Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9644 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9644 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/04/2025
Oggetto: accollo tributario
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25242/2023 R.G. proposto da
AGENZIA DELLE ENTRATE rappresentata e difesa come per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato (con indirizzo PEC: )
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa dall’avv. prof. NOME COGNOMEcon indirizzo PEC: ) e presso il suo studio elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO giusta procura speciale in atti;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 2836/07/2022 depositata in data 20/06/2022; Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 27/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
-la Direzione Provinciale II dell’Agenzia delle Entrate di Roma ha recuperato nei confronti dell’accollata RAGIONE_SOCIALEi crediti di imposta indebitamente compensati, in violazione dell’art. 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241′, maggiorati di interessi e sanzioni;
-la società ricorreva alla CTP, che rigettava il ricorso;
-appellava la contribuente società;
-con la sentenza qui gravata, la CGT di secondo grado ha accolto l’impugnazione in quanto ha ritenuto che l’art. 8 dello Statuto del contribuente (L. n. 212 del 2000), il quale dispone che l’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione, non faccia altro che stabilire anche per le obbligazioni tributarie un principio generale del diritto civile. Secondo la sentenza impugnata, la norma di cui al comma 6 dello stesso art. 8 stabilisce che “con decreto del Ministro delle finanze, adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, relativo ai poteri regolamentari dei Ministri nelle materie di loro competenza, sono emanate le disposizioni di attuazione del presente articolo”. A parere del Collegio di merito, tale disposizione non può escludere l’immediata applicazione del principio di cui al primo comma. Ciò anche perché le disposizioni di attuazione si riferiscono all’intero articolo e non soltanto alla possibilità di compensare crediti tributari. Infine, ad avviso della pronuncia gravata, la norma di cui all’art. 1 d. L. n. 124 del 2019, che esclude la
possibilità di compensazione dei debiti fiscali altrui, non è una norma di interpretazione, bensì una norma che innova rispetto alla disciplina precedente. Ciò emergerebbe, secondo la sentenza in argomento, dalla circostanza che la norma non dichiara di essere interpretativa di una data disposizione (specificamente dell’art. 8, comma 2, dello Statuto del contribuente);
-ricorre a questa Corte l’Agenzia delle Entrate con atto affidato a un solo motivo;
-resiste con controricorso la società contribuente; la stessa deposita anche memorie illustrativa;
Considerato che:
-l’unica censura dedotta dall’Amministrazione finanziaria ricorrente si incentra sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 8 L. 212 del 2000, dell’art. 17, comma 1, d. Lgs. n.241 del 1997 e dell’art. 1 d.L. n. 124 del 26 ottobre 2019, convertito nella legge 19 dicembre 2019, n. 157, tutto in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. per avere la sentenza di merito erroneamente ritenuto estinguibile per compensazione l’obbligazione tributaria nel presente caso, in quanto la circostanza che il contribuente/soggetto passivo del rapporto tributario, al pari del credito fiscale che è tenuto ex lege a soddisfare rimanga sempre il medesimo comporta che nell’accollo disciplinato dal secondo comma dell’art. 8 L. n. 212 del 2000, non possano trovare applicazione in favore dell’accollante le norme che prevedono modalità peculiari di soddisfazione di tale credito, quali la compensazione;
-il motivo è fondato;
-come questa Corte ha ancora di recente chiarito (Cass. 3930/2025) come vada esclusa la possibilità della
compensazione di crediti d’imposta dell’accollante con debiti di terzi accollati;
-in primo luogo, deve intanto escludersi che il motivo sia inammissibile, come eccepito dalla controricorrente, secondo la quale l’Ufficio si sarebbe limitato a riprodurre in sede di legittimità le censure formulate già in appello con l’atto d’impugnazione. La società afferma che «il ricorrente, infatti, per evitare l’inammissibilità del motivo, deve indicare le ragioni di fatto poste alla base, rispettivamente della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando come le stesse siano tra loro diverse» e ritiene che questo onere non sia stato rispettato dall’Agenzia delle entrate;
-l’eccezione è invero priva di pregio, perché le critiche rivolte alla pronuncia del giudice d’appello, e prima ancora alla sentenza di primo grado, afferiscono ad una ricostruzione giuridica dell’istituto della compensazione in materia tributaria nella sua possibile interferenza con l’accollo esterno di debito, così che, anche ove le motivazioni poste a fondamento delle decisioni di merito in entrambe i gradi di giudizio fossero state sovrapponibili, nulla impedisce al ricorrente in sede di Legittimità di insistere nella sua interpretazione delle norme, denunciando la falsa o l’erronea applicazione delle stesse;
-non si tratta, infatti sollecitare una ‘reiterpretazione’ di ‘fatti’, ma di prospettare una diversa ricostruzione giuridica della disciplina applicabile alla vicenda controversa, argomentando quindi in ‘diritto’. Nel caso di specie la questione sulla quale le parti controvertono è la compensabilità, nell’ipotesi di accollo negoziale del debito d’imposta, tra un debito erariale del terzo accollato ed un credito d’imposta vantato dall’accollante. Si tratta, come evidente, di fattispecie che di per sé implica la
distinzione soggettiva dei titolari originari delle rispettive posizioni giuridiche, e pertanto la questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità è squisitamente giuridica, risultando dunque del tutto estranee le ragioni della eccepita inammissibilità del ricorso;
-deve poi ricordarsi, venendo a esaminare il contenuto della censura, che l’accollo negoziale del debito di imposta, con il quale una parte si obbliga a tenere indenne l’altra da ogni pretesa fiscale relativa ai debiti erariali accollati, è rilevante esclusivamente tra le parti: l’Amministrazione finanziaria non può esercitare i poteri di accertamento ed esazione nei confronti dell’accollante, ma solo verso l’accollato, tenuto per legge a soddisfare il credito fiscale per la sua qualità di soggetto passivo del tributo (Cass., 8 aprile 2024, n. 9353);
-tale principio trova a sua volta fondamento in quello secondo il quale, nel caso di accollo negoziale del debito di imposta, la volontaria assunzione dell’impegno di pagare le imposte non determina, per l’accollante, l’assunzione della posizione di contribuente o di soggetto passivo del rapporto tributario, ma solo quella di obbligato in forza del titolo negoziale (Cass. Sez. Un., 26 novembre 2008, n. 28162; cfr. anche Cass. Sez. Un., 8 marzo 2019, n. 6882). Da tale interpretazione la Corte di legittimità ha anche tratto il conseguente principio, secondo cui nel caso di accollo negoziale del debito di imposta, anche prima dell’introduzione dell’espressa previsione di cui all’art. 1, comma 2, d. L. n. 124 del 2019, convertito con modificazioni dalla l. n. 157 del 2019, all’accollato era precluso l’assolvimento del debito mediante l’utilizzo in compensazione di un maggior credito dell’accollante, atteso che tale possibilità, di per sé di carattere eccezionale, non era prevista da alcuna disposizione
di legge, difettando oltretutto i presupposti della compensazione di cui all’art. 17 del d. Lgs. n. 241 del 1997 per non afferire i debiti e crediti al medesimo soggetto (Cass. 5 settembre 2024, n. 23934);
-da tali considerazioni discende allora che la regola di non compensabilità tra crediti d’imposta nella titolarità dell’accollante e debiti erariali, che l’accollante ha acquisito da terzi mediante accollo, non trae fondamento dalla Risoluzione 140/E, evidentemente peraltro atto non vincolante per il giudice, né tanto meno dall’ assertiva applicazione retroattiva dell’1 del d.L. n. 124 del 2019, che, pur espressamente vietando la compensazione con debiti di terzi accollati, è disciplina introdotta successivamente a gli anni d’imposta relativi alle operazioni oggetto del giudizio;
-essa trae invece fondamento da autonomi principi già vigenti, per difettare dei presupposti della compensazione richiesti dall’art. 17 del d.L. n. 241 del 1997 e nello specifico della identità soggettiva nella titolarità del credito e del debito, il quale ultimo, anche per l’ipotesi di accordo negoziale di accollo esterno, resta sempre e solo nella titolarità dell’accollato, senza trasferirsi dunque, quanto ai rapporti con l’erario, in capo all’accollante. In ciò la compensazione tra debiti e crediti fiscali è più circoscritta rispetto ai principi civilistici dettati dagli artt. 1241 c.c. e segg.;
-in merito, giurisprudenza di Legittimità ormai consolidata già aveva rilevato tempo fa che, in materia tributaria, la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, di riscossione e di rimborso; ogni deduzione è
inoltre regolata da specifiche, inderogabili norme di legge. Lo stesso trend giurisprudenziale aveva anche evidenziato che tale principio non poteva ritenersi superato per effetto dell’art. 8, comma primo, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. “statuto dei diritti del contribuente”), il quale, nel prevedere in via generale l’estinzione dell’obbligazione tributaria per compensazione, aveva lasciato ferme le disposizioni vigenti (demandando ad appositi regolamenti l’estensione di tale istituto ai tributi per i quali non era contemplato, a decorrere dall’anno d’imposta 2002), ovvero l’art. 17 del d. Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, il quale, nell’ammettere la compensazione in sede di versamenti unitari delle imposte, ne aveva limitato l’applicazione all’ipotesi di crediti dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti e risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data della sua entrata in vigore (si veda Cass., 30 giugno 2006, n. 15123). Rispetto all’Amministrazione finanziaria, pertanto, l’accollo di debiti erariali assume solo ed esclusivamente efficacia di accollo interno, con due conseguenze: la prima è che soggetto debitore nei confronti dell’erario resta sempre l’accollato; la seconda è che, ancorché relativo a crediti e debiti d’imposta afferenti alla medesima annualità, l’assenza di identità soggettiva comporta che né l’accollante può compensare con i propri crediti d’imposta i debiti tributari di terzi che si è accollato, né quest’ultimo può pretendere dall’Erario che i propri debiti si compensino con i crediti d’imposta dell’accollante;
-tornando alla presente fattispecie per cui è causa, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio non si è attenuta a tali principi, ritenendo -come non doveva – corretta la
compensazione operata dall’accollante tra propri crediti d’imposta e debiti erariali dell’accollato;
-pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza va cassata con rinvio al giudice del merito che rivedrà il fatto alla luce delle sopra esposte considerazioni, alle quali darà attuazione, e provvederà infine anche quanto alle spese del presente giudizio di Legittimità;
p.q.m.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in diversa composizione che statuirà anche quanto alle spese del presente giudizio di Legittimità.
Così deciso in Roma, il 27 marzo 2025.