Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33151 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33151 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
Oggetto:
Tributi
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 16900/2016 R.G. proposto da Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE e COGNOME COGNOME , rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME come da procura speciale in calce al controricorso (PEC: EMAIL; EMAIL);
-controricorrenti – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del l’Emilia – Romagna n. 3189/14/2017, depositata il 27.11.2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 ottobre 2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
La CTR del l’Emilia Romagna rigettava l’ appello proposto dall ‘Agenzia delle entrate avverso la sentenza della CTP di Piacenza, che aveva accolto parzialmente i ricorsi riuniti proposti dalla RAGIONE_SOCIALE e da COGNOME Mauro, quale titolare dell’omonima impresa individuale, avverso i rispettivi avvisi di accertamento relativi all’anno d’imposta 2006, con i quali era stata contestata nei confronti della società l’indebita deduzione ai fini IRES ed IRAP di canoni di affitto e la conseguente indebita detrazione dell’IVA , mentre nei confronti del COGNOME erano stati recuperati a tassazione maggiori ricavi di esercizio ed era stata ritenuta indebitamente detratta l’IVA ;
dalla sentenza impugnata si evince, per quanto ancora qui rileva, che:
il recupero si fondava sul fatto che il contratto di affitto d’azienda stipulato tra la società e l’impresa del COGNOME simulava e occultava una cessione d’azienda;
il primo giudice aveva accolto il ricorso proposto dalla società ritenendo che il contratto stipulato tra le parti fosse un contratto di affitto di azienda e riconoscendo la legittimità della deduzione dei canoni di locazione e della relativa detrazione dell’IVA , mentre aveva accolto parzialmente il ricorso proposto dal COGNOME riconoscendo solo la legittimità delle deduzioni relative alla nota di debito, emessa a parzial e rimborso dei canoni di locazione relativi all’anno 2005 con la conseguente detrazione dell’IVA ;
-la sentenza impugnata andava confermata, in quanto l’Ufficio non aveva provato la ritenuta simulazione contrattuale, limitandosi a ribadire quanto già dedotto nel giudizio di primo grado;
-l’effettività del contrato di affitto di azienda era dimostrata anche sulla base di quanto era emerso all’esito della procedura concordataria che aveva coinvolto l’impresa del Frascaro, atteso che
dai dati esposti nella relazione del commissario giudiziale in riferimento alla richiesta di concordato preventivo si evinceva la sussistenza di un effettivo contratto di affitto, essendo l’impresa rientrata nella disponibilità dei beni aziendali alla conclusione del contratto e questi erano a disposizione della procedura;
-l’Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a due motivi;
la società RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME resistevano con controricorso, illustrato con memoria.
CONSIDERATO CHE
– Con il primo motivo, l ‘Agenzia ricorrente deduce , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., per avere la CTR travisato la prova, laddove ha attribuito portata decisiva agli elementi emersi nella procedura concordataria e desumibili dalla relazione del commissario giudiziale, in quanto dalla stessa si evinceva che: il nomen iuris del contratto di affitto era solo un escamotage per consentire al COGNOME (che era l’unico socio della RAGIONE_SOCIALE) di mantenere in vita l’impresa individuale (esercente l’attività di commercio al minuto di fiori, piante e articoli da giardinaggio); la cessione dei beni strumentali era già eseguita e perfezionata al momento della conclusione del contratto di affitto e la sua asserita cessazione era avvenuta senza il rientro in capo all’affittante dei contratti in essere i cui oneri arretrati rimanevano a totale carico dell’affittuario, senza conguaglio in denaro da nessuna della parti a favore dell’altra; i predetti beni erano stati già ammortizzati, in quanto acquistati in epoca remota; l’impresa individuale, avendo nel frattempo cessato l’attività e ceduto tutte le rimanenze di magazzino, aveva rivenduto i beni strumentali in parte a Evergreens e in parte a terzi;
– con il secondo motivo, deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., per avere escluso, in modo apodittico, la valenza probatoria degli indizi forniti dall’Ufficio e per non avere spiegato le ragioni della propria decisione, in presenza di un quadro fattuale quale quello esposto negli avvisi impugnati;
-entrambi i motivi, che vanno esaminati unitariamente per connessione, sono inammissibili, in quanto la ricorrente deduce solo apparentemente una violazione di norme di legge, ma in realtà mira alla rivalutazione dei fatti, operata dal giudice di merito, al fine di provare la dissimulazione del contratto di affitto; la predetta censura prospetta, infatti , non l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla esclusiva valutazione del giudice di merito ( ex multis , Cass. n. 3340 del 5/02/2019; Cass. n. 640 del 14/01/2019; Cass. n. 24155 del 13/10/2017);
il giudice di appello ha accertato che il contratto di affitto non occultava una cessione di azienda o ramo di azienda, fondando la propria decisione anche sui dati ricavabili dalla relazione del commissario giudiziale, dalla quale si evinceva che, alla conclusione del contratto di affitto, i beni erano rientrati nella disponibilità dell’impresa del Frascaro, tanto che, come risulta dallo stralcio di detta relazione (riportata per autosufficienza a p. 10 e ss. dello stesso ricorso per cassazione), il COGNOME li aveva rivenduti in parte alla stessa RAGIONE_SOCIALE e in parte a terzi;
in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 5.800,00, per compensi, oltre
alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 9 ottobre 2024