto disfarsi di tale partecipazione.
Ciò peraltro continua a giustificare l’esistenza del suddetto onere probatorio in capo alla RAGIONE_SOCIALE, non solo in relazione all’originale funzione svolta dalla RAGIONE_SOCIALE, e poi ancor ammessa dall’ordinamento per vari anni, ma anzitutto perché ferma quell’origine la disciplina ha stabilito che in difetto di dismissione l’ente andrà considerato come avente natura commerciale e dunque dovrà dimostrare pur sempre l’assenza di partecipazioni nelle imprese, e soprattutto perché proprio la disponibilità della rilevante se non totalitaria partecipazione ha di necessità comportato la relativa dismissione a titolo oneroso, con onere di dimostrare che l’investimento di tali disponibilità non ha consentito la partecipazione di controllo su altre imprese (come espressamente la norma vuole evitare che accada) e -ai fini che qui interessano -perché la RAGIONE_SOCIALE, invocando un credito di rimborso è attore in senso sostanziale, e per di più fondato su un beneficio, in deroga ai generali principi in tema di capacità contributiva. Il tutto dovendosi osservare che allo scopo non può certo essere sufficiente invocare la mera veste di RAGIONE_SOCIALE.
La corretta sussunzione della fattispecie nella norma in commento richiede dunque da parte del giudice del merito, in caso di controversia circa la spettanza dell’agevolazione e in particolare della ricorrenza dei relativi presupposti nei confronti di un ente tra quelli sopra descritti, di porre in capo a quest’ultimo l’onere della prova, come vedremo, oltre del concreto perseguimento della finalità sociale contemplata dall’art. 6 d.p.r. n. 601/1973:
-dell’insussistenza di una partecipazione maggioritaria o altrimenti determinante;
-dell’insussistenza di obblighi statutari di mantenimento di una partecipazione significativa o di controllo e l’esercizio di poteri di
intervento diretto, tramite i propri organi, nel consiglio d’amministrazione della banca;
-altre forme di condizionamento come elencate dall’art. 23 T.U.B.
Elementi questi ritraibili sia dallo statuto che da bilanci, note agli stessi e altri documenti nella disponibilità dell’ente.
3.2. Sotto un primo profilo emerge evidente come la C.G.T. di 2^ grado abbia incentrato la propria attenzione essenzialmente sull’utilizzo dei proventi tramite il finanziamento di progetti di terzi, e non sul perseguimento delle finalità della norma in parola attraverso propria attività.
In proposito, in base alla giurisprudenza di questa Corte, l’indagine andava invece estesa alla concreta attività svolta dall’ente per il perseguimento delle finalità sociali suddette.
Invero questa Corte ha stabilito -con orientamento costante nel tempo – che le RAGIONE_SOCIALE non devono limitarsi a provare il mero fatto di avere destinato concretamente anche tutte le risorse disponibili all’attuazione dello “scopo” di utilità generale, bensì, più radicalmente, “di avere svolto una attività (…) di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale” (ancora Cass. n. 4278/2010).
Siffatto orientamento, che dunque richiede la prova della gestione alternativa, cioè dell’impegno diretto degli enti nel perseguimento delle finalità indicate dall’art. 6, d.p.r. n. 601/1973, risulta anche recentemente confermato da questa Corte secondo cui, ai fini della concessione del beneficio, il giudice di merito non può limitarsi «ad accertare che la RAGIONE_SOCIALE aveva impiegato per gli anni in questione una consistente parte delle risorse per attività di promozione sociale e culturale. Tale circostanza, tuttavia, non è determinante perché, laddove si accedesse all’interpretazione dell’art. 6 sottesa a tale statuizione, si finirebbe con il riconoscere il beneficio in ragione del mero status di RAGIONE_SOCIALE, così
disattendendo sia la sentenza di rinvio che le Sezioni Unite che ne costituiscono l’antecedente» (Cass. n. 27300/23).
Nel caso da ultimo citato la sentenza impugnata venne cassata appunto perché il giudice d’appello non aveva verificato se la contribuente avesse fornito la prova di non svolgere anche indirettamente attività di impresa. Il giudice, infatti, si era limitato ad accertare che la RAGIONE_SOCIALE aveva impiegato per gli anni in questione una consistente parte delle risorse per attività di promozione sociale e culturale. Tale circostanza, tuttavia, non è stata giudicata determinante.
Nella specie va dunque censurato il modo di procedere adottato dal giudice d’appello, laddove lo stesso appunto si è scientemente limitato a verificare la mera destinazione delle risorse, e non già l’esercizio di un’attività meritoria alternativa a quella gestionale di principio devoluta all’ente.
La giurisprudenza della Corte è quindi nel senso che, ferma la differente disciplina di beneficio che può riguardare la destinazione delle risorse a liberalità, l’agevolazione consistente nel dimezzamento dell’aliquota preveduta dall’art. 6 d.p.r. n. 601/1973 dipende dal perseguimento delle finalità ivi stabilite come attività dell’ente medesimo.
Invero la giurisprudenza di questa Corte ha chiaramente indicato come in proposito ‘occorre la dimostrazione che tali attività abbiano costituito le uniche espletate dall’ente’ (arg. ex Cass. SS.UU. 27619/2006), quale presupposto per legittimare la conclusione della riconducibilità delle RAGIONE_SOCIALE tra i beneficiari dell’agevolazione di cui all’art. 6 D.P.R. 601/1973, che dunque devono svolgere in modo diretto ed esclusivo, quindi in proprio, l’ attività meritoria.
Tale conclusione, imposta dal tenore anche letterale della disposizione (che infatti si riferisce a ‘enti il cui fine e’ equiparato per legge ai fini di beneficenza o di istruzione’), è coerente con
altre disposizioni legislative, ed in special modo con l’art. 10, comma 2-bis, d.lgs. n. 460/1997 (introdotto dal d.l. n. 185/2008), che solo in via di deroga amplia il concetto di beneficenza alle erogazioni con riguardo a specifici enti.
D’altronde nel concetto di gestione in proprio pare del tutto compatibile l’ipotesi in cui il progetto sia pur realizzato in via esecutiva da terzi, mantenendo però l’ente (in questo caso la RAGIONE_SOCIALE) un ruolo di controllo o supervisione sull’effettiva destinazione dei fondi e sulla realizzazione degli obiettivi sociali.
Il che non toglie che in parte i proventi percepiti dalla RAGIONE_SOCIALE possano essere devoluti a progetti di terzi soggetti, purché appunto l’attività della RAGIONE_SOCIALE in sé sia destinata alle finalità sopra elencate e volute dall’art. 6 d.p.r. n. 601/1973. Ma occorre che l’ente svolga in concreto una delle attività indicate dalla disposizione, e sopra appena elencate, nel senso e nei limiti suddetti.
In altri termini la natura in esame va dimostrata non solo sotto il profilo formale, con riferimento agli scopi individuati dalle norme e dallo statuto, ma anche dal punto di vista sostanziale, considerato che l’attività in concreto esercitata prevale, comunque, sul fine dichiarato. E sotto questo ultimo profilo occorre la dimostrazione del concreto svolgimento di una delle attività ivi elencate da parte degli enti individuati dalla norma quali meritevoli del trattamento agevolativo.
La norma in commento, sia chiaro, non vieta alla RAGIONE_SOCIALE stessa di limitarsi a riscuotere fitti o percepire redditi da capitale in altra forma e di fruire di altri benefici per poi devolverli in liberalità, purché essa non pretenda anche di accedere al beneficio di cui alla norma in esame che siffatto diretto svolgimento, come denuncia lo stesso testo della norma (che a tipologie di enti svolgenti in concreto l’attività benefica si rivolge), sottende.
Sotto tale profilo è evidente che la RAGIONE_SOCIALE in sé può perseguire finalità più ampie rispetto a quanto previsto dall’art. 6 citato e, in base alle leggi istitutive, può anche essenzialmente concentrarsi sulla distribuzione dei redditi a finalità latamente sociali, come dimostrano le disposizioni di cui all’art. 3, co. 1, d.lgs n. 153/1999 (secondo cui ‘è esclusa altresì qualsiasi forma di finanziamento, di erogazione o, comunque, di sovvenzione, diretti o indiretti, ad enti con fini di lucro o in favore di imprese di qualsiasi natura …’) o il successivo co. 4 (che disciplina e vincola l’attività erogativa, precisando che le RAGIONE_SOCIALE ‘… determinano in via generale, nelle forme stabilite dagli statuti, le modalità e i criteri che presiedono allo svolgimento dell’attività istituzionale, con particolare riferimento alle modalità di individuazione e di selezione dei progetti e delle iniziative da finanziare, allo scopo di assicurare la migliore utilizzazione delle risorse e l’efficacia degli interventi’), ma ciò non implica che automaticamente il rispetto dei più ampi limiti previsti dalla disciplina istitutiva in parola comporti quello della più ristretta finalità e dei presupposti che sono previsti per fruire di un particolare beneficio, qual è appunto quello preveduto dall’art. 6, d.p.r. n. 601/1973.
Casomai la comparazione ope legis del perseguimento delle attività e dei limiti indicati dal d.lgs n. 153/99 poteva predicarsi in virtù del disposto di cui all’art. 12, comma 2, del d.lgs medesimo, però abrogato dal d.l. n. 168/2004, come ritenuto tra l’altro da un documento di prassi secondo cui tale abrogazione ha avuto’il più limitato (ma comunque significativo) effetto di aver fatto venire meno solo il meccanismo automatico previsto del legislatore del 1999′ e dunque ‘ha comportato la «riespansione» della disposizione generale (art. 6 D.P.R. 601/1973) …’ (Circ. n.15/22). In definitiva la RAGIONE_SOCIALE, libera di perseguire le finalità più ampie previste dalle leggi istitutive e anche di limitarsi a erogare liberalità per tali fini, se invece vuole beneficiare di quanto previsto dall’art.
6 d.p.r. n. 601/1973, deve da un lato dimostrare di aver perseguito le più ristrette finalità ivi menzionate, e dall’altro deve perseguirle quale RAGIONE_SOCIALE operativa e non meramente erogativa.
Va dunque in proposito affermato il seguente principio di diritto ‘Le RAGIONE_SOCIALE, istituite con il d.lgs n. 153/1999, pur libere di perseguire le finalità più ampie previste dalla legge istitutiva (art. 3 d.lgs n. 153/1999) e anche di limitarsi ad erogare liberalità per tali fini, ove intendano beneficiare delle previsioni di cui all’art. 6, d.p.r. n. 601/1973, oltre a dimostrare di non essere dedite alla gestione di partecipazione di controllo, diretto od indiretto, di società commerciali, debbono da un lato dimostrare di aver perseguito le più ristrette finalità benefiche menzionate da tale ultima disposizione, e dall’altro di averlo fatto tramite gestione propria, consistente peraltro anche nel controllo e supervisione di progetti altrui fondati sulle suddette finalità’
A ciò il giudice d’appello non si è conformato.
3.3. Sotto il secondo profilo deve ammettersi, anche in base a quanto fin qui esposto, che le RAGIONE_SOCIALE debbono esse fornire la prova di non gestire l’attività imprenditoriale, pur dopo le modifiche di cui s’è detto e per gli esercizi successivi al 2006, per le ragioni che si sono sopra rassegnate.
La censura circa la mancata valutazione dell’assenza di produzione di una serie di documentazione invece rilevante ai fini del giudizio di ricorrenza dei presupposti per l’ottenimento del beneficio invocato, sotto tale profilo, coglie dunque anch’essa il segno.
Ciò non tanto in considerazione del fatto che la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. Sez. U. n. 5069/2016) ha statuito che occorre ‘conferire rilievo, indipendentemente dal possesso di partecipazioni azionarie di controllo, all’eventuale stipulazione di patti parasociali, idonei a consentire, anche congiuntamente ad altri soggetti, l’esercizio di un’influenza sulla gestione dell’impresa RAGIONE_SOCIALE‘, poiché sul punto il giudice d’appello ha compiuto un
accertamento di fatto basato sulla documentazione prodotta che ha ritenuto sufficiente in base al suddetto apprezzamento, quanto con riferimento allo svolgimento di attività differente.
Partendo dal presupposto dell’iniziale possesso di una rilevante partecipazione in aziende RAGIONE_SOCIALE, non è stato indagato l’eventuale utilizzo di partecipazioni di diverso segno e natura, e soprattutto, con riferimento alle operazioni che erano state segnalate (in particolare le viste operazioni di cessione sul mercato di azioni Unicredit e poi l’esercizio della relativa opzione in occasione dell’aumento di capitale della stessa società RAGIONE_SOCIALE).
Va in proposito affermato che il possesso di titoli o quote di partecipazione in soggetti societari, in considerazione dell’entità della partecipazione e del ruolo effettivamente svolto nella società partecipata, per non incidere sulla natura imprenditoriale della RAGIONE_SOCIALE detentrice, deve sostanziarsi in una gestione statico conservativa del patrimonio stesso, realizzando un impiego delle risorse patrimoniali finalizzato alla percezione di utili da destinare al raggiungimento degli scopi istituzionali (in tal senso si vedano anche atti di prassi, cfr. circ. n.59/E del 2007).
Va poi ricordato che
Occorre sempre accertare che l’attività della RAGIONE_SOCIALE non presenti i connotati propri dell’esercizio di un’impresa, tenendo conto che è qualificabile come tale, indipendentemente dal carattere non lucrativo dei compiti istituzionali assegnati all’ente, anche l’esclusiva gestione dell’originaria partecipazione nella banca conferitaria, e che la completa dismissione di tale partecipazione non comporta automaticamente il venir meno dei predetti connotati, quando le risorse da essa ricavate siano state utilizzate per acquisire partecipazioni in altre imprese, anche non RAGIONE_SOCIALE (Cass., n. 10258/2007).
A fronte di tutto ciò il giudice d’appello s’è limitato a considerare la posizione della RAGIONE_SOCIALE nei confronti dell’azienda RAGIONE_SOCIALE Unicredit.
Al postutto il ricorso dev’essere accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice d’appello che si conformerà ai principi qui espressi, e provvederà altresì alla liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Umbria che, in diversa composizione, si atterrà ai principi qui espressi e provvederà altresì alla liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE, il 5 febbraio 2025