Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11598 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11598 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/05/2025
Oggetto: IVA -accordo conciliativo -conseguenze su ipoteca iscritta -limiti giurisdizione giudice tributario -cattivo comportamento PA
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5019/2023 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata all’indirizzo Pec: EMAIL
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, in persona del Direttore pro tempore;
-intimata – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 3375/6/2022, depositata il 19 luglio 2022 e non notificata. camerale del 14 febbraio
Udita la relazione svolta nell’adunanza 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 3375/6/2022, depositata il 19 luglio 2022, veniva rigettato l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE ora in liquidazione, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma n.5882/38/2019 la quale aveva rigettato il ricorso introduttivo proposto dalla contribuente avente ad oggetto l’intimazione di pagamento conseguente alla decadenza dalla rateizzazione del debito concessa di una conciliazione ‘fuori udienza’ stipulata nel gennaio 2017, ex art.48 d.lgs. n. 546 del 1992, relativamente alle imposte accertate con avviso di accertamento per l ‘ annualità 2011.
Per quanto qui ancora interessa, in sentenza si legge che la società impugnava la sentenza di primo grado deducendo, in via preliminare, l’assenza di legittima sottoscrizione dell’atto impugnato e, nel merito, prospettava che il mancato versamento della rata che aveva determinato la decadenza dal piano di rateizzazione del debito era stata la conseguenza di un comportamento omissivo dell’agente della riscossione che non aveva provveduto alla cancellazione o sospensione dell’ipoteca iscritta sui beni immobili della società. Tale circostanza aveva impedito alle banche di concedere fidi e finanziamenti anche per assolvere al debito erariale. Quindi, insisteva a che fosse ripristinata la rateizzazione e che fossero dichiarate non dovute
le maggiori sanzioni del 45% sul residuo importo dovuto a titolo d’imposta ai sensi dell’art. 48 ter comma 3 del d.lgs. 546/92.
La contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, che illustra con memoria ex art.380 bis. 1 cod. proc. civ., cui replica l’Agenzia con controricorso; l’agente della riscossione è rimasto intimato.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., si deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 29, comma 1, lett. a), DL 78/2010, 53 Cost., violazione e falsa applicazione artt. 48, comma 4, e 48 ter, comma 3, del d.lgs. n. 546/92 perché la decisione impugnata sarebbe stata erroneamente fondata sul disposto dell’art. 48, comma 3, d.lgs. 546/92 in vigore fino al 05/07/2011 che prevedeva il perfezionamento della conciliazione rateale solo con il pagamento della prima rata e con la prestazione di garanzia per le rate successive, così falsamente affermando che l’agente della riscossione non potesse cancellare l’ipoteca fino al pagamento di tutte le rate. Invece, il giudice avrebbe dovuto applicare il quarto comma dell’articolo nella versione in vigore a gennaio 2017, data dell’accordo conciliativo. Lamenta anche la violazione della seconda parte del secondo comma dell’art. 10 della L. 27 luglio 2000 n. 212 secondo il quale non sono irrogate sanzioni, né richiesti interessi moratori al contribuente qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’Amministrazione stessa, nonché la violazione dell’art. 2043 del cod. civ. e dell’art. 97 Cost., con assunzione di responsabilità delle conseguenze del mancato pagamento della seconda.
Inoltre, si censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che la memoria depositata dalla parte privata, contenente la sentenza n. 3072 del 2022 fosse tardiva in quanto depositata oltre l’udienza pubblica, in violazione dell’art. 112 e 115 cod. proc. civ., statuizione
ritenuta illegittima in quanto il deposito di tale atto sarebbe avvenuto il giorno prima ella suddetta udienza.
Si chiede infine che si applichi il giudicato esterno formatosi a seguito della pronuncia della sentenza della CTR n. 3072 del 2022.
Il motivo è infondato, con correzione della motivazione.
2.1. Il testo d ell’art. 48 del d.lgs. n. 546 del 1992, applicabile ratione temporis , tenuto conto che il momento in cui le parti hanno stipulato l’accordo di conciliazione è stato il mese di gennaio 2017, è il testo in vigore dal 1/1/2016, modificato dal d.lgs. del 24/09/2015 n. 156, articolo 9 e, nella versione applicabile alla fattispecie, non attiene più alla ‘conciliazione giudiziale’, ora prevista all’art. 48 -bis del d.lgs. n. 546 del 1992 così appositamente rubricato, ma alla ‘conciliazione fuori udienza’, come da rubrica dell’articolo.
Nel caso di specie è lo stesso incipit del ricorso, a pag.3, a riferire che « La controversia devoluta all’esame di codesta Ecc.ma Corte, trae origine dall’intimazione di pagamento n. 25886 relativa all’anno 2011 (già all. 1 al ricorso in 1°grado e ora Doc. 2.1), impugnata dinanzi alla CTP di Roma. Tale avviso di intimazione relativ o all’anno 2011 era stato emesso a seguito del mancato versamento della seconda rata trimestrale su sedici dell’importo di Euro 44.194,19 come da piano di rateazione allegato a proposta di conciliazione giudiziale n TK5 500004/2017» . L’accordo è stato prodotto agli atti ed è un accordo conciliativo ex art.48 cit., ‘ fuori udienza ‘ .
2.2. La disposizione applicabile è in particolare quella di cui al quarto comma del citato art. 48, che nel testo applicabile ratione temporis recita: «La conciliazione si perfeziona con la sottoscrizione dell’accordo di cui al comma 1, nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. L’accordo costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente».
Quindi, ai fini del perfezionamento dell’accordo concilia tivo, al momento della stipula intervenuta nel gennaio 2017, a differenza di quanto ritiene il giudice d’appello, è idonea e sufficiente la sottoscrizione delle parti, senza necessit à di ulteriori attivit à , quale il pagamento della prima rata e la prestazione di idonea garanzia sull’importo delle rate successive.
2.3. Sul punto la motivazione del giudice va corretta ex art.384 u.c. cod. proc. civ., ma la decisione giunge a condivisibili conclusioni. La prospettazione del ricorrente, secondo cui l’Amministrazione per effetto della conciliazione ‘fuori udienza’ aveva l’obbligo di cancellare l’ipoteca iscritta a garanzia del debito oggetto della conciliazione , e questo comportamento negligente dell’Amministrazione sarebbe stato la causa del mancato ottenimento di finanziamenti necessari all’estinzione delle rate e , dunque, della decadenza dal beneficio del termine, non può su di un piano logico condurre ad una statuizione di non debenza del tributo e delle sanzioni.
Eventualmente avrebbe potuto essere introdotta davanti al giudice ordinario una domanda risarcitoria (cfr. Cass. 17902/2010), ma non può essere utilmente contestato davanti al giudice tributario un presunto cattivo comportamento dell’ Amministrazione per non aver adeguato tempestivamente l’ipoteca agli esiti della conciliazione, fatto intervenuto solo nel 2020. Non è devolvibile al giudice tributario un profilo di responsabilità per eventuale comportamento dell’Amministrazione, ma solo un giudizio sulla debenza del tributo.
La questione posta all’attenzione del giudice d’appello, dunque, è in ultima analisi priva di decisività e il giudice, anche se sulla base della motivazione come sopra corretta, è giunto ad esatte conclusioni rigettandola.
2.4. Non può inoltre trovare accoglimento neppure la parte del motivo relativo al giudicato esterno, dal momento che la sentenza n.
3072 del 2022 invocata dalla ricorrente riguarda pacificamente un’ altra annualit à in presenza di imposte erariali che variano a seconda delle operazioni economiche realizzate nel periodo, né sono offerti elementi fattuali da cui desumere l’identità dei fatti alla base delle riprese nei due processi e ciò assorbe ogni profilo circa la tempestività o meno del deposito della sentenza nel grado d’appello .
Con il secondo motivo la ricorrente, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., deduce la nullità della sentenza per motivazione apparente circa l’eccepito difetto di delega del funzionario che ha sottoscritto l’intimazione di pagamento, in violazione degli artt. 36 d.lgs. 546/92, 112, 115 cod. proc. civ., dell’art. 29, comma, 1, lett. a), d.l. 78/2010.
Il motivo è affetto da concorrenti profili di inammissibilità e di infondatezza.
La sentenza impugnata ha deciso sul motivo di gravame rilevante nei seguenti termini: «Quanto al secondo motivo di appello relativo al difetto di delega della funzionaria che ha sottoscritto l’avviso di intimazione, si osserva come lo stesso non sia fondato. Invero, l’Ufficio produceva tutte le deleghe sia originarie che poi prorogate, dalle quali si evinceva come detta funzionaria avesse i poteri per apporre la propria sottoscrizione sotto l’atto impugnato. (cfr. DELEGA N. 67, allegata alla DDS n. 167 del 16 novembre 2015, conferita al Dott.ssa NOME COGNOME delegato per la funzione di Capo Ufficio Legale, trasmessa telematicamente nel giudizio di primo grado)» (v. p.5 sentenza).
Il giudice d’appello ha perciò motivato sulla questione, con precisi addentellati al quadro istruttorio e la motivazione sicuramente rispetta il minimo costituzionale (cfr. Cass. Sez. U. n.8053/2014).
Inoltre, la censura nella parte in cui deduce anche una violazione del 115 cod. proc. civ. che sembrerebbe prospettare, anche a tenore
delle argomentazioni svolte, un travisamento del contento dei documenti prodotti dall’Agenzia, è anche inammissibile sotto tale profilo perché non riproduce il contenuto dei documenti in questione.
Con il terzo motivo si prospetta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per illegittima condanna al pagamento delle spese di lite, in violazione dell’art. 15 d.lgs. 546/92 per avere il giudice del gravame erroneamente condannato la societ à al pagamento delle spese di lite, anche perch é l’Agenzia delle entrate era difesa da proprio funzionario, con violazione degli artt. 11, 12 e 15 d.lgs. 54671992.
Il motivo è infondato. Va reiterato anche nella presente fattispecie che, in tema di contenzioso tributario, all’Amministrazione finanziaria assistita in giudizio dai propri funzionari, in caso di vittoria nella lite, spetta, ai sensi dell’art. 15, comma 2 bis, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, la liquidazione delle spese che va effettuata applicandosi la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato, quale rimborso per la sottrazione di attività lavorativa dei funzionali medesimi, utilizzabile altrimenti in compiti interni di ufficio e tenuto conto dell’identità della prestazione professionale profusa dal funzionario rispetto a quella del difensore abilitato (Cass. n. 24675/2011; conforme, da ultimo Cass. n.1019/2024).
La ricorrente non argomenta nemmeno in ordine al fatto che l’importo individuato non tenga conto della riduzione del venti per cento previsto dalle disposizioni per la liquidazione del compenso per gli avvocati.
In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato e le spese di lite, liquidate in favore della controricorrente come da dispositivo, seguono la soccombenza.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore della controricorrente, liquidate in 10.600,00 euro per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Si dà atto del fatto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14.2.2025