Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18513 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18513 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/07/2025
Avv. Acc. IRPEF ed altro 2008 – 2009 – 2011
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20868/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege ,
-ricorrente –
contro
SOCIETA’ AGRICOLA RAGIONE_SOCIALE. SOCIETA’ RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE. SOCIETA’ SEMPLIC E, MERCATI VALENTINO, COGNOME, COGNOME, MERCATI MASSIMO, MERCATI STENO, MERCATI VALENTINA, rappresentati e difesi dagli Avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo sito in INDIRIZZO Roma.
-controricorrenti – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. UMBRIA n.72/2016, depositata in data 9 febbraio 2016.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16 aprile 2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate emetteva otto avvisi di accertamento a carico della RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, riferiti ai periodi di imposta 2008, 2009, 2010 e 2011. I redditi accertati venivano imputati per trasparenza ai soci.
Avverso gli avvisi di accertamento, le società e i singoli soci proponevano ricorso dinanzi alla C.t.p. di Perugia; si costituiva l’Agenzia delle Entrate, che ribadiva la legittimità del proprio operato.
La C.t.p. di Perugia, con sentenza n. 440/2014, accoglieva i ricorsi riuniti, ritenendo corretto l’operato dei contribuenti.
Contro tale sentenza proponeva appello l’Ufficio dinanzi alla C.t.r. dell’Umbria, richiedendo in via preliminare l’integrazione del contraddittorio necessario con gli altri soci della società; gli appellati si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.
Con sentenza n. 72/03/2016, depositata in data 9 febbraio 2016, la C.t.r. rigettava l’appello, confermando la sentenza di prime cure.
Avverso la sentenza della C.t.r. dell’Umbria l’Ufficio ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi mentre i contribuenti hanno resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 16 aprile 2025 per la quale i contribuenti hanno depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e seg. cod. civ., nonché dell’art. 20 d.P.r. 26 aprile 1986, n. 131, con riferimento all’art. 67 lett. h) T.U.I.R. (ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ)», l’Ufficio lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha proceduto, nell’interpretare il contratto, ad indagare la comune intenzione delle parti anche alla luce del comportamento complessivo di esse, limitandosi, in
contrasto con il principio ermeneutico di cui all’art. 1362 cod. civ., al suo dato testuale; né quindi ha indagato in ordine alla intrinseca natura ed agli effetti giuridici, al di là del titolo e della forma apparente, agli effetti dell’applicazione dell’imposta, in contrasto con il principio di cui all’art. 20 d.P.r. n. 131/1986, applicabile quale generale canone ermeneutico in materia tributaria.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Nullità della sentenza per motivazione apparente, in quanto contenente affermazioni incongrue ed inconciliabili (ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ)», l’Ufficio lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la CRAGIONE_SOCIALE. ha argomentato la propria decisione con motivazione apparente in quanto, per un verso mancante nella necessaria manifestazione di rilevanza o irrilevanza di ciò che era decisivo ai fini della controversia, per altro verso contenente affermazioni incongrue ed assolutamente inconciliabili.
Preliminarmente, deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dai controricorrenti ossia la decadenza dall’impugnazione nella quale sarebbe incorsa l’Agenzia delle entrate avendo notificato il ricorso via PEC oltre le ore 21.00 dell’ultimo giorno utile onde , ai sensi dell’art. 16 septies Legge 17 dicembre 2012, n. 221, tale notifica doveva considerarsi perfezionata alle ore 7.00 del giorno successivo.
2.1. Invero, questa Corte ha avuto modo di chiarire come: «In tema di notifica del ricorso per cassazione a mezzo PEC, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 75 del 2019 -che ha dichiarato l’illegittimità del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 -septies conv. in L. n. 221 del 2012 nella parte in cui tale norma prevedeva che la notifica eseguita con modalità telematiche, la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 dell’ultimo giorno utile ad impugnare, si perfeziona, per il notificante, alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di
generazione della predetta ricevuta -l’applicazione della regola generale di scindibilità soggettiva degli effetti della notificazione per notificante e destinatario implica che la stessa ricevuta di accettazione deve essere generata, al più tardi, entro la ventiquattresima ora del predetto ultimo giorno utile, ossia entro le ore 23:59:59 (UTC), giacché, con l’ insorgere del secondo immediatamente successivo, alle ore 00:00:00 (UTC), il termine di impugnazione deve intendersi irrimediabilmente scaduto, per essere già iniziato il nuovo giorno, restando irrilevante che il ricorso sia stato già avviato alla spedizione dal mittente prima di tale momento» (Cass. n. 1519/2023).
Il primo motivo di ricorso proposto è inammissibile.
3.1. Invero, la complessiva censura, malgrado proposta ai sensi dell’art.360, primo comma, num.3 cod.proc.civ., si risolve, in sostanza, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione delle risultanze di fatto come emerse e accertate, in modo conforme, nel corso dei precedenti gradi del procedimento, cosi mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consone ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità.
Come precisato a più riprese dalla Suprema Corte, il sindacato di legittimità sull’interpretazione degli atti di autonomia privata, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del significato del contratto in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale e nel caso di
riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, e cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sé; ipotesi non verificatesi nella fattispecie.
3.2. Più in particolare, poi, si è ribadito che ‘L’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione. Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è peraltro sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonchè, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorchè la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire. La denuncia del vizio di motivazione dev’essere invece effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in
astratto, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. 22/02/2007, n. 4178).
3.3. Infine, si è pi ù̀ volte sottolineato come compito della Corte di Cassazione non sia quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (Cass. 12/02/2008, n. 3267), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare. La valutazione delle prove più idonee a sorreggere la motivazione involge apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di formare il suo convincimento utilizzando gli elementi che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti, essendo limitato il controllo del giudice della legittimità alla sola congruenza della decisione dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova.
Il secondo motivo di ricorso proposto è infondato.
4.1. Con riguardo al vizio di motivazione occorre dire che la mancanza della stessa, rilevante ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e, nel caso di specie, dell’art. 36, comma 2, n. 4, D.Lgs. n. 546/1992, riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., si configura quando questa manchi del tutto -nel
senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, risultante dallo svolgimento del processo, segue l’enunciazione della decisione, senza alcuna argomentazione -ovvero nel caso in cui essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass., SS. UU., sent. 7 aprile 2014 n. 8053; successivamente, tra le tante, Cass. n. 6626/2022 e Cass. n. 22598/2018).
4.2. Ebbene, una volta sancita questa riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato che questa Corte può effettuare sulla motivazione, risulta evidente come la decisione della C.t.r. qui impugnata non possa dirsi affetta dal vizio in discussione.
Essa, infatti, compiutamente e con logicità statuisce che: « La differenza tra locazione di immobile e affitto di azienda viene individuata dalla consolidata giurisprudenza nel fatto che, nella prima ipotesi, l’immobile concesso in godimento viene considerato specificamente, nella economia del contratto, come l’oggetto principale della stipulazione, secondo la sua consistenza effettiva e con funzione prevalente e assorbente rispetto ad eventuali altri elementi i quali siano essi legati materialmente o meno all’immobile assumono carattere di accessorietà e rimangono collegati all’immobile funzionalmente. Diversamente, nell’affitto di azienda, l’immobile non viene considerato nella sua individualità giuridica, ma come uno degli elementi costitutivi del complesso dei beni mobili e immobili, legati tra di loro da un vincolo di interdipendenza e di complementarità per il conseguimento di un determinato fine produttivo, sicché l’oggetto del contratto è costituito dall’anzidetto complesso unitario (Cassazione civile, sez. III, 11/06/2007, n. 13683; Cassazione civile, sez. III, 08/07/2010, n. 16138). Nella fattispecie, la corretta interpretazione della volontà delle parti è chiaramente desumibile dal contenuto e dal tenore del contratto
che contiene esclusivamente la dettagliata e specifica indicazione dei beni immobili concessi in affitto e della puntuale e articolata disciplina in tema di miglioramenti agrari e delle innovazioni, in modo del tutto coerente con la disciplina legale della locazione di fondi agrari. D’altro canto non risulta ceduto dalla RAGIONE_SOCIALE nessun altro bene che, in ipotesi, possa costituire azienda, quali scorte vive o morte, avviamento, debiti o crediti, personale; inoltre risulta di particolare rilievo quanto emerge dagli stessi avvisi di accertamento e dal processo verbale di constatazione e, cioè, che la società agricola nemmeno disponeva di tali beni, non avendo mai esercitato l’attività agricola ed essendo priva di strutture e di personale. In conclusione si ritiene ampiamente dimostrato che con il contratto de quo sono stati messi a disposizione solo beni immobili, senza alcun riferimento ad un collegamento funzionale e di complementarità con altri elementi ».
4.3. Pertanto, la RAGIONE_SOCIALE ha ritenuto di escludere l’esistenza di un contratto di affitto di azienda tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE ed ha affermato la sussistenza di un contratto di locazione di immobile, con una motivazione della quale è agevole scorgere l’iter logico -argomentativo sottostante.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale, non si applica l’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese di lite che liquida in complessivi € 7. 200,00, dei quali € 200,00 per
esborsi, oltre rimborso forfettario nella misura del 15 % e IVA e C.P.A. come per legge.
Così deciso in Roma il 16 aprile 2025.