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Accordo conciliativo: che fare se la PA non coopera?

Una società stipula un accordo conciliativo con il Fisco ma non paga le rate, sostenendo che l’Agenzia non ha cancellato un’ipoteca, impedendole di ottenere credito. La Cassazione respinge il ricorso, chiarendo che le richieste di risarcimento per cattiva condotta della P.A. vanno presentate al giudice ordinario, non a quello tributario, la cui competenza è limitata alla debenza del tributo.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accordo conciliativo e comportamento della PA: la Cassazione traccia i confini

Un accordo conciliativo con il Fisco dovrebbe rappresentare la fine di una controversia, ma cosa succede se il comportamento della Pubblica Amministrazione impedisce al contribuente di rispettare i patti? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un punto cruciale: la netta separazione tra la giurisdizione del giudice tributario, competente sul debito d’imposta, e quella del giudice ordinario, a cui spetta valutare le richieste di risarcimento per i danni causati da un’eventuale condotta negligente dell’Amministrazione.

I Fatti del Caso

Una società edile in liquidazione aveva stipulato un accordo conciliativo con l’Agenzia delle Entrate per sanare un debito fiscale relativo all’anno 2011, concordando un pagamento rateale. Tuttavia, la società non riusciva a pagare la seconda rata, causando la decadenza dal beneficio della rateizzazione e la conseguente intimazione di pagamento per l’intero importo residuo, maggiorato di sanzioni.

La contribuente si opponeva, sostenendo che la responsabilità del mancato pagamento fosse da attribuire all’agente della riscossione. Quest’ultimo, infatti, non avrebbe provveduto tempestivamente a cancellare o sospendere un’ipoteca iscritta su beni immobili della società a garanzia del debito originario. Tale inadempienza, secondo la società, le aveva precluso l’accesso al credito bancario necessario per onorare la rata dell’accordo, configurando un comportamento omissivo e negligente da parte della Pubblica Amministrazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

Dopo due gradi di giudizio sfavorevoli, la società ha presentato ricorso in Cassazione. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la decisione impugnata, seppur con una correzione nella motivazione. I giudici hanno stabilito un principio fondamentale: il presunto comportamento scorretto dell’Amministrazione, che avrebbe causato un danno al contribuente, non può essere fatto valere davanti al giudice tributario per ottenere una dichiarazione di non debenza del tributo e delle sanzioni.

L’accordo conciliativo e la Giurisdizione Tributaria

La Corte ha chiarito che la giurisdizione del giudice tributario è strettamente limitata alla verifica della legittimità della pretesa fiscale. In altre parole, il suo compito è stabilire se il tributo sia dovuto o meno e in quale misura. Qualsiasi questione relativa a una richiesta di risarcimento danni per un comportamento illecito della Pubblica Amministrazione, anche se collegato alla riscossione di un tributo, esula dalla sua competenza e deve essere introdotta davanti al giudice ordinario.

Le Motivazioni della Corte

La Cassazione, correggendo la motivazione della corte d’appello, ha prima di tutto chiarito che, secondo la normativa applicabile all’epoca dei fatti (gennaio 2017), l’accordo conciliativo si perfezionava con la semplice sottoscrizione delle parti. Non erano necessari né il pagamento della prima rata né la prestazione di una garanzia, come erroneamente ritenuto nel giudizio precedente.

Il punto centrale della decisione, tuttavia, risiede nella distinzione delle giurisdizioni. La prospettazione della ricorrente, secondo cui il comportamento negligente dell’Amministrazione (la mancata cancellazione dell’ipoteca) era la causa diretta del suo inadempimento, non poteva portare a una sentenza che annullasse il debito fiscale. Una tale argomentazione, se fondata, avrebbe potuto al massimo dar vita a un’azione di risarcimento danni in un diverso giudizio, quello civile, ma non poteva incidere sulla debenza del tributo oggetto del contenzioso tributario.

La Corte ha inoltre respinto gli altri motivi di ricorso, tra cui la presunta violazione del giudicato esterno (poiché relativo a una diversa annualità fiscale) e il difetto di delega del funzionario che aveva firmato l’atto di intimazione, ritenendo la motivazione della sentenza d’appello su quest’ultimo punto adeguata e sufficiente.

Infine, è stato rigettato anche il motivo relativo alla condanna alle spese di lite. La Corte ha ribadito che, ai sensi della normativa sul contenzioso tributario, all’Amministrazione finanziaria vittoriosa spetta la liquidazione delle spese anche quando è difesa in giudizio dai propri funzionari, con una riduzione forfettaria del 20% sugli onorari.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre un importante promemoria sui limiti della giurisdizione tributaria. I contribuenti che ritengono di aver subito un danno a causa di ritardi, omissioni o errori da parte dell’Amministrazione Finanziaria non possono utilizzare tali argomenti per contestare la legittimità del debito fiscale davanti alle Commissioni Tributarie. La strada corretta per ottenere un risarcimento è quella di avviare un’autonoma causa civile davanti al giudice ordinario, dove verrà accertata l’eventuale responsabilità della Pubblica Amministrazione e quantificato il danno subito. La pretesa tributaria e la richiesta di risarcimento, pur potendo essere collegate nei fatti, seguono percorsi giudiziari distinti e non sovrapponibili.

Quando si perfeziona un accordo conciliativo con il Fisco?
Secondo la normativa applicabile ai fatti della causa (gennaio 2017), l’accordo si perfeziona con la semplice sottoscrizione delle parti, senza la necessità di ulteriori adempimenti come il pagamento della prima rata o la prestazione di una garanzia.

Se l’Agenzia delle Entrate ha un comportamento scorretto che mi causa un danno, posso farle causa davanti al giudice tributario?
No. La sentenza chiarisce che il giudice tributario si occupa solo della legittimità del debito fiscale. Per le richieste di risarcimento danni dovute a un comportamento scorretto della Pubblica Amministrazione, la competenza è del giudice ordinario.

L’Agenzia delle Entrate ha diritto al rimborso delle spese legali se si difende con i propri funzionari?
Sì. La legge prevede che, in caso di vittoria in giudizio, all’Amministrazione finanziaria spetti la liquidazione delle spese di lite, calcolate sulla base della tariffa forense ma con una riduzione del 20% sugli onorari.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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